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“Siete certi di… sapere cuocere un uovo?”

Che domanda banale direte, eppure non lo è affatto, anche perché ve la sta rivolgendo Luigi Veronelli. Mi spiego…

Ho iniziato questo nuovo anno a Zagarolo, un borgo antico di Roma sui Castelli Romani. Un paese con un intreccio di viuzze, vecchie case e botteghe storiche, con personaggi e tipicità tutte da scoprire. Se passate da quelle parti andate a visitare il Museo del giocattolo a Palazzo Rospigliosi, è il più grande d’Italia. Viviamo in una nazione che, con le sue molte diversità, è un pullulare di ricchezze artistiche, territoriali ed enogastronomiche tanto amate dagli stranieri, ma ahimè, trascurate dagli italiani.

E’ in questi giorni che ho conosciuto, sia pur brevemente, alcune persone, ora amici, che hanno accompagnato il mio inizio del 2015 in modo molto intenso ed emozionante. Grazie a loro e alle belle giornate di sole, oltre a passeggiare sui campi circostanti raccogliendo finocchietto selvatico e godendo dei panorami, mi sono dedicata all’appassionante lettura di una fantastica raccolta di vecchie edizioni della Domenica del Corriere.

In particolare mi sono soffermata sulle rubriche dell’epoca di Luigi Veronelli. L’anno è il 1965. Ricordo che poco tempo fa, con un amico cuoco, si discuteva sulle incertezze di molte persone su alcune preparazioni a volte scontate. Forse è per questo motivo che, sfogliando le pagine, la mia attenzione è stata catturata dal titolo di questo articolo.

Veronelli raccontava che un suo zio prete, Don Rinaldo, veniva burlato dalla sua famiglia perché sosteneva che nessuno sapeva cuocere le uova al guscio, chiamate anche alla coque, come le monache di Corso Monforte. Io me le preparo spesso, uno spuntino veloce che condisco con un po’ di sale e un buon olio extra vergine di oliva. Come diceva Veronelli – a saperlo preparare è una grande specialità!

L'uovo al guscioAnzitutto munitevi di una casseruola adatta, in cui si possa introdurre un cestello (di quelli usati per le fritture) che non impedisca la chiusura del recipiente con un coperchio. Nella scelta della casseruola, ricordate che le uova devono, letteralmente, affogare nell’acqua. Mettete dunque la casseruola con abbondante acqua salata (per un sorprendente processo di osmosi ciò influisce sulla buona riuscita) sul fuoco, e portatela a forte ebollizione.

Ritirate la casseruola dal fuoco, immergetevi il cestello in cui si sono adagiate le uova, coprite col coperchio e contate tre minuti. E’ importante che l’acqua sia abbondante perché la sua temperatura, introducendo il cestello, non scenda troppo, ma anche la cottura avvenga fuori dal fuoco, a temperatura decrescente. Luigi Veronelli Domenica del Corriere – Maggio 1965

Zagarolo

Zagarolo




Un uomo senza terra, ma con tanta voglia di fare vino. Ritorno alle origini.

Qualche settimana fa, in piena atmosfera natalizia, si è svolto al Ristorante “Il Canneto” dell’Hotel Sheraton Milan Malpensa, l’ultimo wine travel dell’anno con l’incontro tra Fabio Fiorelli, lo chef pasticcere dell’Hotel Danieli di Venezia, e alcuni vini della Lombardia. Come sempre piacevoli assaggi e interessanti incontri che mi hanno permesso di ascoltare storie di vita scambiando opinioni ed esperienze.

Ve ne racconterò una, la storia di Alex Pollini. Un uomo che dopo essere cresciuto nelle campagne astigiane, terre di grandi vini, finita l’università si è trasferito a Milano per lavoro. Nonostante il cambio di rotta della sua vita, spostarsi da una piccola realtà ad una metropoli non gli ha fatto perdere la passione per il vino nata in gioventù.

La curiosità e l’interesse per le tradizioni regionali e vitivinicole, lo hanno portato nel tempo a frequentare corsi specializzati per cogliere le diversità del vino come espressione del territorio. Fu in quel periodo che nella sua mente prendeva forma un progetto: non essere più un semplice appassionato assaggiatore, ma trasformarsi in un piccolo produttore. Ma da dove iniziare? Nessuna reale esperienza come imprenditore ne tantomeno come produttore, ma soprattutto, senza terreni.

“Cinzia, fu allora che i miei pensieri iniziano a rivolgersi alla Francia e alla sua lunga esperienza vitivinicola. Su come alcuni suoi grandi vini sono nati da produttori che non possedevano terre ma sapevano sapientemente selezionare. La capacità di affinare e tagliare vini acquistati da viticoltori fidelizzati, ha fatto il resto.”

Si convinse a seguire l’esempio. Scelta la Lombardia come territorio, dopo una ricerca che lo ha portato ad incontrare tante piccole realtà contadine nell’area del bresciano e della bergamasca… dopo prove, analisi, assaggi, tagli su tagli, finalmente l’idea si è realizzata: “Le Origini

“Ho capito che volevo creare come primogeniti del mio progetto un rosso e un bianco, entrambi vini non aSutilis 2010 Le Origini denominazione, ma espressione della mia idea. E’ nato così il rosso Sutilis, che significa “Uniti Insieme” in onore dei due vitigni che lo creano, ovvero Cabertnet Sauvignon e Merlot. Un taglio bordolese quindi, forse la più famosa unione del mondo (…dal punto di vista enologico si intende) ma anche dedicato alla mia famiglia, fonte d’ispirazione, a cui sono estremamente legato. Un vino del 2010, affinato in botti grandi e barrique che esprime il rigore e la finezza del Cabernet e la morbidezza del Merlot in un’unione molto interessante. Corposo e morbido con note fruttate e speziate e una freschezza che ne esprime il potenziale futuro evolutivo. Successivamente è nato il bianco Magis, il cui significato “Di Più” (dedicato a mia moglie) ne indica l’obiettivo: dare qualcosa in più in termini di longevità ed evoluzione rispetto a tanti bianchi esistenti buoni solo da giovanissimi. Un vino con note fruttate e floreali molto piacevoli.”

