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Ricordi d’estate e… di “Frico Friulano”

Ricordo quando da bambina, durante le vacanze estive in campagna, ci si organizzava per la consueta gita dai cugini in Friuli…

Lungo la strada, mentre guardavo dai finestrini il susseguirsi dei bei paesaggi della Carnia, in provincia di Udine, ascoltavo i racconti che gli zii facevano dei miei bisnonni di Trava e di mio nonno Emilio.  Ci ha lasciati poco tempo prima che io nascessi… il mio secondo nome è in sua memoria.

Un uomo creativo e ingegnoso, generoso e di buona compagnia, così ama ricordarlo mio cugino Giuliano. Ha vissuto in Carnia fino a quando l’amore per mia nonna, Luigia, l’ha portato a trasferirsi in un paesino del Trevigiano.

La Carnia, una terra tra le montagne abitata da uomini e donne operose, i Friulani. Giuliano vive ancora li…

“La Carnia è un luogo dove sei in pace con te stesso e con il mondo… è l’armonia tra l’uomo e la natura.” Giuliano De Colle

Oggi in suo onore voglio ricordare un piatto tipico della tradizione Friulana che amo molto, il Frico. Un piatto dalle origini antiche, citato per la prima volta nel 1400 dal maestro Martino da Como nell’opera “De Arte Coquinaria”. Qui di seguito riporto la ricetta tipica di famiglia.


  Il Frico Friulano

Dosi per 4 persone:

  • 2 cucchiai d’olio
  • mezza cipolla
  • 500 gr. di patate
  • 250 gr. di formaggio montasio
  • sale q.b.

Preparazione:

– Tagliare finemente la cipolla, rosolarla in una padella antiaderente e unire le patate tagliate a lamelle fini.

– Salare e cuocere per  20 minuti  mescolando spesso il tutto.

– Quando il composto si è ben amalgamato, aggiungere il formaggio tagliato a scaglie sottili fino a farlo fondere.

– Girare più volte il frico in modo da creare una crosta uniforme e dorata.

A questo punto non mi rimane che augurarvi buon appetito salutandovi  come  si conviene in Friuli…  mandi! 😉




L’Ayurveda, l’antica medicina naturale da riscoprire

 

Risponde il Dott. Marco Bartoli, medico chirurgo specializzato in omeopatia, docente di medicina tradizionale cinese ed ayurvedica.

Ho conosciuto Marco ascoltandolo in una conferenza che ha tenuto a Milano sul tema della medicina ayurvedica, la medicina tradizionale indiana.

E’ risaputo da chi mi conosce che non amo i farmaci, li uso solo quando è strettamente necessario. In Italia purtroppo a causa di una spinta mediatica deviante, se ne abusa. Le code che vedo sovente in farmacia le vorrei vedere nei campi, dove erbe medicinali dai rimedi antichi possono molto. Ovviamente a ciascuno il suo mestiere, non tutti hanno la conoscenza di questo settore. Diventiamo meno pigri, e avviciniamoci ai sistemi naturali anche solo entrando più in erboristeria.

Per certo, con la vita frenetica che conduciamo è più semplice inghiottire una pillola che ponga rimedio ai nostri mali, senza però renderci conto che, con l’andar del tempo, finiremo per intossicarci. Uno stile di vita e un’alimentazione corretta possono molto più di tante medicine…

  • Ciao Marco, durante la tua conferenza hai citato il motto dell’ayurveda: “La conoscenza è strutturata nella coscienza.”  Vuoi approfondire questo concetto spiegandolo a chi ancora non conosce questa forma antica di medicina?

Ciao Cinzia, l’ayurveda fece la sua comparsa nel mondo quando alcuni grandi saggi si riunirono e dissero: “La salute è il supremo fondamento della virtù, della prosperità, del piacere e della salvezza, mentre le malattie rovinano la salute, il bello della vita e la vita stessa.

Da allora alcuni particolari esseri umani hanno avuto il compito di preservare e trasmettere questa saggezza. Gli straordinari saggi dell’Ayurveda avevano raggiunto un tale livello di coscienza di sé,  da entrare in comunione con le forze che governano l’universo. Ecco spiegata la frase che ho pronunciato nella conferenza. “La conoscenza è strutturata nella coscienza“.

Anno dopo anno esperimenti scientifici sempre più rigorosi non fanno altro che confermare l’esattezza dei principi curativi stabiliti da alcuni mistici millenni e millenni orsono.

  • E’ importante evitare l’inquinamento dell’organismo in tutte le sue forme. Ma com’è possibile farlo per chi vive in città?

Evitare l’inquinamento delle nostre città non è possibile. Sul lungo periodo si potrebbe pensare di progettare le città con criteri più ecologici ed ecosostenibili, ma cosa fare nell’immediato per chi vive immerso tra fumi, rumori, veleni, smog e inquinamento alimentare ed elettromagnetico?

E’ essenziale capire l’importanza di depurare profondamente l’organismo. Con i farmaci chimici non possiamo depurare nulla, anzi… aggiungiamo solo un ulteriore forma di tossicità. I farmaci a volte sono efficaci, addirittura salvavita; spesso però assistiamo a forme di abuso.

Ecco l’esigenza di ricorrere alle medicine denominate olistiche o naturali. Con queste terapie possiamo eliminare molti fattori pericolosamente tossici, che sono il fondamento delle malattie e che letteralmente ci rubano anni o decenni di vita. Tra queste terapie annoveriamo la medicina ayurvedica, la fitoterapia, la medicina tradizionale cinese, la medicina omeopatica. Io come medico pratico a tempo pieno da più di venti anni queste discipline, e posso assicurarvi che sono efficaci, affidabili e prive di effetti collaterali. Naturalmente devono essere esercitate da un medico esperto e competente. Negli anni il numero dei pazienti che si curano con queste medicine in Italia è arrivato a superare di gran lunga i dieci milioni di unità. Nel frattempo si sono moltiplicati studi scientifici seri e rigorosi, che provano l’efficacia di queste terapie.

