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Nadia Moscardi, ristoratrice abruzzese: “Dopo il terremoto non mi spaventa più nulla…”

In testata legumi adagiati su crema di buccia di patate con verdure croccanti, rapa rossa, cavolo viola, verza, spinacino e scaglie di tartufo.

Imparare a superare le difficoltà tempra il carattere e permette di scindere il superfluo dall’essenziale. Un terremoto come quello de L’Aquila, che a molti ha raso al suolo ogni certezza costruita negli anni, cambia la prospettiva delle cose. Così è stato per Nadia Moscardi, cuoca di ‘Elodia, il ristorante di famiglia a Camardia frazione de L’Aquila, raso al suolo dalle scosse e poi ricostruito. “Cinzia, noi siamo una famiglia unita, questa è la forza che ci ha permesso di andare avanti.” Condivido in pieno il suo suo pensiero. La famiglia è il vero punto fermo da cui trarre energia. Non è necessariamente una questione parentale, per me è soprattutto una questione di verità e di affetti sinceri, su cui contare nei momenti difficili.

Elodia, il nome di sua madre. Quarant’anni di attività che oggi continuano con un percorso legato ad una tradizione familiare Nadia Moscardigastronomica, portata avanti nel segno della Natura. Ho incontrato Nadia e la sua cucina, fatta di radici ed erbe spontanee, all’undicesima edizione di Identità golose 2015. Conclusa la sua presentazione, ho avuto modo di conoscerla attraverso scambi di vita e di esperienze, come è mia consuetudine fare, per capire meglio le persone e conseguentemente il loro operato.

A lei la parola…

  • Nadia, nel tuo intervento a Identità Golose hai citato diverse piante spontanee che raccogli personalmente nei campi. Mi riferisco al rosolaccio, alla piantaggine, al sedano d’acqua, ai semi di panace o ancora ai semi di lunaria. Da appassionata di erbe e di radici devo ammettere che alcune non le conoscevo. Perché non mettere a frutto questo tuo sapere insegnando alle persone a riconoscere queste piante, e soprattutto ad utilizzarle?

Questa è una bellissima idea! Sarebbe molto bello organizzare una giornata sul Gran Sasso con una bella passeggiata tra i boschi e i prati per raccogliere erbe, radici e fiori, e poi tornare nel mio ristorante per cucinarli. 

  • Sono convinta che il segreto per stare in salute sia nella natura. Se ti dico che ‘ci si cura mangiando’ cosa mi rispondi?

Credo fortemente in questa tua affermazione. La nostra salute dipende molto da quello che mangiamo. Siamo purtroppo presi da una vita troppo frenetica per curare al meglio la nostra alimentazione. Le erbe spontanee sono ottime per la nostra salute, specialmente mangiate crude. In questi giorni sono in elaborazione altre ricette con questi vegetali miracolosi.

  • Dopo alcune ricerche, come ti dicevo di persona, ho incominciato ad apprezzare sempre di più i semi, gli oli e le farine ottenute dalla canapa, una pianta che contribuisce a sanare i terreni inquinati, dai molti impieghi e dalle tante virtù terapeutiche. Sono certa che ho stuzzicato il tuo interesse.  Mi prepari un piatto con i suoi derivati quando verrò a trovarti?

Hai decisamente stuzzicato il mio interesse, infatti mi sto documentando molto sulla canapa e vedremo cosa succederà…

  • La pastinaca, un’antica radice bianca tipica aquilana che coltivi nel tuo orto. Mi dai qualche consiglio per cucinarla?

Cinzia, si può realizzare una crema di pastinaca facendo un frullato della radice e patate lessate, condita semplicemente con sale, pepe e olio extravergine di oliva. Oppure si possono fare del cips di pastinaca facendo delle sfoglie sottili della radice fritte.

  • A proposito della tua ‘amatriciana bianca’… mi spieghi di che cosa si tratta?

L’amatriciana bianca è un piatto della tradizione aquilana; sono spaghetti o maccheroni alla chitarra fatti con un condimento di guanciale e pecorino, con l’aggiunta di pepe o peperoncino. È una ricetta originaria della città di Amatrice che oggi si trova nel Lazio, ma che fino al 1927 è stata in provincia de L’Aquila. Una preparazione semplice in cui sono  fondamentali ingredienti di altissima qualità: il pecorino e il guanciale dei monti abruzzesi.

Si rosola in una padella di ferro il guanciale tagliato a striscioline, con un pizzico di pepe o peperoncino; si aggiunge la pasta e poi abbondante pecorino abruzzese. Il mio consiglio, per avere un risultato più cremoso, è quello di unire il pecorino e poca acqua di cottura in padella prima di versare la pasta.

Amatriciana bianca

Amatriciana bianca di Nadia Moscardi

www.elodia.it




Due cuoche di Ponza in missione in Brianza

In un’epoca dominata da chef, sembra quasi fuori luogo parlare di cuoche, eppure sono loro che hanno segnato gli inizi di questi maestri, come li chiamano oggi, del mondo della gastronomia. Badate bene, non voglio certo mancar loro di rispetto, ma… ora vi faccio una domanda: “Quanto ci manca quella cucina semplice, casalinga, quella delle belle trattorie di paese che si tramandano le tradizioni legate alle famiglie e ai territori?” Io la risposta ce l’ho, e spesso, con le mie piccole provocazioni, tento di stimolare chi dovrebbe ‘recuperare’, più che continuare a creare.

Giovedì 13 Febbraio, Alessandro Vitiello, caro amico e sommelier, ha voluto portare un po’ della sua Ponza, che con tanto amore racconta insieme ad altri amici in Ponza racconta, al ristorante Il Fauno di Cesano Maderno. Grazie a Rosaria di Punta Incenso, e di Maria e Sabrina di Così Com’era, cuoche di questi luoghi di ristoro tipici di Ponza, ho potuto respirarne l’atmosfera e assaggiare i suoi sapori.

Una serata dedicata a Ponza

Serata dedicata a Ponza

Non ho ancora avuto occasione di visitare quest’isola, la maggiore delle isole Ponziane, in provincia di Latina. L’arcipelago che l’accoglie, comprende anche le isole di Gavi, Zannone, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano. In realtà, grazie ai racconti di Alessandro, è un po’ come se la conoscessi… una terra di mare e di pescatori, di atmosfere nostalgiche e di ricordi d’infanzia… ma anche di tanti sapori.

