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La sauna, una terapia naturale per la salute

Sauna finlandese (sauna secca).

Da tempo ho inserito una rubrica in cui scrivo ciò che ‘naturalmente’ può aiutarci a vivere meglio. Il motivo è molto semplice, amo la natura e i suoi rimedi naturali. Sono ben conscia di non scoprire nulla di nuovo, diciamo solo che lo ricordo, in primis a me, e poi a chi casualmente passa di qui.

Oggi vi farò sudare, o meglio, vi inviterò a fare la sauna. Personalmente amo molto praticarla perché mi fa star bene e mi rilassa. Purtroppo in Italia non c’è quella giusta cultura e tradizione che si riscontra viaggiando all’estero, dove è praticata con più regolarità per gli effetti benefici sulla salute.

Vediamo perché…

  • La sauna aiuta ad eliminare le tossine semplicemente sudando. Sudare infatti è una forma di difesa del nostro corpo per combattere le infezioni.
  • Ha effetti benefici sulle vie respiratorie.
  • Aiuta a rilassare i muscoli, tranquillizza, e favorisce il sonno.
  • Grazie alle sue proprietà disintossicanti rende la pelle più elastica e luminosa.
  • La sauna fa dimagrire: il suo calore infatti favorisce l’aumento del battito cardiaco, e conseguentemente il consumo di circa 300 calorie per seduta.

Alcuni consigli…

  • Andrebbe praticata in totale nudità, o per lo meno indossando indumenti di cotone. Questo perché le fibre sintetiche, con le alte temperature, emettono vapori nocivi alla salute.
  • L’ideale è farne due cicli da 10/15 minuti, ciascuno dei quali seguito da una doccia con acqua fredda per ristabilire la giusta temperatura corporea.
  • Mentre ci si rilassa, dopo ogni seduta, è importante reintegrare con una tisana i liquidi persi.
  • E’ sconsigliata a chi soffre di malattie cardiache, problemi circolatori, e a chi è soggetto a pressione alta.

Detto questo, non so voi, ma io vado a farla! 😉

 




Lo sapevate che l’insalata…

  • L’insalata, anche se costituita dal 90% di acqua, è una buona fonte di fibre, vitamine e sali minerali.
  • Apporta carotenoidi, sostanze antiossidanti che prevengono le malattie degenerative.
  • Di per se ha poche calorie, condizionate però dalla quantità del condimento che viene usato.

Personalmente adoro le insalate, soprattutto quelle miste! Peccato che spesso, quando le ordino al ristorante, mi arrivano due foglie verdi e qualche pomodoro! 🙁

Ebbene, sapete cosa intendo io per insalata mista? Di tutto di più, o meglio, un’insalata a foglie verdi, ortaggi, frutta fresca e secca… ovviamente il tutto nel rispetto della stagionalità.

Detto questo ve ne segnalo una veramente buona, un’insalat…ona che una sera mi ha preparato un amico. 🙂

L’Insalat…ona di Agostino

 Ingredienti:

  • Insalata Chioggia
  • Carote grattugiate
  • Pomodori ramati pachino
  • Noci
  • Mela golden tagliate a fettine sottili
  • Olive taggiasche
  • Pinoli
  • Semi di sesamo e semi di finocchio tostati in pentola

Unire tutti gli ingredienti e condire con un olio extra vergine di oliva, un buon aceto e sale q.b.

Una vera bontà ! 

 




Maurizio Gily. Una questione di vizio di forma, e non di verità.

Mi presento, mi chiamo Maurizio Gily. Sono un agronomo specializzato in viticoltura ed enologia e un giornalista pubblicista. Dirigo una rivista tecnica del settore, Millevigne, collaboro con Slow Food, e sono consulente di imprese vitivinicole e di amministrazioni pubbliche. 

Maurizio Gily, un uomo di terra e di vino, una persona che stimo. Accusato di vizio di forma nell’esprimere una notizia vera, è stato condannato ad un risarcimento per aver leso di conseguenza, l’onore di un collega giornalista.