Personalmente, quando faccio lezione ai medici, presento molti miei casi clinici risolti che in precedenza non avevano ottenuto benefici con i comuni presidi farmacologici. Sono quei casi difficili che noi medici chiamiamo “Non responder.”  Presento analisi cliniche, prima e dopo la cura, e testimonianze scritte dei pazienti che confermano l’efficacia dei trattamenti.

  • Ora cito una parola che potrei chiamare anche parolaccia: OGM. Lascio continuare a te…

Guarda la mia è un’opinione strettamente personale su un tema che è già molto dibattuto. Molti scienziati si schierano a favore, altri sono contro. Personalmente penso che gli O.G.M. siano veramente pericolosi, ed ho paura di ciò che sta accadendo! Non conosciamo davvero nulla delle conseguenze che tali manipolazioni genetiche, che poi diventano il nostro cibo di tutti i giorni, possano avere a breve-medio-lungo periodo sulle nostre strutture cellulari.

Mi sembra un delirio alla Frankstein, inserire D.N.A di scorpione in una mela… mi sembra un voler violentare la natura con la scusa di voler migliorare la qualità del cibo. Puntiamo piuttosto su un cibo veramente biologico se davvero vogliamo fare un discorso di qualità! Non facciamoci ingannare!  Mi domando questo… ed è un dubbio atroce: il vero motivo che spinge certa pseudo-scienza può essere l’interesse di multinazionali ad espandere vendite ed affari? Non so…

Io onestamente sono per il cibo tradizionale, genuino, come natura crea da millenni. Anche perché, Darwin lo insegna, e molti altri dopo lui lo ribadiscono… La natura fa le sue prove per migliorare in ogni generazione la sua progenie. Ci sono meccanismi biologici-chimici-genetici perfetti e prodigiosi che spingono ogni specie vegetale ad adattarsi a climi mutati, terreni diversi, ecosistemi in perenne divenire.

Come avrebbero potuto sopravvivere per millenni i nostri alberi di pere, mele o qualsivoglia frutto se non ci fosse un’intelligenza sacra e mirabile che in ogni istante è all’opera? Nella bibbia c’è scritto: “piante, fiori, frutti siano il vostro cibo e la vostra medicina…” un concetto semplice, chiaro e inattaccabile!

  • Il medico cura anche ascoltando il paziente. Ma quanti lo fanno?

Saper ascoltare il paziente è fondamentale. Saper poi valorizzare ciò che dice ai fini di una terapia veramente personalizzata è ancora più importante. Faccio un esempio: cento casi di bambini colpiti dallo stesso batterio (per es. streptococco) per noi medici olistici significa spesso prescrivere cento ricette diverse l’una dall’altra!

Ognuna delle terapie naturali che ho citato prima analizza con diverse teorie costituzionali il “terreno energetico di base” del paziente. Ciò orienta il medico nella scelta tra migliaia di diversi rimedi naturali siano essi vegetali, minerali o sostanze di tipo animale. Spesso ai fini della diagnosi differenziale il medico di medicina naturale considera i tratti caratteriali e psicologici.

Se devo scegliere tra duecento piante che curano l’osteoporosi devo sapere che non tutte sono adatte al tipo collerico. E’ qualcosa di importante che devo considerare. Se sto tentando di curare due casi di steatosi epatica, non farò la stessa prescrizione nel caso di un paziente freddoloso e magro rispetto ad uno caloroso e grasso.

Quindi devo visitare, guardare, interrogare, ascoltare… e tirare le somme di tutto per una terapia specifica… solo per quella persona! E devo considerare persino la stagione in cui la terapia è somministrata… perché vi sono energie diverse che s’interfacciano.

  • Parliamo di alimentazione. Puoi darci qualche consiglio semplici e attuabile per migliorare la nostra vita?

Il consiglio migliore a livello alimentare sarebbe quello di seguire integralmente i dettami della medicina ayurvedica. Ciò significa alimentarsi in base al proprio Dosha. Per Dosha intendiamo lo squilibrio energetico di base che determina la nostra appartenenza a una delle tre costituzioni di base (Vata-Pitta-Kapha). Semplificando molto potremmo dire che esistono individui nei quali esiste un eccesso dell’energia fuoco, in altri prevale acqua o terra o aria etc.

Nella mia alimentazione devo tenere conto di questo ed invece nella medicina ufficiale ciò è completamente ignorato. Ci si basa su calorie, giusto assemblaggio di protidi-glicidi-lipidi-fibre e sali minerali… e tutto finisce lì. Invece c’è molto altro! La medicina ayurveda per millenni ha studiato le caratteristiche energetiche del cibo. Esistono cioè cibi di natura fuoco altri di natura prevalente acqua o terra… ed altri misti. Il cibo diventa una vera terapia laddove riesce a riequilibrare un eccesso energetico che alla lunga genera accumulo di tossine, e successivamente patologia. Abbiamo utilizzato concetti simili a questi provenienti dalla medicina cinese e abbiamo ottenuto ottimi risultati nel campo dietologico.