Non potevo iniziare senza fare un brindisi alla serata. Nel farlo ho assaggiato “Faro della Guardia” 2013, un vino prodotto da un antico vitigno, il Biancolella. Il suo nome richiama un luogo di rilevante interesse storico e culturale, primo tra i sei beni italiani FAI: Il Faro della Guardia sull’isola di Ponza.

La conoscete la “pettola”? E’ un impasto di farina, acqua e sale da cui si ricavano degli straccetti per la zuppa di lenticchie, un legume tipico di quest’isola di dimensioni più piccole rispetto a quelle tradizionali.

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Come dice Alessandro: “Lo scorfano dovrebbe stare nel piatto dalla testa alla coda”, forse perché un saggio signore del suo paese sosteneva che se a un pesce gli togli la testa e le interiora, hai perso tutto il suo sapore. Diffusissimo nei mari di Ponza, lo scorfano è buono in tutte le maniere in cui viene cucinato. Detto questo, eccolo con i paccheri e le olivelle.

Ora tocca alle nocchette, dolci fritti tipici del Carnevale il cui nome deriva da ‘nocca’, che significa fiocco. In questo caso però hanno subito una contaminazione Lombarda: una crema soffice al mascarpone. 😉

Non vi ho detto ancora che insieme a noi c’erano i ragazzi dell’Istituto Filangieri di Ponza, presenti alla BIT di Milano. Alla fine della cena hanno distribuito dei sassi raccolti sulle spiagge dell’isola dipinti personalmente da loro. A proposito di sassi, concludo con una pietra, anzi, con le ‘Pietre di Palmarola’ di Rosaria del ristorante Punta Incenso. Un impasto a base di mandorle, noci, uva passa, cioccolato e vino bianco ponzese.

In questo caso… una pietra tira l’altra.

  • Ristorante Il Fauno     
    Via Borromeo, 29 Cesano Maderno (MB)
    Tel. 0362 540930
  • Ristorante Punta Incenso
    Via Calacaparra, 24, Le Forna, Ponza (LT)
    Tel. 0771 808517
  • Ristorante Così Com’era
    Salita Cristo, Le Forna 5 Ponza (LT)
    Tel. 0771 808683



Filippo Flocco, stilista teramano d’alta moda. Ora ve lo presento, anzi, lo mando in cucina a preparare il risotto alla malva.

Filippo Flocco, uno stilista teramano d’alta moda che ha iniziato la sua attività negli atelier storici italiani all’età di sedici anni. Da otto anni la collaborazione con una Maison francese lo porta spesso nel quartiere latino di Parigi. Quando è li, vive in un piccolo appartamento, che però ha una dirimpettaia molto speciale: Monica Bellucci.

Non è la prima volta che ho a che fare con degli stilisti. Quando ne ho l’occasione mi piace parlare di stile, quello che ciascuno dovrebbe seguire semplicemente perché lo sente come suo, e non come moda del momento. Mi riferisco ad alcuni accessori che a volte mi piace usare, ma che mi fanno etichettare come persona eccentrica e bizzarra. Non che la cosa mi scomponga alquanto, visto che ormai è la normalità a farmi preoccupare.

Con Filippo ci siamo conosciuti recentemente attraverso amicizie comuni, prima con uno scambio di battute sul web, e poi, chiacchierando a lungo, sia pur divisi da un monitor. In comune abbiamo alcune passioni come la montagna, l’amore per gli animali, la buona cucina, le ricette storiche e le erbe spontanee.

Ora ve lo presento, anzi, lo mando in cucina. 😉

  • Filippo, per esigenze di lavoro vivi tra Teramo e Parigi. Mi viene spontaneo chiederti: “Cucina italiana o cucina francese”?

Italiana, assolutamente, anche se c’è un piatto della cucina francese che amo particolarmente e che ogni tanto propongo agli amici che ospito: la zuppa di cipolle. Per il resto trovo le preparazioni della cucina francese assolutamente ricercate, certo con degli impiattamenti elaborati ed esteticamente raffinatissimi, ma molto lontani dal mio modo di approcciarmi alla cucina.

  • Anche se sei spesso all’estero dalle tue parole ho capito chiaramente che le tue radici sono ben salde a Teramo. Cosa ti manca di più della tua città quando sei lontano?

Mi manca la famiglia. Anche se sono una persona con pochissimi legami parentali, quando sono in Abruzzo, in particolare a Teramo, è come stare davvero “a casa”. Conosco molte persone, da anni, alcune mi sono molto care. Poi ci sono le mie passeggiate nei dintorni… Abbiamo un mare stupendo e delle montagne fantastiche a pochi chilometri. In pochissimo tempo puoi essere dove vuoi, perché siamo centralissimi e ben collegati.

  • Mi hai raccontato che raccogli e utilizzi erbe spontanee nelle tue preparazioni. Quali sono in particolare le tue preferite?

Cinzia, te ne cito alcune. Li ‘cascigni o il grespino’ ad esempio, è una pianta spontanea con proprietà diuretiche già conosciuta al tempo di Plinio il Vecchio. Si usa per una preparazione tipica abruzzese a base di fagioli. Durante le passeggiate con i miei cani, sulle colline, raccolgo il ‘cavolo rapiciolla’, una pianta annuale con un fusto legnoso che si trova un po’ ovunque.

  • Nei nostri discorsi hai citato il risotto alla malva. Come lo prepari?

Ti do la ricetta. Uso circa 500 grammi di riso non raffinato, circa 120 grammi di burro intero che prendo in un mercato di contadini scendono a valle in un posto dove andavo da piccolo con mia mamma, un paio di litri di brodo vegetale, 100 grammi di ricottina di pecora morbidissima, e pecorino di Atri fresco grattugiato. Infine, una manciata di fiori di malva che raccolgo personalmente
In una casseruola tosto il riso nel burro intero, a me piacciono quelle di coccio. Poi, verso il brodo caldo. Trascorsi 5 minuti di cottura unisco le foglie di malva scelte fra le più giovani e sane. Poco prima che il riso sia cotto, unisco la ricottina, il pecorino atriano fresco, e lascio mantecare. Dopo averlo fatto riposare qualche minuto lo servo decorandolo con fiori di malva.

