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La mia prima volta con un riccio… al Ristorante ‘Da Giulia’

La mia prima volta con un riccio è stata qualche anno fa a Milano al ristorante ‘Da Giulia’. Ma cosa avete capito?! Il riccio in questione a cui mi riferisco è, anzi era…  un ottimo riccio di mare! 😉

Non avendo mai avuto l’occasione di assaggiare questa prelibatezza, qualche anno fa un caro amico ha pensato bene di provvedere portandomi per l’appunto in questo ristorante di Milano. Una realtà a conduzione familiare i cui titolari, Gianni e Giulia entrambi di Bisceglie in provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani), sono uniti nella vita e nel lavoro da ben venticinque anni.

Dopo quella volta ce ne sono state altre, anche perché ormai sono amici con i quali, a volte di persona e a volte sui social interagisco, ma soprattutto mi delizio il palato.

Detto questo ora approfitterò dell’occasione per far loro qualche domanda, ma soprattutto per approfondire alcuni argomenti a cui tengo molto. Quando vado in un ristorante, chi mi conosce lo sa, vado con occhio critico, e non solo. La ristorazione di qualità può molto sia per la promozione del territorio che delle sue produzioni.

Giulia è troppo occupata in cucina, Gianni oggi tocca a te rispondermi! Sei pronto? Oggi parleremo di territorio, di cultura del cibo, di olio extra vergine di oliva, della doggy bag, di vino, dell’alcol test… naturalmente al ristorante.

  • Quanto c’è della vostra terra, intendo come tradizioni e tipicità nella cucina del vostro ristorante?

Mi vuoi mettere alla prova? Cinzia sono pronto! Dunque, tutta la nostra cucina si basa su piatti tipici della nostra terra natia anche se rivisitata in chiave moderna. Utilizziamo materie prime tipiche della zona come ad esempio le farine Senatore Cappelli prodotte nella Murgia barese, le semola Tumminia di Castelvetrano, il grano arso della Daunia di San Severo, l’olio extravergine d’oliva di Bisceglie, le verdure, la frutta, i crostacei e i frutti di mare provenienti da Manfredonia.

  • Insisto spesso sul fatto che pillole di cultura del cibo, possono essere fatte anche dai ristoratori spiegando l’origine delle materie prime dei piatti che portano a tavola. Condividi?

Assolutamente d’accordo con te. E’ nostra abitudine raccontare il piatto che portiamo a tavola ai nostri ospiti per far capire loro cosa mangiano.

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

  • Parliamo di olio extra vergine di oliva. Come dico spesso vorrei vedere sui tavoli dei ristoranti, come già avviene per i vini, delle ‘carte degli oli d’oliva’ con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle cultivar (varietà delle olive). Poi, mi piacerebbe che mi venisse proposta una piccola bottiglia d’olio d’oliva rappresentativa di un territorio che userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa. Utopia o speranza? 

Parlando di olio non posso dimenticare quando da piccolo mi dedicavo alla raccolta delle olive in campagna. Ricordo la sveglia di buon ora alle 4.30 e mio padre che accendeva il fuoco per riscaldarci mentre i grandi predisponevano i teli di iuta attorno agli alberi. Tempi duri ma belli.

Mi chiedi se è possibile una lista degli oli extravergine d’oliva? Alcuni ce l’hanno, la cosa importante per me è avere olio extra vergine di qualità certificato e prodotto in Italia da olive del territorio. Io come ben sai uso l’olio extra vergine di oliva Lamantea, un prodotto delle terre di Puglia. Le varietà di olive utilizzate sono l’oliva CORATINA e l’oliva OGLIAROLA, tipiche delle nostre terre.

  • Ora passiamo alla doggy bag, o meglio il pacchetto con il quale l’ospite del ristorante porta a casa il cibo che ha avanzato. Una consuetudine all’estero, in Italia una pratica molto meno in uso. Siamo forse troppo ‘signori’? Io lo chiedo, ma quanti lo fanno?

Cinzia siamo noi stessi che consigliamo di portare a casa il cibo avanzato in un contenitore già pronto per essere riscaldato. Io in primis sono contrario allo spreco del cibo, in special modo in questi momenti di crisi.

  • Stessa cosa vale per il vino, per lo meno per me. Viste le giuste limitazioni in vigore, nel caso in cui ci si debba mettere alla guida è auspicabile, quando si ordina una bottiglia e non la si finisce, di potersela portare a casa. Sei d’accordo?

Certo,  capita che alcuni si portano via la bottiglia. I clienti ormai sono consapevoli di quanto possono bere. E’ per questo motivo che ho scelto un buon numero di bottiglie da cl 375 mentre ho deciso di non servire il vino a bicchiere perché, oltre a perdere la magia dello stappare,  può far pensare anche a vino recuperato.

