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L’importanza di promuovere la terra e le sue risorse, anche perché, se vi guardate attorno, ci rimane solo quella!

Ora bacchetto! Calmi, sto scherzando! 😉 Lungi da me usare qualsiasi tipo di bacchetta verso qualcuno! E’ anche vero però, che davanti a certe situazioni, non riesco proprio a non dire la mia! Non è una questione di puntiglio, è che sarebbe ora che tutti imparassimo a fare sul serio nel promuovere la terra e le sue risorse, anche perché, se vi guardate attorno, ci rimane solo quella!

Ognuno di noi, a modo suo, può fare qualcosa per la nostra economia, per promuovere i nostri prodotti, per far conoscere le ricchezze e le bellezze del nostro territorio. Il consumatore può molto, iniziando a scegliere dove e come fare la spesa, facendo attenzione alla stagionalità, all’etichetta, e alla provenienza. So bene che è un periodo di crisi, ma acquistare meno, e più di qualità, fa bene a noi e alla nostra Italia.

La ruota che faceva girare il nostro sistema economico, ormai, si sta fermando! In questo momento, sono di fondamentale importanza le sinergie, il fare bene insieme! Se qualcuno crede, che correndo da solo le cose possano andargli bene a lungo, si illude! Chi corre da solo, prima o poi, solo rimane!

Fatta questa premessa, vi farò cenno di alcuni episodi che mi hanno fatto storcere il naso durante i miei giorni passati a Crotone. Sono situazioni in cui ci si imbatte sovente in Italia; siamo un paese ricco di risorse che all’estero ci invidiano, ma purtroppo non abbiamo ancora imparato a valorizzarle come meritano.

  • 1′ Caso – Amo le colazioni, è il mio pasto preferito. A Crotone, terra di grandi produzioni, in un albergo tre stelle in cui ho soggiornato, la prima mattina pronta per godere di quanto ‘credevo’ mi aspettasse, mi sono trovata davanti a prodotti confezionati veramente tristi. Quasi nulla del territorio, e nessuna traccia di frutta fresca; per me che l’adoro è un vero affronto. Offrendo più frutta, sia negli alberghi che nei ristoranti, si potrebbe fare molto per gli agricoltori!
  • 2′ Caso – Durante un pomeriggio, tra una visita e l’altra, mi sono fermata per bere qualcosa. Ebbene, visto che ero un po’ indecisa, ho chiesto qualche consiglio alla persona che era venuta a prendere l’ordine (anche per sentire cosa mi avrebbe offerto). La risposta è stata: “Vuole uno spritz?” Ma anche no ho risposto! Dovete sapere che li c’è una bevanda analcolica tipica calabrese al caffè fatta con acqua sorgiva del Monte Covello, situato nel territorio di Girifalco in provincia di Catanzaro. E’ perfetta per ogni ora, dissetante, e dal gusto davvero gradevole. E’ la “brasilena”. Perché non proporre quella! Ovviamente gliel’ho sottolineato, e l’ho ordinata.
  • 3′ caso – Amo molto il gelato, se poi abbinato alla frutta è un vero e proprio pasto. Ebbene, non potevo credere ai miei occhi quando un giorno ordinandone uno simile, mi è arrivata una coppa con le pesche sciroppate! Pesche sciroppate in Agosto?! Noo! Non aggiungo altro…
  • 4′ caso – Calabria, terra di grandi olii. “Ma li vogliamo mettere sui tavoli!” Ho dovuto dirlo proprio con le stesse parole all’addetta alla sala che si occupava del servizio. Oltretutto sarebbe doveroso non riempire con altri oli bottiglie con note etichette, anche perché, guardando lo stato della bottiglia, è facile capire se la cosa avviene. Qui entrerebbe in causa il famoso tappo anti-rabbocco, ahimè bocciato. L’unica è affidarsi alla serietà del ristoratore.

Un’altra cosa che mi piacerebbe vedermi proporre al ristorante, è una piccola bottiglia d’olio d’oliva del territorio, che “userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa.” Stessa cosa mi piacerebbe vedere applicata per il vino che non si finisce di consumare, viste le giuste limitazioni del Codice della strada.

In aggiunta, vorrei vedere sui tavoli, come già avviene per i vini, delle “carte degli olii d’oliva del territorio” con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle varietà. Qui faccio una nota di merito al Gruppo di Azione Locale di Crotone, il Gal Kroton, che fra pochi giorni presenterà la carta degli olii di oliva aderenti al loro sistema alimentare locale.

Detto questo, ricordando che in Italia abbiamo oltre 530 cultivar di olive, molto si sta facendo, ma molto si può ancora con l’impegno di tutti, con l’aiuto delle amministrazioni, e con la giusta comunicazione del territorio.

Lancio qui il mio sfogo, ma non crediate, lo faccio dovunque me ne venga data l’occasione. Come durante la 1’ edizione della “Fiera delle Eccellenze Strongolesi” organizzata dall’operosa Pro Loco,  alla quale è seguito un dibattito coordinato dal giornalista Giuseppe Pipita de “Il Crotonese”.

Invitata al tavolo, dopo i saluti inviati tramite un messaggio da Giuseppe Scopelliti Presidente della Regione Calabria, e alla presenza di – Vincenzo Pepparelli Presidente della Camera di Commercio di Crotone, Natale Carvelli Presidente di Gal Kroton, Michele Laurenzano Sindaco di Strongoli, Simona Mancuso Assessore comunale alle attività produttive e Francesco Fiorita capogruppo di minoranza del Consiglio Comunale di Strongoli – ho detto la mia, come blogger comunicatrice del territorio e dei suoi produttori, su quanto si potrebbe fare cominciando da queste piccole cose che ho evidenziato poc’anzi. Per quanto riguarda l’aiuto ai produttori, lo snellimento della parte burocratica a cui sono pesantemente sottoposti, e l’aiuto nel sostenerli nelle spese per la partecipazione a fiere ed eventi promozionali, sarebbe cosa gradita.

Siamo un paese ricco di risorse che all’estero ci invidiano, quindi forza, sta a tutti noi valorizzarle!




Oggi si parla di #SocialMedia con… Rosy Battaglia

Rosy Battaglia, blogger e giornalista freelance. Attiva nel campo dell’indagine sociale, ambientale, culturale e politica. Collabora a tutt’oggi con varie testate giornalistiche (Lettera43, Terre di Mezzo Street Magazine; Radiopopolare, Redattore Sociale).

Si occupa, inoltre, di Comunicazione e Social Media, come consulente, formatore in ambito non profit e Social Media Manager/Editor. L’ultimo progetto seguito come Social Media Editor è stato il festival del Giornalismo Digitale “Globalnews”.