  • Ami la storia come me. Mi raccontavi di antiche ricette…

Da un paio di anni ho fatto delle ricerche sulla storia del costume, dal medioevo al barocco italiano. Tra i vari libri che ho trovato, visitando polverose biblioteche comunali, mi ha colpito un “libricino” vergato con preparazioni gastronomiche scritte a mano. Una strana commistione di sapori spagnoli e francesi, credo si trattasse di  un ricettario che portava in “dote” una fanciulla che si preparava a sposare un signorotto del luogo. Era pieno di appunti e spunti, che magari se riproposti, potrebbero diventare una vera novità. Perché in fondo, anche la cucina come l’alta moda, che è il mio vero campo di competenza, non è altro che una forma di creazione. La restituzione di una realtà preesistente, rinnovata attraverso gli occhi e l’amore dello stilista o del cuoco, in questo caso…

 




Valeria Terraneo, una giovane donna divisa tra la passione per l’agricoltura e un call center

Conoscete la pecora brianzola?

Valeria Terraneo, una giovane donna impegnata nell’azienda agricola di famiglia a Seveso‬, in provincia di Monza e Brianza. Diplomata in Agraria, si dedica con passione all’agricoltura e all’‎allevamento‬. Nonostante l’impegno e la voglia di fare, i mezzi a sua disposizione non sono ancora sufficienti per dedicarsi completamente ai suoi animali che accudisce ogni mattina alzandosi all’alba. La sua giornata infatti, è scandita dai trilli di un call center che gli permette di sostenersi finanziariamente.

Sono tanti i giovani che seguendo le tradizioni familiari si stanno orientano verso l’agricoltura. Una scelta che comprendo e condivido, e che spinge nonostante le difficoltà, ad andare avanti verso un futuro sempre più agricolo ed ecosostenibile.

L’azienda agricola Terraneo alleva cavalli, animali da cortile e pecore brianzole, una razza in via d’estinzione. Per scelta nessun capo viene macellato. L’attività principale che permette loro il parziale recupero delle spese, è costituita dalla coltivazione di cereali e di fieno nei terreni incolti dei comuni limitrofi.

Valeria Terraneo

Durante la mia visita, dopo essermi dedicata con saluti e carezze agli animali presenti, ho parlato a lungo con Valeria sull’importanza degli effetti benefici che questo contatto naturale ha sulle persone. Per questo motivo, e per molto altro, la cultura agricola va promossa e sostenuta in ogni sua forma.

Passo a lei la parola…

  • Valeria, con la tua famiglia conduci questa realtà agricola che i tuoi nonni hanno avviato molti anni fa. Mi racconti un po’ della vostra storia?

Tutto parte dai primi del ‘900, quando Baruccana, piccola frazione di Seveso, era un paese agricolo dove tutte le famiglie possedevano una stalla e una cascina con appezzamenti di terreni annessi. Gli animali che si allevavano era prevalentemente per il lavoro; buoi e cavalli da tiro per poter coltivare i campi. A quei tempi i trattori erano ancora una realtà sconosciuta. Con il passare degli anni questa passione è stata tramandata di generazione in generazione fino ai nostri tempi, ovviamente con scopi differenti da quelli di allora. A tutt’oggi alleviamo con amore questi animali straordinari. Purtroppo questa zona geografica in cui viviamo non è delle migliori per le coltivazioni, soprattutto per la mancanza di terreni agricoli. Aggiungo che la passione non è solo rivolta agli animali, ma anche ai mezzi agricoli storici che custodiamo con cura e che utilizziamo per mostre, eventi e fiere zootecniche.

  • Tra gli animali che allevi c’è la pecora brianzola, una razza in via d’estinzione da tutelare. Me ne descrive le caratteristiche?

È una razza che negli ultimi anni, grazie all’impegno di molti allevatori, si sta ripopolando. Le sue caratteristiche sono Pecora brianzola la robustezza e quindi la conseguente adattabilità a qualsiasi tipo di terreno o condizione climatica. Inoltre la rusticità, cioè la resistenza alle malattie, fa si che le esigenze alimentari e di vita non siano di particolare impegno. La taglia è medio-grande, infatti i maschi adulti raggiungono anche i 90-100 kg, a differenza delle femmine, che raggiungono il peso massimo di 80 kg.

Sono soggetti molto prolifici e precoci che vengono allevati per la produzione di carne e di lana (esiste una filiera della lana che viene utilizzata per produrre capi di abbigliamento della tradizione pastorale lombarda). La zona principale di allevamento sono le provincie di Lecco, Como e Monza.

  • Come scrivevo poc’anzi, è risaputo che il contatto con gli animali genera benessere riportando le persone ai ritmi naturali. Creare un ambiente idoneo in cui poter vivere anche per poche ore questo contatto, potrebbe essere un valido aiuto in caso di depressioni e malesseri psichici. Credi che si possa realizzare un programma analogo anche da voi ?

A riguardo di questa affermazione penso che possa essere un buon inizio per poter costruire “qualcosa” di socialmente utile anche da noi, visto che già esistono a livello nazionale e internazionale molte associazioni di pet therapy.

  • Valeria, è risaputo quanto io ami la natura e il mondo agricolo. I miei ricordi d’infanzia in campagna hanno influito molto sulle scelte della mia vita. Per questo motivo ritengo che un riavvicinamento a questo importante comparto, attraverso percorsi didattici e culturali, sia di rilevante importanza nell’educazione dei bambini. La vostra azienda ha in programma iniziative in tal senso?

È in progetto sicuramente. Per gli anni futuri prevediamo infatti l’apertura di una fattoria didattica e l’organizzazione di alcuni eventi dedicati a bambini, alle scolaresche e alle loro famiglie.

  • Ora parliamo di eventi agricoli. Nel prossimi mesi, a Seveso, si svolgerà “Seveso in fiore”. Una manifestazione agricola in fase organizzativa che ti vede tra le coordinatrici. Come mi dicevi, oltre alla vostra collezioni storica di trattori, ci saranno importanti realtà produttive del territorio. Quali sono i requisiti per partecipare e le eventuali modalità per iscriversi?

L’evento sarà esattamente il 18 e il 19 aprile e avrà luogo nel prestigioso ‘Bosco delle querce’. Ci sarà la presenza di florovivaisti, produzioni di aziende agricole, e fattorie didattiche. I requisiti per partecipare sono minimi: essere produttori o trasformatori di materie prime agricole, oppure essere fattorie didattiche o produttori di fiori e piante. Le modalità di iscrizione saranno a breve pubblicate sul sito ufficiale.