Questa le parole del giudice: “…non vi è questione in ordine al fatto che il dott. Gily nello scrivere abbia riportato notizie vere…”.  Ma la forma vince, per lo meno lo ha condannato, per ora…

Riporto parte dell’articolo di Millevigne “La cicuta di Velenitaly

di Maurizio Gily

Più di cinque anni dopo il caso “Velenitaly”, la bomba atomica calata su Vinitaly dal settimanale l’Espresso, che denunciando, correttamente, alcuni casi di frode e sofisticazione,  parlava, non altrettanto correttamente, di centinaia di migliaia di bottiglie di vino avvelenato (veleno mai trovato),  e, in un altro articolo, del caso brunellopoli, accostando in una gran confusione l’inquinamento da agenti cancerogeni (mai trovati)  con l’inquinamento da Merlot nel Sangiovese (che ovviamente non uccide nessuno), un giudice del tribunale di Rovereto mi ha condannato a risarcire il giornalista dell’Espresso che avevo attaccato su Millevigne. Ne avrei leso la reputazione. Euro cinquemila, più le spese legali.

A detta del giudice il mio è stato un “attacco personale”  che avrebbe travalicato il diritto di critica ledendo l’onore del collega, che vale una condanna al risarcimento, sia pure decimata rispetto alla richiesta della controparte, che era partita da dieci volte tanto (50.000 euro). Eppure non ho fatto uso di turpiloquio, né ho accusato qualcuno di qualcosa che non aveva fatto: ho solo scritto che una notizia non era vera (non la frode con annacquamento e arricchimento dei mosti, quella era vera, ma l’avvelenamento), dopo che due ministeri e un magistrato inquirente sull’inchiesta in questione lo avevano già detto in comunicati ufficiali, da me diligentemente riportati.  Non ho neppure parlato di mala fede, ma solo di eccesso di fantasia (“fantasie horror” per la precisione) nel riportare notizie raccolte in una procura ed elaborate in modo creativo (ad esempio parlando di sostanze cancerogene, ma senza citarne alcuna, anzi citandone alcune che non lo sono, oltre a non esserne accertata la presenza nel prodotto in questione).

Morale: nel paese riconosciuto al 57esimo posto al mondo per la libertà di stampa, secondo la classifica di “reporter senza frontiere”, preceduto da molte nazioni non famose per le loro democrazie, la verità va detta con moderazione. Pardon, con continenza. Soprattutto quando si vanno a toccare aziende, gruppi e persone con le spalle più larghe delle vostre.  Come Millevigne contro Espresso- Repubblica: una pulce contro un carro armato.

“La straordinaria solidarietà che mi è arrivata da gran parte del mondo del vino, in particolare dai vignaioli italiani, mi ha convinto a presentare ricorso in appello. Da loro, e da voi, è arrivata anche la spinta ad aprire, superando il mio naturale imbarazzo, una sottoscrizione pubblica per finanziare le spese di questo ricorso, che né io, né l’editore di Millevigne siamo in grado di sostenere.”  Maurizio Gily

  • A questo LINK  c’è la sottoscrizione pubblica su buona causa.org e una serie di informazioni.

Ecco la  CRONISTORIA dei fatti:

1. L’avvocato di Paolo Tessadri mi mandò, a settembre del 2011, una diffida a rimuovere dal web il mio articolo “spazzatura via espresso” chiedendomi nel contempo 50.000 euro di danni per aver leso l’onore del suo assistito (che se ne era accorto quindi tre anni dopo). La mia risposta fu quella che avrei rimosso l’articolo dal web, e così feci, come gesto conciliatorio e in ragione del tempo trascorso, ma non rinnegando nulla di quanto avevo scritto e ovviamente precisando che non avrei pagato un centesimo. E pensavo, onestamente, che la cosa finisse lì.

2. Dopo una seconda diffida offrii a Tessadri l’opportunità di replicare su Millevigne al mio articolo, precisando che la sua replica sarebbe stata pubblicata senza commenti. Sono infatti convinto che questo sia il modo giusto con il quale un giornalista deve difendere il suo onore qualora lo ritenga leso. In verità io penso che quando un giornalista pubblica notizie che non sono né vere, né verosimili, come in questo caso,  l’onore se lo leda da solo, ma tant’é. Altra possibilità sarebbe stata quella di un incontro conciliatorio presso l’ordine, ma neppure questa fu presa in considerazione.

