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Lo sapevate che il riso…

La prima volta che mi sono avvicinata alla risicoltura è stata in occasione della visita fatta alla Tenuta Colombara, sede della produzione del riso gemmato Acquerello. Mi era stata segnalata da un amico per la particolarità del suo riso a cui viene reintegrata la propria gemma, ricca di vitamine e preziose sostanze nutritive abitualmente scartate.

Da li che è partita la mia conoscenza. Come dico spesso visitare le aziende agricole è grande esperienza che ci rende più consapevoli nella scelta degli cibi da selezionare per la nostra alimentazione.

Detto questo lo sapevate che…

  • L’Italia è il primo paese in Europa per la produzione di riso. Nonostante questo, il consumo medio pro capite annuale è di circa cinque chilogrammi di riso a testa. Per molti il riso va consumato soprattutto quando non si sta bene. Non è così!
  • Pensate che nel mondo lo mangiano ‘una persona su due’ perché è un cereale ricco di carboidrati, sali minerali, vitamine e proteine vegetali. Fornisce le stesse calorie della pasta ma è molto più digeribile. Ha pochissimi grassi: ‘100 grammi forniscono 350 chilocalorie’.
  • Il riso crudo non deve essere mai lavato, questo per non perdere parte dei sali minerali e delle vitamine. Oltretutto l’acqua infiltrandosi nel chicco favorirebbe lo sfaldamento durante la cottura.
  • Il modo migliore per consumare il riso senza perdere le sue proprietà è la cottura a vapore. Il riso infatti durante la cottura in acqua perde parte delle vitamine B1 e PP, a differenza del riso integrale che, grazie alla cuticola, conserva più vitamine del gruppo B.
  •  Si può combattere la cellulite anche col riso integrale. Perché? Semplice, perché contiene poche proteine, poco sale, pochi zuccheri e svolge un’azione diuretica. Tanta energia mantenendosi in linea!
  • L’Italia è il primo produttore di riso della Comunità; il 90% viene prodotto tra Piemonte e Lombardia. Pensate che per produrre un chilo di riso sono necessari dai 3.000 ai 10.000 litri di acqua! In Italia lo si classifica in quattro gruppi: comune o originario, semifino, fine e superfino.
  • Il merito dello sviluppo della risicoltura in Lombardia è anche di Leonardo Da Vinci che, verso la fine del ‘400, fu incaricato da Ludovico il Moro di disegnare i nuovi canali e i congegni idraulici per il progetto di riordino delle acque della Lomellina.  Funzionanti a tutt’oggi hanno dato nuovo impulso alla risicoltura e alla agricoltura della pianura padana.
  • Nel mondo esistono oltre 120.000 varietà di riso conservate nelle banche del germoplasma. In Italia la più fornita è a Castello d’Agogna nel Pavese, nel Centro ricerche dell’Ente Risi.

Personalmente amo molto i risotti… con i funghi, con la zucca, con la trevigiana, con il gorgonzola, persino con le ortiche e con le fragole!  Forse sarà per questa sua versatilità che potrei mangiarlo sia per pranzo che per cena! 😉

Per finire Confucio diceva: “Se vedi un affamato non dargli del riso, ma insegnagli a coltivarlo”

Fonte: Ente Nazionale Risi – Paolo Viana giornalista specializzato nel settore agroalimentare




Le vigne dello Schioppettino di Prepotto

Se penso che solo pochi giorni fa ero a Prepotto, sui Colli Orientali del Friuli, allora si che scatta la nostalgia…

Le mie origine friulane mi legano a quelle terre, tornarci, quando si presenta l’occasione, è sempre un vero piacere. In questo periodo autunnale poi, con i colori dei vigneti così belli, lo è ancora di più.

E’ per questo che non ho proprio resistito quando l’amico Paolo Ianna mi ha chiesto di raggiungerlo per una Wine Trekking Experience.

Conoscete Paolo? Bè, nel caso in cui non avete ancora il piacere, guardatelo in questo filmato in cui l’ho ripreso mentre spiega come riconoscere un vitigno dalla forma delle sue foglie.

Durante la nostra passeggiata in vigna, Paolo ha parlato di viticoltura riferendosi in particolare all’evento appena trascorso dedicato alla promozione della cultura dello Schioppettino di Prepotto.