La cassata siciliana di Giulia

La cassata siciliana di Giulia

Concludo questa mia chiacchierata con Gianni ricordando, a proposito delle limitazioni in vigore riguardanti il consumo di alcolici, che le normative prevedono l’obbligatorietà per tutti i locali pubblici aperti oltre la mezzanotte, del  possesso di un apparecchio che dia la possibilità ai clienti che debbano mettersi alla guida di rilevare il proprio tasso alcolemico, il ben noto limite di 0,5 grammi (per i neopatentati è previsto il tasso 0).

Sarebbe opportuno che l’avessero tutti, anche quelli che chiudono prima di mezzanotte. Comunque sia sappiate che è nostro diritto chiedere di poter fare un ‘alcol test’, nel caso avessimo dubbi su quanto abbiamo bevuto.

Locandina alcolemia

Le fotografie dei piatti sono del ‘Ristorante Da Giulia’




Torta di mele e marmellata di lamponi per… #UnLampoNelCuore

Le donne di Bratunac…  una storia di donne dal sapore di lampone

cartinaHo appena finito di ascoltare Rada Zarcovick, una donna bosniaca nata in un paese che non c’è più. Il suo, un racconto di un massacro che nel 1995 ha sventrato una terra poco lontana da noi: la ex-Jugoslavia. Ottomila persone uccise, per la maggiore uomini.

Donne rimaste sole che hanno trovato la forza di rialzarsi investendo il proprio lavoro nell’antica coltivazione dei lamponi. Donne in rinascita che vivono, lavorano e producono ‘insieme’  in una cooperativa agricola.

Le cose lette della guerra che ha travolto questi popoli mi hanno sempre sconvolta. Non capirò mai come il genere umano può raggiungere soglie di tale crudeltà.

Ebbene, sono stata coinvolta in un movimento di solidarietà di 300 food blogger per aiutare queste donne, dando un senso alla giornata dell’8 Marzo. Il compito di ogni blogger sarà quello di preparare una ricetta a base di lamponi. Accettare è stato un vero piacere, partecipare un  onore.

Con questa iniziativa, i food blogger che aderiscono a “unlamponelcuore” intendono far conoscere il progettoLogo Lamponi di Pace “lamponi di pace” e la Cooperativa Agricola Insieme (coop-insieme.com), nata nel giugno del 2003 per favorire il ritorno a casa delle donne di Bratunac dopo la deportazione successiva al massacro di Srebrenica, nel quale le truppe di Radko Mladic uccisero tutti i loro mariti e i loro figli maschi.

 Per aiutare e sostenere il rientro nelle loro terre devastate dalla guerra civile, dopo circa dieci anni di permanenza nei campi profughi, è nato questo progetto, mirato a riattivare un sistema di microeconomia basato sul recupero dell’antica coltura dei lamponi e sull’organizzazione delle famiglie in piccole cooperative, al fine di ricostruire la trama di un tessuto sociale fondato sull’aiuto reciproco, sul mutuo sostegno, e sulla collaborazione di tutti.

 A distanza di oltre dieci anni dall’inaugurazione del progetto, il sogno di questa cooperativa è diventato una realtà viva e vitale, capace di vita autonoma e simbolo concreto della trasformazione della parola “ritorno” nella scelta del “restare”.

Nonostante non sia una food blogger, oggi mi impegnerò al meglio per fare una torta a base di lamponi. Una preparazione molto semplice che dedicherò a delle donne coraggiose che si sono rimesse in gioco percorrendo la strada dell’agricoltura con la coltivazione dei lamponi.

Lo sapevate che…

  • I lamponi sono ricchi di vitamina C
  • Il loro succo è noto nella medicina naturale per le proprietà benefiche sull’apparato digerente

Torta di mele e marmellata di lampone

UnLampoNelCuoreRicetta

Ingredienti:

– 2 uova
– 150 gr. di farina
– 100 gr. di zucchero
– 100 gr. di marmellata di lamponi
– 1/2 bicchiere di succo di lamponi
– 2 mele tagliate a quadrettini
– 60 gr. di burro ammorbidito
– un pizzico di sale
– una bustina di lievito

 Preparazione:
  • In una terrina sbattere le uova con lo zucchero.
  • Quindi unire uno alla volta tutti gli ingredienti mescolando fino ad ottenere un composto omogeneo che trasferirete in una teglia.
  • Cuocere nel forno precedentemente riscaldato a 180′ per 40 minuti.

Una volta raffreddata tagliare la torta a quadrettoni servendola accompagnata da qualche cucchiaio di marmellata di lamponi.

Una merenda energetica perfetta per la prima colazione!