Una presentazione di tutto rispetto direi! Rosy mi fai quasi paura! 😉

Ovviamente scherzo, ma solo  perché l’ho conosciuta personalmente durante “Social Gusto”, la manifestazione svoltasi poco tempo fa a Varese, che, oltre a promuovere la cucina Italiana di qualità, ha dedicato uno spazio a giornalisti e blogger per esporre le loro esperienze nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Una persona deliziosa nella semplicità e nella simpatia. Pensate che a fine conferenza ci ha deliziati con il suo tiramisù! Dico spesso di andare oltre le vetrine dell’apparenza, le sorprese sono inaspettate, a volte in positivo e a volte in negativo. Comunque sia, ci permettono un giudizio ed un’esperienza diretta e reale, ben lontana dal virtuale.

Detto questo entro in merito per farvi conoscere meglio Rosy, e per parlare di #comunicazione e #socialmedia, essendo io un’appassionata della comunicazione digitale.

Rosy, a te la parola… 🙂

  • Cibo, giornalismo e comunicazione ai tempi del web 2.0.”  Qual è la tua visione delle cose?

Direi che il web ha ampliato e diffuso la cultura del cibo, creando community e influencer per tutti i gusti. Ma da “La Cucina Italiana” ai food blogger  il vero paradigma è che, ai tempi dei social network, la condivisione di passioni è enormemente facilitata e alla portata di ognuno di noi. E questa mi sembra una cosa buona e giusta. 

  • Ti definisci “food blogger mancata.” Perché mai?

Nel mio Bat-blog, dove parlo di argomenti “tosti” dall’ambiente all’impegno sociale e civile c’è in bella vista la categoria “Food and Green”, corrispondente a due mie grandi passioni: cucinare per gli amici e curare il mio angolo verde. Mi sono accorta strada facendo che non riesco a raccontarle come avrei voluto, sono passioni che in una vita “ipersocial” ho riservato alla mia sfera privata, all’intimità.. Quindi nonostante io ami profondamente il cibo, la convivialità e la condivisione, sul web mi autocensuro. Anche se qualche foto di piatti e fiori su Instagram e Facebook ogni tanto “mi scappa”.

  • I Social Media in Italia non sono ancora opportunamente usati come dovrebbero. La risposta di molti è: “Non ho il tempo!” Una risposta che non considera la reale importanza di questi mezzi per la promozione dei prodotti, o per  migliorare la reputazione aziendale attraverso la condivisione di contenuti. Sei tu l’esperta, qual è la tua esperienza?

Confermo,  i social media in Italia non sono usati come dovrebbero esserlo. Dalle Piccole e Medie Imprese al Non Profit ma anche dai semplici cittadini e dalla Pubblica Amministrazione.

La cura della comunicazione e dei contenuti nelle piccole realtà, oltremodo, viene ancora poco considerata in termini di investimento. Eppure proprio il mondo dei Social Media, dai blog ai social network, permette davvero di far conoscere progetti e prodotti a platee, fino a qualche anno fa, inimmaginabili e a costi davvero irrisori. Certo è che non si può relegare la loro gestione all’improvvisazione. La comunicazione è un lavoro, e come tutte le professioni richiede tempo, passione e continua formazione. Chi ha intrapreso questa strada, individuando risorse all’interno della propria struttura o rivolgendosi a professionisti, sta già raccogliendo i frutti in termini di good reputation e visibilità.

  •  Sono donna romantica nel senso più lato del termine, amante delle tradizioni e della terra. Ma sono presente su… Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest, Tumblr, Path, LinkedIn, Foursquare, You Tube… insomma lancio in rete e condivido tutto quello che amo e in cui credo. Nonostante questo sono fermamente convinta che  i social che abbiamo l’opportunità di utilizzare, debbano unire e non sostituire la conoscenza diretta, esperienza indispensabile per vivere le realtà, e per conoscere i loro prodotti. Condividi…?

Condivido in pieno questa visione. In rete è possibile creare community su argomenti, battaglie, passioni. Ma i social network non sono il nostro unico mondo, sono solo un’altra rappresentazione delle nostre personalità e visioni. Non dobbiamo dimenticarci delle relazioni in carne ed ossa. Anche se è vero che dalla rete possono nascere amicizie ed amori, collaborazioni e network che, in ogni caso, per essere “sublimati” devono passare dalla sfera virtuale a quella reale…

  • Twitter e i suoi 140 caratteri, maldigerito da molti, io direi, non capito. Diciamo che l’imposizione della sua sinteticità mette molti in difficoltà, oltretutto non facendo trasparire grandi emozioni. Un cinguettio rapido dalle mille potenzialità che troppi ancora sottovalutano. Hai dei consigli da dare?

Concordo con la tua analisi, Twitter ha delle potenzialità incredibili, in termini di velocità e indicizzazione dei contenuti e può essere davvero molto utile sia per informarsi che per promuovere eventi e idee. Il punto è questo, Twitter più che un social network è un information network ma in Italia non è ancora molto usato in questa modalità. L’approccio è un po’ ostico è vero, ma una volta fatto proprio questo concetto, si può cominciare ad apprezzare anche la concisione a 140 caratteri.

  • Parliamo degli #hashtag, il famoso cancelletto # che, messo davanti ad una o più parole unite, permette di aggregare le citazioni di chiunque lo utilizza. Io ormai ne faccio un uso abbondante, anzi di più. Da quanto poi, non è più ad uso esclusivo di twitter, esagero… ma a fin di bene!  A questo punto ti chiedo: “Qual è in questo momento la parola della tua vita davanti alla quale metteresti un hashtag ?”  😉

In nome omen per cui ti dico #battagliera. Le sfide da raccogliere sono tante nella professione come nella vita. E io non mi arrendo.
 

 

 

 




La mia prima volta in Calabria per il Food Blogger Day 2013

Ebbene si, questa è stata la mia prima volta in terra di Calabria.  Posso solo dirvi che ho scoperto una terra che  ha bisogno di essere raccontata e rivalutata, una terra dalle molte tipicità, una terra ricca di arte e di storia, una terra da difendere…

E’ stata la mia prima volta, ma statene certi, non sarà sicuramente l’ultima. Le emozioni che ho vissuto hanno fatto si che ‘u cori mi faci cavagli… (un modo di dire calabrese che tradotto significa che il mio cuore scalpitava come tanti cavalli a briglie sciolte).

Da tempo Piero Romano, produttore di olio d’oliva a Strongoli in provincia di Crotone, mi sollecitava perché andassi a trovarlo. Le distanze ahimè sovente non aiutano, ma quando i rapporti d’amicizia e di stima perdurano, statene certi, che prima o poi l’occasione si presenta. E così è stato…

In effetti quando ha saputo che mi trovavo a Taranto per un periodo di vacanza, la prima cosa che mi ha detto è stata: “Cinzia, non puoi non venire al Blogger Day del 11 Agosto organizzato da me e da Gal Kroton!”