Per info contattare Valeria Terraneo
Mail: valeria_giny@hotmail.com
Cell. 340 5263379

Azienda Agricola Terraneo

Azienda Agricola Terraneo




Giovanni Trapattoni, presidente per un giorno al Festival della Cazoeula di Cantù

Qual è la cucina che piace agli italiani? Certamente non mi aspetto di dare una risposta che incontri il consenso di tutti. Mi limiterò solo ad esprimere il mio pensiero, quello di una donna che celebra il mondo dei sapori e delle tradizioni, e che vive quotidianamente, come con un compagno, la passione e il calore che gli trasmette il cibo. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese ricco di produzioni e di menti creative, che ci permettono di godere dei molti piaceri che rendono la cucina italiana famosa nel mondo. Ebbene, credo che gli italiani come me amino una cucina conviviale fatta di prodotti della terra. Una cucina accessibile a tutti, che esprima il territorio e le persone da cui ha origine.

Venerdì 6 Febbraio si è svolta a Il Garibaldi di Cantù la degustazione finale del 3° Festival della Cazoeula. Otto ristoranti in gara si sono contesi il premio “Cazouela d’Ora” per il miglior piatto di pomodoro verza e costina: la triade Canturina. Un piatto della tradizione popolare lombarda dalla lunga storia. Una preparazione tipica della cucina invernale il cui nome si può trovare scritto in diversi modi: cassouela, cassuola o casouela. Comunque sia, la ricetta ha come ingredienti carne di maiale (costine e cotenna) accompagnate da verza cotta, spezie, vino rosso e concentrato di pomodoro. A proposito, per digerire meglio la cazoeula è consigliabile bere prima dell’assaggio un bicchierino di grappa. Un’usanza nata dall’ingegno dei contadini… scarpe grosse e cervello fino!

La cazouela

La cazouela

  • Ristoranti in gara.

Hanno partecipato all’evento: La Scaletta, Il Giardinet, Le Querce, Il Garibaldi, l’Osteria del Km 0, Agriturismo L’Urtulan, La Cascina di Mattia, e la Trattoria Riposo.

  • La giuria.

Esperti enogastronomi, comunicatori del settore, cuochi ed appassionati, hanno avuto come presidente onorario un protagonista della storia del calcio italiano: Giovanni Trapattoni.

In giuria Claudio Bizzozero Sindaco di Cantù, Elda Borghi la madrina ufficiale della cazouela Canturina, Bruno Profazio vicedirettore del quotidiano La Provincia, Giovanni Bettio imprenditore, Nicola Gini giornalista e appassionato di enogastronomia, Alberto P. Schieppati direttore editoriale della rivista Artù, Rocco Lettieri esperto di lunga data nell’ambito enogastronomico, Antonio Silva professore di storia e filosofia, Sergio Mauri vice-presidente dell’Associazione Cuochi di Como, Carlo Pozzoni fotoreporter ed editore, Andrea Marconetti e Maurizio Rosazza Prin entrambi finalisti della 2’ edizione di Masterchef, Franco Cattaneo appassionato di cucina, Emanuele Mambretti appassionato di tradizioni locali, Maurizio Casarola giornalista del quotidiano La Provincia, e Aldo Nenzi enogastronomo di lunga data. Dimenticavo, in giuria c’era anche una donna appassionata di storia, di tradizioni  e di enogastronomia, che comunica il territorio e i suoi prodotti mettendo al centro le persone, si chiama Cinzia Tosini. 😉

Ebbene, durante gli otto assaggi ho avuto modo di conoscere meglio, oltre agli altri giurati, un uomo di sport di origini bergamasche che ha dimostrato una grande simpatia e disponibilità. Tante le similitudini e le cose da raccontarci, visto che per molti anni ho abitato nel suo stesso comune. Insieme, oltre a giudicare i piatti, si è parlato di tradizioni, di ricette tipiche locali, e… si è molto sorriso!

Giovanni Trapattoni

Giovanni Trapattoni

Rullo di tamburi

Nella 3° edizione del Festival della Cazoeula di Cantù, con 334 punti vince il premio “Cazouela d’Ora” il ristorante La Cascina di Mattia. Segue al secondo posto, il ristorante Il Garibaldi con 332 punti. Infine, si aggiudica il terzo posto l’Osteria del Km 0.

Complimenti a tutti e…  Ode alla Cazoeula!

Ode a te Cazoeula, pomodoro verza e costina, potente triade canturina!
Ne’ Novembre, ne’ Dicembre sono mesi a te prediletti,
coperti tutti i campi col gelo di Gennaio, ghiacci la verza furente in un lavoro silente.
Il contadino con fame e maestria sacrifica il maiale.
Per te la verza ha abbandonato madre terra, il maiale ha chinato il capo.
Il fuoco arde la casseruola arrossisce. Un’orgia si consuma in cucina: Verza, Cotenna e Costina!
D’improvviso arriva la tua amante: la polenta fumante!
Ti accompagna nel tuo viaggio. Ti esalta!
Al tavolo speranzoso ti aspetta il vecchio brianzolo.

Ristoranti in gara nel Festival della Cazouela

Fotografia  in testata di Carlo Pozzoni



Riflessioni dopo Olio Officina Food Festival 2015

 

Da pochi giorni si è conclusa la 4’ edizione di Olio Officina Food Festival, l’appuntamento milanese diretto dall’oleologo e scrittore Luigi Caricato che vede protagonista l’olio da olive. Un format dedicato ad approfondimenti, dibattiti e degustazioni, che ogni anno puntano a diffondere buona cultura del cibo per favorire il consumatore verso una scelta informata e consapevole.

Durante la giornata a cui ho partecipato, molti gli spunti di riflessione su cui confrontarsi per la promozione di un’importante produzione italiana che vive una stagione difficile. Qui di seguito mi soffermerò su alcuni momenti che a mio parere meritano attenzione e ragionamenti ponderati.

  • La gestione dell’olio al ristorante.

Uno degli argomenti chiave per una proposta che favorisca l’olio extra vergine di oliva di qualità. Il ruolo della ristorazione in questo caso è di rilevante importanza.
Educare il cliente verso una scelta consapevole dipende molto da come viene presentato un prodotto. Questo presuppone una formazione degli addetti e un confronto con il mondo delle produzioni attraverso meeting e corsi formativi che predispongono a tale compito.

  • Il blending.

Con Marcello Scoccia, vice presidente ONAOO (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Olio di Oliva) si è parlato di blend, cioè l’arte di assemblare cultivar per ottenere profili sensoriali che soddisfino il cliente. Anche se non piace a tutti,  il blending non va inteso come una sofisticazione. Tale compito infatti è assolto da assaggiatore esperti.

La gestione dell'olio al ristorante.

La gestione dell’olio al ristorante

  • Monodose di olio extravergine di oliva al ristorante.