Gli studi dell’Istituto Paracelso di Roma, di cui faccio parte, sono esemplari e pionieristici in tal senso. I risultati sbalorditivi dal punto di vista scientifico sono stati oggetto di numerosi congressi medici nazionali ed internazionali come quello di Strasburgo nel 2009. Anzi approfitto della tua intervista (e ti ringrazio Cinzia per l’opportunità) per dare la mia mail a tutti coloro (colleghi medici in primis) fossero interessati a studiare l’alimentazione sotto un profilo completamente nuovo o condividere esperienze e studi inerenti alle terapie olistiche: posso su questo tema fornire molti materiali scientifici interessanti, in anteprima europea.

dott.bartolimarco@gmail.com

 




Gianfranco Tuoro, da cuoco a produttore di “Sciavuru d’Aliva”… profumo d’oliva

Basta un attimo, e tutto cambia…

Come una mattina di due anni fa, quando a causa di una svista, un giovane uomo alla guida della sua auto non si è fermato ad uno stop. La mia macchina ha incominciato a roteare su stessa strisciando sul suolo fino a fermarsi distrutta, schiacciata e capovolta, con me appesa a una cintura tra i vetri frantumati.  Gianfranco ha vissuto la stessa esperienza nel 2002, un grave incidente stradale avvenuto su una moto che purtroppo non lo ha protetto, obbligandolo ora su una carrozzina.

La vita è strana, a volte le difficoltà, mettendoci alla prova, fanno emergere in noi potenziali inaspettati. Io, bloccata a casa per mesi ho incominciato a scrivere di realtà che fino ad allora mi limitavo a visitare. Gianfranco invece ha iniziato a produrre olio d’oliva a Castelvetrano, in Sicilia, sua terra d’origine: “Sciavuru d’Aliva”.

Gianfranco Tuoro è nato e cresciuto a Lecco. La sua passione per l’enogastronomia l’ha portato ad orientarsi verso gli studi alberghieri. Mentre frequentava la scuola ha iniziato a lavorare come cuoco in un ristorante sulle rive dell’Adda. Poi, una volta diplomatosi, ha incominciato ad esercitare la sua professione in alcuni ristoranti in Europa.

Nel 2002, tornato in Italia per un periodo di vacanza, la sua vita è stata interrotta improvvisamente da un grave incidente stradale che l’ha costretto su una carrozzina. Dopo il periodo iniziale dedicato alla riabilitazione fatta presso l’Ospedale di Sondalo, si è trasferito nel paese natio di sua madre, Castelvetrano (TP), in Sicilia.

La casa degli zii era più adatta alle sue nuove esigenze di vita. Poi, passare del tempo nel luogo in cui era cresciuto da bambino e i ricordi spensierati che riemergevano, l’hanno portato alla decisione di acquistare un pezzo di terra e di iniziare a produrre olio d’oliva.

Castelvetrano, paese dedito alla produzione dell’olio, l’ha chiamato a se. Dico spesso che la terra ci può salvare se sappiamo salvare lei. Così è per molti…

Ora Gianfranco vive li per parecchi mesi all’anno, per seguire personalmente le varie fasi della coltivazione dell’uliveto e della produzione del suo olio d’oliva.

Molto spesso mi soffermo, e senza accorgermi sorrido, ricordando la mia vita vissuta da bambina in campagna, quando il tempo passava lento tra le vendemmie e le tavolate allegre. Ho chiesto a Gianfranco di raccontarmene uno suo, un ricordo della sua infanzia a Castelvetrano, in terra di Sicilia.

Ricordo il sole infuocato, la gioia nell’immergere la testa in un secchio d’acqua gelata tirata fuori a mano dal pozzo… Ricordo la fame di noi bambini-cavallette al pensiero delle uova fritte nell’olio con le patate preparate dalle nostre mamme per l’ora di pranzo… Ricordo il cielo nelle serate Siciliane, quando, seduti sulla veranda ammiravamo il tramonto con le sue luci e i suoi colori… Ricordi indimenticabili e bellissimi!

 

  • Mi piace conoscere i territori raccontati da chi li vive e li rispetta. Le produzioni sono la conseguenza di queste passioni, sono il frutto della terra per mano dell’uomo. Il mio sogno è quello di legarmi alla terra, l’unica che mi da vera pace e benessere. Gianfranco ora tocca a te. Raccontami la tua terra…

Cinzia, sul territorio di Castelvetrano regna l’ulivo e gran parte dell’economia del paese gira attorno ad esso. Il periodo non felice che stiamo attraversando ha colpito anche questa realtà, e ha disaffezionato molte persone dal lavoro della campagna perché non riesce più a creare un reddito adeguato.

Come ti dicevo la cultivar regina è la Nocellara del Belìce, un’oliva grossa e tonda, che appunto ricorda una noce. E’ una cultivar che ha una storia antica. Pensa che nel 1600, sotto il dominio degli Aragona, nella zona furono create grandi piantagioni di olivi che, anziché mirare alla quantità produttiva, prediligessero la produzione di frutti di grosso calibro. In quell’epoca nasceva la Nocellara come si conosce oggi, oliva fra le più rinomate nell’immenso elenco delle olive italiane.

Dal 2009 ho aderito al consorzio DOP “Valle del Belìce”. Non sapevo nulla di agricoltura ne di commercializzazione. Ho trovato però subito degli estimatori che mi hanno dimostrato stima dandomi coraggio. Dallo scorso anno esporto i miei prodotti anche all’estero con un’etichetta differente.

Sono contento di aver iniziato a collaborare con un ragazzo che, oltre alla vendita, si preoccupi di creare e diffondere la giusta informazione per l’uso di prodotti di alta qualità, e del perché questi abbiano dei costi diversi rispetto a quelli della grande distribuzione. Certo è, che ci sono popoli che hanno una propensione a voler imparare cose nuove rispetto ad altri che vengono cresciuti con pregiudizi, spesso basati su informazioni scorrette.