Cinzia e la cucina

Ecco alcune indicazioni per trovare i prodotti della Cooperativa Agricola Insieme :

– sono distribuiti da Coop-Adriatica e NordEst quindi si trovano più facilmente nel Veneto, Friuli Venezia Giulia, parte dell’Emilia e della Lombardia. I punti vendita che hanno in assortimento i prodotti partono dai 1000 mq in su;

– sono distribuiti anche da Altromercato e dal commercio equosolidale e dal loro sito (altromercato.it) è possibile, tramite anche una richiesta via email, ottenere i punti vendita;

– nel milanese vengono distribuiti da MioBio, un gas molto attivo.

 

Banner  ‘Mai Esteve




Il vino che amo… irruento, forte, ma soprattutto saggio. I Vini Autoctoni Friulani Rossi.

Approfondimento di Roger Sesto

 

Una volta Josko Gravner mi ha detto: “Cinzia, per me il vino è bianco”. Io non sono una grande come lui, ma sento il vino soprattutto quando è rosso.

Mi piace irruento come un’onda che si scaglia sulla roccia… forte come le strette di mano dei contadini che schietti ti guardano negli occhi… saggio come gli uomini e le donne che lavorano la terra e che amo ascoltare con le loro storie.

Il vino che amo è questo. Un vino irruento, forte, saggio… un vino che con i suoi profumi mi fa viaggiare, e con i suoi sapori mi fa ricordare.  Qualche sera fa l’ho incontrato, era rosso, autoctono e friulano.

Il Friuli, una terra che mi richiama tra la sua gente per le mie origini. Gente difficile dicono molti. La verità è ben diversa, i friulani vanno capiti. Sono un popolo legato alla terra… un popolo che spalanca il cuore, quando sente che il cuore davanti a se, batte sincero.

Lùnis

Timp furlan! Na scussa umida di sanbùc, na stela
nassuda nenfra il fun dai fogolàrs, na sera  pluvisina – un pulvìn di fen.
tai ciavièj o in tal sen di un frut ch’al ven sudàt da la ciampagna  ta la sera rovana.

Lunedi. Tempo friulano! Una scorza umida di sambuco, una stella nata in mezzo al fumo dei focolari, in una sera piovigginosa – un pulviscolo di fieno nei capelli o nel petto di un ragazzo, che viene sudato dalla campagna nella sera infuocata. Pier Paolo Pasolini da ‘La meglio gioventù’

Marco Felluga Russiz Superiore

Gradisca d’Isonzo – Vigneti di Marco Felluga

Ebbene, nonostante questa regione sia conosciuta per suoi grandi bianchi, ci sono autentici rossi autoctoni da riscoprire e soprattutto da assaggiare. L’occasione è stata propizia qualche sera fa al Ristorante ‘Il Fauno’ di Cesano Maderno (MB). Durante la serata, con la guida dell’amico Roger Sesto, ho avuto il piacere di degustare vini di alcune varietà salvate dall’estinzione.

VINI AUTOCTONI FRIULANI ROSSI

di  Roger Sesto

I vitigni autoctoni friulani a bacca rossa, principalmente parliamo di Refosco, Schioppettino, Tazzelenghe, Pignolo, Terrano, rivestono una notevole importanza essendo cultivar che sono riuscite a sopravvivere alle mode. Ciò grazie al fiero carattere delle genti friulane che, con fermezza, hanno deciso di salvaguardare un autentico patrimonio ampelografico locale, in potenziale pericolo di estinzione preservandone la qualità e l’importanza culturale.

Una tipicità peraltro molto legata al terroir friulano: tutti i vini della regione infatti, soprattutto i rossi, conservano una certa aggressività e crudezza legata in qualche modo allo stesso carattere degli abitanti della regione ed alla gastronomia locale, forte e speziata, mutuata dalla cucina slava. E forse è stata proprio la cucina – dai sapori forti e decisi – ad incentivare la sopravvivenza di questi vitigni duri e grintosi.

I rossi friulani sono vini dal carattere forte, selvatici, schietti, non levigati, netti, riconoscibili e, fino ad una ventina di anni fa, anche molto rustici. Persino le due varietà – cosiddette internazionali – più diffuse nella regione, il Merlot ed il Cabernet Franc, che altrove, soprattutto la prima, sono dotate di un profilo organolettico più aggraziato, non parliamo nel bordolese, ma anche in Toscana e persino in Alto Adige, qui sono particolarmente “verdi” ed aggressivi, con un terroir che in questo caso fa veramente la differenza.

Oggi la matrice di base di questi vini è ancora e sempre la medesima: le uve son quelle, il terroir (ovviamente) pure; però, a livello di cantina, ovvero da un punto di vista enologico, qualcosa è cambiato. Le macerazioni sono condotte con più cautela, con temperature e tempi più controllati e calibrati. Le botti si sono mediamente rimpicciolite, pur non trattandosi necessariamente di barriques, e la loro anzianità di servizio è scesa notevolmente, venendo più frequentemente rinnovate. E’ rimasto in sostanza uno “zoccolo duro” tradizionale, su cui si sono applicate via via tecniche sempre più innovative. Talvolta – e sempre più spesso – queste evoluzioni stanno portando a rimettere in discussione tutto sin alle radici, inducendo ad esempio a compiere operazioni – come la vinificazione e affinamento in anfore – costituenti un vero salto nel passato remoto dell’enologia, che si rifanno alle tradizioni enologiche georgico-caucasiche.