Sentiamo come è andata…

  • Paolo, per chi ancora non lo conosce ti chiedo, come dire… la “Carta d’Identità” dello Schioppettino di Prepotto.

Cinzia. ti rispondo attingendo a piene mani da un approfondito articolo sullo Schioppettino letto sulla rivista di cultura territoriale “Tiere furlane – Terra friulana” uscito nell’Ottobre 2011 a firma di Maria Cristina Pugnetti, preparatissima giornalista freelance friulana.

“Lo Schioppettino, chiamato anche Ribolla nera, farebbe parte della numerosa famiglia delle Ribolle, tutte ben radicate in Friuli: la Ribolla gialla, in friulano Ribuele, è la varietà più conosciuta, coltivata prevalentemente sui colli di levante tra le province di Udine e Gorizia; la Ribolla verde che dovrebbe corrispondere al Prosecco lungo; la Ribuele spizade, che si identifica ancora con lo stesso Prosecco lungo secondo quanto rilevato dall’esame del DNA. Infine la Ribolla nera, un vitigno coltivato sui colli orientali, tra le due province sopra nominate, e aldilà del confine, in Slovenia. La Ribolla nera ha trovato nel territorio del comune di Prepotto la zona dove riesce ad esprimersi al meglio, attraverso il vino che ne deriva, noto col nome di Schioppettino o Pòcalza in sloveno. Il grappolo è di forma piramidale alata e di buone dimensioni. Gli acini sono leggermente oblunghi. Il gusto è piuttosto piacevole, tanto da essere comunemente consumata anche a tavola.”

  • Che cosa è emerso di sostanziale in queste giornate dedicate alla promozione dello Schioppettino di Prepotto?

Siamo riusciti, nei due giorni dell’evento Schioppettino di Prepotto “UNICO PER NATURA”, a divulgare l’esistenza di un vino già abbastanza conosciuto, attraverso un convegno che ne descrivesse la vita fin dalla sua comparsa. Abbiamo potuto spiegare e mostrare il “Vigneto Catalogo” realizzato nel 2005 dall’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto. Un vigneto che comprende tutte le varietà di questo vitigno trovate nella zona, e quindi un archivio da cui trarre orientamenti per nuovi impianti.

Una degustazione guidata di ben 16 Schioppettino di 16 diverse aziende di Prepotto, a dimostrare nel bicchiere l’impegno a realizzare un vino che riesce ad esprimere una forte personalità che emerge in ogni campione assaggiato nonostante gli indirizzi stilistici molto personalizzati. Potrei affermare che chi ha partecipato ne sia stato un po’ sedotto…

  • Sappiamo bene che i trattamenti in viticoltura, in parte necessari, condizionano il lavoro degli operatori direttamente coinvolti nei vigneti. Ma qualcosa sta cambiando. Nei primi mesi del 2014, infatti, entreranno in vigore normative a salvaguardia della salute dei viticoltori. Paolo, a te la parola.

Da gennaio 2014 entrerà in vigore la Direttiva europea 2009/128 che regola attraverso nuovi parametri totalmente diversi dal passato, l’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Attraverso una lungimirante e intelligente strategia si può trasformare l’applicazione della Direttiva (imposta), in una preziosa opportunità di sviluppo e di maggiore attrattività dei beni ottenuti con un tipo di agricoltura più attenta.

Sostenibilità e compatibilità sono i requisiti che devono e dovranno possedere i prodotti per conquistare o riconquistare i mercati di consumatori più attenti ed esigenti. Compatibilità a 360 gradi: ambientale, sociale e orientata ad incrementare la redditività delle aziende.

 

 

 




Lo sapevate che la zucca…

Ve l’ho detto mai che sono anche di origini mantovane…? Li la zucca è una vera e propria tradizione. Ricordo spesso con nostalgia quando mia nonna Gisella mi preparava i tortelli di zucca con gli amaretti e la mostarda piccante, sapori indimenticabili e irripetibili… si, perché così buoni, non li ho più assaggiati!

Zucch e melon à la sua stagion!

(La zucca e il melone vanno mangiati nella sua stagione)

Proverbio milanese

La zucca è un ortaggio originario dell’America Centrale ricco di vitamina A,  di minerali, di fibre e povero di calorie.