Questa volta avevo le spalle al muro, l’unica mia risposta è stato un SI!

Ho voluto trattenermi in Calabria qualche giorno in più, perché per parlare e scrivere dei territori che si visitano è necessario viverli con la sua gente… Oggi inizierò a raccontarvi la mia prima giornata.

Food Blogger Day 2013

E’ stato un giorno intenso, pieno di gusto, di conoscenza, di viste mozzafiato e di strette di mano. Un giorno dedicato al territorio e alle produzioni nell’area di Crotone. Un tour organizzato a cura di Gal Kroton, gruppo di azione locale, e da Piero Romano della Fattoria S. Sebastiano di Strongoli.

Abbiamo iniziato la giornata facendo colazione nella Fattoria San Sebastiano. Tante le cose buone da assaggiare: le torte della brava Maria La Cava, le marmellate, la frutta fresca di produzione locale, e tanto altro ancora.

Adoro le colazioni, sono il mio pasto preferito! In particolare sono stata rapita dalla “pitta n’chiusa”, un dolce tipico calabrese chiamato così per il cerchio di pasta contenente il ripieno, ben chiuso. Pita, dal greco schiacciata, un dolce a base di uva passa, mandorle e miele… una vera delizia!

Era il turno di Giovanni Lucanto, dell’Apicoltura Diego Lucanto di Mesoraca.  Passo per passo ci ha spiegato la lavorazione del miele. Affascinati dalla vista di questo intramontabile prodotto delle molte virtù, lo abbiamo attentamente ascoltato, e poi… abbiamo assaggiato!
Questa piccola azienda a conduzione familiare, oltre a produrre, conservare e distribuire i propri prodotti, organizza incontri di degustazione e percorsi di conoscenza della lavorazione del miele.

Dopo la colazione, una visita al Museo Contadino situato nella Fattoria San Sebastiano, ci ha permesso di andare indietro nel tempo per rivivere i metodi di produzione dell’olio d’oliva dei tempi passati.

La tappa successiva è stata la visita al mulino a pietra di Casabona, il “Granaio dei Borboni”.  Qui si produce la farina di grano duro Senatore Cappelli, che, macinata a pietra, conserva le caratteristiche nutrizionali e naturali.

Poco distante un allevamento del caratteristico “suino nero di Calabria”, una razza tipica calabrese.

Giunta l’ora del pranzo ci siamo diretti verso la Torre Aragonese di Melissa, sede del Gal Kroton. Ci attendevano molti assaggi tipici della zona tra cui il caciocavallo podolico, la pancetta di maialino nero, la soppressata, la ‘nduja, la sardella, il pecorino di Strongoli tra l’altro riconosciuto per l’alta qualità da numerosi premi, e molto ancora…

Durante il pranzo ci hanno accompagnato un buon vino rosso IGT della Cantina Val di Neto, e la birra artigianale del Birrificio Blandino, entrambe produzioni locali.

Devo un ringraziamento particolare all’amico Piero Romano, una persona speciale che mi ha accolto come pochi hanno saputo fare insieme al caro Martin, di Gal Kroton. Nella sua Fattoria San Sebastiano di Strongoli, produce un olio extravergine di oliva biologico ottenuto per la maggiore da piante secolari, e in parte da ulivi più giovani. Le cultivar sono: Tonda di Strongoli, Carolea, Nocellara del Belice, Nocellara Etnea, Biancolilla, Leccino, Frantoio e Coratina.
Nella foto qui in basso, indosso il mio primo grembiule personalizzato con nome e cognome che Piero ha regalato a ciascuno di noi. In posa e… click! 🙂

Nella Torre Melissa, in un contesto storico fortilizio risalente al XVI secolo, circondati da viste mozzafiato sotto un sole splendido, abbiamo trascorso il pomeriggio approfondendo la conoscenza di quanto visto direttamente con i produttori. E’ stato un momento di vera aggregazione, di amicizia, di scambi di opinioni e di contatti. Ma non solo, abbiamo ammirato anche la bellissima collezione di sculture di conchiglie raccolte nel corso di quarant’anni di vita ad opera di Antonio Rosati.

Oltre alle tante foto di rito, abbiamo raccontato ripresi dalla televisione locale la nostra esperienza sulla giornata vissuta. Ovviamente ho detto la mia su quanto, incominciando dalla ristorazione, si potrebbe fare per promuovere le produzioni tipiche locali.

Ad esempio basterebbe proporre un formato mini di olio d’oliva incluso nel conto da mettere sul tavolo, e che, una volta degustato viene poi portato a casa. Stessa cosa vale per il vino; chi deve guidare è limitato dal consumo, quindi proporrei un assaggio e la possibilità di portarsi via la bottiglia. Oppure, suggerire un cestino di frutta fresca del territorio a fine pasto o nelle colazioni degli alberghi, che in aggiunta o in alternativa al classico dolce, sarebbe cosa buona e utile e nel contempo aiuterebbe gli agricoltori. Ci sarebbe da scriverne e parlarne a lungo…

Ho concluso la mia serata ammirando il Gruppo Folkloristico San Sosti e le sue danze tipiche calabresi dedicate agli emigrati che per le vacanze ritornano nella propria terra.

 




Ritorno alle origini de “La Cucina Italiana” con… Anna Prandoni

Anna Prandoni, Direttrice de “La Cucina Italiana”. Ci siamo incontrate a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esporre le nostre esperienze, sia pur diverse, nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia. Una giovane donna che, nell’ascolto del suo intervento, ho trovato sicura e determinata.

Devo ammettere di essere più brava a mangiare che a cucinare, convinta che, si può amare l’enogastronomia nei suoi molteplici aspetti. Personalmente la cosa che più mi affascina, ovviamente oltre che assaggiare, sono le sue tradizioni e i suoi protagonisti. Mi piace andare alle origini. Per questo motivo, quando Anna ha regalato a ciascuno di noi relatori una copia della 1’ edizione de “La Cucina Italiana” del 1929, ho colto il gesto con molta emozione.

Oggi, oltre a farle qualche domanda per conoscerla meglio, vorrei citare alcuni passi di quella copia che ho menzionato poc’anzi. Un’edizione del 15 Dicembre 1929, la prima di ben 84 anni fa. Mi viene naturale paragonarla ad una signora elegante al passo con i tempi, di stile e amante delle tradizioni, che non trascura i dettagli, e che considera il cibo un elemento distintivo della nostra memoria e del nostro territorio.

Anna Prandoni

Insieme a Anna Prandoni a Social Gusto con Laura Pantaleo Lucchetti, Rosy Battaglia, Silvia Giovannini, Samanta Cornaviera e Jenny Maggioni – Giardini Estensi – Varese.

