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In Italia ci sono circa 7450 km di coste ma la pesca sta morendo. Qualcuno me lo spiega?!

Fino a poco tempo fa mi occupavo di organizzazione e di ottimizzazione delle risorse, in realtà me ne occupo ancora, perché applico questi principi a tutto quello che faccio.

Oggi la mia provocazione parte da qui.

Negli ultimi mesi sono stata a Taranto, a Crotone, a Pozzuoli, a Fiumicino… insomma sono stata in posti di mare, ma soprattutto in posti dediti alla pesca. Per capire meglio questo settore, ho tentato di avvicinarmi cercando di organizzare un’uscita notturna con i pescatori, per seguire il loro lavoro, per capire parlando e vivendo con loro. Purtroppo il maestrale non mi ha favorito, bloccando ripetutamente i miei piani.

Sono una testa dura, qualcuno direbbe una testa calda, in realtà sono una passionale e un’idealista, e non mi arrendo facilmente. Proprio per questo ho continuato ad approfondire l’argomento… per capire. L’ho fatto a Napoli, a Taranto, a Crotone e a Fiumicino. Mi fermavo e parlavo con loro, alcuni erano diffidenti, mentre altri, dopo aver capito il mio reale interesse, mi spiegavano.

Persone combattute, deluse, stanche, quasi arrese dallo stato delle cose, persone da ascoltare. Sono ben conscia che vivere le difficoltà di ogni giorno è cosa ben diversa che scriverne e parlarne.

Amo il mio paese e la sua gente, parlando con loro vivo il territorio, da nord a sud. Mi sostiene la passione e l’entusiasmo, anche se a volte è messo a dura prova dalle delusioni. Ma è questione di un attimo, perché basta una spallata per ‘farmi reagire e agire’ con l’unico mezzo che ho: ascoltare le persone e farmi interprete della voce della gente, quella che lavora, i veri Italiani.

Detto questo passo al punto, perché io voglio capire…

  • In Italia ci sono circa 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo. Qualcosa non quadra, qualcosa che io non riesco a capire, soprattutto in un periodo di crisi come questo, in cui ottimizzare ciò che ci rimane dovrebbe essere questione prioritaria. Qualcuno mi definirà noiosa, persino logorroica nel sottolineare continuamente, in ciò che scrivo, gli stessi concetti.
  • In Italia la moda, il turismo, l’agricoltura, la pesca, l’enogastronomia sono settori trainanti, e in quanto tali vanno favoriti al massimo i loro percorsi. Purtroppo non è così. Continuo a non capire…

Questi sono giorni caldi, giorni di profonda crisi. Non si parla altro che di giochi di poteri di politicanti stipendiati dall’Italia che lavora, che se lo ricordino bene! Io non voglio parlare di loro, mi logora, mi da la nausea, lo trovo inutile e frustrante. Io voglio parlare delle nostre produzioni, degli Italiani, dei loro disagi.

Ribadisco un numero importante, una nostra ricchezza che come tale va valorizzata. Abbiamo 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo.

Mi dicono che a Mazara del Vallo negli ultimi anni da 380 pescherecci ne sono rimasti 80, a Fiumicino sette anni fa ce n’erano 45, ora ce ne sono 25, a Crotone sta succedendo la stessa cosa. I pescatori sono in ginocchio. Si sta distruggendo una delle realtà economiche più importanti.

Mi dicono che a fine Settembre per un mese ci sarà il fermo biologico per il ripopolamento dei mari. Un fermo per la pesca a strascico che però riguarda solo i pescherecci. Non ferma la piccola pesca. Ma vi chiedo, è realmente piccola? Una volta la piccola pesca usava reti alte un metro e mezzo, oggi arrivano a 12 metri. Una volta si fermavano a 3 miglia nel mare, oggi si fermano a 10…

Perché non fermare tutti, e non per un mese, ma per un anno! E poi, perché permettere uscite di 14 ore in mare! Andrebbero permesse al massimo 8 ore! Sono parole dei pescatori, quelli che amano il mare, quelli che non lo sfruttano.

Il loro primo problema è il caro gasolio, il secondo è la burocrazia e le istituzioni che non li aiutano come dovrebbero, il terzo è l’abusivismo…




Due ‘donne col cappello’ in Pizzeria da… Francesco e Salvatore Salvo!

Dove eravamo rimasti con le ‘donne col cappello’?! Ah si, eravamo rimasti che io e Giulia Nekorkina, dopo il tour in Costiera Amalfitana, ci dirigevamo a Napoli con lo sguardo incantato rivolto al Vesuvio…

Si, perché finalmente avevo organizzato, con l’aiuto dell’amico Giustino Catalano, un incontro a San Giorgio a Cremano in provincia di Napoli, con Francesco e Salvatore Salvo, pizzaioli da tre generazioni.

Due donne col cappello, una lombardo-veneta e una romano-moscovita, in giro per Napoli a dare colore alla città!