La sua polpa tritata è utile come lenitivo per le infiammazioni cutanee, mentre il suo estratto è indicato nei disturbi gastrici.

In cucina trova spazio in molteplici usi: dai primi piatti ai contorni, fino ad arrivare ai dolci.

Oltre a consigliare il consumo della zucca per l’alta digeribilità, si consiglia l’uso dei suoi semi per il buon apporto di ferro, magnesio e zinco… un ottimo spuntino energetico da sgranocchiare! 🙂

A proposito, quando si sentono espressioni come: ‘che zuccone che sei!’ oppure ‘hai la testa vuota!’ o ancora ‘metti un po’ di sale in zucca!’ è solo perché la parola zucca deriva dal latino ‘cocutia’ che significa testa. 😉

 




Lo sapevate che le foglie di ulivo…

Lo sapevate che le foglie di ulivo vengono impiegate per il trattamento dell’ipertensione grazie alla loro azione vasodilatatrice… Non ci sono studi certi, è vero, ma è vero anche che una volta essiccate, per tradizione contadina vengono utilizzate per stabilizzare gli stati di ipertensione.

A conferma di quanto scritto sopra, non hanno peso solo le tradizioni popolari.

Dovete sapere che ho contattato molte persone prima di scrivere quanto state leggendo. I più non sapendo cosa rispondermi, si limitavano a chiedermi di tenerli aggiornati dalle eventuali risposte alle mie ricerche. In realtà non ho scoperto nulla di nuovo, l’unica cosa certa è che l’Italia ha più di 530 tipi di cultivar, con una conseguente naturale vocazione, per una pianta come quella di ulivo, conosciuta per sue proprietà e per i suoi impieghi terapeutici fin dalle antichità da tutti i popoli del bacino del mediterraneo.

A tal proposito devo ringraziare per il supporto il Dr. Fausto Mearelli, di Lama San Giustino in provincia di Perugia. La lettura dei testi che mi ha inviato è stata utile per comprendere al meglio la questione.

Fu il Dr. Mazet, un medico di Nizza, che iniziò la sperimentazione delle foglie di ulivo nel 1938, utilizzandole con successo dopo averle testate per la cura di 38 suoi pazienti ipertesi. Venne somministrato loro un decotto, ottenuto facendo bollire 20 gr. di foglie di ulivo in 300 cc. d’acqua, ridotto fino al  volume di 200 cc.  Su 38 pazienti, 30 si stabilizzarono ottenendo un netto miglioramento in positivo, sui precedenti valori pressori. Queste esperienze vennero poi anche consolidate dalle ricerche dell’Italiano Dr. Di Nunno.

Detto questo… perché mai non provare a curare l’ipertensione anche con il decotto delle foglie di ulivo!  O siamo forse troppo pigri da preferire una pillola a un infuso?! Certo, a volte è necessaria, ma… che ci costa tentare?!

In fondo oggi vi ho raccontato solo una storia di terapie naturali… una storia che ci può fare solo bene alla salute!

A’ piedi del vecchio maniero che ingombrano l’edera e il rovo,

dove abita un bruno sparviero… a’ piedi dell’odio che, alfine,

solo è con le proprie rovine, piantiamo l’ulivo!

 Giovani Pascoli da “Canzone dell’ulivo”

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Fonti:  “L’Olivo come pianta erboristica

             Prof. Andrea Fabbri della Facoltà di agraria – Università di Parma 

             Dr. Maurizio Pedrazzini Erborista – Parma




Saper vedere… più che un senso una dote. Dripping Taste 2013 – Treviso

Nei giorni scorsi, a Treviso, ho partecipato ad un workshop guidato dal fotografo Mario La Fortezza, un corso organizzato dal Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana, inserito nel contest fotografico “Il Volto, il Gesto, il Gusto”. La sua finalità, quella di approfondire la conoscenza dei messaggi che il linguaggio corporeo, attraverso le immagini, ci fornisce nel tempo.