Dei due ho assaggiato il Sutilis; deve ancora crescere ma interessante. L’unica cosa che mi ha lasciata un po’ perplessa è pensare a un vino prodotto con uve  non seguite personalmente dal produttore. Forse perché mi viene naturale pensare che il vino sia un prodotto espressione della persona e del territorio nel senso più completo. Poi mi son detta: “Se questo può aiutare l’agricoltura, perché no?”  Ne riparleremo…

Natale 2014

Nell’attesa… Buon 2015




I ricarichi sul vino al ristorante non devono dipendere dalla loro ‘tovaglia di seta’!

Oggi voglio parlare dei ricarichi sul vino fatti dai ristoratori e dai wine bar.  Ricarichi che io definirei indisciplinati, come del resto gli italiani e molto di ciò che li riguarda. Direte: “Cinzia, ma cosa c’entrano le loro tovaglie di seta?” C’entrano eccome se i ricarichi, a parte quelli scontati e più che legittimi, vengono fatti per distribuire le spese relative al locale stesso. Con ‘tovaglie di seta’ mi riferivo per l’appunto a questo.

Ora vi spiego. Qualche giorno fa, seduta a tavola con degli amici giornalisti del settore di lunga data, si è accesa una discussione e… dibatti che dibatti, sapete che cosa mi è stato risposto quando ho contestato questo stato d’essere? Che io ho quell’entusiasmo che loro hanno perso nel combattere ciò che andrebbe corretto, ma che ormai è entrato nella consuetudine.

Mettetela come volete, ma io trovo assurdo che i ricarichi sul vino nella ristorazione vengano fatti in modo indiscriminato e incontrollato penalizzando il vino e limitandone il consumo. Sapete che cosa vi dico: “Bisogna fare la rivoluzione, intesa come grande cambiamento, anche nell’enogastronomia!”

Come sempre parlo da consumatrice appassionata e informata che ama confrontarsi. Proprio per questo ho chiesto ad alcuni amici che vivono questo settore in prima persona, il loro parere sulla questione. (L’elenco delle risposte è in ordine alfabetico).

Marco Chiesa, wine consultant.

Tutti noi ci aspettiamo ricarichi bassi sul vino, poiché il vino in Italia rimane un prodotto “popolare” da sempre sulla tavola e quindi si trova ingiusto, per esempio, che il vino da 5 euro a scaffale, venga venduto a 15/18 euro e che il vino da 10 euro venga venduto a 30. Ma se ragioniamo, ogni bottiglia di vino ha un costo di gestione che comprende: spazio cantina, oneri finanziari tra acquisto e incasso, tempo cameriere/sommelier per gestione, servizio, smaltimento, bicchieri e lavaggio, eventuali cambi al cliente o rimanenze se venduto a bicchiere. Insieme alla catena Accor calcolammo anni fa che il costo di gestione di una bottiglia in una struttura efficiente come un albergo 3/4 stelle di catena internazionale costa circa 10 euro. Il ristorante medio italiano è molto più inefficiente, facciamo 12. Se compro un vino a 5 euro, per restare in pari devo venderlo a 17, se poi voglio guadagnare allora almeno un 40% di margine sarebbe corretto. I conti sono presto fatti e si capisce perché molti ristoranti chiudono: non li sanno fare, i conti.

Se ci pensiamo un piatto di pasta ha un costo di produzione inferiore all’euro, ma noi lo paghiamo 8/10 e nessuno batte ciglio. Perché con il vino non succede? Il vino è penalizzato proprio quando viene venduto come servizio a prezzo basso, quando per stare nei conti il gestore compra vini a due euro e li rivende a 10, perdendoci comunque. Io credo che in Italia i prezzi dei vini al ristorante siano decisamente bassi e quasi sempre calcolati male. Basta fare un giro all’estero per capirlo. Mi fermo ma potrei parlare molto sull’argomento…

Gianni Galantino, ristoratore. Ristorante Da Giulia – Milano

Il vino non ha solo costi d’acquisto ma anche costi relativi alla conservazione e alla gestione della cantina. Faccio alcuni esempi. Se acquistiamo una bottiglia di vino al costo di 6 euro lo dobbiamo vendere a circa 18/20 euro. Se acquistiamo a 25 euro lo dobbiamo vendere a 50 euro. In caso contrario ci perdiamo. Cinzia, devi tenere presente poi, che ci sono vini che sanno di tappo o che per presa d’aria diventano imbevibili o marsalati.

Simone Liloni, sommelier. Trattoria Pegaso – Gavardo (BS)

Tema scottante questo… debbo dire che io cerco di essere il più onesto possibile sui ricarichi sia al bicchiere che alla bottiglia. In zona molti se ne approfittano e non poco. Ti faccio un esempio. In una buona pizzeria vicino casa mia danno a bicchiere come vino dolce un Zibibbo liquoroso della Florio, vino ordinario, piacevole anche se troppo dolce per i miei gusti. Ebbene, il vino costa al supermercato nel formato da 0,75 4,50 euro.  Al bicchiere lo vendono a 4. Considerando che da una bottiglia ricavano sette bicchieri, dunque ben ventotto euro, guadagnano  ventitré  euro puliti! Questo è solo uno dei tanti esempi.