  • Lo Schioppettino proviene dai Colli Orientali. Vi sono due versioni circa l’origine del suo nome. La prima ne fa derivare l’etimo dal rumore provocato dall’esplosione dei suoi acini quando vengono schiacciati. La seconda si riferisce alle bottiglie che scoppiavano in cantina quando, durante la primavera, in alcune di esse riprendeva la fermentazione. Ad ogni modo si caratterizza per una colorazione non molto carica, sicuramente meno di quella del Refosco, per avere sentori di frutta rossa in netta prevalenza, conditi con una piccante speziatura di pepe. Il gusto è caratterizzato da una certa acidità, che contribuisce ad evidenziare i tannini.
  • Il Refosco (si tratta di un “vitigno-popolazione”, di cui il più interessante rappresentante è costituito da quello dal Peduncolo Rosso), presente largamente sui Colli Orientali ed un poco nel Grave, giungendo sino alla provincia di Treviso, si caratterizza per una speziatura piccante, sommata ad una nota vegetale e selvatica ed a sentori di frutti rossi concentrati, la colorazione è intensa, ed il gusto è connotato da una relativamente contenuta acidità, che rende i tannini meno spigolosi.
  • Il Tazzelenghe dimora essenzialmente sui Colli Orientali, ha delle affinità con il Refosco, ma in più è caratterizzato da note animali piuttosto spiccate e complesse, e soprattutto da una tannicità molto decisa e da un’acidità “tagliente”, da qui le origini del nome. Per domarne l’irruenza tannica è praticamente obbligatorio un adeguato affinamento in legno e/o un leggero appassimento in pianta o in fruttaio.
  • Il Pignolo, forse lontano parente della Pignola Valtellinese, possiede una speziatura morbida, piuttosto moderata ed elegante, arricchita da sentori leggermente aromatici e quasi balsamici. E’ uno tra i vitigni più nobili del Friuli.
  • Il Terrano, anche chiamato Terrano del Carso o d’Istria o anche Refosco del Carso o d’Istria, è vitigno che esige potatura lunga, denota buona vigoria e produzione abbondante e costante. La foglia, di grandezza media, appare tondeggiante, pentagonale, e trilobata; il grappolo, grande, lungo 20 cm., ha forma tipicamente piramidale a base larga, alato, mediamente compatto, presenta acini leggermente ellittici, di media grandezza con buccia di colore blu intenso molto pruinosa, un po’ sottile, consistente; la polpa sciolta è di sapore semplice, dolce e un po’ acidula. Dà origine a un vino di colore rosso rubino-violaceo intenso con spiccata fragranza e leggero profumo vinoso, al palato si rivela asciutto, di buon corpo, mediamente alcolico, acidulo, tannico, nel complesso abbastanza gradevole. Si coltiva esclusivamente nelle zone carsiche goriziane e triestine.

Per quel che riguarda la longevità si tratta in genere di vini che volendo sono anche pronti subito, ma con la capacità di reggere qualche anno di bottiglia, anche una decina.

Fotografia e Vigneti di Marco Felluga – Gradisca d’Isonzo




Lo sapevate che i latticini sono buoni… ma non per tutti ?

I latticini… io li adoro! Parlo del latte e dei suoi derivati. Alimenti ricchi di calcio, di proteine e di vitamine del gruppo B. Ma attenzione, non a tutti fanno bene.

Lo sapevate che nel caso di patologie a livello osseo la scelta migliore è quella di non assumere latticini o derivati? Ebbene si! Nonostante siamo cresciuti con la convinzione che assumere latte faccia bene alle ossa prevenendo l’osteoporosi, le cose sono un po’ diverse.

Per chiarire la questione ho chiesto l’intervento di Sara Cordara, nutrizionista e specialista in scienza dell’alimentazione.

Ciao Cinzia, allora,  inizio con il dire che sembra proprio che aumentare l’introito di calcio con integratori o con latticini e derivati non migliori lo stato di salute delle ossa e che finisca invece per creare problemi di vario tipo, a volte anche gravi. Io lo definirei quasi il “paradigma del calcio nel latte”.

Quando assumiamo nella dieta troppo calcio, questo implica una ridotta capacità di assorbimento di magnesio. È il magnesio che regola gli ormoni responsabili di una buona salute ossea. Ed è la carenza di magnesio che compromette gli enzimi che assicurano una buona salute ossea.