  • Gianfranco, una delle cose che adoro più mangiare è il pane con l’olio d’oliva, ma… se ti chiedo una ricetta che mi rispondi ?  😉

Cinzia, come potrai immaginare ne esistono parecchie che utilizzano i prodotti e gli aromi tipici di Castelvetrano. Te ne racconterò una semplicissima che purtroppo appartiene al periodo primaverile da poco trascorso ma che ti invito a ricordare per l’anno prossimo.

 

Uova fritte, naturalmente con l’extravergine di Nocellara, con insalata di arance e finocchi.

Si prepara l’insalata unendo le arance (preferibilmente di Ribera) e un finocchio tagliato a julienne. Se poi ci fosse anche qualche fava cruda non sarebbe male. Sempre se si vuol esagerare aggiungere qualche fogliolina di maggiorana fresca.

Olio d’oliva, sale e pepe e… buon appetito! 🙂

 

 




Oggi non si chiacchiera, shhh… si ascolta! Vi presento una massaia moderna!

Samanta Cornaviera, un po’ veneta come me… speaker per la radio e per la pubblicità, cuciniera per passione e tradizione, professione: “Massaia, ma… moderna!”

Posso dirvi solo che Samanta è un vero portento! L’ho conosciuta recentemente partecipando a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esporre le nostre esperienze nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Una forza della natura, un’appassionata come me alle tradizioni e alla storia. Pensate che ha raccolto moltissime ricette del Novecento. Io le adoro! Se volete ascoltarle in pillole formato audio, le trovate qui.

Ho chiesto a Samanta cosa vuol dire essere massaia moderna oggi, se è un’utopia o se è ancora possibile. Le ho chiesto anche come è iniziata la sua collaborazione con la rivista “La Cucina Italiana”,  e poi le ho chiesto… anzi, visto che lei una speaker, direi che l’unica è ascoltarla! 

Shhhh… silenzo! 😉

“Le nostre signore sanno che la donna moderna non può scindersi dalla massaia moderna.  Si può star bene in salotto e stare bene in cucina; la dispensa deve avere per ogni donna la stessa importanza del guardaroba come la cucina quella del salotto.”

Da “La Cucina Italiana” – N. 1 Anno 1 – 15 Dicembre 1929

 




“Tano, passami l’olio, ma… per il minestrone!”

Chi sa fare il minestrone alzi la mano!  

Direte: “Ehh Cinzia, che ci vuole a farlo!” E invece no! Un buon minestrone se fatto bene, va fatto a regola d’arte… anzi, a regola di Tano! E non è finita… Ora vi chiedo: “Minestrone d’inverno o minestrone tutto l’anno?” Io tutto l’anno… e voi?

Amo il minestrone, d’inverno bello caldo, e d’estate tiepido. Un mega concentrato di verdure di stagione, di vitamine e di sali minerali. Peccato che per molti d’estate sia, come dire… un piatto inadeguato. Io insisto, e comunque me lo faccio!

Ma siamo veramente capaci di fare il minestrone?

Qualche giorno fa si discuteva con lo chef Giancarlo Morelli degli errori che i più fanno nella preparazione del minestrone. Neanche a farlo apposta mi sono ritrovata pochi giorni dopo a riparlarne con lo chef Tano Simonato. Mi ha ribadito l’errore comune, mio compreso, nel procedere alla cottura mettendo insieme tutte le verdure.

Basta, ho deciso, voglio sapere come si fa sul serio il minestrone!

Cinzia,  basta dirlo… ecco la ricetta:

“Il Minestrone freddo di Tano Simonato”

Ingredienti:

  • Per il brodo:

Carote, zucchine, sedano, cipolla bianca, pomodori ramati, basilico, alloro, bacche di ginepro.

Preparazione:

Dopo aver mondato tutte le verdure tagliate a pezzi, lasciare sul fuoco per almeno tre ore a fiamma bassa.

Passare a chinoise (colino) e tenere solo la parte liquida.

  • Per le verdure:

Carote, zucchine, ceci, piselli, patata, fave.

Preparazione:

Mettere a bagno i ceci la sera prima (almeno 18 ore); mettere in cottura e tenerli al dente, circa 50 min.

Mondare le verdure e portare a cottura come segue:

       – Tagliare le carote a concassè e lessare tenendole al dente.

       – Tagliare le zucchine e lessare tenendole al dente.

       – Sbollentare i piselli in acqua già bollente per pochi minuti e tenerli al dente.

       – Sbollentare le fave in acqua già bollente per pochi minuti e tenerle al dente.

       – Sbucciare le patate e tagliarle a concassè e lessare in acqua già bollente e tenerle al dente.

       – Sbucciare una patata e lessarla a lungo, per poterla poi schiacciare con schiacciapatate.

Tutte le verdure vanno salate nell’acqua con poco sale.

Tenere tutto separato sino al momento di preparazione del minestrone.

  • Per il riso:

Portare a cottura in acqua già bollente del riso vialone nano tenendolo al dente; salarlo della metà di una normale cottura.

Preparazione del minestrone:

Mettere la patata schiacciata nel brodo e rimestare; aggiungere tutte le verdure ed infine il riso. Naturalmente tutto a freddo. Aggiustare di sale e un po’ di zucchero.        

Impiattare in fondina e servire con olio evo (extra vergine d’oliva).

 




Ma l’homo sapiens sapiens è un erbivoro o un carnivoro? Ora gli guardo i denti!

Dunque, il cavallo, la pecora, la mucca sono erbivori, e fin qui ci siamo. La tigre e il leone invece  sono carnivori, e direi che ci siamo anche qui.

Madre natura ha fornito ad entrambi una dentatura e un intestino adatto rispettivamente all’alimentazione dei primi e dei secondi.