Avete mai visto il Cenacolo di Leonardo Da Vinci a Milano? Ebbene, quest’opera è molto di più di un dipinto parietale, è un condensato di messaggi da leggere attraverso simboli, espressioni, e segnali, che l’autore ha volutamente riservato agli occhi attenti e preparati. Se avrete modo di osservarlo, fatelo con l’attenzione che merita, vi assicuro che ciò che ne trarrete sarà indimenticabile…

Ho fatto questa premessa solo perché, quando guarderete questo mio reportage fotografico, vedrete ciò che hanno colto i miei occhi, quell’attimo fuggente che ho fermato per sempre in un’immagine. La cosa importante è che ‘vediate veramente’, senza fermarvi solo a guardare. Più che scatti sono richiami del cuore, trasmessi attraverso immagini per rivivere e rievocare ricordi. Nel condividerli a modo mio, invio messaggi ed emozioni… per chi sa vedere, e per chi sa coglierli…

L’incontro è conoscenza ed emozione…

E’ cosi, ne sono sempre più convinta. L’incontro è emozione, è scoperta, è ascolto, è arricchimento di vita… Intorno ad un tavolo, insieme al gruppo di persone che hanno partecipato a questa iniziativa, è incominciata così la nostra conoscenza.

L'incontro

L’incontro

Il vino è storia, è territorio, è passione… il vino unisce le persone.

Non potevamo che iniziare con un brindisi. Si brinda agli incontri, alle amicizie, alle vittorie… io brindo ‘alla salute’!

La Tordera - Costa del Mau Valdobbiadene

Il vino è storia, territorio e passione. Il vino unisce le persone.

Le chiavi di lettura delle immagini…

Mario ha pensato bene di iniziare a conoscerci con un piccolo test. Ciascuno di noi ha scelto, fra molte fotografie sparse sul tavolo, due che ci piacevano e una no. Dall’interpretazione personale di un’immagine si può capire molto di una persona…

La lettura delle immagini

La lettura delle immagini

Con i profumi si viaggia nel tempo…

Il profumo del cibo ci fa viaggiare nel tempo e nei ricordi, ma non solo… ci riporta con la mente a un territorio. In questi giorni ho conosciuto Vuance, o meglio, la dolce Viktoriya Litvinchuk.

I profumi del cibo

I profumi del cibo

Treviso… i giovani, l’agricoltura, e la terra.

Sono legata a questa città per le mie origini, per i ricordi d’infanzia, e per il territorio.

Ecco un giovane agricoltore che sistema ad arte del radicchio trevigiano… Che bell’immagine! Amo l’agricoltura, le fattorie, gli animali… non per niente sono una farm-blogger! 😉 Questo è il mio sogno di vita… convinta sempre più, che il futuro lo abbiamo sotto i  piedi.

I giovani e l'agricoltura

I giovani e l’agricoltura

Il coraggio di cambiar vita…

Ecco Andrea Fighera, un giovane uomo che ha deciso di dare una svolta alla propria vita. Ha lasciato il suo vecchio lavoro per dedicarsi alla produzione di formaggi nell’Azienda Agricola di famiglia “Vaka Mora”, a Sala d’Istrana.

Andrea Fighera dell'Azienda Agricola Vaka Mora. Il coraggio di cambiare.

Andrea Fighera dell’Azienda Agricola Vaka Mora. Il coraggio di cambiare.

La manualità…

Andrea Fighera intento nella rottura della cagliata mentre io, fase per fase, fermo e condivido le immagini. Peccato che non si possa trasferire anche il profumo…

La rottura della cagliata

La rottura della cagliata

La tenerezza degli animali…

E’ così… gli animali e i loro occhi mi trasmettono pace, tenerezza, e benessere…

La tenerezza

La tenerezza

Chef sotto i riflettori…

Cuochi o superstar? Argomento molto dibattuto ormai… Senza dubbio questo è il loro momento, ma siamo sicuri che non si sta esagerando? Più guardo quest’immagine e più penso che… la creatività viva nell’intimità.

Chef Mirco Migotto

Chef Mirco Migotto

Cucinare è un’arte…

E’ una scelta di vita che richiede impegno, conoscenza e creatività…  un’arte che richiede passione.

Cucinare è un'arte

Cucinare è un’arte

Gli artigiani del gusto

Gli artigiani del gusto fanno grande l’Italia nel mondo. La continuità dell’esperienza, di generazione in generazione, fa si che le tradizioni tramandate nella storia non si perdano. La Pasticceria storica Ardizzoni ne è un degno esempio.