3. Tessadri non aderì alla mia proposta e avviò la causa civile, abbassando la sua richiesta a 25.000 euro. Il mio avvocato mi spiegò poi che tale scelta fu probabilmente motivata da una banale questione di scaglione nel costo dei bolli … la difesa di Tessadri si era forse resa conto dell’entità surreale della prima richiesta.

4. Il foro competente di Rovereto, anziché quello di Alba, dove ha sede Millevigne, dipende dal fatto che la difesa di Tessadri  non fa riferimento alla rivista, ma al web, sulla base di una sentenza di Cassazione che stabilisce che in caso di diffamazione a mezzo web il foro competente è quello della residenza del danneggiato. La mia difesa non ebbe appigli da opporre al riguardo. Da notare che il sito di Millevigne nel 2008 lo vedevano i classici quattro gatti (abbiamo anche prodotto una perizia che lo dimostra, poche decine di contatti per articolo al massimo), mentre la rivista era, allora, un tabloid a diffusione gratuita in oltre 10.000 copie, ma “attaccarsi al web” consentì a Tessadri di ottenere il processo giocando in casa.

5.  Dopo questa sentenza Tessadri potrebbe segnalarmi all’ordine, il quale potrebbe a sua volta sanzionarmi e sospendermi per violazione deontologica. Non so se lo farà ma per quel che lo conosco lo ritengo probabile.

 




Lo sapevate che il cioccolato…

In questi giorni ho mangiato troppo cioccolato… uff, ho la faccia piena di brufoli!

Ricordo ancora quando… fatemi pensare, ecco si, avrò avuto sedici anni, in un pomeriggio di noia totale (neanche allora riuscivo a star ferma) ho fatto un intruglio potentissimo a base di cioccolato. Ne avevo usato così tanto, ma così tanto, da fare una cioccolata veramente esplosiva! Ebbene, dopo qualche giorno l’esplosione si è manifestata, si, ma con un brufolo gigantesco! 🙁

Mio padre mi portò dal medico, che, appena lo vide, mi spedì diretta in ospedale per l’incisione. Situazione alquanto imbarazzante, si, perchè la posizione non era certo tra le più simpatiche. Non posso dimenticarmi dell’episodio, anche perché, grazie alla cicatrice che mi è rimasta (fortunatamente non visibile ai più) non mi è possibile.

Chi mi conosce lo sa… sono golosa! Non riesco ne a iniziare ne a chiudere la giornata, senza aver mangiato un dolce! Detto questo, per tornare al cioccolato, mi raccomando, non fate come me, non esagerate!

Poco ma buono e di tutto, è il segreto per stare bene! 🙂

Lo sapevate che…

  • Il cioccolato è fatto con i frutti dell’albero del cacao, una pianta originaria dell’America meridionale il cui nome scientifico è Theobroma cacao, in greco, cibo degli dei. Gli Aztechi 3000 anni fa, usavano questi semi come monete.
  • C’è cioccolato e cioccolato! Privilegiare una qualità che contenga almeno il 70 per cento di cacao.
  • E’ ricco di antiossidanti, sostanze che rallentano i processi di invecchiamento.
  • Essendo molto energetico, è un ottimo alimento per ricaricarsi. E’ compreso persino nella dieta degli astronauti durante le missioni spaziali.
  • E’ ricco di grassi: fornisce 500 calorie ogni 100 grammi
  • Il cioccolato contiene caffeina: 125 grammi di cioccolato fondente contengono una quantità di caffeina uguale a quella contenuta in una tazzina di caffè.
  • Grazie alla feniletilamina, una sostanza chimica presente nel cacao, il cioccolato ha delle  proprietà antidepressive, quindi migliora l’umore.

Fonte: ‘Cibi che fanno bene, cibi che fanno male’  – Tom Sanders docente di nutrizione e dietetica King’s College University of London




Vita da Blogger… anzi, da Farm Blogger. Cinzia Tosini.

Intervista di Giustino Catalano pubblicata l’8 Gennaio 2014 su Di Testa e Di Gola.

Eclettica, solare, intelligente, curiosa, simpatica, dalla grande parlantina…. tanti gli aggettivi positivi per definire Cinzia Tosini, Farm Blogger e autrice su questo sito, ma forse il più appropriato è passionale. Avevo voglia di raccontarvela con le sue parole ed eccomi qui.