Se penso alle espressioni degli addetti della pizzeria al nostro arrivo, mi scappa ancora da ridere! Chissà cosa avranno pensato?! Bè, in tutti i casi lo stupore è durato proprio poco, perché, appena entrate, hanno prevalso i sorrisi e le strette di mano! 😉

Conoscevo già Francesco e Salvatore Salvo grazie ad alcuni nostri scambi di mail, e, attraverso i racconti che Giustino mi faceva di loro. Ricordo le parole che mi ha detto la stessa mattina che li ho incontrati…  “Cinzia, vedrai che due ‘marcantoni’ che ti troverai davanti!” Bè, devo ammettere che aveva proprio ragione! 🙂

Due donne col cappello e... Salvatore e Francesco Salvo

Due donne col cappello e… Salvatore e Francesco Salvo

A parte gli scherzi, posso dire con certezza che dopo averli ascoltati, dopo i molti sorrisi, dopo le mie piccole provocazioni con l’unico scopo di far si, che la persona, quella vera, si riveli, mi sono complimentata per il lavoro che stanno svolgendo.

Mentre Giulia approfondiva le tecniche degli impasti con Salvatore, io, con un orecchio ascoltavo loro, e con l’altro chiacchieravo con Francesco sui loro prodotti, sui loro progetti e su quanto stanno facendo sul territorio. Ovviamente oltre che ad ascoltare, ci siamo sacrificate anche ad assaggiare! Ahhh che sacrifici in ‘sta vita, direbbe il mio amico Martin!

Nei loro discorsi ho apprezzato molto sentire parole come semplicità, entusiasmo, orgoglio, passione, rispetto per la cultura del territorio e per la tradizione familiare. Ma non solo, perché la cosa che mi ha fatto più piacere, è scoprire che sulla loro Carta delle Pizze promuovono alcune piccole realtà agricole di cui utilizzano i prodotti. E io, quando sento parlare di promozione di aziende agricole, mi illumino!

Altra loro collaborazione è quella con gli chef stellati di varie regioni italiane che, ‘interpretando’ la pizza in modo personale, hanno dato vita alle ‘pizze stellate’. Parlo di quella di Antonio Cannavacciuolo del Ristorante Villa Crespi, di Nino Di Costanzo del Ristorante Il Mosaico, di Gennaro Esposito del Ristorante Torre del Saraceno, a cui si sono aggiunti recentemente Chicco Cerea del Ristorante Da Vittorio, Davide Oldani del Ristorante D’O, e Mauro Uliassi del Ristorante Uliassi.

Dopo averli finalmente conosciuti, dopo averli guardati negli occhi, ora si, ora posso dirlo, ho visto in loro la voglia di fare bene… la voglia di fare insieme. In questo momento così difficile per l’Italia le sinergie sono di fondamentale importanza. 

In questa storia avrei potuto scrivere di impasti e di pizza, ma io scrivo partendo dalla conoscenza delle Persone. Attraverso le mie visite riesco a capire meglio il loro lavoro e i loro prodotti, scrivere di loro, quando lo ritengo opportuno, mi permette di farle conoscere.

Uscendo quel giorno, ho salutato degli amici. Io vivo così le persone, non avrebbe altro senso per me, soprattutto per  l’amore che metto in quello che faccio.

Li ho salutati con queste parole: “Ragazzi, state andando alla grande, voi potete molto per questo territorio, per le sue produzioni e per la sua gente. Piedi ben saldi per terra, sempre, non ascoltate i venti cattivi, la cosa importante è che andiate avanti per la vostra strada, con coerenza, seguendo il vostro credo. Tutto il resto, verrà da solo…

Questa è la filosofia che applico a questa mia seconda vita, una vita dalle molte emozioni…

 




Una bionda lombardo-veneta e una rossa romano-moscovita lungo la tratta: “Roma Salerno Napoli” …due donne col cappello!

In un tempo ormai passato, programmavo i miei viaggi organizzando tutto al minuto. Predisponevo tappe, visite, soste, pianificando ogni cosa alla perfezione. Non è che ora non lo faccia più, visto che, la mia naturale propensione all’organizzazione non me ne potrebbe proprio far fare a meno! In realtà, la cosa che è veramente cambiata, è la leggerezza con cui vivo il viaggio, diciamo che mi lascio andare al fato… chiacchiero, sorrido, scherzo, unendo alla conoscenza l’emozione dell’attesa e della scoperta.

Ho fatto questa premessa per farvi capire lo stato d’animo che mi ha accompagnato durante il mio ultimo tour verso Roma. Li mi attendeva un’amica, Giulia Nekorkina, con la quale si è deciso di rivivere insieme una vacanza percorrendo la tratta “Roma Salerno Napoli”. Due donne, una bionda lombardo-veneta e una rossa romano-moscovita, che in sei giorni hanno condiviso momenti allegri e momenti tristi, ricordi, pensieri, paesaggi, emozioni e… due cappelli! 😉

Ebbene, lo dichiaro: “amo i cappelli”, a volte li compro e a volte me li faccio. Li indosso nonostante gli sguardi straniti della gente non più abituata allo stile femminile dei tempi in cui era più diffuso l’uso. Tempo fa ne avevo promesso uno a Giulia confezionato da me e…  quale migliore occasione per mantenere la parola data se non questa. L’ho conosciuta poco tempo fa. Di lei mi avevano colpito alcune frasi che scriveva su un noto social network. Nelle sue parole si avvertiva il dolore, ma nel contempo, la forza e la voglia di ricominciare… la stessa che riconosco in me.