L’artigianato. Pasticceria Ardizzoni

A proposito, questo ultimo mio pensiero è per te Mario. Dovevo scrivere due righe per ogni foto, lo so, mi scuserai, non sempre sono riuscita… Credo che l’hai capito, sono una romantica ribelle che agisce seguendo l’istinto e il proprio credo… ormai è tardi per cambiarmi.

I ragazzi di @trevisocomicbookfestival

Con i ragazzi di @trevisocomicbookfestival

Con @Cucinaallamoda

Con @Cucinaallamoda

Con Michela Pierallini

Con Michela Pierallini

 




Oggi son cavoli, o meglio… cavoletti di Bruxelles, miele e uvetta!

Tempo fa mi è stato chiesto se mi ritenessi una donna di cucina. Mah… devo confessare che sono più brava a mangiare che a cucinare… 😉 

Amo celebrare il cibo nei posti ricercati,  dove i cuochi, oltre che a cucinare raccontano la storia dei piatti, per dare il giusto significato a chi come me, ritiene che mangiare sia uno tra i maggiori piaceri della vita.

Il cibo va raccontato con le sue storie e le sue tradizioni, perché il legame che lo unisce al territorio e alla sua sua gente, è una naturale conseguenza della sua evoluzione.

Detto questo, a dimostrazione che chi si impegna si ingegna, mi metto ai fornelli! Oggi son cavoli, o meglio…cavoletti! 🙂

“Cavoletti di Bruxelles, miele e uvetta”

Ingredienti:

  • Cavoletti di Bruxelles (verdura tipicamente invernale ricca di vitamina C)
  • Uvetta passa
  • Barolo
  • Miele di melata
  • Cipolla di Tropea
  • Olio extra vergine d’oliva di quello buono
  • Sale quanto basta 

Procedimento:

  • In un tegame di terracotta fate ammorbidire in olio extra vergine d’oliva della cipolla di Tropea tagliata a fettine sottili. 
  • Unire i cavoletti di bruxelles tagliati a spicchi, l’uvetta precedentemente ammorbidita in un bicchiere di Barolo, e un cucchiaio di miele di melata.
  • Fate cuocere lentamente il tutto fino a che risulti armoniosamente amalgamato.
  • Sale e pepe quanto basta, e in ultimo un filo d’olio d’oliva evo (extra vergine di oliva).

Il miele di melata è leggermente amarognolo, meno dolce degli altri mieli. E’ l’unico che viene prodotto dalle api non utilizzando i fiori, ma da una sostanza zuccherina chiamata melata, prodotta da alcuni insetti. E’ presente solo in alcune piante come il tiglio, l’acero, la quercia e la roverella. Ha una quantità inferiore di zuccheri, ma una maggiore presenza di manganese, ferro, zinco, cobalto e di sali minerali. Questo rende il miele di melata un ottimo ricostituente naturale.

 




Avete mai provato le friselle all’acqua di… mare ?!

Ricordo che la prima volta che mi sono sentita proporre le friselle all’acqua di mare mi è sembrata una cosa così strana da farmi strabuzzare gli occhi! Poi, pensandoci bene, l’ho trovata di una bellezza tale da non poter non provare.

Ci pensate… una barchetta, due friselle, qualche pomodoro, una bottiglia di buon olio d’oliva e… il mare, ovviamente dov’è pulito! Che meraviglia! A proposito, mi son dimenticata una bottiglia di vino, possibilmente un buon rosso, come piace a me! 😉

Questa è la vita bella che piace a me…

Mi hanno raccontato che una volta i pescatori Salentini le preparavano esattamente così. Abitudini perse ahimè, in primis a causa dell’inquinamento che ci ha portato ad essere diffidenti, ma non solo, credo anche per aver dimenticato piccole e semplici tradizioni che a mio parere danno un tocco di poesia e romanticismo alla vita.

Le friselle sono una tipicità prettamente pugliese, un piatto povero le cui origini antiche si perdono fino al tempo dei fenici, che, sulle navi mercantili le mangiavano bagnate nel mare e condite con olio d’oliva.

Si preparano sia con farina di grano che di orzo; vengono cotte al forno una prima volta, e poi, dopo essere state tagliate a metà, una seconda. Una parte rimane ruvida, e l’altra liscia e compatta.