Anna, a te la parola…

  • Dunque sei Direttrice di un giornale, moglie e cuoca e… ho dimenticato qualcosa?

Sono anche una grande appassionata di danza classica e contemporanea, una famelica lettrice di romanzi e saggi, una Twittomane, e una viaggiatrice indefessa.

  • Dico spesso che sono una spina nel fianco dei cuochi. Li provoco un pochino perché ritengo che spesso si ecceda con i “fuochi d’artificio nei piatti”.  Tornare un po’ alla tradizione facendo cultura del cibo e del vino anche al ristorante, è cosa utile e buona. Due parole in più quando vengono serviti i piatti, o un vino, o i magnifici nostri olii d’oliva non guasterebbero proprio…

Sono d’accordo, ma allo stesso tempo ritengo superflue e debordanti le spiegazioni eccessive, soprattutto quelle che ti raccontano come devi degustare un piatto. Se senti il bisogno di ‘spiegarmi’ come devo affrontare la tua creazione, siamo in un ambito diverso dal nutrimento. Entriamo nel mondo della creazione artistica. E allora non sono al ristorante, come comunemente inteso, ma in un luogo dove assisto e partecipo ad una performance enogastronomica.

Finché non riusciremo a far capire al pubblico questa grande differenza, non saremo in grado di spiegare il perché di un conto astronomico, e nemmeno la valenza di Carlo Cracco rispetto alla trattoria tradizionale che cucina molto bene. Attenzione: non ho detto che preferisco l’uno all’altra: dico solo che bisogna a tutti i costi sottolineare le differenze per apprezzare al meglio entrambi.

  • Chef superstar, non se ne può più! Va bene che è il loro momento, ma caspita,  mi viene spontaneo chiedermi quando cucinano? Recentemente scherzando con alcuni di loro mi son chiesta quando faranno un film? Titolo: “Lo Chef che aspettava le sue… stelle” 😉  Esagero?

No. Ultimamente il nostro chef, scherzando, ha detto ad un suo collega stellato: più di tre non te ne danno, la quarta non l’hanno ancora inventata. Questo bisogno di affermazione è però ancestrale, secondo me: per decenni i cuochi sono stati relegati nelle loro cucine, a fare un lavoro duro in giorni e orari in cui le persone normali si divertono. Adesso che sono stati sdoganati, è anche comprensibile il loro sano bisogno di stare fuori dai loro antri.

Comunque la maggior parte di loro, nel segreto del confessionale, confermano di volerci tornare prestissimo. Poi, una precisazione: come dice Pierangelini rispondendo alla domanda ‘Chef, ma se lei è qui chi cucina stasera al suo ristorante?’. ‘Gli stessi che cucinano quando io sono al ristorante’. Sfatiamo un mito: lo chef vero, il capo di una brigata di cucina in un ristorante strutturato, non cucina mai: sta al pass, controlla i piatti, e si occupa dell’ideazione e della strategia del ristorante. Il bravo chef è quello che è in grado di trasmettere ai suoi collaboratori la sua storia e la sua tecnica, e renderli capaci di replicare i suoi piatti, anche senza di lui.

  • E’ l’era della nuova comunicazione Food blogger a go go! Con tutto il rispetto per la passione, tutti scrivono di cucina ormai. Che dire…

Che per fortuna nel mondo del cibo c’è posto per tutti. Il mercato, il web, i lettori valuteranno e daranno ragione ai contenuti migliori, così com’è sempre stato.

  • E ora passo a qualche citazione. Sto leggendo la prima edizione de “La Cucina Italiana” del 15 Dicembre del 1929: “Si può affermare che da qualche tempo la cucina familiare è in decadenza.” Direi più che attuale…

Attualissima. La prima copia è la mia coperta di Linus: ogni volta che devo fare una presentazione, o mi accingo a scrivere qualcosa la consulto: trovo sempre un passo, uno spunto, un accenno che mi da il ‘la’ per scrivere cose sagge e sensate anche oggi.

  • Continuo: “Si può star bene in salotto e stare bene in cucina; la dispensa deve avere per ogni donna (aggiungo ogni uomo) la stessa importanza del guardaroba come la cucina quella del salotto”.  Questo a sottolineare quanto sia importante ricercare la qualità negli ingredienti. Prodotti di cattiva fattura a bassi prezzi non ci devono ingannare…

Concordo. E non ci dobbiamo mai limitare alla sola cucina: la nostra rivista è da sempre anche un punto di riferimento per l’arte del ricevere. Non si cucina per ‘esercizio di stile’, ma per fare un dono d’amore alle persone più care. E quindi non si può servire una ricetta cucinata con amore su un piatto brutto o senza tovaglia, o senza accompagnarlo da una conversazione leggera e appropriata.

  • Concludo con questa: “Se nel secolo XIX ed al principio del nostro necessità superiori distolsero dalla cucina, occorre far tornare in auge l’arte culinaria che è il nesso essenziale dell’unione della famiglia.”

Amen! Che si tratti di famiglia ristretta, allargata, di amici o di parenti, la cucina è davvero il luogo magico, il collante indispensabile per fare di ogni consesso un momento unico e gioioso. Certo, non possiamo rovinare tutto con piatti cucinati male!

Belle risposte! Brava Anna, e… evviva La Cucina Italiana!




Le Cozze Arraganate alla Tarantina

Ricetta: “Cozze arraganate alla Tarantina”

Col tempo ho imparato a vivere le città che visito passeggiando lentamente, di giorno e di notte, guardando gli scorci più nascosti, e gli attimi di vita vera…

Qualche sera fa, nella bella e suggestiva Taranto, guardavo i pescatori occupati nel riordino delle loro barche. Li ascoltavo mentre allegramente fra loro scambiavano battute. A dir la verità qualcosina ho capito, almeno credo… Leggete un po’ qua cosa si dicevano:

“Catà, quann’u marit arriv’a quarantina, lass’a mugghier e s’n ve a cantina, quann’a mugghier arriv’a quanrant’ann lass’u marit e s’pigghi’a Giuann.”

Tradotto credo significa: “Cataldo, quando il marito arriva alla quarantina trascura la moglie e se ne va in cantina, quindi alla moglie a quarant’anni non resta che trovarsi un… Giovanni”.  La saggezza popolare eh… 😉

Ogni volta che mi soffermo a guardarli, penso fra me e me, a quanto vorrei vivere per una notte la vita vera dei pescatori su un peschereccio. Prima o poi sono certa che lo farò. Questa è ormai la mia vita, la vita bella che mi ha rapito il cuore…

Per ora mi accontento di assaggiare il loro pescato. Qui di seguito riporto una semplicissima ricetta tipica tarantina che ho assaggiato al Ristorante Ponte Vecchio, in una notte splendida dall’atmosfera unica…

Cozze arraganate alla Tarantina

Inizio col dirvi che “arraganate” in tarantino vuol dire “gratinate”.