L’eccesso di calcio provoca carenza di magnesio, che a sua volta riduce l’attività dell’enzima fosfatasi, essenziale per l’assorbimento del calcio nelle ossa. L’enzima fosfatasi contenuto nel latte è stato completamente distrutto dalla pastorizzazione.

Per questo la salute ossea si riduce consumando il latte commerciale invece di quello crudo o materno. Per questo motivo il commercio del latte ha portato in tutte le nazioni un incremento del fenomeno delle fratture ossee!




Al Ristorante… “Io, mammeta e tu e… il cellulare!”

Una volta quando si usciva si diceva: “Io mammeta e tu…” Oggi le cose sono un po’ cambiate, diciamo che volendo adattare ai nostri tempi questo modo di dire la frase si completerebbe così: “Io mammeta e tu e… il cellulare!”

Con i telefonini condividiamo le nostre passioni, le emozioni, le cose che ci piacciono ovunque ci troviamo. La tecnologia ci consente di rendere tutto più veloce, accorciando le distanze.

Siamo ormai tutti social, e questo va bene, ma a volte fin troppo, tanto da pregiudicare i rapporti sociali, quelli veri e diretti, e questo va meno bene. Aspettate un attimo… sento fischiarmi le orecchie… mamma mia che fastidio! Ecco cos’è… è mio figlio Andrea che mi sta dicendo: “Ma va da che pulpito viene la predica!” Andrea, ma quale predica, diciamo che sto facendo solo delle riflessioni, ognuno alla fine è libero di comportarsi come meglio crede. Per quanto mi riguarda lo ammetto, a volte esagero, e quindi faccio il mea culpa. 😉

La verità è che chi fa comunicazione come me ormai è social a tutti gli effetti, ma attenzione, la rete è un grande strumento di promozione che però va integrato necessariamente con la conoscenza diretta delle persone, dei territori e delle produzioni: un’esperienza insostituibile e indispensabile per capire al meglio. Un  concetto su cui non ho alcun dubbio.

Direte: “Cinzia, ma tutta questa premessa… perché mai?!” Ora vi spiego…

Qualche sera fa ero a cena al ristorante ‘Da Giulia’ a Milano. Una realtà a conduzione familiare nata nel 2006 per volere di Gianni e Giulia, una coppia unita da trentacinque anni nella vita e nel lavoro. Lui diplomato alla scuola alberghiera, lei ragioniera con la passione per la cucina perfezionata nel tempo dopo aver acquisito le tecniche e le buone ricette della cucina mediterranea.

Ebbene, quella sera al nostro ingresso ho notato un quadretto particolare che invitava al dialogo unito al buon cibo.

Cinzia e Gianni Ristorante da GiuliaCome dice Gianni: “Si è perso il piacere il dialogare a tavola come era d’abitudine una volta. Questa indifferenza, questa apatia che noto in molti ristoranti, mi intristisce. Sono stanco di vedere, non solo nei giovani, l’abuso dei telefonini e dei tablet sui tavoli che distoglie dall’armonia e dall’amore per il cibo. La stessa cosa che succede a tavola in famiglia. Non si dialoga più… si guarda la tv senza parlarsi.

Forse è il caso di riflettere, o meglio, di moderarsi. Vi racconto un episodio che mi è capitato circa tre anni fa. Era la prima volta che partecipavo ad un evento in un grande albergo a Milano. Ero ancora acerba e poco avvezza al mondo della comunicazione digitale.

Ebbene, ricordo che ero completamente allucinata dal comportamento delle persone al mio tavolo. Praticamente assenti. Io parlavo e parlavo, e loro digitavano e digitavano, un po’ infastiditi dalla bionda chiacchierona, ma in realtà, soprattutto spaesata.

Ripensando a questo episodio e molti atri a seguire, rifletto sul fatto che non bisogna farsi prendere la mano. C’è l’uso e l’abuso… Ovviamente liberi tutti.

A proposito, quella sera non mi sono dedicata solo a notare i quadretti… 😉 La mia attenzione l’hanno avuta anche dei ricci di mare con cui ho fatto la scarpetta, dei Busiati trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno, un’insalata di gamberi rossi e scampi di Mazara alla Catalana con tartare di tonno rosso, e infine, la mia immancabile fetta di meravigliosa cassata che prepara la Giulia!

Ahh il cibo che cosa meravigliosa… un grade piacere dei sensi! 




Visibilità, non sfruttiamo questa parola…

La notte porta consiglio… è così. Agisco col cuore, sempre, troppo, spesso a mie spese…  ma forse è il caso di cambiare, anzi no, non voglio cambiare, voglio rimanere quella di sempre, ma ponderando meglio le mie scelte. Come ora, dopo l’ennesima proposta in cui viene scambiata la mia collaborazione con promesse di visibilità.