E’ solito dire che le friselle devono ‘rozzulare’ sotto i denti. Morbide si, ma anche croccanti!




E’ tempo di tartufi. Lo sapevate che…

Dunque, ora vi spiego. Qualche sera fa ho partecipato ad una serata in cui il  protagonista è stato un tartufo, e che tartufo… il  “tartufo bianco d’Alba”! 

Alberto Cirio, Assessore al Turismo e alla Tartuficoltura Regione Piemonte, presentato da Carlo Vischi, organizzatore della serata, ne ha descritto le peculiarità e ne ha raccontato la storia.

I tartufi non sono coltivabili, sono funghi ipogei ‘spontanei’ che compiono il loro intero ciclo vitale sotto terra. Crescono in aree ben determinate e in particolari condizioni ambientali, vivendo in simbiosi con le radice di alcune piante. La loro nascita è ancora avvolta in un mistero. Plinio racconta che un fulmine di Zeus, scagliandosi sulla terra, fertilizzò il punto da cui ebbe origine.  Comunque sia andata, io continuo ad amarne i profumi e i delicati sapori che trasformano un semplice piatto in una prelibatezza degna degli dei… 😉 

La location dell’evento è stata quella dell’Hotel Sheraton Milano Malpensa, mentre la predisposizione del menù è stata coordinata da Enrico Fiorentini, chef executive del Il Canneto, in collaborazione con i colleghi Walter Ferretto del Cascinale Nuovo di Isola d’Asti, e Bruno Cingolani de Le Scuderie del Castello di Govone. 

In passato, dopo aver visitato l’annuale Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, ho avuto modo di approfondire la conoscenza di questo fungo pregiato. Dal 12 Ottobre avrà inizio una nuova edizione, ben l’83esima che, con un ricco ventaglio di appuntamenti, ne celebrerà gli usi e le tradizioni.

Fatta questa premessa, visto che non si finisce mai di imparare, oggi vi parlerò di tartufi! 

Lo sapevate che…

  • Esistono molte specie, ma il tartufo bianco bianco d’Alba, il Tuber Magnatum Pico, è quella più pregiata e di maggiori dimensioni. Pensate che il suo valore si aggira intorno alle 250-300 euro l’etto. Il Piemonte è la regione in cui è più presente, ma si può trovare anche in Lombardia, sulle colline dell’Oltrepò Pavese, nel mantovano, e sia pur rarissimamente, nell’Italia centrale. 
  • Il tartufo contiene circa l’80% di acqua. È ricco di potassio, di calcio, di sodio, di magnesio, di ferro, di zinco e di rame. Comunque sia, il suo valore non incide in modo rilevante sull’apporto alimentare. Per gli appassionati è puro piacere degustativo. 
  • Un tempo il tartufo bianco d’Alba si conservava nel riso, ora, per la sua conservazione, viene consigliato di tenerlo avvolto in carta assorbente e in ambiente fresco con temperatura dai 3 ai 6 gradi. A garanzia del prodotto si vende in un sacchetto numerato riconducibile all’origine di provenienza.
  • Nell’Ottobre del 1990 si è costituita ad Alba l’Associazione nazionale città del tartufo per la promozione e la diffusione della cultura di questo pregiato fungo apprezzato nel mondo. La qualità viene determinata dal giudizio di esperti, uomini e donne, appositamente formati. 
  • Per valutare la qualità di un tartufo bisogna basarsi su ‘vista, tatto e olfatto’. Un tartufo deve essere ben pulito affinché i residui di terra non ne coprano i difetti. Al tatto deve essere compatto ma con una nota lievissima di elasticità, mentre al naso il suo odore è percepibile solo nel momento della maturazione. I suoi profumi ricordano l’aglio, il fungo e la terra bagnata. 
  • Per il cercatore di tartufi, che in Piemonte viene chiamato con il termine dialettale trifolau o trifulé, la buona intesa con il cane scavatore addestrato è fondamentale. La ricerca del prezioso fungo avviene da Settembre a Gennaio, e preferibilmente di notte, questo per non destare troppe attenzioni mantenendo segreti i tragitti seguiti. Da ciò è facile dedurre che la conoscenza del territorio è fattore essenziale per il buon esito della missione. La legislazione italiana prevede che la raccolta sia libera, sia che avvenga nei boschi che nei terreni non coltivati.