Detto questo mi sorge un dubbio: “Ma l’homo sapiens sapiens, che poi -sapiens- è tutto un dire con quello che combina, è un erbivoro o un carnivoro?”

Oh mamma mia che confusione, fermati Cinzia se no ti parte un embolo!

Direi che l’unica a questo punto è guardagli i denti! – I denti direte?! Ma che dici Cinzia, un embolo mi sa che ti è partito veramente! – E invece no, e ve lo dimostro facendo intervenire l’esperto.

Vi presento il Dott. Marco Bartoli, medico chirurgo specializzato in omeopatia, docente di medicina tradizionale cinese ed ayurvedica.

 

  • Ciao Marco, mi chiarisci le idee…

Ciao Cinzia, certo che si! Ora ti spiego…

L’anatomia comparata spiega che la dentatura degli umani è ricca in molari, dal latino mola cioè macina, e serve per macinare e triturare granaglie, cereali e vegetali vari, come fa la mucca o la pecora, notoriamente degli erbivori.

L’uomo, la pecora, il cavallo o la mucca sono molto somiglianti per la dentatura e anche per il tipo di intestino molto lungo, stretto e convoluto. Tutto ciò è adattato a un tipo di alimentazione vegetariana. Diverso è il caso della tigre o del leone. Essendo carnivori hanno una struttura dentaria diversa, adatta a sbranare la preda (quindi alimentazione carnivora) con canini lunghi e acuminati. Il loro intestino è anch’esso diverso e adattato ad un tipo di alimentazione densa di proteine animali.

Per farla breve, se introduciamo un eccesso di cibi di tipo animale (carne o pesce che sia) produciamo tossine pericolose, che alla lunga sono causa di malattie. Se contattate le principali associazioni vegetariane internazionali vi forniranno una mole enorme di studi scientifici che provano ciò. Per non parlare poi dell’effetto sul ph del nostro corpo che con cibi di tipo animale tende inesorabilmente all’acidità, velocizzando il processo d’invecchiamento tissutale.

 

Ho voluto riportare questo intervento di Marco unicamente perché mi ha fatto riflettere. Non sono un’integralista, anche se amo molto l’alimentazione vegetariana. Detto questo, la cosa veramente importante per il nostro organismo è diminuire il consumo di carne. Come ben si sa, l’eccezione non fa la regola…




Due chiacchiere con… una Mamma Bionica!

Direte, mamma bionica, ma in che senso ?! Nel senso che Laura Pantaleo Lucchetti è una mamma specialissima con ben sei figli! Ma non solo, oltre che mamma lei è una cara amica e collega, visto che entrambe collaboriamo con il Cavolo Verde, rivista enogastronomica on-line.

Alcuni già la conoscono, tanti altri ancora no. Ho deciso di presentarvela: eccola, da “Una mamma e sette laghi”, il suo blog personale. 

  • Ciao Laura, ricordo la prima volta che ti ho conosciuta… Inizialmente attraverso la lettura dei tuoi scritti, poi, di persona, a Olio Officina Food Festival 2013. Una donna semplice, dolce e grintosa. D’altronde non potrebbe essere diversamente con una famiglia così numerosa, una vera e propria “impresa familiare.” 😉 Io sono figlia unica con un figlio unico, ma ho un profondo senso della famiglia. Sono stata sposata per molti anni con un uomo con sette fratelli, quindi una vaga idea me la sono fatta. Certo, gestirla è tutt’altra cosa.

        Laura, cosa significa oggi avere sei figli? Sospira prima di rispondere…

Mia cara, innanzitutto ti ringrazio per queste bellissime parole e per avermi dedicato questa pagina. Ho preso un bel respiro e mi sono pure seduta (inaudito!). Allora, andiamo per gradi. Essere genitori di prole numerosa non è mai stato facile, penso. Solo che ci sono un po’ di distinguo da fare.

Una volta tutte le madri di famiglia non particolarmente agiate, sia che avessero un figlio solo sia che ne avessero dieci, lavoravano o dentro o fuori casa. Chi faceva la magliaia, chi andava all’opificio, chi nei campi… è storia, e se uno si documenta bene (prendi ad esempio Carlo Maria Cipolla, il mio personale vate della storia economica) se ne fa una ragione. E’ che oggi il modello prevalente di famiglia è quello atomico, perché si vive lontano da quelle di origine. Un tempo, invece, nonni e genitori vivevano nella stessa cascina, nella stessa contrada, nello stesso paese, e c’era sempre una zia o una matriarca ad occuparsi dei bambini e del desco mentre i giovani – donne e uomini – andavano a lavorare. La casalinga, anche linguisticamente (prendi un qualsiasi dizionario etimologico e te ne accorgi), nasce con il primo Novecento, con gli spostamenti dai luoghi natii, ed ha un successo strepitoso con la ricostruzione e con, consentimelo, gli agi che questa ha portato. Il modello atomico  si rinforza negli anni con i problemi annessi: le nuove famiglie hanno una disperata necessità di creare ex novo un sostegno organizzativo che precedentemente faceva parte integrante della società e non era mai stato messo in discussione. Le donne, così, smettono di lavorare dovendo occuparsi tutto il giorno di prole e casa. E cominciano a diventare schiave delle pulizie domestiche, delle mode mediatiche e dei figli…

Facciamo un salto generazionale. Oggi a livello organizzativo come siamo messe? La verità è che facciamo pochi figli, e questo non dipende solo ed esclusivamente da motivi economici. Dipende da fattori organizzativi che spesso e volentieri esulano dalle possibilità della sola donna: o è la coppia ad organizzarsi o la vedo dura, e comunque senza aiuti esterni è particolarmente complicato far quadrare tutto. Ripeto, non è solo questione di soldi. E, se me lo consenti, il cliché casa perfetta gioca a sfavore del numero di figli. La donna si fa un punto d’onore ad avere tutto in ordine farmaceutico. Mi spiace ma io non ci sto. Non si può pretendere che una casa funzionale alle esigenze di una famiglia con bambini sia perfetta. Ecco perché mi sono creata questa “finzione” del bionico: bisogna, in una famiglia moderna, avere tante periferiche a portata di mano per le varie necessità familiari. Se la casa non è lustra alla perfezione, se i bambini hanno qualche macchiolina sulla maglietta, se i jeans li stiriamo addosso, a chi interessa veramente? Solo alla suocera o all’amica snob. Chi ti vuole veramente bene passa sopra anche alle ragnatele.