Sono po’ stanca di questa parola, perché quella che ho, intendo la visibilità, ho tentato di guadagnarmela da sola, condividendo, con progetti, col mio pensiero, col mio lavoro.  Ora io tento di darla ad altri, quando lo ritengo opportuno, quando so che potrebbero fare bene.

La blogger, come mi chiamano oggi, ha molto lavoro alle spalle (non amo molto questa definizione, ma visto che ‘per ora’ lo sono, preferisco chiamarmi farm blogger per il richiamo che sento con la terra). Gli ultimi anni sono stati intensi… anni passati a ricercare, a vivere le realtà, ad ascoltare le persone, ma soprattutto anni passati ad imparare… non finirò mai di farlo.

Vivo tra schedari, appunti, registri… uso tutti i mezzi tecnologici che mi consentono di usare la rete condividendo ciò che faccio. Questi sono i blogger, a volte chiamati in cambio di promesse di visibilità… spesso senza rimborso spese (per farvi un esempio ne sto aspettando ancora uno concordato per le spese di viaggio dall’Ottobre scorso).  Capite che forse qualcosa non va.

Detto questo, come dico io, direi proprio punto e a capo! Forse è il caso di cambiare registro.

Qui di seguito riporto nuovamente la risposta ad una domanda che mi è stata fatta poco tempo fa da Giustino Catalano (ditestaedigola.com) in merito alla questione.

  • Mondo blogger: chi lo ama, chi lo odia, e chi lo sfrutta. Ma a chi interessa in realtà la comunicazione fatta dai blogger… e perché. Cinzia, cosa ne pensi?

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la loro carica emotiva abbinata alla comunicazione digitale, possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo, sia al territorio che alle produzioni. Un fenomeno già in voga da anni all’estero. Molti lo hanno capito, e ne hanno preso spunto.

Il mondo dei blogger non è sempre facile, c’è chi agisce seguendo la passione, e c’è chi si fa trascinare da facili traguardi. Comunque sia, spetta solo ai lettori seguire chi trasmette nel tempo, quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili.
L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza riconoscere l’impegno intellettuale e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali.

Blogger e giornalisti, passione e professione, emozione e razionalità. Due ruoli i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando, ognuno a loro modo, il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando di seguire le onde di comodo del momento.

Quindi, concludendo, non chiamateci in cambio di visibilità… perché la verità è che se ci chiamate, di visibilità ne avete bisogno voi!




Vorrei un’Agricolazione… chiedo forse troppo ?!

Esattamente così, vorrei un’Agricolazione con tanti prodotti agricoli. Chiedo forse troppo?!

A quanto pare si, dato che oltre ad una spremuta tra l’altro troppo cara, visto i 3 euro richiesti ben distanti dal prezzo di vendita alla fonte delle arance, a qualche dolce, ad un caffè o a un cappuccino, la proposta della ristorazione dedicata non va proprio oltre!

Insomma, non capisco, e di conseguenza provoco! Qualcuno mi spiega il motivo per cui solo negli alberghi, per lo meno in quasi tutti, ci debba essere in questo senso un’offerta migliore! Mah! Si potrebbe aiutare tante realtà agricole utilizzando semplicemente i loro prodotti per una buona e sana colazione, il mio pasto preferito e anche quello più importante della giornata.

Purtroppo gli italiani a causa del ritmo di vita frenetico che conducono la trascurano molto. Forse è per questo che l’offerta della ristorazione alla mattina è molto limitata… ma non giustificata! Almeno al sabato e alla domenica mi piacerebbe vedere ben altre offerte!

La dottoressa Catherine Kousmine, nata in Russia nel 1904, consigliava ai suoi pazienti di fare una colazione da re, un pranzo da principe, e una cena da povero. Per quanto mi riguarda farei la regina tutte le mattine! 😉

Vi racconto questo piccolo episodio. Poco tempo fa mentre mi recavo in montagna in Svizzera, lungo l’autostrada e più precisamente a Bellinzona, mi sono fermata a fare colazione. Credo che sia stata la migliore colazione che mi sia stata mai proposta. Praticamente c’era di tutto. Frutta fresca e secca, prodotti da forno, yogurt, spremute, frullati, centrifughe, tisane… Insomma, un vero spettacolo di colori e di prodotti artigianali che mi hanno fatto pensare… “Chissà quanti agricoltori così vengono aiutati…”

 




Pensieri e riflessioni ricordando Food&Wine Festival e Identità Golose 2014 #MFWF14 #IGMI14

Lo confesso sono una ritardataria, forse perché faccio sempre mille cose. Questa volta però non è colpa mia. Diciamo che la verità è che ricomincio da qui… non si dice così di solito…?

Nelle ultime settimane sono stata presa, oltre che da un po’ di grattacapi (quelli non mancano mai) da un trasloco, o meglio, da una migrazione. Diciamo che ho dato una spolverata al blog.