Altro problema del vino alla mescita è la ripetitività delle etichette, alla fine, grosso modo, girano sempre quelle tre o quattro per tipologia. Io propongo vini un po’ controcorrente a bicchieri, magari anche semisconosciuti che però i clienti mi richiedono.

Isabella Monguzzi, titolare dell’Enoteca Vincanto – Senago (MI)

Dietro certi rincari ci sono i bicchieri, la loro sanificazione e tutto quello che comporta la mescita; poi, trovi delle location che fanno pagare l’ambiente e magari (anzi spesso) ripiegano su prodotti scarsi con rincari da strozzinaggio. Ma come si suol dire l’occhio vuole la sua parte e spesso, quando il cliente è  immerso in un ambiente originale e/o fiabesco, non gli importa ciò che beve! Questo è quello che hanno insegnato certi ristoratori ai clienti!

Gianluca Morino, produttore. Cascina Garitina – Nizza Monferrato (AT)

Questi rincari sono una grandissima penalizzazione per il vino.

Matteo Scibilia, ristoratore. Osteria della Buona Condotta – Ornago (MI)

Un ristorante tre stelle ha ricarichi diversi da chi non ne ha, infatti arriva anche a decuplicare il costo della bottiglia, ed è evidente il perché. Ad esempio, se hai bicchieri riedel hai un costo in più, come è chiaro che se hai un sommelier avrai un costo più alto da spalmare sul conto del cliente. In ogni caso tutto ciò che è presente in un ristorante ha un ricarico, il food cost è una regola fiscale. Cinzia questo lavoro è diventato costoso e difficile, siamo sommersi da costi e tasse. In Francia i ricarichi dei vini sono altissimi. Hanno ragione loro…

Tano Simonato, ristoratore. Ristorante Tano passami l’olio – Milano

Nella normalità i ristoratori ricaricano di due volte in trattoria, e tre volte nel ristorante. Qualche top restaurant anche quattro volte. Le spese sono tante… costi per il personale, affitti alti, tasse su tasse, materie prime costose…

Robert Spinazzè, produttore. Terre di Ger  – Frattina di Pravisdomini (PN)

I ricarichi onesti permettono un giro dei consumi. Purtroppo non sempre è così. Mah, ci sarebbero da fare discussioni infinite.

Chiara Soldati, produttrice. La Scolca – Gavi (AL)

La consuetudine di ricarichi importanti sui vini è ormai pratica diffusa e consolidata. In Italia sicuramente tale fenomeno è molto più evidente rispetto ai paesi esteri. Ritengo che un equilibrato ricarico sia legittimo, ma in molti casi si trovano vini a prezzi non giustificati. Ritengo che una buona politica dei prezzi aiuterebbe sia la categoria dei ristoratori che il mondo del vino. Una politica dei prezzi equilibrata aiuterebbe la diffusione di un consumo di qualità e forse non penalizzerebbe il mercato italiano già in crisi per molteplici fattori.

Aiutare la territorialità, studiare adeguate politiche “by glass”, fare sistema tra diversi soggetti concordando adeguatamente i prezzi di uscita, sarebbe una buona regola per razionalizzare il mercato. Cinzia, hai mai notato come certi vini che in carta risultano al top dei prezzi a volte vengono venduti sottocosto nelle offerte della GDO?

Alessandro Vitiello, Ristoratore e sommelier. Ristorante Il Fauno – Cesano Maderno (MB)

Cinzia, sono d’accordo con te. Sicuramente ogni locale ha libertà di decidere come meglio crede e a seconda di quanto aggiunge ‘gratis’ al bicchiere di vino, io però sono convinto che il ‘mondo vino’ ne avrebbe da beneficiare se si condividessero delle ‘linee guida’ che permettano al cliente di bere sapendo che il prezzo di un bicchiere o di una bottiglia è correttamente proporzionale al prezzo deciso dal produttore.

Riprendo la parola.

Che cosa rimane da dire? Io continuo a pensare che questi ricarichi dovrebbero essere regolamentati affinché non sia il vino a pagare gli eccessi delle spese derivanti dalla gestione della ristorazione. Resta il fatto che da consumatrice informata quale sono, vorrei capire caso per caso quanto viene maggiorato il suo costo.

Questa consapevolezza rientrerebbe nel mio grado di soddisfazione nella valutazione di un ristorante. Con tante linee guida che ci sono, mi chiedo come sia possibile che non ce ne sia una aggiornata e consultabile on line che dia la possibilità di effettuare nell’immediato questa verifica. Chissà…

Passione Vino




Lo sapete quando è nato il rock? Ve lo dico mentre preparo la Spongata

 

Sinceramente prima di partecipare alla serata gastronomica-letteraria svoltasi il 4 Dicembre a ‘Il Garibaldi’ di Cantù, non sapevo neanch’io quando fosse nato il rock. La risposta me l’ha data Ezio Guaitamacchi, giornalista e critico musicale, autore e conduttore radio-tv, fondatore dello storico mensile Jam, scrittore del primo rock thriller italiano ‘Psycho Killer’. Il suo ultimo libro, con prefazione di Renzo Arbore, è per l’appunto dedicato alla ‘Storia del rock’.

Ebbene, la nascita dLa storia del rockel rock secondo gli storici risale al 1954 nel sud degli Stati Uniti. Una musica che ha incarnato la ribellione dei giovani dell’epoca e che ha avuto diverse fasi. Quella di Lou Reed, secondo Ezio Guaitamacchi, è stata unica e particolare.

La sua intervista più emozionante quella con Ray Charles, quella che ancora gli manca con Bob Dylan. Durante la cena ispirata alle tradizioni natalizie di Parma, città degli chef del ristorante, tra una portata e l’altra si è ripercorsa la storia del rock con brani interpretati da Ezio e dalla bravissima cantante Brunella Boschetti Ventura.