Dopo un nostro incontro a Milano, dopo aver parlato a lungo ascoltandoci a vicenda in quello che ognuna sentiva di raccontare della propria vita, per un periodo ci siamo scritte. Un giorno, dopo averle espresso la mia nostalgia per Napoli e per la Costiera Amalfitana, lei decisa mi ha risposto: “Cinzia, potremmo andarci insieme!” E’ bastato solo un attimo per decidere…

Sono partita in treno un sabato pomeriggio combinandone subito una delle mie! Praticamente, appena salita sulla carrozza mi sono resa conto di aver dimenticato la borsa con i cappelli dopo averla appoggiata a terra per fare una foto! Nooo, mi son detta! Sono scattata come una molla dal sedile chiedendo ad una persona di custodirmi la valigia, peccato che il treno sarebbe partito da li a tre minuti… Dovevo agire in fretta! Mi sono precipitata verso il recupero tra fiocchi, tacchi, e nastri fuxia tra i capelli che svolazzavano. Io correvo da una parte in cerca della borsa, e un addetto correva dalla parte opposta cercando una ‘smemorata’. Fortunatamente ad un tratto ci siamo incrociati, e con mia grande felicità… cappelli recuperati! 😉

Tre ore dopo ero a Roma. Salutata Giulia che mi era venuta a prendere alla stazione, ero pronta per dare inizio alla nostra avventura. 🙂  Tra le tante cose programmate, era prevista la sera stessa del mio arrivo, una cena con… “Quelli dell’Ideal Bar”, un gruppo di carissimi amici conosciuti ormai anni fa, attraverso i commenti nel salotto del bar virtuale del mio caro Giorgio Ferrari.

Il giorno seguente con Giulia abbiamo visitato il Porticciolo del Faro di Fiumicino, un luogo suggestivo, adatto per meditare, vicino a Roma ma lontano dalla frenesia, un luogo per parlare con i pescatori e vivere il mare. Lungo la strada, mentre tornavamo, Giulia mi descriveva Fiumicino raccontandomi delle sue case e della sua storia. Ad un tratto l’ho vista fermarsi ad osservare una vecchia abitazione dall’interessante struttura.  Quella casa da tempo la incuriosiva, e la tentazione di visitarla ogni qual volta passava davanti era tanta. Bene, era ora di rimediare. Guardandola le ho detto: “Ma perché mai, ove possibile, non dovremmo esaudire i nostri desideri?!”  Quindi, sotto la pioggia, abbiamo scavalcato e… curiosato!

 Era ora di partire… Prima tappa, Vietri sul Mare, cittadina in provincia di Salerno dichiarata dall’UNESCU nel 1997 patrimonio dell’umanità. Chi mi conosce sa che amo parlare con la gente…  il modo migliore per conoscere i territori che si visitano. E’ così che abbiamo incontrato la signora Irene Avallone, che, dopo averci fatto i complimenti per i cappelli, ci ha raccontato la storia della fabbrica artigianale delle ceramiche Avallone. Una storia d’artigianato tipico che continua da ben quattro generazioni…

Vietri sul Mare

Vietri sul Mare

Era arrivata ora di pranzo. Giulia ricordava di essersi fermata anni prima in un ristorantino tipico di Cetara con una terrazza sospesa sul mare. L’abbiamo trovato. Per chi ha la fortuna di vivere questo luogo non servono parole, qui serve solo il silenzio, mentre, godendosi il cibo si guarda all’orizzonte…

Ravioli

Ravioli di ricci di mare in guazzetto di cernia e vongole veraci – Ristorante Falalella – Cetara

Cetara

Cetara

Soddisfatte abbiamo continuato il nostro tour proseguendo verso Maiori. Una volta arrivate il mio sguardo si è soffermato sulle coltivazioni terrazzate rivolte al mare. Una vista suggestiva che mi ha fatto pensare al laborioso lavoro degli agricoltori della zona.

Maiori

Maiori

Un viaggio se vissuto nella sua completezza, necessita della conoscenza della sua gente, dei suoi territori e delle sue tipicità. A Minori per l’appunto, ci siamo come dire sacrificate, quando, passando davanti alla nota pasticceria della zona ‘Sal De Riso‘, non abbiamo potuto fare a meno di fermarci per qualche assaggio… 😉

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Era la volta di Amalfi, antica cittadina marinara che, con i suoi scorci e le sue viste distoglie da qualsiasi brutto pensiero. Qui abbiamo passeggiato a lungo percorrendo viuzze ricche di voci, di colori, e di tipicità.

Amalfi

Amalfi

Il nostro percorso proseguiva in direzione Positano, una città dal nome noto in cui non ero mai stata. Prima di arrivare, lungo la strada, ci siamo fermate in un punto che permetteva lo sguardo sulle luci di una Positano su cui calava la notte.

Una vista da vivere in silenzio… ‘magia, poesia, sogno’ sono state le uniche parole a cui ho pensato.

Positano

Giunta sera il mio sguardo era rivolto al mare di Sorrento… Omero nell’Odissea la descriveva come la terra delle sirene, che, con il loro canto tentarono invano di convincere Ulisse a  sbarcare.

Qui, nel 1544 è nato il poeta Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata. A lui è dedicata la piazza principale della città.