Dunque, acquistate delle cozze, io ne prenderei a vagoni visto che le adoro!  Mi raccomando però, che siano belle fresche!

Una volta pulite apritele a crudo, e predisponetele a mezzo guscio in una teglia.

Quindi preparare l’impasto per il ripieno amalgamando bene a del pan grattato con l’olio d’oliva, in questo caso Pugliese, e che sia buono mi raccomando! Unire del pepe, prezzemolo, e pecorino quanto basta (no sale).

Una volta impastato bene il tutto riempite le cozze, e passate la teglia nel forno per 10 minuti a 220 gradi.

La mia amica Maria Palumbo, tarantina DOC, consiglia come alternativa, per chi ama sentire appieno il sapore delle cozze, di non unire il formaggio… Gusti son gusti! 🙂

Io le ho assaggiate con il pecorino… vi assicuro, una delizia!

La Produzione delle Cozze Nere Tarantine è la più antica e la più grande a livello mondiale.

I Tarantini hanno impiantato, e di conseguenza insegnato alla gran parte del mondo la coltivazione delle cozze. Quelle di Taranto, riconosciute anche per la forma, sono diventate ora più salate perché si coltivano nel Mar Grande. In realtà la Vera Cozza Tarantina è quella del Mar Piccolo, zona attualmente impraticabile per l’inquinamento. (cit. Mimmo Modarelli)

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Ristorante Ponte Vecchio

Piazza Fontana, 61, Taranto




Le fettuccine allo zafferano raccontate da Enrico Fiorentini, lo chef, ma soprattutto l’uomo

Qualche sera fa Enrico Fiorentini, chef del Ristorante Il Canneto presso lo Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel, mi ha proprio stupito! Ora vi spiego il perché…

Quando vedo pubblicate sui social network fotografie di piatti senza le minime spiegazioni mi stizzisco alquanto. Mi piace capire quello che vedo, ed è per questo che la curiosità di conoscere non mi trattiene dal chiedere informazioni in merito alle creazioni dello scorribande cuciniere di turno.

Sono convinta che la curiosità, se ben posta, vada a buon fine. E’ giusto chiedere senza alcun timore di non sapere. Molti non sanno, ma ahimè non chiedono. Si può fare buona cultura del cibo, dei vini, degli oli e degli aceti anche così, con pillole informative che fanno scoprire un mondo sommerso di cose buone.

Bene, questa volta il fotografo-cuoco-creatore ad essere pizzicato è Enrico Fiorentini.

Devo confessarvi, visto che io stessa quasi non ci credevo, che, dopo un paio di volte in cui ironicamente gli ho sottolineato la mancanza, per rimediare ha voluto dedicarmi un piatto, ma non solo, me lo ha anche raccontato senza che io glielo chiedessi! 😉

Leggete qui di seguito come lo ha descritto…

“Fettuccine allo zafferano trafilate al bronzo con crema al finocchietto, prugne rosse e cacao”

Cinzia, la fettuccina allo zafferano trafilata al bronzo, è una produzione limitata dell’Az. Agr. Vigna di More, un’azienda marchigiana molto piccola, anzi piccolissima, di cui la titolare è una delle persone più semplici e genuine che io abbia mai incontrato.

La prugna rossa in questo periodo è al suo massimo, con l’equilibrio tra aspro e dolce è estremamenteFettuccine trafilate al bronzo sugosa. La fava di cacao impreziosisce e dona quel carattere di croccantezza e autorevolezza nei confronti dello zafferano, nobile spezia ricavata dal cuore dei fiori. Il finocchietto selvatico infine, è l’erba spontanea per eccellenza in questa stagione, dona freschezza, leggerezza e piacevole sensazione di pulizia al palato.

Ti ho dedicato questo piatto perché secondo me hai molte similitudini con tutte queste qualità che ho appena elencato. Una sobria eleganza e una sofisticata semplicità… un connubio di qualità che potrebbero sembrare contrastanti, mentre invece sono l’una la compensazione dell’altra. 

Devo dire che Enrico mi ha piacevolmente sorpreso. Pensate che appena l’ho conosciuto mi stava un pochino antipatico. Gli ho chiesto di raccontarmi un po’ di lui, ma con una raccomandazione, di usare il cuore…

Ma chi è Enrico Fiorentini? Intendo l’uomo, oltre che lo chef…

Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti.  Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata, al pensiero sorrido ancora…

Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro. Già dal primo anno fui coinvolto dal mio chef dell’epoca, Marco Olivieri, in piccoli eventi extra scolastici. A distanza posso dirti senza alcun dubbio che ho avuto fortuna, perché si trattava di un serio professionista che svolgeva il suo lavoro con passione. Ecco la parola chiave per chi si avvia verso questa carriera, la passione e il feeling, requisiti fondamentali per chi vuole cucinare.

Non nascondo che mettevo più impegno nel lavoro che nella scuola, ovviamente quando ce n’era l’opportunità; per questo colgo l’occasione per ringraziare la mia famiglia che costantemente mi ha sempre appoggiato. Finiti gli studi ho iniziato con le prime esperienze, da Peck, da gli Orti di Leonardo, da Il Duca di Milano, fino alla Costa Smeralda e alla Toscana, per poi continuare all’estero, con l’incontro di nuove culture e di cucine etniche. Una continua metamorfosi dell’essere uomo e chef che era in me.

Con i viaggi all’estero sono cambiate molte cose nella mia vita, è subentrata la solitudine, la malinconia, la lontananza. E’ stato allora che mi sono concentravo più sul lavoro, chiudendomi in me stesso, nel mio mondo, sicuramente con un impatto diverso sull’essere, diventando meno social, meno comunicativo, più chiuso, orso e lunatico. Quando tornavo, dopo un lungo soggiorno all’estero, mi ritrovavo quasi catapultato in un ambiente che non riconoscevo più. Quando giungeva il momento di ripartire mi invadeva l’ansia e l’angoscia… Un susseguirsi di forti emozioni che sfogavo in cucina, forse, perché col tempo, cresce l’emotività…

Era questo che volevo da Enrico, volevo che uscisse l’uomo e così è stato. Leggendo le sue parole, oltreché ad emozionarmi, ho capito un pochino di più che cosa significa oggi essere uno chef affermato. Un mestiere duro che, visto dall’esterno, non rende realmente l’idea delle difficoltà. Come dico spesso, per capire le persone e il loro lavoro, l’unica è viverle, direttamente sul “campo”.

Enrico ama molto anche la musica. Questa è quella che ha voluto regalarmi, una musica che sa di mare, di estate, e di passeggiate sulla sabbia a piedi scalzi…




Due chiacchiere con un Fornaio Sovversivo, perché c’è pane e… Pane!