Per concludere, oggi, forse, è più difficile portare avanti una famiglia numerosa perché le pretese dall’esterno sono troppe, esagerate. La vita frenetica e mondana, le mode mediatiche ti impongono dei ritmi sconvolgenti. Puoi benissimo farcela con tanti figli, anche a lavorare fuori casa (o dentro, come faccio io che scrivo per mestiere), ma a patto di sopportare su di te l’opinione altrui, spesso invadente, quasi sempre contraria. A partire dai familiari. Pensa che noi non andiamo in vacanza da sette anni, stiamo benissimo così immersi nel nostro verde e andando al lago quando ci è possibile… e ci viene rimproverato come se facessimo mancare ai nostri figli un bene primario. E’ tutta una questione di prospettive.

  • Ora chiudo gli occhi e immagino di vedervi tutti insieme seduti a tavola a pranzare. Ho una visione allegra, e non posso che sorridere… Non vedo però che cosa hai preparato. Me lo descrivi? 

Per pranzo – papà è tornato dalla notte e la tavola era al completo! – c’erano delle polpette di pane e ricotta ricavate dagli avanzi di cucina. Costruisco spesso pranzi e cene dagli avanzi, almeno due-tre volte la settimana. E’ divertente, sano, economico. Coinvolgo anche la fantasia dei bambini, sia nella preparazione sia durante il pasto. La mia filosofia culinaria può essere tranquillamente definita un elogio della polpetta e del polpettone! Le polpette fanno allegria, sono piccole, tonde, praticamente perfette. Agli occhi dei bambini sono il non plus ultra; ma anche a quelli dei grandi. Cosa ci vuole a fare una polpetta? Praticamente niente, o quasi. Pensa che io ne preparo una trentina ad infornata ed è raro che se ne avanzino…

  • Ci siamo già trovate due volte insieme per esporre pubblicamente il nostro pensiero sulla comunicazione e sulla promozione enogastronomica in rete. Personalmente non sono molto abituata, cerco di essere me stessa dicendo semplicemente quello che penso e quello in cui credo. Tu invece, anche se fai la timida, mi stupisci sempre piacevolmente per la sicurezza nell’esporre i tuoi pensieri. Sicuramente la tua esperienza di speaker radiofonica ha molto contribuito. Mi racconti qualche ricordo di quel periodo? 

Certamente. Da una puntata ”zero”, che condussi nel maggio 2008 senza prevedere onestamente il seguito, mi “scritturarono” per altri tre anni di conduzione. Facevo un programma di cucina e successivamente anche di libri per bambini – la mia vera passione! – assieme alla collega Ilariamaria. La trasmissione andava in onda su Radio Padania e continua tuttora, ma io ho lasciato per motivi vari – principalmente per la gravidanza e la nascita di Giovanni – nel luglio 2011. Conducevo la mia parte al telefono, come una sorta di moderna Lisa Biondi. Mi emozionava sempre il riscontro con l’ascoltatore e le telefonate erano aperte e ovviamente non potevo prevedere cosa mi avrebbero chiesto. Mi divertivo moltissimo ma mi preparavo anche molto bene il canovaccio sui cui giostrare la puntata. Un’esperienza che mi aiutata sicuramente ad interagire con il pubblico, ma io sono naturalmente portata alla socialità… con tutti i figli che ho, praticamente conosco tutte le mamme del quartiere!

  • Bene, che ore si son fatte? Quasi quasi facciamo merenda, ma… una merenda letteraria, 😉 magari nel parco, e con tanti bambini! Dai che scherzo, ma neanche tanto, visto che io la merenda la faccio ancora!  Qualche giorno fa mi è piaciuto molto ascoltarti mentre mi parlavi delle tue belle merende educative, durante le quali, oltre a leggere favole e racconti, prepari ai bambini spuntini con ingredienti semplici e genuini. Se dipendesse da me, inserirei educazione alimentare come materia scolastica obbligatoria…

Sarebbe bellissimo! Allora, la cosa è nata in maniera molto spontanea. Mio marito da un bel po’ di tempo è di guardia tutti i santi venerdì o quasi, per tutto il giorno. Quindi, soprattutto adesso che ci sono le belle giornate (come no: in questo momento sta grandinando!), mi ritrovo a dover organizzare le uscite di comitiva (!) da sola. Mia madre abita abbastanza vicina ma cura mio nipote, e mia suocera vive a venti km di distanza. Quindi mi devo organizzare proprio con le mie uniche risorse. Sei bambini al parco ti scappano da tutte le parti: così un venerdì che ero un po’ stanca mi sono portata un libro, la torta al cioccolato appena sfornata, acqua naturale e bicchieri di plastica, mi sono seduta sotto un albero al fresco con la mamma della compagna di banco di Carolina e ho iniziato a leggere un racconto di Gianni Rodari, che era delle mie parti. In breve sono accorsi un po’ di bambini incuriositi, e dietro l’offerta di un pezzo di torta si sono seduti e hanno ascoltato il racconto. Era un pezzo che mi stava particolarmente a cuore, l'”Apollonia della marmellata” dalle “Favole al Telefono”.