Musica e sapori di Parma

La cena è iniziata con la classica Culaccia, una specialità esclusiva del Salumificio Rossi di Sanguinaro di Fontanellato. Un salame senza conservanti ne additivi prodotto solo con cosce di suino nazionale. A seguire gli anolini in brodo a cui io ho aggiunto, seguendo gli insegnamenti di mio nonno Giuseppe (mantovano), del Rosso Dai Vecchi Filari delle storiche Cantine Bergamaschi diTradizioni natalizie di Parma Busseto, terra natale di Giuseppe Verdi.

Un vino prodotto con uve tipiche della Bassa Parmense: Fortana, Lambrusco, Barbera e Croatina. Dopo la mariola cotta (salume tradizionale parmense) con purè di patate e verze in agrodolce, la cena si è conclusa con la spongata, un dolce natalizio dalle antiche tradizione povero ma ricco.

E qui mi fermo, anzi, vi do la ricetta che a mia volta mi sono fatta dare.

Natale 2014

  • Pasta frolla

Iniziamo a preparare la pasta frolla impastando 400 gr. di farina, 200 gr. di burro ammorbidito, 1 bicchiere di vino bianco, 180 gr. di zucchero, 2 uova e un pizzico di sale.

Quindi lasciar riposare l’impasto per un’oretta in frigorifero e stenderlo con un mattarello infarinato formando due dischi, uno di base e uno di copertura. Usare una teglia a bordo basso.

  • Ripieno

Scaldare a bagnomaria 400 gr. di miele. Quindi tritare 200 gr. di noci e unire 100 gr. di pane grattugiato tostato, 100 gr. di uvetta, 100 gr. di pinoli, 100 gr. di cedro candito, 10 gr. di cannella e una spolverata di noce moscata.

Mescolare il tutto col miele, versarlo sulla pasta, e infine ricoprire con il secondo disco. Bucherellare la superfice con piccoli fori, e mettere in forno caldo a 200° per circa 35 minuti.

 La spongata




Le mie esplorazioni a GourmArte 2014

Si è appena conclusa con successo la terza edizione di GourmArte, l’appuntamento enogastronomico di tre giorni che si svolge annualmente presso la Fiera di Bergamo. Un format organizzato da Ente Fiera Promoberg dedicato alle cento eccellenze della Lombardia, ideato e guidato da Elio Ghisalberti, giornalista ed esperto del settore. Come nelle precedenti edizioni, nell’area riservata alle produzioni ci si è potuti dedicare agli assaggi e alla conoscenza dei produttori, mentre nello spazio dedicato alla ristorazione, si è potuto degustare una selezione di piatti di noti cuochi e ristoratori lombardi.

Un’edizione speciale che è coincisa con l’assegnazione del Premio Luigi Veronelli a dieci anni della scomparsa del giornalista enogastronomico. Unica categoria ‘La Terra’. Premiato Giorgio Grai, enologo trentino dalla lunga esperienza, Nataša Černic, giovane vignaiola di una terra difficile come quella del Carso, e infine Marisa Cuomo, che, con il marito Andrea Ferraioli, si è distinta per aver saputo strappare lembi di terra da dedicare alla coltivazione della vite in Costiera Amalfitana. Fatta questa premessa, vi racconterò di alcune produzioni tra le tante esposte che hanno attirato la mia attenzione. Succede quando, nei racconti delle persone, emerge l’attenzione all’ambiente, alla qualità e all’originalità delle produzioni.

Sempre un piacere incontrare gli amici della Cantina di Quistello.  Il loro Lambrusco Grappello Ruberti mi riporta alle mie origini mantovane, e a un territorio esteso lungo le rive del fiume Secchia dalle antiche tradizioni viticole.

Cantina di Quistello

Una gradita sorpresa l’incontro con Marco Chiesa, mia gentile guida al piacevole assaggio dei vini dell’Azienda Agricola San Michele di Capriano del Colle, in provincia di Brescia. In particolare ho apprezzato l’intensità e il corpo del ‘1884 Rosso Riserva’ : Marzemino 40%, Sangiovese 40%, Merlot 15% e Barbera 5%. Un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Azienda Agricola San Michele

Lo conoscete il Blu di Bufala? E’ un formaggio ‘di carattere’ tra i miei preferiti che deve il suo nome alle muffe blu-verdi utilizzate per fare il Gorgonzola. Paolo Leone, il mio esperto di formaggi, lo descrive come saporito e persistente. Questo è quello del Caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio, in provincia di Bergamo.

Caseificio Quattro Portoni

Passeggiando tra gli stand non ho potuto evitare di fermarmi davanti a quello di Bonucci Tartufi di Romano di Lombardia (BG). Irresistibile il profumo. Ho conosciuto così Gloria Bonucci, terza generazione di tartufai, che con l’aiuto della sua cagnolina continua la tradizione familiare. Racconta questa sua passione sul suo blog Passione Sottobosco. Da seguire! 😉

Gloria Bonucci

Gloria Bonucci

Regione ospite di questa edizione di GourmArte la Sardegna. Testimone l’Azienda Agricola Fratelli Pinna di Ittiri, in provincia di Sassari. Una realtà familiare di 170 ettari destinati alla coltivazione di ulivi ultracentenari di ‘Bosana’, una cultivar diffusa nel nord dell’isola. Un olio extra vergine di oliva che ho apprezzato per i profumi intensi e i sapori decisi. L’oliva in bocca…

Azienda Agricola Fratelli Pinna

Immancabile un saluto agli amici dell’Azienda Agricola Salera. Questa volta ho trovato molto interessante il loro riso soffiato allo zafferano e agli spinaci preparato dallo chef Antonio Cuomo. Una valida alternativa da proporre per gli aperitivi.