Chi è Cinzia Tosini?

Innanzitutto amo farmi chiamare solo Cinzia! E’ la prima cosa che dico quando mi presento. Per dirla tutta mi chiamo anche Emilia che è il secondo nome che mi è stato dato in memoria del mio mitico nonno friulano. Dunque, per tornare alla domanda – chi sono? – mi viene immediato rispondere che sono semplicemente una donna che da oltre tre anni sta vivendo una seconda vita.
Tutto è iniziato riprendendola in mano, dopo che, superato uno smarrimento iniziale, ho reinvestito il mio tempo nelle passioni di sempre: la terra, l’agricoltura, il vino, e le storie delle persone. Credo che la motivazione principale, sia da attribuire al fatto che da ragazzina sono cresciuta in campagna dai nonni a Treviso.
Spesso non ci rendiamo conto che la terra, se vissuta veramente, lascia il segno nel tempo, nei ricordi, e nelle anime. Purtroppo il male del nostro secolo è che corriamo e viviamo nella continua ricerca di traguardi, senza renderci conto che l’esigenza primaria è l’armonia che riscopriamo stando a contatto con la natura.

Come hai iniziato a scrivere?

La mia storia, per lo meno quella degli ultimi anni, è un continuo susseguirsi di coincidenze e incastri che pian piano mi hanno portato a scrivere (giuro, non l’avrei mai detto).
Tutto è iniziato dopo aver letto l’intervista fatta ad una vignaiola di Aosta. Le sue parole mi avevano emozionato a tal punto, da convincermi ad andare ad Aosta per conoscerla di persona. La sua, una vita difficile, un po’ come la mia. Quando mi raccontò che non aveva i soldi per stampare l’etichetta a retro della bottiglia del vino che produceva, decisi di scriverne un pezzo, che stampai, e che le regalai affinché lo omaggiasse insieme al vino.
Fu allora che mi fu chiesto di pubblicarlo, inserendolo in una mia rubrica su un sito di enogastronomia: Vino Way. Accettai un po’ titubante, ma solo a patto di poter raccontare le produzioni partendo dalle persone. In seguito, avendomi limitato il campo d’azione alla sola Lombardia, decisi di uscire continuando la mia avventura con la realizzazione di in un sito, o meglio, di un sogno di cui ero socia fondatrice: World Wine Passion. Purtroppo, una non condivisione su alcune prese di posizione, mi ha convinto a trasformare la mia Rubrica presente nel sito, in un blog personale: Storie di Persone.
Quello degli ultimi anni è stato un percorso a ostacoli, intenso e accelerato, passato scrivendo ciò che ho vissuto, ascoltando la gente, e viaggiando in lungo e in largo per l’Italia, il modo che piace a me per conoscere il territorio.

Perché hai deciso di scrivere partendo dalle ‘persone’?

Decisi da subito di scrivere di persone, in primis perché per parlare di enogastronomia, bisogna avere alle spalle molta esperienza, e in secondo luogo, perché mi accorsi che ascoltare il cambiamento di rotta di persone che avevano deciso di investire la propria passione nella terra e nell’enogastronomia, mi affascinava molto.

Farm blogger, perché ti sei definita così?

Dunque, questa definizione è nata dopo molte riflessioni fatte con me stessa. Mi trovavo spesso a correggere l’interlocutore di turno, quando, sentendomi definire una food blogger, non trovavo per nulla calzante tale ruolo. Confesso di essere più brava a mangiare che a cucinare.
Amo molto il cibo e il vino per le sue storie, per il territorio, per le sue tradizioni e per i suoi protagonisti. Mi piace conoscere e assaggiare vivendo le realtà sul ‘campo’, per me il modo migliore! Adoro visitare le aziende agricole accompagnata dai produttori, poi, vedere l’evoluzione e la nascita dei prodotti, mi permette di capire comprendendo meglio le problematiche legate ad essi.
E’ da queste considerazioni che è nata la definizione che finalmente mi sono sentita calzare a pennello: farm blogger.

Dopo tre anni, che esperienze senti di aver maturato?