Parla di una signora della Valcuvia (sopra Varese) che sa fare la marmellata con tutto, persino i ricci delle castagne e i sassi. Da quel giorno ho deciso che avrei continuato con queste merende letterarie, portando con me un pezzettino di letteratura locale per ragazzi. Domani offrirò la terza di queste merende. Lo scopo è duplice: fermo restando il tenere a bada per una mezzoretta i bambini, il che fa rinfrancare un po’ le mamme, e offre lo spunto di socializzare; succede che i bambini sentono pagine letterarie un po’ fuori dagli schemi – come ad esempio “Le avventure di Pierino” di Piero Chiara – e poi, pian piano, come nel nostro caso, si attira l’attenzione mediatica. Perché quel parco dove faccio le merende, il parco Molina di Varese, è proprio maltenuto, dimenticato dall’amministrazione locale.

I giochi sono malconci. Ragazzi grandi invadono con pallonate la piazza ai bambini piccoli nonostante il divieto di giocare a pallone. Uno strapiombo senza protezione (l’anno scorso stava per caderci il figlio di una mia amica) delimita la corsia dedicata alle biciclette e agli skateboard. Siccome il mio quartiere è piuttosto umile e decentrato, viene dimenticato da tutti. Eppure quel parco è l’unico polmone verde che tanti bambini si possono permettere per tutta la stagione bella. Tante volte abbiamo chiesto interventi mirati al Comune, ma c’è stato un unico restauro un paio d’anni fa e non è risultato conforme alle aspettative. Quindi queste merende letterarie vogliono attirare l’attenzione su un problema sociale e strutturale che è urgente da ridefinire.  




“#SocialGusto : l’evoluzione della comunicazione, e… la mia”

“Le civiltà maggiori furono dettate da popoli che ebbero le cure più grandi  nell’arte e nella scienza dell’alimento… “ da “La Cucina Italiana”  N. 1 – ANNO I – 15 Dicembre 1929

Come dice il mio caro amico Giorgio Ferrari: “Gli italiani sono la somma delle esperienze fatte nella Storia. Se si perdono si ritorna ad essere il volgo confuso che voce non ha. La cucina povera che diviene ricchezza, il vino dei contadini che diventa DOC.”

Una citazione che condivido pienamente, essendo un’appassionata di storia convinta che, per andare avanti un passo indietro va fatto. Parlo di recupero di tradizioni, di cucina povera ma ricca di storia, parlo di semplicità…

E’ un momento difficile per molti, gli ingranaggi della nostra economia stanno subendo un rallentamento generale. Dobbiamo unire, ma soprattutto dobbiamo unirci. Abbiamo bisogno di persone in cui credere, persone con vera passione per il territorio, per la sua storia e per la sua gente. Utopia, no, solo vero amore per il mio paese.

Se ognuno di noi facesse un passo avanti, a modo suo, come può, sono certa finiremmo per incontrarci. Sono una romantica nel senso più lato del termine, e lancio il mio grido, il mio #TamTamxlaTerra, per chi crede come me, che il futuro lo abbiamo sotto i piedi…

Perdonerete il mio sfogo, ma non posso far diversamente. Ogni volta che ne ho l’occasione, a modo mio, allegramente, con i miei cappelli vistosi, con i miei sorrisi, con il mio fiume di parole, professo la mia fede per la terra.

Mi si è presentata l’occasione a Social Gusto, la manifestazione coordinata dalla gentile Silvia Giovannini, svoltasi nei magnifici Giardini Estensi di Varese.

Protagonista la Cucina Italiana di qualità avvicinata alla gente, ma non solo. La parte riservata all’offerta culturale ha permesso a giornalisti e blogger, di esporre le loro esperienze e il loro pensiero, nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Ho avuto il piacere di essere al tavolo con:

  • Anna Prandoni, Direttore de La Cucina Italiana, la più importante rivista di cucina in Italia nata nel 1929
  • Laura Pantaleo Lucchetti, foodblogger che come me collabora con il Cavolo Verde, settimanale on line di food&wine
  • Rosy Battaglia, giornalista esperta di social media e “food blogger mancata”
  • Samanta Abalush Cornaviera, massaia 2.0
  • Eugenio Peralta, foodblogger ideatore del blog L’uomo è una Locusta
  • Jenny Maggioni, blogger

Persone semplici che ho avuto modo di apprezzare, spinte dalla passione per il cibo e per il recupero delle tradizioni, ma con un occhio attento alla rete e alle sue grandi potenzialità per la promozione del territorio e delle sue produzioni.

Nel mio intervento ho raccontato come, ormai quasi tre anni fa, ho iniziato questa mia avventura che ora mi sta letteralmente travolgendo, ma che mi piace tanto.  Non faccio un mistero sul cambiamento che la mia vita ha avuto improvvisamente. Dopo uno smarrimento iniziale mi sono rialzata reinvestendo nelle passioni di sempre, la terra, l’agricoltura, il vino, e la storia delle persone.  Da ragazzina sono cresciuta tra le vigne nelle campagne trevigiane… la terra lascia il segno, nel tempo, e nelle anime.

Creai un gruppo su Facebook, Le Vigne-tte. Condividevo link legati alle tradizioni, ai dialetti, al cibo, e al vino. Qualcuno notò questa donna rumorosa. Un giorno mi venne suggerito di leggere un’intervista fatta ad una vignaiola di Aosta. Mi emozionai così tanto che mi recai sul posto per conoscerla. Quando ho saputo che non aveva i mezzi per l’etichetta a retro della sua bottiglia di vino, ho voluto raccontare la storia di quella vigna.