Oltre a questa pregiata qualità, ce ne sono molte altre con un prezzo più accessibile. Senza togliere l’indiscussa corona al tartufo bianco, cito ad esempio i tartufi neri pregiati, reperibili fino a Marzo, oppure tra Aprile e Maggio i bianchetti, o a Luglio gli scorzoni. 

Il tartufo bianco si pulisce bene ma non si sbuccia. A differenza di quello nero, non va cucinato. Viene utilizzato come condimento crudo, tagliandolo a fettine sottili su piatti poco conditi. Come me, ama i piatti semplici e non troppo elaborati. Forse è per quello che durante la serata l’ho apprezzato in particolare sul risotto e sulle uova.

Che sia anch’io un po’ trifulé ?! 😉

 

Fonte: “Alla scoperta del tartufo” – Slow Food Editore

 




Franciacorta Blanc de Blancs Cavalleri, una decima annata speciale

Un invito inaspettato e una promessa fatta da tempo, sono stati i due motivi che mi hanno convinta ad unirmi ai festeggiamenti della decima annata del Franciacorta Brut Blanc de Blancs dell’Azienda Agricola Gian Paolo e Giovanni Cavalleri di Erbusco, Brescia.

Una cuvèe ottenuta assemblando per lo più vini della vendemmia 2010, un’annata speciale dovuta ad un inverno rigido e secco, una primavera tiepida e poco piovosa, un Maggio e un Giugno contraddistinto da piogge, e infine il 6 Luglio una violenta grandinata con una perdita del circa 30 % di produzione.

Questi eventi hanno favorito la formazione di botrite (muffa nobile con effetti positivi sull’aroma del vino), che ha convinto l’azienda ad un dosaggio con una liqueur senza zucchero in una  bottiglia trasparente. Chardonnay 100 % proveniente per l’85 % dalla vendemmia 2010, e per il 15 % da quella del 2009.

Al mio arrivo mi ha accolto la cara Giulia Cavalleri, una donna dolce e gentile che ho incontrato di persona per la prima volta, ma non solo, lei mi ha coinvolto in una festa in cui erano presenti per lo più amici e clienti storici dell’azienda.

Quando controllando una mail, mi sono resa conto che era passato ormai un anno dall’ultima volta in cui c’eravamo sentite, quasi non ci potevo credere. Vorrei fare così tante cose, forse troppe, ma il tempo mi sfugge e passa veloce…

Dopo aver visitato le cantine ho raggiunto gli ospiti nella sala degustazione. Ero circondata da dipinti e ricordi di una famiglia, i Cavalleri, le cui origini antiche sono testimoniate da testi custoditi con cura nei loro archivi.

Proprietari terrieri nella zona di Erbusco fin dal 1450, ma produttori di vino solo dal 1967, anno in cui è stata riconosciuta la DOC Franciacorta.

Guardandomi intorno mi sono resa conto che non conoscevo nessuno, intendo persone legate al mondo della comunicazione. Ero perplessa e quasi stupita della cosa, forse perché ormai sono abituata agli inviti che puntano, più che alla conoscenza, alla diffusione dei marchi.

Siamo talmente presi, da perdere di vista l’importanza della condivisione e del piacere degli incontri; si è presenti, ma nello stesso tempo si è assenti. Io stessa faccio il mea culpa, e, nonostante la mia fama di gran parlatrice, a volte cado nell’errore.

Quindi decisa, ho iniziato col rompere il ghiaccio, o meglio, o iniziato assaggiando… 😉

Dal 1968 l’azienda porta il nome di “Gian Paolo e Giovanni Cavalleri” padre e figlio, che insieme hanno collaborato nella realizzazione della nuova cantina. Nel 1979 le prime 6000 bottiglie di Franciacorta, poi, nel 1990, la fondazione del Consorzio Volontario di Franciacorta composto da produttori e presieduto dallo stesso Giovanni Cavalleri.

Con gli anni l’azienda è divenuta sempre più a conduzione familiare, grazie alla collaborazione delle figlie di Giovanni, Maria e Giulia, e dei nipoti Francesco e Diletta.