Azienda Agricola Salera

L’agricoltura si può aiutare in molti modi. Il Caffè Milano di Treviglio lo ha fatto recuperando un’antica coltivazione di meloni di Calvenzano e producendo con esso un liquore. Lo si beve in piccoli bicchieri di cioccolato e lo si abbina alla Turta de Treì, un dolce che negli anni ’90 ha vinto il concorso dell’Associazione Botteghe Città di Treviglio. Due creazioni di loro produzione.

Caffè Milano

Vi piace il Melograno? A me si, lo metto persino nell’insalata. Pensate che a Milano da una pianta di melograno cresciuto su un terrazzo, una famiglia iniziando a produrre un liquore per amici, ha dato vita a una vera produzione. Si chiama Melogranello®.  A volte bisogna saper osare!

Melogranello®

Di produzioni da raccontare ce ne sarebbero molte altre. Qualcuna però voglio andare a conoscerla direttamente sul campo, come piace a me. Detto questo, ora concluderò questo mio racconto mostrandovi qualche piatto che ho avuto il piacere di assaggiare.  🙂




Viaggiare attraverso il gusto… #Sheratonwinetravel

In testata i ravioli di trota salmonata affumicata con formaggio e purea di rape rosse. Chef Alessandro Lori.

Ci sono molti modi di viaggiare. Uno di questi avviene con l’assaggio delle creazioni e delle produzioni, espressione dei territori e delle persone. Giovedì 27 Novembre 2014, allo Sheraton Milan Malpensa, ho partecipato a un viaggio di conoscenza e di connubio tra i sapori della Valtellina e del Trentino.

La Valtellina incontra il TrentinooOspiti dello show cooking Leonardo Bassola dell’Hotel Chesa Colani  in Engadina, Svizzera, Stefano Ghetta del Ristorante L’Chimpl da Tamion di Vigo di Fassa, Alessandro Lori dell’Hotel Ristorante Rita di Canazei, e Nicola Vian del Ristorante El Filò di Pozza di Fassa.

Devo ammettere che questa volta non è stato facile parlare con loro visto le tante persone presenti. Quando riesco, cerco di rapire il produttore o il cuoco di turno isolandomi per il tempo necessario che mi permette di instaurare un momento di vera intimità, per conoscersi sul serio, come piace a me. Comunque sia, trotterellando su e giù per la sala tra presentazioni e saluti, ho avuto modo di assaggiare come sempre preparazioni dai sapori interessanti. Ma non solo…

Ho scritto ‘wine travel’ e quindi che lo sia. Durante la serata, tra le varie degustazioni, ho apprezzato il Rossara Legiare 2012 IGT dell’Azienda Agricola Zeni di Grumo, San Michele a/A (TN).  Un vino piacevole di media struttura dal colore rosso tenue. Il vitigno è il Rossara. La superfice viticola interessata, per una parte, è situata sul Campo Rotaliano il cui nome ha origine dal territorio formatosi con sassi rotolati a valle. Un’azienda dalla lunga tradizione fondata da Roberto Zeni nel 1882, che continua con Roberto e Andrea Zeni, ultima generazione. Di loro mi è piaciuto leggere l’attenzione e l’impegno per la tutela dell’ambiente, messo in pratica con la sottoscrizione di un rigido protocollo creato dal Trentino Viticolo sull’uso dei fitosanitari in campagna.

Vino ma anche birra artigianale, questa volta con malto d’orzo, luppolo e purea di mirtilli. Viene prodotta dall’Azienda Agricola Fumasoni Olmo tra i panorami delle Alpi Retiche della Valtellina, appena sopra Sondrio. Interessanti i suoi abbinamenti.

Non vi ho detto ancora che con me c’erano quattro ragazzi della Brianza, o meglio, uno di Parma, uno di Messina, uno di Milano e uno di Roma: Ivan, Andrea, Matteo e Paolo. Si sono conosciuti alla facoltà di Agraria e hanno deciso di produrre zafferano. Una spezia dalle molte virtù che fa bene alla salute in quanto antiossidante, antivirale e antibatterica. Sono i Mastri Speziali, classe tra il 1986 e il 1991. L’idea di coltivare zafferano è nata a Ivan nel 2011, dopo un viaggio a Kasmir, in India. Io li ho conosciuti a Usmate Velate, sul campo, dove nasce il loro prodotto.

Ma questa è un’altra storia…

 




Chiara Boni, una stilista in equilibrio con la natura

Chiara Boni, una delle grandi firme italiane della moda. L’ho incontrata qualche giorno fa a Milano, nel suo ambiente, tra le persone con cui collabora da anni. Una stilista fiorentina che ho conosciuto attraverso i suoi pensieri, veri attacchi poetici la cui spinta ben comprendo. La sua, una sensibilità espressa nel lavoro e nel rispetto dell’ambiente.

Perché mai incontrare una stilista? Come dico spesso l’Italia ha molti punti di forza da promuovere: l’agricoltura, l’enogastronomia, il turismo, l’arte, la moda… Ognuno tenta di farlo a modo suo. Per quanto mi riguarda, cerco di conoscere meglio le persone che ne sono protagoniste grazie alla loro creatività e al loro impegno. Seguirle durante il loro lavoro mi permette di valorizzarle quando ritengo che possano fare bene all’economia italiana.

Premesso questo, non nascondo che da sempre apprezzo lo stile e l’eleganza. In una società di corsa, in cui il tempo non è maiChiara Boni sufficiente, Chiara ha saputo coniugare la praticità senza trascurare la femminilità. Ma non solo, la sua è una moda in equilibrio con la natura, una produzione eco-sostenibile controllata sin dall’origine.