Sorrento

La nostra vacanza insieme è continuata a Pozzuoli, una città marinara fondata da un gruppo di esiliati dell’isola greca di Samo. Da tempo avevo organizzato un’uscita notturna con un peschereccio. Volevo seguire i pescatori, anche solo per una volta, per capirne meglio il lavoro. Peccato che il vento di tramontana per ben due notti consecutive ha fatto andare in fumo i miei piani. Questo è il peschereccio su cui dovevamo salire.

Pozzuoli

Per consolarmi, insieme a Giulia e ad Antonio Chiocca, pescatore e nostra guida a Pozzuoli, abbiamo passeggiato per la città visitando il Tempio di Serapide, l’antico mercato dei romani chiamato anche mercato di Puteoli, l’originario nome di Pozzuoli. Viene considerato un tempio perché durante gli scavi, nel 1750, è stata rinvenuta la statua del Dio Egiziano Serapis.

Tempio di Serapide

Dopo Pozzuoli abbiamo proseguito verso il centro di Napoli. Durante la strada la bella vista del Vesuvio, il vulcano in stato di quiescenza la cui ultima eruzione risale al Marzo del 1944, ci ha piacevolmente accompagnato. 

Li abbiamo incontrato amici finalmente ritrovati e, come si suol dire, non finisce qui…

Vesuvio




Due chiacchiere con… Eugenio Peralta. Un uomo o una locusta?

Blog: L’uomo è una locusta

Eugenio Peralta, uno dei fondatori del sito-blog “L’uomo è una locusta”.

Ci siamo conosciuti a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esprimere la nostra esperienza nell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete. Come con tutti gli altri relatori del gruppo, ho voluto approfondire la sua conoscenza con una mia intervista, o meglio, con le mie: “Due chiacchiere con… ”

Oggi è il suo turno, vi presento Eugenio Peralta!

Conquistato come me e come molti altri dal fascino dell’enogastronomia, ha maturato un interesse sempre più vivo per le materie prime e per le storie che stanno dietro a una tradizione culinaria. Per il suo sito ha scelto una definizione un po’ azzardata, “L’uomo è una locusta”, vediamo di capire il perché…

Il National Geographic definisce le locuste insetti parenti delle cavallette, che, aggregate ad un gruppo, formano sciami fitti e voraci capaci di devastare intere piantagioni con ingenti danni all’agricoltura. A questo punto mi chiedo: “Ma veramente l’uomo è una locusta?”

La parola a Eugenio, un uomo o una locusta?!

Sono sicuro che molti dei miei conoscenti risponderebbero senza alcuna esitazione “una locusta”, ma in realtà scogliere il dubbio è impossibile perchè i due concetti coincidono: come recita il presupposto fondamentale della nostra associazione, ogni essere umano è portato per natura a consumare inerosabilmente tutte le risorse a sua disposizione, lasciando terra bruciata dietro di sé. Proprio come una locusta, appunto.

  • ‘L’uomo è una locusta’, direi un paragone un po’ azzardato…

Il paragone ha indubbiamente qualcosa di inquietante, ma se applicato alla (buona) tavola può avere anche risvolti molto piacevoli. Io e le altre Locuste fondatrici abbiamo scoperto per caso questa comune vocazione allo “spazzolamento di tovaglie” nel corso di un viaggio lungo la costa adriatica, nella lontana estate del 2003, e in qualche modo abbiamo tentato di condividerla con un pubblico più o meno vasto: prima creando un tradizionale sito statico – locuste.org – poi declinandolo in tutte le modalità suggerite o imposte dalle regole del web 2.0, da Twitter a Facebook passando per l’immancabile blog.

  • Quali sono i contenuti del vostro sito-blog?

I contenuti sono recensioni di ristoranti, con tanto di voti, giudizi e classifiche di merito. Attività innegabilmente simile a quelle di altre centinaia di siti, blog e comunità dedicati allo stesso argomento, spesso molto più rispettabili di noi. In quanto Locuste, però, nel nostro lavoro adottiamo qualche peculiarità distintiva: prima di tutto un parametro di valutazione molto particolare, basato sulla “quantità”, ossia sull’abbondanza delle porzioni. In tempi di nouvelle cuisine, le Locuste difendono con forza il principio che al ristorante si deve mangiare, e non soltanto assaggiare… senza per questo trascurare le altre fondamentali caratteristiche del locale da valutare: la qualità degli ingredienti e delle preparazioni, il servizio (inteso anche come ambientazione e location), e naturalmente il prezzo.

  • Che cosa rappresenta per te “L’uomo è una locusta” ?

Sito e blog per me sono sempre stati un hobby, per quanto a volte dispendioso in termini di tempo e di impegni, mentre il giornalismo con il tempo è diventato almeno in parte il mio lavoro: per questo non ho tardato a unire l’utile e il dilettevole, cercando per quanto possibile di arricchire i nostri spazi web con interviste originali, riflessioni sugli spunti più interessanti offerti dal settore, reportage dalle principali manifestazioni enogastronomiche, dal Vinitaly al Salone del Gusto. L’approccio, comunque, è rimasto in gran parte quello scanzonato e goliardico degli esordi: per rendersene conto basta partecipare a uno dei nostri raduni al Crotto da Gusto, vero locale-totem dell’associazione.

  • Le vostre recensioni hanno mai avuto seguito?