Molte sono le esperienze, molto ho imparato, e molti ho conosciuto. Dico spesso che non è un mondo facile questo. Purtroppo gli egoismi vincono sul buon senso, rendendo spesso difficile la strada che permetterebbe di fare il giusto sistema a vantaggio di tutti.
Gli italiani devono cambiare mentalità se vogliono ripartire. Bisognerebbe incominciare dalla scuola creando da subito, con la nuova generazione, un nuovo modo di pensare. Qualcuno ora sorriderà leggendo le mie parole, non ha importanza, io ci credo sul serio in quello che scrivo, utopistico o meno.
Nonostante ciò, la mia maggiore soddisfazione è di aver creato nel tempo una fitta rete di rapporti basati sulla stima, sul rispetto e sull’amicizia. Questo per me è di fondamentale importanza, costruire rapporti basati sulla buona reputazione, soprattutto in un mondo come quello dell’enogastronomia, le cui fondamenta sono basate sulle passioni.

Blogger e giornalisti, argomento molto dibattuto. Cosa ne pensi?

Ne ho scritto recentemente sul blog, in particolar modo perché mi sento tirata in causa.
Blogger e giornalisti, passione e professione, emozione e razionalità. Due ruoli i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando, ognuno a loro modo, il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando di seguire le onde di comodo del momento.

Mondo blogger: chi lo ama, chi lo odia, e chi lo sfrutta. Ma a chi interessa in realtà la comunicazione fatta dai blogger? E perché?

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la loro carica emotiva abbinata alla comunicazione digitale, possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo, sia al territorio che alle produzioni. Un fenomeno già in voga da anni all’estero. Molti lo hanno capito, e ne hanno preso spunto.
Il mondo dei blogger non è sempre facile, c’è chi agisce seguendo la passione, e c’è chi si fa trascinare da facili traguardi. Comunque sia, spetta solo ai lettori seguire chi trasmette nel tempo, quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili.
L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza riconoscere l’impegno intellettuale e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali.

di Giustino Catalano

Con Giustino Catalano a Napoli




Lo sapevate che il vino si mette anche nel brodo…

Ebbene si! Me lo ha insegnato mio nonno Giuseppe, un mantovano Doc!

Di lui, oltre alle mitiche carte da gioco che mi ha regalato da bambina, mi rimangono alcuni insegnamenti, come l’abitudine di usare il cucchiaio per arrotolare le tagliatelle, o quella di mettere un pizzico di sale sul melone per renderlo più dolce, o infine, quella di mettere un po’ di vino nel brodo.

Ricordo tanti anni fa, quando, una mattina alzandomi per fare colazione, l’ho visto per la prima volta bere del brodo in cui aveva messo un goccio di vino. Figuratevi la mia faccia…: “Nonno, ma che fai?! Metti il vino nel brodo, e per giunta lo bevi a colazione?!  

Molti sapranno che questa usanza è praticata in alcune province della Lombardia, Emilia e Piemonte. Aggiungere del vino al brodo, intendo quello buono, quello fatto non sicuramente con il dado, per i mantovani e non solo è una vera e propria tradizione! 😉

Detto questo, partendo dal presupposto che il brodo debba essere buono, direi di seguire la ricetta che ci consiglia un caro amico, lo Chef Massimo Dellavedova.

Il Brodo di carne di Massimo Dellavedova

Ingredienti:

  • 1 kg di bovino adulto (reale, punta di petto, polpa di spalla, scamone)
  • 500 gr. cappone (va bene anche il pollo)
  • 1 cipolla grossa
  • 2 gambi di sedano
  • 1 carota media
  • 2 chiodi di garofano
  • 3 foglie di alloro
  • 4 grani di pepe nero
  • Poco sale grosso
  • 4,5 l. di acqua

Preparazione:

  • Mondare verdure e cappone (pollo)
  • Steccare la cipolla con i chiodi di garofano
  • Mettere tutto in una capiente pentola
  • Fate sobbollire per almeno 3 ore schiumando con il mestolo forato ogni volta che si forma la schiuma. Raccomando di non fare bollire.
  • A cottura finita, filtrarlo, aggiustarlo di sale e raffreddarlo. Una volta freddo sgrassarlo. Questa operazione risulta semplice perché la parte grassa si è solidificata in superfice.