Ebbene, ora ricomincio da qui, raccontandovi alcune mie impressioni dopo la mia visita, sia pur breve, al Milano Food&Wine Festival e a Identità Golose. Attenzione, sono impressioni di una consumatrice appassionata e a volte un po’ spaesata, che ama e vive in modo personale questo settore.

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Sarò breve. Del Food&Wine, l’evento creato da Paolo Marchi ed Helmut Locher che dire se non che i grandi vini italiani e i loro produttori mi inorgogliscono oltreché mi appagano i sensi. Certo, essendo io molto affezionata alle piccole produzioni artigianali amerei vedere anche una sezione dedicata a loro, sempre che ne sia facilitato l’ingresso.

Va bè, Cinzia niente polemiche… di spazio ce n’è per tutti come per gli eventi dei piccoli vignaioli. Non mi soffermerò in descrizioni e in elenchi, perché il vino come dico spesso amo viverlo nella vigna dove nasce, in cantina dove matura, e infine, con chi lo rende saggio…

Questo festival è soprattutto un felice momento di incontri, di condivisione e di nuove esperienze sensoriali. A proposito, mi ha fatto molto piacere vedere la presenza di tanti giovani sempre più interessati a conoscere il vino di qualità.

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Ma ora passiamo alla decima edizione di Identità Golose, il congresso internazionale di cucina e pasticceria ideato da Paolo Marchi. La tematica di quest’anno è stata “Una golosa intelligenza”, intesa come la capacità dei grandi chef nel creare piatti che sappiano garantire la qualità senza eccedere nei costi.

Nonostante apparenti bagliori stiamo vivendo un momento di profonda crisi che ha investito, chi più chi meno, tutti i settori della nostra economia. Ho trovato molto saggio proporre un ridimensionamento di quegli eccessi che in cucina non permettono ai più, di godere di uno dei maggiori piaceri della vita: il cibo.

Per quanto riguarda gli chef, che dire, tutti bravissimi. In verità mi sarebbe piaciuto aggiungere anche ‘bravissime’. Cinzia mi raccomando niente polemiche. 😉 Obbedisco a me stessa, ma mi permetto solo di dire che la maggioranza dei cuochi, come spesso accade, era di sesso maschile.

Che siano più bravi delle donne? Mah, di me di sicuro (son più brava a mangiare che a cucinare), delle colleghe però ho i miei dubbi. Di certo so solo che, visto che la tematica puntava alla capacità di creare piatti di qualità facendo quadrare i conti, chi meglio delle donne, quelle brave che sanno cucinare e non solo mangiare, potevano essere le migliori protagoniste!

Va bè, detto questo bravi tutti! Come sempre è stato un vero piacere essere presente. Questi eventi sono sempre ottimi spunti per continuare a imparare e per salutare nuovi e vecchi amici di sempre.




Dov’è finito il buon latte italiano?

C’è eccome, state tranquilli! E’ solo che la questione qui è complicata, o meglio, come dice Matteo Scibilia, la questione qui è soprattutto politica. Vediamo di capirci qualcosa, noi consumatori intendo.

Ricordo che tempo fa, visitando un’azienda agricola qui in Brianza, fui colpita dalla rabbia con cui mi parlava la titolare. Troppi cavilli burocratici… troppe le difficoltà nella conduzione. Mi disse: “Cinzia, sapessi quante volte ho la tentazione di vendere! E’ diventato tutto così difficile in Italia!”

Il latte in Lombardia

Continuo a dire che c’è una parola chiave in tutto questo: ‘sburocratizzare’. Ma non solo, qui c’è un’altra parola che complica le cose: ‘quote latte’.

Direi a questo punto di fare un brevissimo ripasso dalla loro introduzione.

  • Le ‘quote latte’ sono state introdotte nel 1984 dalla Comunità Europea per controllare le eccedenze nella produzione e fissare dei tetti massimi annuali ai paesi membri.
  • I tetti massimi dei singoli paesi si riferiscono alle quantità commercializzate. Il superamento di questi limiti genera una penale.
  • Il metodo di assegnazione dei tetti delle quote ha scaturito da subito forte polemiche. Alcuni paesi comunitari ebbero quote superiori al loro fabbisogno, mentre ad altri tra cui l’Italia, venne assegnata una quota pari alla metà del consumo interno. Qualcosa non quadra…
  • Le infrazioni da parte degli allevatori furono inevitabili, con conseguenti condanne della Corte di Giustizia Europea.
  • Successivamente, nel 1994, vennero modificati i tetti di riferimento rapportandoli alle produzioni 1988/89 e 1991/92 dei singoli allevamenti.
  • I tetti però venivano ancora superati nonostante un ulteriore successivo innalzamento.
  • Tra il 1995 e il 2001 si sono così accumulate multe per un totale di 924 milioni di euro, di cui 276 esclusi dalla sanatoria, 486 a carico dello stato e 162 a carico degli allevatori. (fonte Confagricoltura)
  • Nel frattempo, a causa di questa situazione, il numero delle aziende è scesa da 150 mila a 66 mila.