Abbiamo ricevuto numerose critiche, qualche mail minacciosa e un paio di annunci di querele (stranamente mai concretizzatisi!) da parte di ristoratori poco soddisfatti del nostro operato. Purtroppo il mondo non è fatto soltanto di cucine a tre stelle e anche laddove qualcosa non funziona, a nostro avviso, è il caso di parlarne, in una logica di servizio nei confronti del lettore. Spesso, insieme a molti altri blog “amatoriali”, siamo stati accusati di dilettantismo: anche in questo caso, però, mi sento di rivendicare il nostro diritto a esplorare, informare ed esprimere le nostre opinioni, per quanto poco qualificate possano sembrare.

  • Eugenio, puoi dirmi se, nonostante l’impegno e le critiche, ti senti soddisfatto?

Si Cinzia, questa mia passione mi ha consentito di incontrare nuove persone e nuove fonti di ispirazione. L’utopia è trasformare tutto questo in una parte del mio lavoro, il sogno è offrire spunti d’interesse e informazioni utili a chi ne ha bisogno. L’aspirazione a breve termine, invece, è più modesta: vorrei che la gente si fidasse delle pagine del nostro sito e smettesse di chiamarmi al telefono quando ha bisogno di un ristorante…




Le ruote della vita, da calzolaio a ristoratore in un trullo di Martina Franca.

Peppino è solito dire… “Com dsc u cor toq”

Peppino, prima calzolaio e poi ristoratore. Tutto iniziò nel 1969 quando, ereditando un trullo poco distante dal centro di Martina Franca a Taranto, decise di intraprendere con sua moglie un’attività di ristorazione basata su piatti di cucina casalinga, tipici del territorio.

Il 3 giugno scorso hanno festeggiato cinquantasei anni di matrimonio.  Da questa unione sono nati tre figli, due dei quali collaborano con lui attivamente nel locale di famiglia, la ‘Trattoria delle Ruote’.

Ho conosciuto Giuseppe Ceci, Peppino, in una sera d’estate di poco tempo fa. Mi hanno portato degli amici dopo una passeggiata nella bella Martina Franca, cittadina elegante e ricca di storia nel cuore della Valle d’Itria. Il Prof. Piero Marinò la ricorda così:

“Qui mangi pane e barocco” intitolava nel giugno del ’97 la rivista ‘Bell’Italia’ a proposito del centro antico di Martina Franca. Fu il ceto dei galantuomini che, nella seconda metà del Settecento, decise di rendere  visibile la propria potenza economica avviando un processo di ristrutturazione e abbellimento delle vecchie case ‘a corte’ (piccole masseriole in paese), che costituivano le residenze dei signori.

Il paese si trasforma, come per incanto, in un autentico museo diffuso: portali barocchi e rococò, impreziositi da cartigli e cariatidi, capitelli  corinzi e piccoli  satiri, punteggiano le vie del paese. Panciuti ed eleganti balconi in ferro battuto occhieggiano dall’alto dei palazzi. Gli interni delle residenze vengono abbellite da affreschi nei saloni destinati all’accoglienza, ad incontri galanti, a piccoli concerti musicali.

Era giunta l’ora di cena, e la voglia di passare una serata in un locale tipico e ricco di storia ha fatto cadere la scelta su una Trattoria di quelle che piacciono a me, quelle con la T maiuscola, quelle dove l’atmosfera è calda e accogliente…

Con Peppino sono entrata subito in sintonia. Mentre lo ascoltavo nei suoi racconti guardavo l’espressione del suo viso tipica degli uomini vissuti con passione, tra lavoro e tanti sacrifici. A dire il vero qualcosa mi sono persa, ma solo perché il suo stretto parlare in tarantino non mi ha permesso di capire tutto.

Quella di Peppino è stata una vita di grande passione per la terra, per il cibo, ma anche per la storia. Quando ha capito che i miei interessi erano simili ai suoi, mi ha ‘letteralmente preso per mano’ conducendomi alla visita del suo museo. Una ricca collezione di reperti storici che mi hanno fatto perdere la cognizione del tempo fino a che, richiamata per la cena, ho raggiunto gli amici al tavolo. Quella sera farmi sedere è stato davvero faticoso…

Non solo Angelo, suo figlio, mi ha parlato di lui. Lo ha fatto anche un altro Angelo, in questo caso suo nipote.

Cinzia, zio Peppino è un uomo unico, un’ instancabile lavoratore vissuto all’insegna del sacrificio e del rispetto altrui.  La sua simpatia è contagiosa.  E’ un uomo umile che trasmette serenità, un buon esempio per tutti noi. Ho un ricordo di qualche estate fa , quando, nella trattoria dello zio Peppino andò in scena uno spettacolo stupendo, quanto inaspettato ed improvviso, uno dei ricordi più belli della mia vita.

Ero a cena, seduto ad un tavolo davanti al trullo con una coppia di miei amici musicisti veneti. In quell’atmosfera unica, con le cicale in sottofondo e sotto ad un cielo stellato, degustavamo  in allegria tutto ciò che di buono la dolce zia Graziella aveva preparato. I miei amici erano entusiasti e felici di aver scoperto la Puglia, sia per la cucina che per l’arte. Ad un tratto decisero di regalarci qualcosa per ricambiare. Chiesero una chitarra che noi trovammo nel giro di una mezz’ora e… ecco la magia! Iniziarono a suonare dando vita ad un concerto inaspettato.  Al tavolo cantavamo tutti, e pian pianino anche gli altri avventori si avvicinavano a noi fino a formare un solo coro di voci e di applausi.