In questo modo si otterranno tre litri di brodo.




Oggi vado a passeggio, ma… con il cuore!

Amo passeggiare nel verde, lo faccio sempre appena posso, lontano dal caos e dalla frenesia. E’ il mio momento terapeutico. Si, avete capito bene… ‘terapeutico’!

Camminare mi fa bene alla mente, mi rilassa, e fa bene alla salute prevenendo molti disturbi!

Forza… la pigrizia è cattiva compagnia! Cinque chilometri al giorno tolgono il medico di torno… o quasi! 😉

Vi ricordate quella canzone che diceva: “basta un poco di zucchero e la pillola va giù, e la pillola va giù, e la pillola va giù…” Ebbene, vorrei che la pillola andasse giù il meno possibile! I farmaci possono molto, ma non sono l’unica risposta a tutti i mali.

Ecco le indicazioni terapeutiche per convincerci a camminare di più.

L’esercizio fisico influisce positivamente su ipertensione, dislipidemie, obesità e non solo… e fin qui direi che ci siamo.

Ciò che però mi preme sottolineare di più, è che non fare esercizio fisico, influisce negativamente causando alcune malattie croniche, metaboliche, e cardiocircolatorie come:

  • Diabete
  • Obesità
  • Malattie cardiovascolari
  • Osteoporosi
  • Ipertensione

Lo so, sono cose trite e ritrite, ma io insisto!

L’attività fisica è come un farmaco naturale, che, con una corretta alimentazione, permette di riequilibrare i meccanismi del nostro organismo tenendoci in forma.

La dose consigliata?  Trenta minuti al giorno che possiamo fare durante la giornata semplicemente evitando di frequentare una brutta compagnia: “la pigrizia”! 😉  




Un po’ di chiarezza, o quasi, in tema di presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi

Recentemente, con un amico che si occupa di ristorazione, mi sono trovata a discutere sulla presentazione della bottiglia di olio extra vergine di oliva che mi piacerebbe vedere sul tavolo in tutti i ristoranti.

Confrontandomi con altri del settore, mi sono resa conto che molta chiarezza in effetti non c’è.

Per questo motivo, visto che mi piace parlare con cognizione di causa, mi sono informata consultando Massimo Occhinegro, consulente d’impresa in ambito fiscale e di marketing internazionale, con particolare riguardo al comparto di olio di oliva nei mercati europei ed extra europei.

Tenteremo di fare un po’ di chiarezza, o quasi (leggendo capirete il perché), inserendo la Legge 14 gennaio 2013 n.14 e l’interpretazione di Massimo.

  • Legge 14 gennaio 2013 n.14

Art. 7 – Termine minimo di conservazione e presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi.

1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data.

2. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene.

3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione al titolare del pubblico esercizio di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 8.000 e la confisca del prodotto.

4. All’articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, i commi 4-quater e 4-quinquies sono abrogati.

“Chiave interpretativa” della legge in questione di Massimo Occhinegro

La legge 14 gennaio 2013 n.14 con l’articolo 7 secondo comma ha inteso abrogare la precedente legge che vietava in maniera esplicita l’uso delle “famose” ampolle dell’olio. Tuttavia sia pure in maniera confusionaria, ha voluto introdurre da un lato l’uso di bottiglie con tappi anti-rabbocco e dall’altro confermare l’obbligo del l’indicazione dell’origine nonché del lotto di produzione a cui appartiene.

L’articolo è tuttavia mal scritto e soggetto a diverse interpretazioni. La “chiave” interpretativa risiede a mio parere nel significato di “ovvero”. Nella lingua italiana “ovvero” può essere interpretato come sinonimo di “oppure”, ma in tal caso, il legislatore avrebbe forse pensato a bottiglie con sistema di chiusura anti-rabbocco, senza etichetta, il che è per logica, senza senso, da un lato, mentre dall’altro confezioni senza tappo anti-rabbocco ma etichettate con indicazione di origine, data di scadenza inferiore ai 18 mesi dal confezionamento e lotto di produzione, il che anche in questo caso tale evenienza avrebbe poco senso vista la volontà di impedire il riutilizzo delle confezioni.