Per i suoi abiti si avvale infatti della collaborazione di un’azienda italiana attenta all’ambiente che, dal 2001 al 2008, è stata in grado di ridurre per ogni kg di tessuto prodotto il consumo del 5% di energia elettrica, del 13% di metano, del 19% di acqua, di 21 tonnellate il consumo di carta e carbone, e del 25% il consumo di coloranti e prodotti chimici. Questi ultimi, ahimè, sono causa sempre più frequente di irritazioni e di allergie alla pelle.

La sua, una passione per la moda nata da bambina con la frequentazione insieme alla madre di sartorie ed atelier. Dopo l’esperienza londinese, nel 1967,  la ribellione al rigore e all’essenzialità della moda italiana di quegli anni, si è espressa con una ‘boutique di rottura’ aperta nel 1971 a Firenze. Negli anni ottanta, l’importante collaborazione con il Gruppo Finanziario Tessile di Torino durata quindici anni, poi, dal 2000 al 2005, l’esperienza in politica come Assessore per l’Immagine e la Comunicazione della Regione Toscana.

Una ‘ricerca della flessibilità’ attraverso la sperimentazione sui materiali, che nel 2007 ha portato alla nascita della ‘La Petite Robe’. Abiti in tessuti stretch in tante versioni che non si stropicciano, ideali per la valigia. Dal 2009 la collaborazione con  il biellese Maurizio Germanetti, ha dato un’ulteriore svolta alla sua vita. In America oggi è presente con uno show room a New York, e nei più importanti department store.

Una giornata con Chiara Boni

Una sola domanda.

  • Chiara, in un progetto di ‘Città Ideale’ qual è il tuo ruolo?

Cinzia, la ‘Città Ideale’ è un intreccio di attitudini creative, un sodalizio che vede coinvolti Urbanistica, Design, Food e Moda, come protagonisti di un’etica urbana.

Il mio ruolo è quello di offrire un’opinione ‘femminilista’ all’evoluzione del concetto urbano. ‘Femminilista’ è lo stile di chi, come me, ha intrapreso da anni una ricerca flessibile alle esigenze della donna nel segno della femminilità.

Dopo un incontro, come sempre, sento la necessità di metabolizzare ciò che vivo per trarne i giusti insegnamenti. La giornata passata con Chiara mi ha fatto comprendere quanto la moda possa contribuire al rispetto dell’ambiente. Conoscere una produzione ecosostenibile significa conoscere i metodi di coltivazione di materiali, che esigono il rispetto per la natura e il minimo impiego di prodotti chimici. I comportamenti etici per la realizzazione dei tessuti, salvaguardano l’ecosistema e la nostra pelle.

Chiara Boni e la sua collaboratrice Monica Galleri

Vestita da Chiara Boni e dalla sua collaboratrice Monica Galleri




Let’s Meast again, un evento speciale con gente speciale

Il mio incontro con lo chef Kotaro Noda

Il 10 Novembre scorso a Milano, presso la Fondazione Bertini, si è svolta “Let’s Meast again!” Un evento organizzato da ItaliaSquisita per far conoscere questa realtà, e per fare incontrare produttori e chef in occasione della presentazione del “Libro di Festa a Vico 2014”.

Gisella BertariniUna Fondazione voluta da Gaetano Bertini Malgarini, uomo impegnato ed editore che, vivendo il disagio del fratello Andrea, ha voluto dare un senso a questa sua esperienza. Un percorso di recupero sociale rivolto a persone con disagio psichico, minori in condizioni di difficoltà, rifugiati politici e ex detenuti, oggi portato avanti dalla moglie Gisella con la collaborazione della sorella Fiorella.

Per gli ospiti un’occasione unica per assaggiare le molte prelibatezze di noti chef che, in un’unica serata, difficilmente si ha l’occasione di trovare. Un invito speciale che ho accettato con piacere, dopo aver letto gli ‘ottimi ingredienti’ della serata. Come sempre non solo assaggi, ma incontri e conoscenza.

Sottolineo spesso quanto io ammiri la filosofia di vita giapponese. Riti antichi, ricerca della perfezione, armonia con la natura, rispetto per i tempi e per la persona. Ebbene, proprio per questo motivo, quando ho l’occasione d’incontrare persone di questo paese, con piacere scambio due chiacchiere. Così è stato anche in questa serata con l’incontro di Kotaro Noda, un giovane cuoco giapponese laureato in marketing e approdato in Italia ben quindici anni fa.

Dopo essermi presentata abbiamo incominciato a parlare delle cose più svariate, come è mia abitudine fare per capire le persone qualunque sia l’attività che svolgono. Intorno a noi c’era un gran fermento e un continuo passaggio di suoi colleghi che notavo non conosceva. Una cosa che mi piace fare è mettere in contatto fra loro le persone, ovviamente quando ritengo che insieme possano fare bene.

Incuriosita gli ho chiesto come è arrivato a lavorare in Italia. In realtà la passione per la cucina che nel tempo lo ha portato a diventare cuoco, è nata e si è sviluppata a Kobe, in Giappone, nel ristorante di Gualtiero Marchesi. Dopo la chiusura, seguendo lo chef Enrico Crippa, ha continuato la sua formazione in Italia fino al raggiungimento della stella Michelin, guadagnata durante l’esperienza all’Enoteca “La Torre  di Viterbo”.

Mentre parlavamo di abitudini e tradizioni dei nostri paesi una cosa l’abbiamo capita entrambi. L’Italia e il Giappone, nonostante le culture diverse, un punto in comune ce l’hanno. Come mi ha detto Kotaro Noda: “Siamo due paesi golosi del cibo che vogliono mangiare bene!”  Non ho avuto modo di assaggiare nulla di suo, ma mi sono ripromessa di farlo durante la mia prossima visita a Roma. Lo andrò a trovare al Bistrot64, il ristorante in cui sperimenta la sua cucina insieme allo chef Emanuele Cozzo, proprietario del locale.