Sotto quella luna tutto sembrava surreale…  Siamo andati avanti per ore, fino a notte fonda, perché nessuno voleva andar via, nessuno voleva rompere quell’incanto che la musica aveva creato. E’ un ricordo prezioso che ho vissuto in un luogo magico. I miei amici erano  il chitarrista Marco Anzovino e la cantante Marnit Calvi.

Anch’io non dimenticherò la sera passata li… Salutandomi Peppino mi ha detto: “Cinzia, a rumaste cuntente?” La mia risposta è stata un sorriso, e un deciso si!




L’importanza di credere in se stessi… Vi presento Jenny Maggioni

Jenny Maggioni, capo redattore di Food&Beverage, mensile di enogastronomia. Ci siamo conosciute a Varese in occasione della manifestazione di Social Gusto, in cui si è trattato, con giornalisti e blogger, dell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete.

Ricordo ancora la sua risposta entusiasta, quando, ormai tempo fa, le dissi che avrei scritto di lei: “Cinzia, wow! Che onore! Ma non sono così importante!  Grazie davvero per questa opportunità! Io sto ancora crescendo… Social Gusto per me è stata una grande occasione umana e professionale. Magari la mia storia può servire a qualcuno, visto che non ci credevo nemmeno io!

Dobbiamo imparare a credere più in noi stessi, troppo spesso ci sottovalutiamo mettendo a rischio le nostre potenzialità. La cosa importante è non perdersi seguendo l’onda del momento, perché è il nostro credo che fa di noi quell’essere unico che fa la differenza. Certo, a volte così si rischia la solitudine, ma non c’è altra strada se non vogliamo perdere quell’entusiasmo che talvolta fa scattare in noi quel guizzo di genialità spesso messo in letargo…

Ma ora vi presento Jenny, la sua strada è ancora lunga…

Jenny Maggioni ha iniziato la sua esperienza giornalistica a montagna.tv, quotidiano online dedicato per l’appunto al turismo di montagna. Qui ha imparato l’importanza del lavoro di squadra, che poi, ha applicato alle redazioni nelle esperienze successive.

Negli anni a seguire, uno stage in un sito online di eventi di Bergamo e provincia, e successivamente l’approdo al mensile e quotidiano online di enogastronomia ‘Italia a Tavola’, l’hanno condotta fino alla sua nuova avventura di caporedattore nel mensile ‘Food&Beverage’.

Un altro suo sogno avverato è stato quello di scrivere per il suo quotidiano preferito, ‘style.it’. La soddisfazione poi, di veder pubblicato un suo articolo su ‘Il Fatto Quotidiano’ nella sezione donne di fatto, l’hanno portata a credere che l’impegno, la volontà, e soprattutto la determinazione nel credere in se stessi, siano elementi fondamentali nei traguardi della vita.

Jenny, voglio dedicarti le parole dello scrittore e poeta Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882),  leggile con attenzione…

Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d’occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti.

 È facile, nel mondo, vivere secondo l’opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l’uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l’indipendenza della solitudine. Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi.

Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tutta la storia si risolve agevolmente nella biografia di poche persone vigorose e serie.




L’onda di vigne di Serpito

Guardate questa immagine… un’onda di vigne. Mi sembra di essere ancora li, ferma a guardare un vigneto che il dolce saliscendi delle colline ha trasformato in un’onda. Uno spettacolo della natura che l’uomo inorgoglisce con le sue cure.

Ora chiudo gli occhi, e con la mente torno in Calabria. Sono in località Serpito, a Strongoli, in provincia di Crotone.

Questa realtà nata alla fine del 1800 è stata fondata da Felice Russo, che, dopo aver lavorato nel West Virginia, e successivamente a New York, dopo vent’anni ha fatto ritorno in Italia investendo a Strongoli, nell’azienda di famiglia che oggi è alla quarta generazione.

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Un’onda di vigne

Strongoli, terra di grande storia il cui nome antico è Petelia.

Tra il I’ e il II’ secolo a.C. in cui è stata colonia romana, ha partecipato attivamente alle guerre puniche che videro coinvolto Annibale. A testimonianza, nelle vicinanze dell’azienda, è possibile visitare la Pietra di Tesauro, la tomba del Console Marcello deceduto nella battaglia contro i Cartaginesi guidati da Annibale.

L’Azienda Agricola Russo & Longo si estende su una proprietà di 53 ettari complessivi, di cui 35 coltivati ad olivo per la produzioni di olio DOP, e 18 dedicati al vigneto. I vitigni autoctoni allevati sono il Gaglioppo, il Greco Nero, la Malvasia Bianca e Nera, il Greco Bianco, e il Sangiovese

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Azienda Agricola Russo e Longo

Una realtà produttiva ben consolidata grazie ai buoni insegnamenti trasmessi dai predecessori. A questo proposito mi torna in mente una frase quasi scontata ma non più attuale, che Giuseppe Russo mi ha detto accompagnandomi durante la mia visita; suo padre, Salvatore Russo, era solito dirgli: “Se devi spendere 10, devi avere almeno 12 !”