Qualcosa però negli anni è cambiato. La decisione della famiglia Cavalleri di uscire dal Consorzio con l’azienda che ha contribuito a farne la storia, ha fatto scricchiolare il noto ‘fare sistema’ della Franciacorta. Personalmente sono convinta dell’importanza del “fare rete unendo le forze”. Proprio per questo ho chiesto a Giulia il motivo di questa svolta.

Sono stata combattuta nel pubblicare o meno la sua esaustiva risposta, ma poi, riflettendo, ho deciso di non farlo. Anche se in parte ne ha già reso noti i motivi, non mi interessa suscitare polemiche, mi limiterò a dire che la loro sofferta uscita dal Consorzio, del quale erano soci fondatori, è avvenuta cinque anni fa a causa di una non condivisione. Chissà che le cose possano cambiare…

 




“Ciao Cinzia, come funziona il mondo che vivi?”

Oggi ho ricevuta questa mail che pubblico solo in parte. Me l’ha mandata una persona che conosco da tempo attraverso qualche commento sui social network. Quando l’ho letta ho pensato che non sarebbe stata sufficiente una risposta scritta per spiegargli come la pensavo. Certe cose vanno dette ‘a voce’, o meglio ancora, ‘di persona’. Ritengo questo contatto fondamentale per la conoscenza e per la comprensione in ogni situazione che mi interessa approfondire.

Ciao Cinzia, scusa il disturbo, approfitto per chiederti alcune informazioni (in quanto profano), su come funziona il mondo che vivi, su come scrivere articoli sul mondo del vino e sulla ristorazione in genere. Sono entrato in amicizia con una direttrice di una testata web che mi chiede di “lanciarmi” scrivendo qualcosa inerente all’enogastronomia e inviando foto, che poi mi pubblicheranno. E’ un po’ che ci penso, anche perché sono in una situazione di grande crisi lavorativa e cercavo di trovare altri sbocchi, o almeno cominciare a diversificare un po’. Non so minimamente come funziona, mi chiedevo come “gira” il meccanismo, visto che bisogna muoversi visitando cantine/enoteche/eventi…etc. Vedendo quello che svolgi ti chiedo se mi puoi istruire un po’, per non essere totalmente impreparato quando entrerò in certi argomenti, soprattutto quelli di carattere economico…

Chi mi conosce sa quanto apprezzi l’uso dei mezzi digitali, questo per la possibilità che mi offrono di amplificare ciò che reputo opportuno condividere.  Ma attenzione, in primis amo scoprire con tutti i miei sensi quello che voglio conoscere, capire ed approfondire. E’ per questo che l’unica risposta che mi sono sentita di dare, è stata quella di scrivere un numero di telefono e una parola: chiamami.

Ci siamo sentiti poco tempo dopo. La prima cosa che gli ho detto è che il ‘ritorno economico’ sia pur giusto, deve avere la sua reale corrispondenza nella qualità del servizio offerto. “Non si vende nulla se non si garantisce la particolarità della prestazione”. E’  fondamentale l’esperienza, la preparazione, e la mente aperta alle nuove tecnologie.

La strada da percorrere è lunga. Alcuni arrivano prima, alcuni arrivano dopo e alcuni si perdono… ognuno segue il suo percorso. La cosa importante è rimanere se stessi, guidati dalla propria passione e non dalle onde del momento. Questo fa la differenza, la differenza fa il percorso…

Certo, lungo la strada imparando si cresce, questa è la naturale evoluzione delle cose, che però non deve oscurare le scelte inizialmente intraprese. Il carattere, l’istinto, la semplicità sono doti essenziali che, insieme all’umiltà, mettono in rilievo la persona. Saper tenere i piedi ben saldi per terra, continuare ad imparare, conoscere le persone, condividere esperienze e saper trarre in ognuna i giusti insegnamenti. Non ci sono segreti, l’importante è rimanere se stessi.

A conclusione gli ho raccontato di come ho iniziato a scrivere visitando e raccontando la storia di una vignaiola di Aosta, della tanta strada percorsa negli ultimi tre anni, delle molte esperienze, delle tante persone conosciute, delle delusioni ma anche delle emozioni. Come tutti ho dei sogni e delle speranze, e con queste ogni giorno vado avanti…

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