Una serata di assaggi, di incontri ma anche di emozioni vissute ascoltando le esperienze dei ragazzi formati al lavoro attraverso i corsi di questa Fondazione. In particolare ho parlato a lungo con Michel Bravi, un giovane che ha frequentato un corso di grafica e uno di cucina.

Vi riporto le sue parole: “Qui ci siamo divertiti! Abbiamo imparato a cucinare, a mischiare gli ingredienti, colori, culture. Abbiamo imparato a volerci bene!




Un evento vissuto in poesia… Genova – Critical Wine 2014

Domenica 9 Novembre, con un gruppo di amici e collaboratori della testata Di Testa e di Gola, si è presa la strada verso Genova in direzione della decima edizione di Critical Wine 2014. Un’occasione per stare insieme visitando una città che negli ultimi mesi, ahimè, è stata flagellata dalle abbondanti piogge. Fortunatamente ci ha accolto una giornata di sole, una breve tregua che si è conclusa in serata con il ritorno del maltempo.

Critica Wine 2014Devo ammettere che al mio arrivo il Buridda, il Laboratorio Sociale che ha ospitato per la prima volta questa manifestazione, mi ha alquanto delusa. Ovunque scritte sui muri. Amando l’ordine non sopporto chi imbratta i luoghi pubblici per noia o per una forma di divertimento che è lontano da ciò che concepisco. La trovo una mancanza di rispetto per chi vive i luoghi e non apprezza tali manifestazioni che nulla hanno a che vedere con quelle artistiche.

Per questo stato di cose, inizialmente, al mio ingresso mi ero un po’ infastidita. Poi, passeggiando lungo i corridoi, ho incominciato a notare tanti foglietti appesi sui muri. Non vi ho detto che l’edizione di quest’anno è stata “veronelliamente” dedicata a “La poesia della Terra”.  Sono stati i produttori, ciascuno a modo suo, a portare pagine con versi poetici.

Per me la vita è poesia e il lavoro è passione. In un’epoca in cui tutti corrono, attraverso la poesia evado, e con la passione vivo. Per questo, pagina dopo pagina, ho incominciato a leggere  entrando nella giusta atmosfera con la quale vanno vissuti i prodotti, i produttori e le loro storie.

Tanti gli assaggi, tante le produzioni e tante le persone ospiti di questa manifestazione. Una semplice vetrina di chi con tenacia lavora la terra e orgogliosamente ne esibisce i frutti. Ve ne menzionerò alcune meno conosciute.

Ho incominciato con un assaggio di Dolcetto d’Alba, il vino delle Langhe ottenuto dall’omonimo vitigno, un vino rosso nelle mie corde. L’azienda che lo produce è Il Bosseto, una realtà agricola a Trezzo, in provincia di Cuneo.

Dolcetto d’Alba ‘Il Bosseto’

Dolcetto d’Alba ‘Il Bosseto’

Come si suol dire… non si beve a stomaco vuoto. In effetti ho rimediato subito con un trancio di Farinata di ceci con verdura e semi di canapa. Questi semi sono ricchi di omega 3 e omega 6, e per questo un ottimo rimedio per contrastare il colesterolo LDL (quello cattivo) e i disturbi cardiovascolari.

Farinata di ceci con verdura e semi di canapa

Farinata di ceci con verdura e semi di canapa

Lo conoscete il Pastis artigianale Argalà? Io l’ho conosciuto proprio li, attraverso il racconto di Piero ed Enrico, i due ragazzi che lo producono a Boves, in provincia di cuneo. Un liquore ambrato prodotto a Roccavione ai piedi delle Alpi Marittime, dalla lunga tradizione. Nel suo sapore unisce un liquore a base di erbe e piante di montagna, e un liquore a base di anice. Un profumo unico, antico e molto inteso. Si può bere come aperitivo, digestivo, scaldato come un punch, oppure usato come base per la preparazione di cocktails.

Pastis artigianale Argalà

Pastis artigianale Argalà

Passeggiando tra gli stand ho visto cassette colme di mele gialle. Adorando la frutta ne ho chiesta una, e così ho fatto merenda. Una mela del frutteto dall’azienda agricola Spertino di San Marzano Oliveto, nel Monferrato. Una realtà familiare di cinque ettari che produce un ottimo succo di mele senza aggiunta di zuccheri, conservanti ne additivi.

Succo di Mele Azienda Agricola Spertino

Succo di Mele Azienda Agricola Spertino

Chi mi conosce sa quanto io ami tutto ciò che è naturale. Non poteva quindi non catturare la mia attenzione lo stand dell’azienda agricola biologica di Roberta Capanna, a Valgrana in provincia di Cuneo. Erbe aromatiche, tisane, semi, radici, sciroppi e cosmesi prodotti con i loro fiori freschi macerati in olio extra vergine di oliva pugliese, ideale per la perfetta acidità.

Azienda agricola biologica Roberta Capanna

Azienda agricola biologica Roberta Capanna

Era tempo di tornare a casa. Uscendo le luci della sera su Genova mi hanno fatto fermare per un attimo attratta dal panorama… E’ così che l’ho salutata.




La doppia anima del Whisky. La conoscete?

Fino a qualche anno fa non bevevo distillati, poi, seguendo un consiglio di un amico, ho incominciato ad assaggiare, mi correggo, ad annusare!  In effetti io non bevo, o meglio, assaggio ma soprattutto annuso. Provate a farlo ad occhi chiusi, col tempo il vostro bagaglio dei ricordi si arricchirà di esperienze sensoriali che vi riporteranno alla memoria gusti ed emozioni.