La ricetta: “Le Macine”

Sto andando dal fornaio a prendere il pane… lo adoro!

Avete presente quel profumo che si sente entrando in bottega… mmm, meraviglioso!  Ma attenzione, c’è pane e… Pane! 😉

Voglio fare un po’ di chiarezza! Oggi si va dal fornaio, ma per parlare di pane, di farine, di lieviti e… di pasta madre. 

La mia vittima di turno è Massimo Grazioli, un fornaio che ho conosciuto all’ultimo Raduno dei Sovversivi del Gusto.

Dal 1974, data d’apertura della sua bottega, produce con continuità prodotti da forno.

“Il pane, un sapore che ha il gusto della vita e che ti lascia senza parole, che ci accompagna e ci porta a spasso nel tempo. Massimo Grazioli”

Ma ora inforNiamo il pane, ops che ho detto, oggi… inforMiamo! 😉

  • Ciao Massimo, cominciamo dall’inizio, ma come si fa il pane?

Per fare il pane, ma che sia buono, è necessario utilizzare materie prime di qualità.Massimo Grazioli

Primo. L’utilizzo di farine integrali macinate a pietra è fondamentale.

Secondo. Dare la giusta importanza al tempo necessario a far maturare l’impasto, passo fondamentale per sviluppare profumi e aromi, e per renderlo più digeribile.  

Terzo. Il sudore e la fatica di chi fa il pane ti da la sua anima, ma in cambio vuole la tua.

Quarto. Il lievito madre.

  • Parliamo di un fungo. Eh si, proprio un fungo, “il lievito”. Dunque, si sente parlare di lievito di birra, di lievito madre… Facciamo un ripassino?

Il lievito madre è una coltura di microrganismi, funghi e batteri vari, il cui metabolismo produce una fermentazione, cioè trasforma gli amidi della farina in anidride carbonica e in alcool, facendo lievitare l’impasto.

La vera peculiarità del lievito madre, è che fra i vari funghi e batteri (le due specie sono cugine), sono presenti batteri lattici e acetici che producono una serie di acidi organici e danno al pane, fatto col lievito madre, caratteristiche uniche in fatto di aroma, digeribilità e conservazione.

A differenza, nel lievito di birra sono presenti solo funghi (Saccaromiceti) che fermentano si, ma producono pochissimi acidi organici. Lo si capisce benissimo dall’aroma del pane.

  • Ora passo ad un argomento che definirei scottante, mi riferisco alle farine. Diciamo che c’è un po’ di confusione tra il consumatore, anche perché tristemente ci sono farine di cattiva e dubbia provenienza. Vuoi parlarmene, e soprattutto, dare qualche consiglio per una scelta più consapevole?

Dal mio punto di vista è fondamentale usare quelle macinate a pietra, che siano integrali,  e che possibilmente provengano da cereali di agricoltura biologica. Da qui ha origine il vero valore del pane per chiunque decida di panificare in modo casalingo o professionale.

Ti confermo poi, che nel mondo delle farine provenienti da mulini industriali, non sempre tutto è chiaro e limpido. Direi a questo punto, che è preferibile acquistarle da piccoli mulini che macinano a pietra, oppure tramite i GAS, o infine nei negozi specializzati tipo Natura Si.

  • Nell’impasto anche l’acqua ha la sua giusta importanza. Tu che acqua usi?

Per l’acqua io uso un dispositivo che la rende più leggera togliendo anche un po’ di calcare.

  • Sale o non sale, nel senso che alcuni lo usano altri no. Quando, come e… quale va usato nel pane?

Si per il sale, e solo sale marino integrale. Io uso il sale di Pirano che è anche meno amaro. La percentuale è del 1,6 % su ogni kg di farina. Inoltre, con le farine integrali più ricche di sapore, se ne ha minore necessità.

Per concludere ti chiedo una ricetta con il pane, una della tradizione, come piace a me! 🙂

Eccoti accontentata Cinzia, ti darò la ricetta per fare “Le Macine

 

Ingredienti :

·       800 gr. di farina macinata a pietra “Le Macine” del Mulino Marino

·       200 gr. di segale integrale

·       650 cl. di acqua a 28 °

·       400 gr. di lievito naturale a maturazione pronta

·       15   gr. di sale

 

Preparazione :

  • Impastare il tutto, tranne che per il sale, e per 50 gr. di acqua che aggiungeremo solo alla fine per bilanciare.
  • Lavorare l’impasto lentamente fino ad ottenere un panetto  ben formato.
  • E’ fondamentale che la temperatura finale dell’impasto sia di circa 27/28 gradi.
  • Lasciare lievitare al caldo per più di 2 ore.
  • Quindi formare la pagnotta, e lasciarla lievitare per altre 2 ore.
  • Infornare a 210° per 60 minuti.
  • Infine spegnere il forno, lasciando all’interno le macine per altri 10 minuti a sportello socchiuso.

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La Bottega del Pane di Massimo Grazioli

dal 1974

Via Rossini 15 – Legnano (MI)

e-mail: massig61@alice.it




Reinventarsi una vita a quarant’anni, da parrucchiere a chef, lui si chiama Dino, la sua Trattoria “La Colonna”

Qualche sera fa ho cenato in una trattoria a Milano, “La Colonna. Non ha un sito, anzi, l’unico sito che ha è quello reale. La cosa mi ha incuriosito. Siamo talmente abituati a viaggiare on line che a volte trascuriamo le cose concrete e tangibili… ma per fortuna, non sempre.

La cena curata da Dino, Chef de La Colonna, è stata organizzata da Francesca Lovatelli Caetani, Direttore Editoriale di WebSpotMagazine, e da Ivana Villa di web-spot.it. Hanno partecipato oltre a me, un gruppo di giornalisti e blogger. Monica Papagna di un biscottoalgiorno.com, Sara Milletti di l-appetito-vien-leggendo.com, Amelia Affronti freelance fashion designer, e un ospite a sorpresa con cui ho amabilmente discusso durante la serata, il giornalista Alessandro Aleotti, Presidente del Brera Calcio.

Appena arrivata, come è mia abitudine fare per conoscere l’ambiente in cui lavorano le persone che incontro, ho curiosato un pochino per il locale. Le atmosfere un po’ retrò a memoria del passato hanno attirato subito la mia attenzione.

Un vecchio megafono, un quadro con una dedica di Renato Rascel a ricordo di una cena li, e un angolo con una parete scritta a penna dai frequentatori della briscola del locale, mi hanno fatto sorridere. Poi, una volta chiamata all’ordine, ho raggiunto il gruppo.