Un’idea interessante più volte discussa, che le aziende agricole possono adottare per proporsi ai consumatori attraverso la ristorazione. Una monodose a prezzo simbolico per farsi conoscere e diffondere così le produzioni di oli extra vergine di qualità, dando la possibilità ai consumatori di fare ordini direttamente alle aziende.

  • Tappo antirabbocco.

Qui tocco un tasto dolente. C’è infatti chi lo reputa solo una presa in giro per il consumatore, visto l’utilizzo di oli di scarsa qualità che ‘a volte’ vengono utilizzati nelle cucine durante le preparazioni dei piatti. Personalmente, per evitare che una bottiglia con note etichette venga più volte riempita con oli discutibili, promuovo senza dubbio l’adozione di questo tappo. Sul resto la professionalità del ristoratore fa la differenza. Come ha sottolineato una persona del pubblico presente al dibattuto, in Giappone, paese che apprezzo sempre di più, preferiscono di gran lunga privilegiare investimenti in cultura del settore. Chi vuol capire intenda.

  • Cibo e bambini.

Con Giovanna Ruo Berchera, insegnante di cucina, si è parlato di bambini che rifiutano il cibo per motivi non legati al gusto. Giocare con gli alimenti legandoli ai racconti, crea emozioni che inconsapevolmente vengono custodite nelle memorie. Coinvolgerli nelle preparazioni, oltre a divertirli, li aiuta a superare e vincere le diffidenze. Sfido chiunque a non ricordare un cibo della memoria legato ad un ricordo d’infanzia…

  • Eros e cibo.

L’olio alimenta l’eros. Questo il tema della 4′ edizione di Olio Officina Food Festival. Anche il pane è eros. Simona Lauri, consulente e tecnico per la panificazione, insieme a Giuseppe Capano, chef e consulente di cucina, ha raccontato un cibo che amo molto, artigianale e appagante, che mi da piacere e benessere riportandomi ai valori di una volta. Il mio consiglio è di scegliere accuratamente i panificatori che privilegiano farine di qualità. In cambio avremo prodotti da forno che renderanno le nostre giornate più ricche di bontà e di salute.

 Il pane, un corpo caldo che è vita e passione. Simona Lauri

Massimo Occhinegro, consulente esperto di marketing internazionale

Massimo Occhinegro, esperto di marketing internazionale

 




Nordic Walking, per vivere in Salute la Natura e i Territori

Vivere Naturalmente

Ultimamente sono spesso nei boschi. In realtà il benessere che mi da il contatto con la natura è una costante da sempre. Purtroppo viviamo in tempi difficili che ci costringono a modificare le nostre abitudini. Non semBastoncinipre infatti passeggiare da soli è consigliato. Per questo, in alcune occasioni, ho dovuto rinunciare a percorsi che mi attraevano per le loro atmosfere.

Avete mai provato a passeggiare la sera tra gli alberi? Io ho incominciato a farlo con un gruppo di persone da quando pratico Nordic Walking, una disciplina sportiva nata in Finlandia. Una tecnica di camminata fatta con l’ausilio di bastoncini che, dando al passo una spinta maggiore, permette di stimolare oltre l’80% della nostra muscolatura.

La cosa bella è che lo si può praticare ovunque e in ogni stagione, creando aggregazione tra le persone, e consentendo loro la conoscenza dei territori. Un movimento completo che fa bene sia al fisico che alla mente, che si può fare oltre che in montagna, nei parchi, sulle spiagge, oppure nelle città, per conoscerne le bellezze e la loro storia.

Il Nordic Walking…

  • Migliora la circolazione e i disturbi cardiovascolari.
  • Rilassa riducendo lo stress.
  • Migliora la postura.
  • Rinforza il sistema immunitario.
  • Aiuta a perdere peso.
  • Non prevede nessun limite di età.
  • Grazie all’uso dei bastoncini aiuta a camminare affaticando meno le articolazioni.

Devo dare merito ai finlandesi per aver inventato, oltre a questo sport, anche la sauna secca. Due pratiche che amo molto per il benessere e l’energia che mi trasmettono.

A proposito, noi del Nordic Walking mentre camminiamo scopriamo rifugi, aziende agricole, e facciamo ottime merende con produzioni artigianali. 😉

Team Trangolo Lariano Lago di Como A.S.D. Brianza

Nordic Walking




Un estratto da matrici vegetali del tutto naturale che sostituirebbe l’uso della Solforosa. Ne parliamo?

Sono convinta che leggendo il titolo di questo articolo molti di voi penseranno ai soliti discorsi sui vini cosiddetti naturali, lo penserei anch’io. Scrivere di vini senza aggiunta di anidride solforosa (SO2), la cui azione antisettica e antiossidante in una stagione difficile come questa è considerata determinante, sicuramente ai più sembrerà azzardato. Sto parlando di un additivo chimico utilizzato in moltissimi alimenti che, se assunto superando le dosi consentite, ha effetti tossici sulla nostra salute. Una sostanza il cui uso richiede attenzione, e che, conseguentemente, impone una continua ricerca verso un’alternativa naturale. Giuseppe Sportelli di Amastuola, un’azienda agricola di Taranto che recentemente ho visitato, ha commentato una nostra discussione a tal proposito con una frase che fa riflettere, perché in essa è contenuta la verità: “Cinzia, il segreto è nell’uva”.

Entro in merito.

Qualche settimana fa, durante un pranzo sul lago con un caro amico, la mia attenzione è stata catturata dall’ascolto di un vino prodotto senza l’uso di solforosa, o meglio, con l’uso di uno stabilizzatore per il processo di vinificazione a base naturale prodotto da un’azienda chemical free di Quartino, in Svizzera. Poche le notizie certe, ma in cambio qualche utile contatto per approfondirle. Da li sono iniziate le mie ricerche. Ho incominciato contattando alcuni amici produttori per capire se ne fossero a conoscenza. Tranne qualche caso isolato, poche le informazioni. Ho proseguito con alcune telefonate fino ad arrivare ad Alessandro Schiavi, enologo e socio dell’azienda agricola Mirabella di Rodengo Saiano a Brescia. Da qualche anno sta sperimentando questo prodotto con un vino già in commercio. Raggiunto al telefono la sera stessa mi sono accordata per un appuntamento. Due giorni dopo, nonostante il maltempo, sono andata a trovarlo.