Oggi è tutto il contrario, forse è il caso di rifletterci sopra…




Aldo Quinto Lazzari, “La storia dell’uomo attraverso il cibo”

Il passare del tempo è inesorabile, tic tac tic tac tic tac… spetta solo a noi decidere l’intensità di come vogliamo viverlo.  

Per quanto mi riguarda ho vissuto gli ultimi tre anni come se ne avessi vissuti dieci, e i precedenti dieci, come se ne avessi vissuti tre. Forse perché sento la necessità di recuperare tutto quello che non ho vissuto, o forse, più semplicemente, perché ora cerco di vivere tutto quello che posso.

E cosi continuo, su un percorso che non mi è ancora del tutto chiaro… incontro persone, a volte giuste e a volte sbagliate, seguo i consigli, ma soprattutto seguo il mio istinto. Così è stato, quando, seguendo un consiglio, ho incontrato Aldo Quinto Lazzari.

Un uomo non facile, l’ho capito dalla nostra prima conversazione telefonica. Un fiume in piena che mi ha travolto con i racconti delle sue tante esperienze di vita, una vita intensa con dure prese di posizione e continui cambi di rotta.

Pochi mesi fa, dopo una lunga malattia, l’ha lasciato per sempre sua moglie, Maria Rosa Gambi Lazzari, la compagna di una vita.

Sono andata a trovarlo, e, nell’intimità della sua casa, tra i tanti ricordi, tra le sue foto sparse ovunque e i suoi mille libri, ho passato un intero pomeriggio ad ascoltarlo, fino a che, arrivata sera, insieme abbiamo preparato la cena.  

Un incontro molto particolare, su cui ho dovuto riflettere, affinché prendesse un senso scriverne.

Aldo Quinto Lazzari è nato in Sabina. Durante la guerra viene mandato dalla famiglia a studiare sul Lago Maggiore. Deluso, dopo aver frequento una scuola di recitazione, si orienta verso l’aviazione, ma anche qui il suo carattere si scontra a breve con la burocrazia militare, e decide di dimettersi.

Verso la fine degli anni ’50 si avvicina al mondo agricolo ed alimentare. Affascinato dalla storia, e dall’evoluzione del cibo e dell’uomo, dedicherà gran parte della sua vita agli studi, fino a giungere alla pubblicazione della sua opera di maggior rilievo: “La Storia dell’Uomo attraverso il cibo”.

Una vita vissuta viaggiando, esplorando e studiando l’alimentazione delle varie popolazioni. Una vita intensa e piena di storie che non mi dilungherò oltre a raccontare, perché troppe le cose fatte da Aldo durante la sua vita.

Di quella sera mi rimarrà nella memoria un uomo che mi ha “ubriacato di vita”, che ha vissuto intensamente, e che ora vive tra i suoi libri e i suoi ricordi.

 Aldo Quinto Lazzari

Quando gli ho chiesto perché non andasse a vivere in campagna, lui quasi non mi ha ascoltato, il suo mondo è li, in quella casa.

Se penso a cosa mi è rimasto di questo incontro, è che più capisco i meccanismi con cui l’uomo fa girare il mondo, e più la natura e i suoi ritmi mi attraggono.

 




Non interrompiamo la strada degli Oli d’Oliva Italiani

Oggi la mia riflessione inizia rileggendo lo sfogo di un amico, Piero Romano, produttore di olio extra vergine di oliva a Strongoli, Crotone. L’ho conosciuto così, leggendo le sue parole in una mail che ormai tempo fa mi aveva inviato.

“Ciao cara Cinzia, come stai?  Sai, quando ho iniziato a percorrere la strada dell’olio d’oliva ho voluto puntare sulla qualità, convinto che, chi lavora bene, col tempo venga riconosciuto. Non avevo però ahimè considerato un dio maggiore che regna supremo anche nel mondo dell’alimentazione. Parlo del Dio Denaro, sovrano incontrastato, che, col suo potere, relega la qualità umiliandola in un angolo! Ma non solo, la meraviglia più grande è stata la delusione della ristorazione medio alta che, nonostante si spacci per paladina della qualità, finisca per adottare scelte olistiche assai discutibili.”

Parole di un produttore messo in ginocchio come tanti a causa di un mercato fatto di prodotti di dubbia provenienza e qualità, che la poca cultura degli oli, terreno fertile nelle scelte deviate del consumatore, influenza negativamente. 

In aggiunta, la crisi che viviamo è complice di scelte non ragionate, spesso esclusivamente dettate da prezzi ridicoli che non trovano assoluta corrispondenza nei costi reali di produzione.

Il triste quadro è completato da una parte della ristorazione, che, nonostante si elegge promotrice della qualità, utilizza dietro le quinte, e non solo, prodotti mediocri. 

Parole tritate e ritritate, riproposte da chi come me, ama e vive il mondo delle produzioni, e che, avendo modo di ascoltare i disagi dei produttori, ha a cuore la loro sorte.

Da consumatrice, da appassionata, e da comunicatrice del territorio, esprimo ancora una vota il mio pensiero, nella speranza che prima o poi, queste parole non siano solo parole al vento. 