Scesa al piano inferiore mi sono trovata davanti alla bella mise en place predisposta da Amelia Affronti, esperta di bon ton e docente di corsi dedicati all’allestimento della tavola. Un saluto, due chiacchiere, e poi a tavola. Mi era venuta decisamente fame.

Un particolare interessante riscontrabile leggendo il  menù de La Colonna, è che la proposta dei piatti è già legata ad un vino, sia come costo, che per l’abbinamento.

Dopo la cena, appena ha potuto, ho fatto sedere a fianco a me Dino, lo chef. Si era guadagnato da subito la mia simpatia, visto che al mio arrivo offrendomi un calice di vino, uno spumante, non aveva usato un termine ben noto per definire i vini mossi che proprio non sopporto.

Dino da ragazzo, nonostante la madre avesse una trattoria, si è diretto verso tutt’altro settore. Dopo aver interrotto gli studi all’ITIS, ha esercitato per molto tempo la professione di parrucchiere per signora.

Circa dieci anni fa la svolta con la decisione di diventare cuoco. Di giorno vendeva surgelati, e di sera  imparava a cucinare lavorando a fianco ad uno chef. Poi, con l’acquisizione del locale che a tutt’oggi gestisce, il compimento di un sogno. Mai pensare che è tardi per cambiare vita…  

Trattoria La Colonna in

Via S. Maria alla Porta, 10 – Milano

 




Facciamo la caccia al tesoro? Anzi… all’etichetta! Vi presento Sara Cordara

E’ estate, è tempo di spensieratezza, di giochi e di allegria. Bene, ho pensato di fare una caccia al tesoro, che poi, se è veramente un tesoro, è tutto da verificare! Come? Il gioco, che poi gioco non è, si svolge leggendo le etichette dei prodotti che acquistiamo! Ma quanti lo fanno? E soprattutto, quanti riescono a capire quello che leggono! A volte mi chiedo se certi produttori pensino che i consumatori siano dei piccoli chimici!

Se riflettete bene, quello che leggete, e quello che per lo più non capite, ve lo mangiate!

Oggi vi lancio una sfida! Insieme a Sara abbiamo deciso di  fare un giochino estivo, si chiama “caccia all’etichetta”. Ovviamente mi riferisco a quelle ingannevoli, quelle fatte per gli ingegneri nucleari, che forse poi, non capiscono neanche loro!

Queste le regole: quando non capite che cosa leggete, o quando qualcosa scritto sull’etichetta non vi convince, inviateci una foto, Sara Cordara sarà il nostro Sherlock Holmes… ma dell’etichetta!

 Bene, vi presento la nostra investigatrice specialissima! 😉

Sara Cordara, biologa, nutrizionista e specialista in scienza dell’alimentazione. 

Da anni si occupa di comunicazione nutrizionale e di divulgazione scientifica. Si batte per difendere e valorizzare il Made in Italy, e per un’etichettatura alimentare più chiara, meno fuorviante e ingannevole, a tutela del consumatore.

  • Ciao Sara, leggo che da anni ti occupi di comunicazione nutrizionale. Mi sembri molto giovane, vuoi raccontarmi brevemente il tuo percorso professionale?

Dopo la laurea quinquennale in scienze biologiche con una tesi sull’aspartame,  il dolcificante chimico più discusso da tempo, ho deciso di specializzarmi in scienza dell’alimentazione. Mi affascina tutto ciò che è nutrizione a 360°. Ho lavorato per un paio di anni presso un laboratorio di ricerca dell’ospedale Luigi Sacco di Milano ma mi sentivo un topino da laboratorio.

Avendo sempre avuto una piacevole parlantina, ho iniziato a collaborare come divulgatrice scientifica con alcune riviste di benessere come Viversani&belli.  Attualmente supporto il dipartimento di marketing di Yakult, un’azienda specializzata in probiotici e con loro seguo un progetto con dei runners. Ho anche una mia rubrica di nutrizione su una radio piemontese.

Sono dell’opinione che la migliore forma di comunicazione sia il contatto diretto con la gente, una volta c’era il cartaceo, ora si comunica attraverso i social come facebook e twitter, i siti web, i blog.  A mio parere funziona, si riesce a interagire bene, purché la comunicazione sia pulita e fatta con intelligenza.

  • Ti batti per valorizzare il Made in Italy  attraverso un’etichettatura più trasparente che indirizzi il consumatore verso una scelta più consapevole. Vista la tua esperienza, qual è la situazione attuale?

Il consumatore medio legge le etichette alimentari ma comprende ben poco, e non è da biasimare. Negli ultimi anni ho ricevuto molte segnalazioni di etichette indecifrabili e incomprensibili. La colpa è di un sistema che funziona male e spesso parte direttamente dalla Comunità Europea.  

Faccio un esempio, proprio recentemente non è passato da Bruxelles il provvedimento sul tappo anti-rabbocco per evitare che nei ristoranti l’olio di oliva venga continuamente miscelato con quello vecchio, magari con quello di semi. Sarebbe stato un modo per tutelare il nostro olio di oliva, il “re” della dieta mediterranea.

  • Sono una convinta sostenitrice dell’educazione alimentare fin dall’infanzia, ma non solo. Anziché prescrivere medicinali a iosa, proporrei corsi per patologia al fine di educazione i pazienti ad un corretto stile di vita, evitando l’abuso farmaceutico, che ahimè, è troppo diffuso a livello mediatico. Sono ripetitiva, lo so, ma mi chiedo se a lungo andare questo mio pensiero si possa trasformare da utopia a speranza…

Una sana consapevolezza alimentare prende forma durante l’infanzia e l’adolescenza, e qui che i genitori devono lavorare duro, una volta adulti diventa complicato modificare le proprie abitudini. L’obesità infantile purtroppo è sempre più in aumento portandosi appresso tutte le complicanze correlate come il diabete e l’ipertensione.

Una buona educazione nasce dal nucleo famigliare; durante i miei seminari nelle scuole elementari non è infrequente trovare bambini che non mangiano il pesce perché non essendo gradito da uno dei genitori non viene cucinato. Poi c’è il problema del junk food, il cibo spazzatura comodo ed economico che dilaga sempre più.

Forse sarò troppo dura, ma sono dell’idea che il consumismo e molte aziende alimentari vadano a braccetto con quelle farmaceutiche, le prime ci ” ingozzano di cibo” e le seconde ci “curano”, l’una non può esistere senza la presenza dell’altra. Quest’ultimo concetto riassume un po’ la mia opinione in merito.

 



Come mai ci sono poche donne Chef Executive?