Dopo avergli spiegato che cosa mi aveva portato a lui, mi ha raccontato del suo percorso orientato verso una ricerca di pratiche, sia in vigneto che in cantina, rispettose dell’ambiente e del consumatore. Nell’azienda nata nel 1979 in cui è socio, viene utilizzata energia proveniente da fonti rinnovabili (55 tonnellate in meno di gas carbonico emesso annualmente). Le sue sperimentazioni con EPYCA​® di Bioma, il prodotto oggetto delle mie ricerche, sono fatte in collaborazione con l’Università di Viticoltura ed Enologia di Milano. Il risultato è la produzione di “Elite” extra brut, Franciacorta DOCG, il primo Metodo Classico italiano senza solfiti (inferiori a 10 mg/litro, limite di dichiarazione) e allergeni.

A lui la parola.

  • Alessandro, come sei venuto a conoscenza di questo prodotto che stai sperimentando?

Sono venuto a conoscenza di Bioma tramite un parente del nostro socio Giuseppe Chitarra, un prodotto che nel corso degli anni ha cambiato diversi nomi, ora si chiama EPYCA​®. Tendo a sottolineare che il solo prodotto non è sufficiente ad ottenere un buon vino o spumante, ma deve essere associato a particolari tecniche enologiche altrettanto importanti.

  • Mi spieghi di che cosa si tratta e come agisce?

E’ un insieme di polifenoli di origine vegetale estratti dall’uva che interagiscono sia con il metabolismo microbico del vino nelle diverse fasi di lavorazione, sia con le componenti ossidanti esogene (ossigeno, perossidi, raggi uv, ecc.)

  • Oltre ad utilizzarlo con Elite, il tuo metodo classico Franciacorta già in commercio, mi dicevi che hai iniziato la sua sperimentazione con altri vini. Me ne vuoi parlare?

Come dicevo sopra EPYCA​® è una delle componenti del progetto Franciacorta “Elite” extra brut. Sto utilizzando EPYCA​® red in una bellissima azienda della Bergamasca su vini vendemmia 2104 Cabernet Sauvignon e Merlot che ho vinificato parallelamente sia in botti di acciaio che in botti di legno da 500 litri. I risultati sono interessantissimi nonostante l’annata 2014 sia stata molto complicata a livello di sanità e ossidabilità di uve e di vini. L’ideale sarebbe organizzare una degustazione, perché “i vini parlano da soli”.

  • Si parla molto di vini naturali. Quali sono le differenze sostanziali con i tuoi vini?

I vini che sto sperimentando non sono ben classificabili nelle famiglie dei bio, naturali, ecc. (i miei vini sottostanno a parametri ben più stretti di un vino bio). L’obiettivo è quello di ottenere dei prodotti legati e ben identificabili con il loro territorio e con lo stile dell’azienda che li produce, con molta attenzione ad un rispettoso trattamento dei vigneti senza “appesantire” il terreno e l’ambiente in cui viviamo (le aggiunte chimiche da questo punto di vista modificano tali parametri). Vinificazioni consapevoli e gestite da chi conosce ed osserva con attenzione l’ambiente che lo circonda (questo è il parametro più delicato: collaborare con del personale molto preciso e attento a tutti i segni della natura). Vini che senza aggiunte di allergeni possono essere consumati da chiunque, perché sani, tipici e ben conservabili.

Riprendo la parola ma la ripasso subito a Maurizio De Simone, un enologo che sta dedicando la sua vita alla ricerca storica per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo italiano unico per diversità pedoclimatiche e numero di vitigni autoctoni. Il suo sogno è produrre vini integri e stabili senza l’ausilio dell’uso dell’anidride solforosa. Da qualche anno, dopo aver incontrato Bioma, ha iniziato a sperimentare i loro coadiuvanti naturali per il controllo antisettico e antiossidativo degli alimenti. Una società di biotecnologie svizzera che agli inizi degli anni 2000 ha cominciato a studiare molecole di origine vegetale fino a mettere sul mercato un estratto di vinacciolo dell’uva e proteine vegetali, che aggiunto al vino al posto della anidride solforosa, non solo ha permesso di avere vini microbiologicamente sani, ma anche stabili rispetto alle ossidazioni, e soprattutto senza la devastante interferenza organolettica dei solfiti.

  • Maurizio, puoi raccontarmi la tua esperienza dopo questa sperimentazione?

Da qualche anno si possono trovare sul mercato vini senza solfiti aggiunti, che però spesso all’assaggio risultano fortemente ossidati, e a volte con incipienti difetti microbici che ne invalidano le peculiarità organolettiche. Premesso che minime quantità di solforosa vengono prodotte dai lieviti durante la fermentazione, la soglia di 10 mg/lt di legge garantisce la quasi certezza che al di sotto di tale limite a un vino non sia stato aggiunto questo gas. In questi anni ho avuto modo di seguire vinificazioni presso numerose cantine private in Italia, Svizzera, Francia, Portogallo, California e Australia, oltre ad organi indipendenti quali l’università di Bordeaux e l’istituto di ricerca per i Rosè di Provenza. In tutti i casi si è evidenziato come i vini prodotti senza l’aggiunta di solforosa fossero naturalmente più stabili dei paralleli convenzionali, con minori tenori di acidità volatile, e nei rossi, tonalità purpuree di colore tendenzialmente più intenso e stabile nel tempo.

Tutti i vini risultano essere notevolmente diversi sotto l’aspetto organolettico, perché l’anidride solforosa è un Maurizio De Simonefortissimo caratterizzante delle peculiarità olfatto gustative, e in assenza di essa, i parametri usuali di riconoscibilità sono rimessi in discussione. Questo discorso a prescindere dall’aspetto salutistico, che nel vino è sostanzialmente trascurabile rispetto ad altri alimenti dove le concentrazioni di solfiti sono notevolmente più alte. Quello che apre nuovi e imprevedibili scenari è il fatto che un vino senza solforosa aggiunta esprime caratteri diversi, molte volte riconducibili ai sentori delle uve di partenza, e questo potrebbe rimettere in discussione tutto quanto codificato fin ora da organi scientifici e organizzazioni del gusto, per non parlare degli aspetti comunicativi e pubblicitari che ruotano intorno a questo fantastico mondo.

Attualmente tantissime cantine seguono i miei protocolli di vinificazione che consistono nel sostituire l’utilizzo della anidride solforosa con questi coadiuvanti. La grande maggioranza di esse hanno una linea dedicata a vini prodotti senza solfiti aggiunti che sono particolarmente apprezzati nei mercati del nord Europa e anglosassoni. Questa tecnica consente di avere vini in bottiglia che non superano i 10 mg/lt di Solforosa Totale, limite oltre il quale è obbligatoria la scritta in etichetta “CONTIENE SOLFITI”. Un aspetto che mi ha sorpreso è che questa tecnica, applicabile alla stragrande maggioranza di tipologie di vino, se è legata ad una sensibilità etica di produzione,  favorisce l’origine di vini più sani e meno invasivi sulla salute umana.