Pertanto la parola “ovvero”, a mio parere andrebbe interpretata con il significato di “ossia”, (come spesso accade nella formulazione delle norme di legge) con l’intento di offrire una specifica in più rispetto a quanto scritto nella prima parte dello stesso articolo 7, comma 2.

In definitiva tutto ciò significa che le bottiglie devono essere etichettate come da norma di legge e che in più dovrebbero avere tappi anti-rabbocco. È evidente però che la formulazione di tale articolo sia stata fatta in maniera frettolosa e confusionaria come detto in premessa.

Cosa rimane da dire… mah, direi che a questo punto, l’unica cosa che mi viene da dire, è che tocca a noi prestare la giusta attenzione scegliendo la ristorazione virtuosa attenta alla qualità.




Un ‘contessino’ alla Corte Santo Stefano di Cesano Maderno

Direte: “Un contessino alla Corte Santo Stefano… Cinzia, ma in che senso?!” Ora vi spiego…

Dunque, mi capita spesso di rincontrare persone con cui ho collaborato a lungo negli anni passati. La cosa mi diverte alquanto, soprattutto perché spesso si trovano davanti ad una persona totalmente diversa, diciamo molto più… si, direi proprio una persona molto più simpatica e sorridente. Questo perché fino a un po’ di anni fa, ero una steccata coordinatrice vichinga costretta a tenere testa a un bel po’ di medici (alcuni ribelli), e quindi mi toccava fare la dura.. (per finta, anzi, allora sul serio!) 😉

Detto questo, dopo l’ennesimo invito di un ‘contessino’ (capirete poi perché lo chiamo così), ho deciso di accettare accompagnandolo a cena. In realtà il soggetto in questione, con cui a suo tempo ho collaborato, è una persona intelligente ed impegnata che combatte le ingiustizie scrivendone e non solo. Ero solo un po’ restia per i suoi modi, che, come diceva  mio padre, sono i classici atteggiamenti da ‘baùscia’. Per chi non lo conosce, questo termine dialettale lombardo, viene usato in senso ironico per indicare una persona che si da delle arie.

Comunque sia, prendendo spunto da una delle protagoniste del risorgimento italiano, la bella Gigogin, e come a volte mi definisce il mio caro amico Giorgio Ferrari, daghela avanti un passo, dal ritornello della canzone che la ricorda per il suo coraggio nel fare un passo avanti verso l’oppressore straniero.

Ovviamente qui oppressori non ce ne sono, diciamo più stranieri, visto che il contessino snobbando la zona in cui abito voleva che andassi a prenderlo per portarlo a cena nella gran Milan! Seee… spetta che tiro fuori la spider, spetta né…!

Adoro Milano (a parte il traffico), e adoro anche le sfide! Quindi gli ho detto: “Caro, in primo luogo se vuoi mi passi a prendere, e in secondo, andiamo a mangiare dalle mie parti!” Il contessino, arresosi alla mia volontà, ha dovuto tirare fuori la sua ‘torpedo’ come la chiama lui, e si è deciso di venirmi a prendere! Tiè! 😉

Risolta la questione sapete dove l’ho portato? Ebbene, siamo andati a cena in un’antica corte nel centro storico di Cesano Maderno, la Corte Santo Stefano. Il malmostoso, dopo essersi lamentato per aver fatto due passi a piedi, e dopo aver premesso che non mangiava pesce perché da piccolo gli era rimasta una lisca in gola, si arreso e mi ha seguito.

Nel frattempo nella mia mente un unico pensiero… stasera non ce la posso fare!

E invece pensate un po’, il ‘contessino scrivano golfista medico’ ha apprezzato tutto! Dal luogo caratteristico dalle antiche mura, fino all’aperitivo nei sotterranei.

Per quanto mi riguarda, oltre che a introdurlo con chi ci ha seguito nella cena come uomo-cittadino con la puzza sotto il naso, mi sono tolta pure la soddisfazione di correggerlo quando, chiedendo all’addetto in sala un Barbera, ho replicato: “Senti nobiluomo, va che si dice la Barbera!” Ehhh… quando ce vo’ ce vo’!

Ma mica è finita! Mentre mi gustavo una zuppa di ceci e cozze non è riuscito a trattenersi dal dire: “Cinzia, ma ti mangi le cozze! Ma ti fidi!” Uhh signur gli ho risposto… ebbasta!