Come si suol dire “tutto nasce dalla passione”. Così è stato per Claudio Riva, anima della web community SingleMaltWhisky.it, e per Davide Terziotti, conoscitore appassionato e autore del blog Angel’s Share. Insieme, uniti dal desiderio di promuovere la cultura e la conoscenza dei distillati di qualità, hanno dato vita al WhiskyClub Italia.

L’8 Novembre, presso la Club-House del Golf Villa D’Este di Montorfano in provincia di Como, è stato presentato il club con un meeting tra persone accomunate da questa passione. L’evento, iniziato con un banco di assaggio di whisky selezionati, si è concluso con la cena a cura dello chef Corrado Radice, che ha abbinato le sue creazioni a tre birre maturate in botti Quarter Casks ex Laphroaig.  Micro-birrifici lombardi presentati dai Mastri Birrai intervenuti con i loro racconti durante la serata.

Claudio Riva e lo chef Corrado Radice

Claudio Riva e lo chef Corrado Radice

Whisky, ma non solo…  Passo la parola a Claudio Riva.

  • Claudio, questo club nasce dalla passione per il whisky, ma non solo… quali sono gli obiettivi che ti prefiggi, ma soprattutto, quali iniziative intendi promuovere attraverso di esso?

L’obiettivo del club è quello di diffondere la cultura del buon distillato attraverso la sua massima eccellenza, lo Scotch Whisky. Vogliamo farlo in modo moderno, per questo ci siamo definiti l’era 2.0 del whisky in Italia. Non più la vecchia concezione di club esclusivo in cui si può entrare solo se invitati, ma una concezione molto più aperta e moderna che passa anche dalla collaborazione con altri professionisti o appassionati.

Dopo le birre approfondiremo l’abbinamento con i formaggi, poi, con la collaborazione di Giorgio Cabella Chef e Cultura, realizzeremo un progetto per esplorare in modo serio l’abbinamento whisky-cibo, territorio vergine soprattutto qui in Italia. Faremo inoltre serate cocktail, impensabili per un ‘whisky club’ vecchio stampo. Sono dell’idea che se si beve un gin & tonic si abbia il diritto di pretendere materie prime di qualità.

Claudio Riva

Claudio Riva

  • E’ mia abitudine, quando partecipo ad una serata, interagire con le persone che mi seguono attraverso la pubblicazione in tempo reale di foto e post. La motivazione è semplice: dare alle persone la possibilità di intervenire con opinioni o eventuali quesiti. Ebbene, a commento di una mia foto l’amico cuoco Matteo Scibilia, ha sottolineato la distinzione tra whisky di mare e whisky di terra. Una classificazione che non conoscevo. Puoi spiegarmi la differenza, sempre che esista… 

Premetto che la distinzione tra whisky di mare e whisky di terra non esiste. Rappresenta però, con buona approssimazione, la doppia anima dello Scotch, quella che di solito porta a distinguere un whisky torbato da uno non torbato. La diversificazione nasce ovviamente dal luogo e dall’aria dell’ecosistema in cui sta maturando la botte (angel’s share).  Al mare quest’aria sarà salmastra con sentori di iodio e medicinali, mentre se vicini alle montagne avrà sentori floreali, fruttati e di miele. Durante la lunga maturazione dello Scotch l’interazione con il legno della botte e con l’ambiente forma il carattere del malto. Il desiderio di rallentare il processo di evoluzione dello Scotch è la ragione per cui lo stesso può avere una sorta di terroir che determina un prodotto unico e irripetibile.

Gli whisky isolani hanno un carattere diverso, perché gli isolani sono un po’ più folli degli Scozzesi di terra ferma 😉 e perché sulle isole non ci sono piante. Il processo di maltaggio dell’orzo viene fatto con l’unico combustibile a disposizione in abbondanza: la torba. Il fumo di torba, molto più acre e penetrante di quello del carbone, entra talmente in profondità nel chicco di orzo da resistere all’ammostamento, alla fermentazione, a due distillazioni, e alla maturazione in botte. Ne consegue che negli whisky isolani, quasi sempre, la presenze della torba è molto più calcata rispetto a quella degli altri malti della terra ferma.

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A fine serata si tirano sempre le somme. Per quanto mi riguarda, tra i tanti assaggi, la mia assoluta preferenza è stata per Octomore Bruichladdich, un imbottigliamento speciale fatto per il Feis Ile 2014, il festival del whisky e della musica che si tiene a fine maggio sull’isola di Islay. L’whisky più torbato al mondo, nato in una distilleria edificata nel 1881, sorge sull’isola di Islay, nella parte più occidentale della scozia. Strepitoso!

La Cena

Club-House Golf Villa D’Este

Chef Corrado Radice

Tartare di salmone marinato nei fiori di te

Tartare di salmone marinato nei fiori di te

Risotto mantecato alla bottarga servito con Birra Extraomnes Dram (Ild Ale 13,5)

Risotto mantecato alla bottarga servito con Birra Extraomnes Dram (Old Ale 13,5%). Mastro birraio: Luigi “Schigi” D’Amelio

Filetto di Vitello in crosta di pane integrale

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Mini tarte tatin con mantecato di fiordilatte e panna montata al naturale servito con birra Manaresta Dannata (Imperial Russian Stout 10,5 %). Mastro birraio: Enrico Dosoli e Marco Valeriani.

Mini tarte tatin con mantecato di fiordilatte e panna montata al naturale servito con birra Menaresta Dannata (Imperial Russian Stout 10,5 %). Mastro birraio: Enrico Dosoli e Marco Valeriani.

 

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