Una volta si diceva che la vanità è donna… una volta!!! Ormai le cose si sono decisamente  capovolte, mi riferisco a uomini spesso più che chef, superstar! Certo è il loro momento, ma forse è il caso che tornino un pochino in cucina! Mmm, ora mi sa che mi conviene abbassarmi, prima che mi arrivi una pentola in testa! 😉

Va bè, a parte gli scherzi, sta di fatto che per noi donne affermarsi è un pochino più difficile. Dobbiamo essere brave, competenti, possibilmente di bell’aspetto, in ordine, madri, mogli e… insomma fare il doppio della fatica. O stiamo al passo… o rimaniamo indietro!

Questo vale per tutti i campi della società italiana, nelle amministrazioni, nella sanità, nella politica e,  per stare in tema, nell’enogastronomia. Basta guardare il rapporto tra, uomini e donne, sia nel cucinare sia nel giudicare chi cucina.

E’ un mondo per lo più di uomini chef e di uomini valutatori. Ebbasta!!! Noi donne, per lo più, abbiamo molta più sensibilità di voi, è scientificamente provato, e la sensibilità nell’enogastronomia è dote assai importante!

Detto ciò passo la parola a donne chef, stellate e non, di varie regioni italiane, che vivono questo ambiente, e che quindi con cognizione di causa possono dare una risposta coerente e al femminile. Prego, a voi la parola…

Donne e Chef

  • Antonella Rossi, Chef e Patron presso il Ristorante “Napoli Mia” (NA)

Ciao Cinzia, da sempre il cuoco, anche dai tempi dei monzù o monsù come si dice in Sicilia, è sempre stato un uomo, anche se erano le donne a cucinare per la famiglia.  Il cuoco oggi è chef, e per antonomasia è un uomo.

Per noi donne è sempre più difficile trovare spazio in questa categoria, anche se a volte molte donne sono più brave degli uomini. Le donne hanno una visione estetica del piatto e lo guardano dal lato femminile, facendolo più elegante. Per i cuochi maschi noi restiamo delle donne, e quindi non abbiamo visibilità come loro.

  • Maria Probst, Chef del Ristorante “La Tenda Rossa” Cerbaia (FI)

Ciao Cinzia, mi chiedi come mai!? Dunque, bisogna essere soprattutto sportive. E’ una vita un po’ diversa dalle solite. Tanti sacrifici e tante soddisfazioni… tutti i giorni bisogna essere al top, motivati, contenti, e con tanta voglia di fare…

Non è un lavoro per tutti… Si è sempre sotto esame, e non si ha un giorno di relax. Ma se sei una persona con una forte motivazione, ti da un mondo totalmente differente dal solito. La Donna fatica di più ad emergere, perché  riflette sempre sui propri errori. L’uomo, a differenza, e più sicuro di sé.

Poi c’è un altro fattore importante, e cioè quello di dover organizzare anche la famiglia. Facendo un lavoro così impegnativo è veramente un’arte. Nel mio caso è possibile solo perché la conduzione è a carattere familiare.

  • Paola Bertinotti, Patron del Ristorante “Pinocchio” a Borgomanero (NO)

Ciao Cinzia, ti posso dire perché non lo faccio io. L’ impegno della sala paragonato a quello della cucina è più leggero. Uno chef non può assolutamente lasciare la cucina. Una donna generalmente ha anche impegni con la famiglia e con i figli che non può delegare in toto ad altri.

Più fortunate sono quelle che lavorano in casa propria, ma, ti dico, io non potrei rinunciare ai pomeriggi che passo con i miei figli fino alle otto di sera. Ubi maior…

  • Erica Petroni, Genietto del Food presso il suo Laboratorio “FOOD ART FACTORY” (MI)

Ciao Cinzia, bè ce ne sono,  io sono un esempio…

La realtà è dura. Sono tutti uomini; bisogna farsi rispettare come un uomo, avere tanta forza, e lavorare per venti ore al giorno senza pausa e senza tregua.

Per le donne che ce la fanno non esiste una vita privata! Inoltre agli uomini scoccia ancora che sia una donna a comandare…

  • Nadia Zampedri, Chef e Patron presso la “Trattoria Pegaso” a Gavardo (BS)

Ciao Cinzia, penso che sia solo una questione di  famiglia.

Avendo dei figli da accudire non è possibile organizzare un lavoro come il nostro. 

E’ troppo il tempo che esige.

  • Nadia Vincenzi, Chef e Patron del Ristorante “Da Nadia” a Castrezzato (BS)

Ciao Cinzia. Le donne chef  hanno più difficoltà ad affermarsi rispetto agli uomini, secondo me a causa di vecchi preconcetti.

E’ un mestiere duro a prescindere che sei maschio o femmina, per farlo si deve essere molto determinati.

Questo è il mio pensiero.

  • Carla Teodori, Chef del Ristorante “AD Cookies” (RO)

Ciao Cinzia, anche io me lo sono chiesta, ma… un po’, è perché siamo partite in svantaggio con i tempi. Fino a qualche anno fa noi donne non eravamo molto ben accettate in cucina. E’ un lavoro molto pesante, sia fisicamente che mentalmente. Personalmente ho avuto seri problemi a lavorare, sono andata avanti soprattutto per testardaggine, non facendomi intimidire quando i colleghi uomini mi prendevano in giro.

Poi, come per tutti i lavori siamo un po’ penalizzate per la necessità di accudire i figli e la famiglia. E’ un lavoro che ti porta col tempo a non avere più vita sociale, e credimi, sono poche le persone che vi rinunciano. Per fare l’Executive Chef devi avere molta esperienza, se è all’estero, tanto meglio. Ad esempio quando sono partita per l’Egitto per fare pratica, sono stata l’unica donna ad avere il coraggio di farlo. E molto lunga la storia da spiegare, ci sarebbe da parlare per giorni e giorni…

  • Dalila Davoli, Chef presso Ristorante Pause-Centro Internazionale Loris Malaguzzi Reggio Emilia

Ciao Cinzia, credo che il motivo di fondo sia da ricercare nei ruoli storicamente affidati alle donne, madri di famiglia innanzitutto, e solo da pochi anni inserite nel mondo del lavoro, e da pochissimi in vesti dirigenziali. Mi auguro, e mi pare che qualcosa stia cambiando, che questi spazi, verranno “conquistati” anche dalle donne.

Noi sappiamo bene che spesso sono le donne ad avere una marcia in più… Se ci mettiamo sappiamo ben dimostrare di saper usare il cervello attraverso le nostre doti di organizzazione ed efficienza.

Questo non vuol dire che fare la chef non comporti problemi organizzativi, anzi, la vita sociale è messa a dura prova. “Coraggio, ce la possiamo fare!”.

  • Trish Bottura, Chef per eventi

Ciao Cinzia, forse il motivo sta nel fatto che è un lavoro molto impegnativo, essere occupata 12/16 ore al giorno per una donna che ha famiglia diventa difficile.

Solitamente uno Chef Executive rimane nello stesso posto a lungo termine, e la struttura che lo assume teme un’eventuale maternità…

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