La mia cena si è conclusa con una ‘Miascia comasca’, un dolce tipico fatto con pane, amaretti, mele, pere, uvetta servito su una salsa di cachi, e, un immancabile bicchierino di liquore alla liquirizia che adoro!

Ragazzi che serata… per fortuna che, come per Cenerentola, l’incantesimo è svanito a mezzanotte! Ovviamente scherzo, tutto sommato mi sono proprio divertita! 🙂

 




Vi presento Samuele Vergari, un blogger in pigiama!

Blog:  FoodWineBeer 

Da tempo si discute sul divario della comunicazione fatta tra blogger e giornalisti. Un argomento ormai tritato e ritritato che tratta due figure i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando ognuno a loro modo il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando le onde di comodo del momento.

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la comunicazione digitale possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo. Questo non appanna in alcun modo la figura del giornalista, che, in modo professionale assolve ad altrettanto compito. Non è una gara, non potrà mai esserlo, essendo la forma comunicativa assai diversa.

Ho fatto questa premessa per introdurre un blogger, o meglio, un Passion Blogger che conosco e seguo da tempo: Samuele Vergari, in arte ‘FoodWineBeer’.

Anche se l’approccio di Samuele non è il mio, nel senso che a differenza di lui io amo scrivere dopo aver vissuto di persona il territorio e i suoi protagonisti, rispetto la sua scelta dettata in questo momento da esigenze familiari.

Il mondo dei blogger non è sempre facile, l’ho conosciuto tempo fa, quando, seguendo le relazioni pubbliche e i contenuti di un sito di enogastronomia di cui ero socia, volevo far conoscere con una rubrica che avevo deciso di chiamare ‘Passion Blogger’, gli ‘appassionati veri’, quelli che con impegno e coerenza trasmettono la loro passione attraverso i blog (diari in rete).

Anche dopo aver lasciato quel ruolo, per una non condivisione di prese di posizione, questo mio progetto non è andato perso. A modo mio, continuo dando visibilità a chi ritengo possa ‘far bene’ nel diffondere la conoscenza delle produzioni di qualità.

Samuele Vergari è nato da una famiglia dedita all’agricoltura. La passione per il vino ereditata dai nonni produttori di Sangiovese, gli ha permesso col tempo di apprezzarlo fino a diventare un punto di riferimento per gli amici, per i consigli sulla scelta dei vini. La svolta nel 2010, quando, spinto dalla crescente passione decide di aprire un blog. Molto il lavoro per darne forma, tanti i passaggi e cambi di rotta, fino alla nascita di ‘FoodWineBeer’.  

Un blog che punta più ai prodotti, che ai produttori. Il motivo presto svelato: Samuele è un vero e proprio pantofolone, o meglio, un papà di due bimbi piccoli che lo portano a rendersi indispensabile in famiglia. E’ così che scrive i suoi articoli, spesso in pigiama sul divano, tra le interruzioni dei suoi figli e i loro micro drammi. Nonostante gli impegni familiari, il piacere di scrivere di ciò che degusta a casa e nei ristoranti delle zone limitrofe, lo ha spinto a continuare. Poi, appena possibile, nei giorni di riposo, i viaggi per l’Italia gli permettono di ampliare la sua conoscenza. 

“Cinzia, le soddisfazioni sono tante, in particolar modo quella di poter conoscere, anche se in molti casi solo in maniera virtuale, una marea di belle persone legate al mondo del vino e della birra. Certo, anche in questo mondo ci sono personaggi negativi, persone che promettono e poi non mantengono, approfittatori e millantatori di ogni genere…  Io sono solo un semplice appassionato che alle spalle ha poca teoria e molta pratica. Un uomo e un padre che racconta le proprie esperienze in pigiama sul divano di casa… Samuele Vergari”

Concludo con un mio pensiero. Noi blogger, tanto criticati ma nel contempo tanto ricercati, sono convinta che qualcosa di buono lo facciamo. A modo nostro tentiamo di trasmettere quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili della nostra vita.

Ora vi chiedo: “Sono forse meglio quelli che sfruttano questa passione…?”

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