Ripropongo qui di seguito il mio intervento nell’ultima edizione di Olio Officina, durante il quale ho espresso delle richieste ben precise che aiutino i consumatori verso una scelta più informata degli olii d’oliva: 

  • Ai Comunicatori chiedo più semplicità nelle parole. Insisto spesso su questo concetto perché ciò che è veramente importante è fare buona cultura della terra con parole semplici, per arrivare alla gente. I consumatori chiamano ancora l’olio d’oliva di qualità, “l’olio buono”. Il termine ‘olio evo’ ormai in voga, ai più è ancora ignoto (evo: extra vergine d’oliva). 
  • Agli Olivicoltori chiedo di organizzare più eventi degustativi per raccontare alle persone i propri olii. Come diceva Luigi Veronelli: “L’olio come il vino. L’ulivo come la vite.” Oltre a “Cantine aperte” perché non fare “Oleifici aperti”. 
  • Alle Enoteche chiedo di creare un angolo per una “oleoteca” che permetta la degustazione degli olii.
  • Ai Ristoratori chiedo di raccontare gli olii d’oliva che vengono portati a tavola esattamente come si fa per il vino, basta chiedere alle aziende produttrici delle schede tecniche, o meglio ancora, formare gli addetti in sala con corsi per assaggiatore d’olio. In aggiunta, vorrei vedere sui tavoli, come già avviene per i vini, delle “carte degli olii d’oliva del territorio” con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle varietà. Un’altra cosa che mi piacerebbe vedermi proporre al ristorante, è una piccola bottiglia d’olio d’oliva del territorio, che “userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa.” 
  • Ma chiedo qualcosa anche ai Consumatori. Di essere più curiosi nel provare gli olii d’oliva, ne abbiamo talmente tante varietà. Nonostante le nostre 530 cultivar Italiane e più, chiamiamo ancora l’olio d’oliva al singolare. Nel dubbio casomai, conviene orientarsi verso le DOP. Altro consiglio, quando siete in vacanza approfittate per fare visita ad una realtà agricola locale. Oltre che a vivere un’esperienza unica,  sarete molto più consapevoli sui prodotti che consumerete.

Concludo ricordando che, due cucchiai di olio extra vergine di oliva al giorno, sono un efficace presidio medico per contrastare le malattie cardiovascolari.




La mia visita a Sciòje… tra le cipolle di Acquaviva, l’uva pizzuta, e un calice di Minutolo della Cantina Polvanera

Gioia del Colle, in dialetto Sciòje, un comune sull’altopiano delle Murge che ho conosciuto recandomi in visita alle Cantine Polvanera. Ma non solo, qui ho scoperto l’uva da tavola pizzuta e la cipolla di Acquaviva delle Fonti.

Come è mia abitudine, prima di procedere con la visita, mi sono aggirata attorno all’azienda passeggiando per il vigneto e guardando i bei grappoli d’uva.

Filippo Cassano, titolare di questa realtà vitivinicola nata nel 2003, guidandomi mi ha raccontato che il nome Polvanera prende origine dall’attività dei vecchi proprietari che utilizzavano la masseria per fare il carbone con il legno di quercia.

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Cipolle rosse Acquaviva delle Fonti

 Nella mia esplorazione mi ha colpito una parete interamente ricoperta da mazzi di cipolle. Una varietà tipica della zona dalla forma appiattita e dal caratteristico sapore dolce, le cipolle rosse di Acquaviva delle Fonti.

Ma non solo, perchè mi sono soffermata anche ad osservare un pergolato ricoperto di grappoli d’uva assai singolari. Una varietà da tavola caratteristica per i chicchi a punta, l’uva pizzuta, che non solo ho osservato, ma… ho spizzicato! 😉 Il suo sapore dolce e delicato mi ha fatto sostare li per diversi minuti! 

 Una volta all’interno mi sono dedicata ad ascoltare la storia di Filippo, che, nel 2003, dopo aver lavorato per anni nel campo frutticolo, ha dato una svolta alla sua vita cambiando attività ed investendo il suo futuro in questa azienda.

Una storica masseria nella Marchesana, una contrada di Gioia del Colle, che oggi si estende su 25 ettari di proprietà di vigneto, di cui 15 coltivati con il Primitivo, e i restanti con Aleatico, Aglianico, Fiano Minutolo, Falanghina e Moscato.

La masseria, restaurata nel rispetto dell’architettura dell’antica struttura, accoglie nei sotterranei la cantina scavata in profondità per ben otto metri. Un’ambiente molto suggestivo, dai colori tipici della roccia carsica e dall’umidità costante tutto l’anno.

 In sala degustazione, tra i vari assaggi, mi sono soffermata sul Primitivo 17 DOC Gioia del Colle 2012; il numero ’17’ è stato usato per indicare la sua gradazione alcolica media. Un Primitivo 100% da vigneti siti ad Acquaviva delle Fonti, con gradazione alcolica 16,5 %.

A seguire, ha colto il mio particolare interesse il Fiano Minutolo IGT Puglia 2012; Fiano Minutolo 100% da vigneti siti a Gioia del Colle con gradazione alcolica 12%. Un vitigno bianco pugliese che mi è piaciuto molto per l’intensità dei profumi. Un vino dal buon carattere, che personalmente chiamerei solo ‘Minutolo’. 

Fiano Minutolo Polvanera

Fiano Minutolo OGT Puglia 2012 Polvanera

 

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