Maurizio De Simone  – Pro.Vit.E. Società Professionisti del settore viticolo ed enologico – Montalcino (SI)

Riprendo la parola.

Conclusa la nostra chiacchierata, una volta tornata a casa, ho incominciato ad approfondire le ricerche su Bioma, un’azienda chemical free situata in Canton Ticino nata nel 199​0. Come sempre ho bisogno di parlare direttamente con le persone interessate. Il Direttore Scientifico Elio Bortoli insieme al Direttore Operativo Moreno Buzzini hanno risposto alle mie domande.

  • Bioma, un’azienda di biotecnologie che ricerca, sviluppa e fabbrica degli additivi alimentari per permettere la totale sostituzione di conservanti chimici aggiunti; nel caso del vino della solforosa,  e nel caso dei salumi di nitriti e nitrati. Quali sono i risultati fin ora ottenuti?

E’ importante sottolineare che Bioma si integra nei normali processi di trasformazione alimentare senza disturbare le normali fasi di produzione tradizionali: non è quindi necessario dover rivedere e rivoluzionare la produzione con l’ausilio di importanti investimenti per nuovi macchinari e/o stravolgendo i propri processi produttivi.
Nel 1992 abbiamo vinificato la prima volta con la versione 1.0 dell’attuale EPYCA​®, e in seguito, la strada fino ai nostri giorni è stata ricca di ottimi traguardi raggiunti. Oggi siamo in grado di poter offrire a coloro che intendono vinificare senza l’ausilio di solfiti aggiunti EPYCA​®, una linea di prodotti per vini rossi, bianchi e rosé, bollicine e dolci, con la possibilità di arrestare la fermentazione malolattica.

  • Sono arrivata a voi ricercando un prodotto estratto da matrici vegetali del tutto naturale che sostituirebbe l’uso della Solforosa nel vino con gli stessi risultati: EPYCA​®. Di cosa si tratta esattamente?

EPYCA​®  è il frutto di un lungo lavoro di ricerca che è stato coronato da uno studio finanziato dalla Comunità Europea per tramite del progetto SULPHREE (sulphite-free organic additives to be used in wine-making-process).  E’  composto da sottomolecole di tannini estratti da vinaccioli dell’uva preparate in diverse formulazioni da utilizzare nelle diverse fasi della vinificazione e del tipo di vino.

  • I risultati che avete ottenuto con il progetto SULPHREE sono stati verificati da un organo di ricerca?

Il progetto SULPHREE, attuato da un consorzio nel quale erano presenti Bioma in funzione di R&D con il supporto di altri centri di ricerca, in particolare l’Università di Portici tramite il suo responsabile scientifico del dipartimento degli Alimenti Professor Ferranti e i suoi assistenti, assieme ad aziende vitivinicole EU, ha ottenuto risultati più che positivi. Tutte le applicazioni/vinificazioni effettuate sono sempre state seguite direttamente dai ricercatori e vinificatori attraverso analisi che ne hanno confermato innanzitutto l’assenza di solfiti aggiunti, ma che hanno anche evidenziando le caratteristiche organolettiche positivamente evolute.

  • Parliamo di costi. Quanto incide l’utilizzo del vostro prodotto rispetto alla Solforosa?

Stiamo paragonando un prodotto estremamente valido ed affermato da anni che essenzialmente però è uno “scarto di produzione industriale”, e quindi con dei costi irrisori, con un prodotto completamente innovativo, giovane e tecnologicamente molto avanzato, che necessita di un investimento da parte dei produttori di vino. E’ importante notare però che tutti i produttori che hanno utilizzato EPYCA​®, hanno comunque potuto riposizionare il prodotto sul mercato grazie a nuove etichette, e ovviamente con dei prezzi maggiori che assolutamente giustificano la qualità del prodotto finale vino. Il riposizionamento, soprattutto per quanto riguarda i costi, permette di ripagare completamente l’impiego di EPYCA​® con dei multipli da 3 a 5 volte rispetto all’investimento. Vi è inoltre per i vinificatori la possibilità di presentarsi sul mercato con un prodotto nuovo, di qualità, salubre e che può soddisfare il crescente mercato delle persone intolleranti ai solfiti. 

Concludo.

Ho pubblicato questo articolo nella speranza di diffondere un messaggio che possa servire da stimolo a chi come me, ama tutto ciò che riconduce alla natura e al rispetto dell’ambiente. Come dico spesso, i miei tentativi sono paragonabili a dei lanci di sassi nell’acqua: i cerchi che si formano attorno dipendono dall’interesse delle persone verso questi temi. La domanda che a volte mi sento porre e che mi fa sorridere è perché faccio tutto questo. La risposta è semplice: perché ci credo.

 

Ringraziamenti:
Giorgio Arrighini del Ristorante Ai Frati, Vello di Marone (BS) – Elio Ghisalberti, giornalista enogastronomico – Marco Derelli della Salumeria Derelli (BS) – Roberto Rigoni, Cantina Motto della Torre, Castione Svizzera – Alessandro Schiavi dell’Az. Agricola Mirabella, Rodengo Saiano (BS) – Maurizio De Simone, enologoElio Bortoli e Moreno Buzzini di Bioma Chemical Free Products, Quartino Svizzera – Giuseppe Sportelli dell’Az. Agricola Amastuola, Massafra (TA)

 




E’ nato il Jack Pepper, il mio cocktail agricolo!

Qualche sera fa entrando al Level Bar, un locale di Desio, un comune in provincia di Monza e Brianza, ho chiesto un cocktail agricolo. Si, avete capito bene, un drink a base di verdure.  Bè, il barman dopo avermi guardato un po’ stranito mi ha detto: “Vuole cosa scusi?!

Ovviamente la mia è stata solo una piccola provocazione per far si che i prodotti agricoli trovino il più ampio e svariato utilizzo. Verdura fresca di stagione ingrediente base anche per i cocktail. Perché no?!

Insomma, volete sapere com’è finita? Ebbene, quella sera Jacopo Soliani, conosciuto dai più come Jack, stuzzicato dalla mia richiesta ha creato un drink agricolo in un peperone che ho molto gradito: il Jack Pepper!

A lui la parola…

  • Jacopo, cosa ne pensi dell’utilizzo delle verdure nella preparazione dei cocktail?