A questo spunto sorge spontanea la domanda: “Ma perché gli allevatori sapendo di andare incontro a sanzioni così pesanti hanno continuato a superare il loro tetto produttivo?

Mi ha risposto il nutrizionista e zootecnico Paolo Barberio.

– Cinzia, gli allevatori se producessero di meno non avrebbero altra scelta che chiudere le proprie aziende. Purtroppo i costi fissi, oltre che a incidere in maniera rilevante, sono aumentati negli anni in maniera vertiginosa.

Paolo, tu sei un olivicoltore, ma segui gli allevatori come zootecnico per l’aspetto nutrizionale degli animali. Cosa ti senti di consigliare ai produttori?

– Di stare uniti. Le aziende vicine tra loro dovrebbero unirsi per utilizzare strumentazioni in comune, o anche per mettere insieme le mandrie. Questo vale per aziende di 60/100 capi in un unico impianto. Purtroppo i costi che incidono nelle attività sono lievitati, come ad esempio quello del gasolio agricolo, che in dieci anni è più che raddoppiato. I tempi purtroppo sono cambiati. Fino a vent’anni fa con trenta vacche ogni allevatore comprava ogni anno tre ettari di terra… adesso per tenerne trenta, devi vendere tre ettari di terra…

Un grazie particolare a Paolo Barberio per avermi aiutato a capire. La questione in realtà è molto più complicata. Autodichiarazioni e calcoli errati, hanno portato a una non-corrispondenza del calcolo dei tetti. Forse sarebbe il caso di riprendere in mano la questione ricalcolando quote più parallele. Forse, molto di più…

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Fonte: Confagricoltura       




L’importanza di saper comunicare l’olio extra vergine di oliva

Si è appena conclusa l’ultima edizione di Olio Officina Food Festival, l’evento ideato e diretto da Luigi Caricato teso a promuovere l’olivicoltura in tutte le sue forme. Molti gli spunti di riflessione, su cui, con i protagonisti della filiera, discutere e ragionare per un approccio e coinvolgimento migliore del consumatore verso le produzioni di qualità.

Da dove partire quindi ? Il miglior modo a mio parere, è capire quale sia agli occhi del consumatore la visione dell’olio extra vergine di oliva. Nonostante si stia facendo molto, la confusione ha ancora la meglio sulla limpidezza che questo prodotto esige.

Dopo avere ascoltato l’intervento di Antonio Iaderosa, Direttore ICQRF per Milano e Brescia (Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari), ed essermi fermata con lui a fine dibattito per discutere su alcuni punti, ho constatato che, sia tra i produttori che tra i ristoratori, ci sono ancora molti dubbi.

Dunque, partendo da una buona produzione di olio extra vergine di oliva italiano, il passo successivo e di fondamentale importanza, è il modo in cui viene presentato e comunicato. Partiamo dall’etichetta. Come mi diceva Antonio Iaderosa, oltre a scrivere il produttore, il paese di provenienza delle olive (non si possono inserire i nomi delle regioni italiane) e le info legate all’azienda, è facoltativa la scelta di scrivere la cultivar.

Ebbene, alcuni produttori mi hanno fatto presente che però la descrizione sull’etichetta dipende anche dai disciplinari delle 42 DOP (il cui numero per me, e non solo per me, è troppo, e crea confusione). Uniformare le ‘info di base’ per tutte le DOP non sarebbe una cosa giusta? Non dovrebbero variare solo per quanto riguarda il territorio a cui si riferiscono?

Un’altra forma di comunicazione utile per promuovere l’olio di qualità, come sottolineava durante il Festival Luigi Caricato, potrebbe essere anche l’introduzione di veri e propri ‘blogger dell’olio’, che, con un approccio più vicino alla gente, potrebbero essere un valido aiuto in questa direzione.

Si è parlato anche del ben noto tappo anti rabbocco bocciato dalla Comunità Europea. L’introduzione impedirebbe il riempimento successivo da parte di ristoratori scorretti, che propongono sui tavoli bottiglie di olio extra vergine di oliva di noti produttori, ahimè riempite con oli di scarsa qualità. Operazione tra l’altro, oltre che scorretta, anche lesiva dell’immagine dell’azienda in questione. Mi raccomando, scegliete i ristoratori virtuosi!

Ovviamente parlo da consumatrice appassionata che si informa. Sono convinta che, per una scelta dell’olio extra vergine di oliva consapevole, è importante puntare sulla semplicità e sulla chiarezza. Se sono gli stessi produttori/ristoratori a non avere le idee chiare, ci meravigliamo ancora se tra i consumatori c’è confusione?!

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