Semplice, verdura significa freschezza e leggerezza, e nel campo della mixologia, innovazione! È bello poter pensate di assumere vitamine e antiossidanti sotto forma di drink , anche durante un aperitivo con amici.

  • Ora veniamo al dunque. Hai colto simpaticamente la mia sfida creando il Jack Pepper. Me lo racconti?

Quando mi hai chiesto di creare un drink agricolo ho pensato di poter usufruire dei prodotti dell’agricoltura non solo per la realizzazione, intesi come ingredienti, ma anche come contenitore. Il Jack Pepper è la combine tra aperitivo leggero, ma con carattere, e creatività. Ideale per tutti gli amanti dei cocktail poco alcolici e decisi.

> La vodka aromatizzata al peperone Homemade gli conferisce un sapore deciso senza peccare di pesantezza.

> Il pomodoro e il succo di limone fresco donano vivacità.

> Il bitter al sedano da la spinta e il giusto tocco di profondità.

Cinzia, concludo ringraziandoti per lo spunto perché, anche amando i grandi classici, sono sempre alla ricerca di nuovi accostamenti e sfide gustative in termini di consistenze, miscele e presentazione.

Grazie a te Jacopo, al prossimo coktail agricolo! 😉

Jack Pepper

Jack Pepper

 




Il riciclo creativo, l’arte che nasce dall’estro.

Articolo pubblicato sul mensile ‘Salute & Natura’ – Dicembre 2014 Ed. Adesso

Tom Regan, filosofo statunitense, diceva che chi non è perseverante non otterrà mai alcun cambiamento, quindi, da dove si parte? Direi proprio che ci si reinventa, credendo in se stessi e nelle proprie capacità. Sono figlia di un artigiano, un artista del marmo che mi ha trasmesso, oltre alla sua creatività, la passione per la terra.

La crisi che sta vivendo il nostro paese ha coinvolto, chi più chi meno, tutti i settori. Tante le cause, tanti gli sprechi e tante le colpe. Chi consiglia di andare all’estero, chi resiste, e chi si arrende. L’enogastronomia, l’artigianato, la moda, il turismo, l’arte… sono questi i pilastri che sostengono l’Italia. Le risorse le abbiamo, nonostante molte siano state sprecate.

Oggi comincio da qui, parlandovi di riciclo creativo, l’abilità di recuperare i materiali più inaspettati per oggetti di design. Io stessa amo ridare vita alle anticaglie che abitualmente si trovano abbandonate nelle soffitte, forse è per la loro storia, o forse più semplicemente per la soddisfazione di vedere rivivere un oggetto. Siamo in tanti che lo facciamo. Qui di seguito vi citerò alcuni esempi.

Giuseppe Colucci, oltre a collaborare con l’azienda meccanica di famiglia, dal 2011 si è reinventato creando una linea di oggetti molto singolari ottenuti unendo dell’acciaio e del vecchio parquet di ulivo recuperato. Ma non solo, guardate che cosa è riuscito a fare con dei puntelli recuperati nei cantieri edili: dei portabottiglie! (foto in testata)

  • Giuseppe come hai iniziato?

Il mio “inizio” è partito dopo un percorso full immersion durato ventisette anni. Ho spaziato dall’arte alla grafica, dalla fotografia ai video, dal design all’architettura, fino ad arrivare alla meccanica di precisione, esperienza che mi ha portato a realizzare tutti i miei progetti con le macchine che ho a disposizione in azienda.

La contaminazione ricevuta nel tempo, mi ha permesso di dare vita spesso a creazioni che sono un sunto delle esperienze fatte, che vedono materiali industriali di recupero mescolarsi ad immagini, colori, luci ed attrezzature provenienti da cantieri edili. Parquet, scarti presi da materiali per imballi industriali, puntelli da cantiere dismessi, scarti di produzione metalliche, tutti materiali di scarto, che, visto con occhi diversi, diventano materia prima.

La collaborazione con la FONDAZIONE VIALLI E MAURO PER LA RICERCA E LO SPORT, onlus che si dedica alla raccolta di fondi da destinare alla ricerca sul cancro e sulla SLA, nasce da una conoscenza casuale. Il bisogno di creatività mi ha sempre spinto a realizzare nuovi progetti e dare vita sempre a nuove collaborazioni, convinto che queste ultime siano fondamentali mezzi di crescita comune, e diffusione di messaggi importanti. Così ho realizzato appositamente per loro il mio nuovo oggetto, “flame of life” porta candela/incenso, prodotto in serie numerata limitata, realizzato in alluminio e legno d’ulivo proveniente da parquet riciclato. Parte del ricavato dalle vendite che realizzerò sarà devoluto a loro per scopi benefici.

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Giuseppe Colucci – Art Design Factory www.artdesignfactory.eu

Altro esempio. Dina Miele, un’infermiera ma soprattutto un’assidua consumatrice di caffè in capsule.

La combinazione dei colori brillanti delle cialde che col tempo si sono accumulate l’hanno portata a sperimentare, grazie alla sua manualità da sempre spiccata, dei lavori artigianali. Dopo averle riciclate, lavorandole grazie alla sua fantasia, ha creato una linea personale di gioielli bijou che ha chiamato Le CialDine. Questi i risultati.

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Dina Miele – Le CialDine dina.miele@libero.it

Sempre riciclando le cialde, Chiara Zirilli stilista esordiente di 25 anni, per il suo progetto di tesi ha realizzato un corsetto davvero interessante.

  • Chiara come ti è venuta l’idea per questa realizzazione che personalmente trovo bellissima?

Volevo affrontare la sfida di realizzare un corsetto di epoca elisabettiana (la mia tesi infatti tratta di: Elisabetta I Semper Eadem nel teatro, nella pittura, nella moda e nella fotografia) unendo l’antico con il nuovo sperimentando tecniche e materiali non convenzionali. Ho deciso così di utilizzare un materiale che, sempre presente nella cucina di casa, mi permettesse di realizzare il mio progetto: le cialde del caffè della Nespresso.

Leggere, facili da usare ed in vari colori. Alla fine ho realizzato il mio corsetto interamente con quelle, ne ho usate la bellezza di 430, cucendole insieme una a una con del filo di stagno argentato. Lo scopo finale era un’interpretazione personale della classica armatura. L’uso della cialde si è rivelato un materiale perfetto e particolare con un effetto finale al quanto soddisfacente.

Chiara Zirilli

Chiara Zirilli chiarazirillimsfb.wordpress.com

Bellissimi oggetti vero? Bene, ora faccio a voi una domanda: “Siete certi di non avere nulla da riciclare?”

 

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