Dopo averla stampata gliela portai, perché volevo che la donasse insieme alla vendita del suo vino. Qualcuno l’ha letta, e mi ha chiesto di scrivere. La mia storia ora continua qui sul blog e su Cavolo Verde, anche se ho un sogno, quello di vivere in campagna e lavorare nell’agricoltura. Tra me e me dico spesso: “Cinzia, piedi per terra, e ricordati perché hai iniziato.” Sto imparando e continuerò a farlo, perché in fondo non si finisce mai…

Tra le mie tanti passioni c’è anche quella della comunicazione digitale. Twitto, fotografo, lancio sui social… una vera peste! 😉 Metto in rete tutto quello in cui credo e che mi piace, per condividere i miei momenti di felicità, convinta dell’importanza della comunicazione enogastronomica e del territorio attraverso il web.

Di una cosa però sono fermamente convinta,  i social che abbiamo l’opportunità di utilizzare devono unire, e non sostituire la conoscenza diretta, esperienza indispensabile per conoscere le realtà, e i loro prodotti. Non fermatevi alle vetrine…




Interlaken: una terra tra laghi, montagne, gusto e… musica !

Non posso più fare a meno di scrivere ciò che vivo, per lo meno quando mi emoziona. Amo fotografare con le parole i ricordi, per rileggerli e per riviverli, ma soprattutto per non perderli…

Se penso che solo qualche giorno fa ero in Svizzera con gli occhi sgranati alla vista di maestosi paesaggi, allora si che scatta la nostalgia… Noto spesso con sorpresa che le persone si stupiscono dal mio inesauribile entusiasmo per la bellezza che la natura ci offre. Mi sento dire: “Neanche fosse la prima volta che vedi certi scenari naturali !”. La verità è che la natura come tutte le cose belle non stanca, tutt’altro, rigenera il corpo, la mente e lo spirito…

Sono stati giorni emozionanti ! La maestosità delle montagne, la vista dei ruscelli e la pace del lago hanno fatto si che i miei occhi brillassero di continuo. Fotografavo ovunque, quasi nel vano tentativo di fermare il tempo, per non perdere quell’istante, per condividerlo, per trasmettere la mia felicità…

Avvolta dalla musica protagonista del Greenfield Festival 2013, l’evento musicale rock-metal di tre giorni che si svolge ogni anno a Interlaken, ho rivolto spesso il mio sguardo verso gli alberi, che, come sentinelle, sono garanti  del nostro futuro.

Non sono una metallara come la persona che mi ha invitato a vivere quest’avventura, tuttavia apprezzo alcuni gruppi che suonano una musica più vicina ai miei gusti.

Comunque sia, cerco sempre il lato positivo in ogni mia esperienza, che mi forma, e che mi arricchisce rendendomi più consapevole.

Tutto è iniziato così, con “i suonatori di corna delle alpi”, lo strumento nazionale Svizzero.

Musica dal suono in armonia con la natura, perfetta da ascoltare con lo sguardo rivolto tra le sue montagne: l’Eiger, il Mönch e la Jungfrau.

Interlaken, una cittadina in terra svizzera divisa tra il lago di Thun e il lago di Brienz, una delle ventotto “Perle delle Alpi”. Queste località, situate in ben sei nazioni diverse, favoriscono il turismo sostenibile essendo collegate fra loro da mezzi ecologici che danno la possibilità di evitare, per gli spostamenti, l’uso dell’auto.

Certo che… cammina che cammina, la fame si avvicina! 😉

In tema di gusto ho apprezzato molto un piatto tradizionale che ho avuto modo di assaggiare, gli spatzli con panna e verdure

Questi gnocchetti, il cui termine ha origine dal dialetto svevo che significa passero, sono ottenuti dall’impasto di grano tenero, uova e acqua. A volte, in sostituzione di quest’ultima, si utilizza la birra.

Spatzli con panna e verdure

Spatzli con panna e verdure

Ma ora  bando alle ciance e… via con la musica! 🙂

Moltissimi i gruppi presenti, ben tre giorni di musica rock e metal tra due palchi. Ripeto, non sono una metallara, ovviamente con tutto il rispetto per chi lo è, e che ne ha la competenza. 

Qui di seguito, vista la mia scarsa conoscenza del genere, mi limiterò a citare ciò che ho apprezzato, e che in parte già conoscevo.

Within Temptation

In primis i Within Temptation, un gruppo olandese di gothic metal fondato nel 1996 dalla cantante Sharon den Adel, e dal chitarrista Robert Westerholt.

Mono Inc. 

Una piacevole sorpresa è stata quella dell’ascolto dei Mono inc. un gruppo di gothic rock di Amburgo. Ho avuto la fortuna e il piacere di salutare la bella e brava batterista, Katia Mia.

Nightwish

Sempre grandi i Nightwish, un gruppo di gothic rock nato in Finlandia nel 1996.

Il loro nome tradotto significa “desiderio della notte”, forse per quelle atmosfere che, come dico io, e per quanto mi riguarda, con l’ascolto mi fanno viaggiare con la mente…




Gaetano Besana, da fotografo a contadino in un’oasi verde della Brianza

Cosa ci spinge ad avvicinarci alla terra?

Corriamo e viviamo nella continua ricerca di traguardi senza renderci conto che l’esigenza primaria è l’armonia che riscopriamo stando a contatto con la natura. Una vera e propria forza generatrice che dispensa energia vitale, e che ci permette realmente di coltivare e veder crescere in noi la pace.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nell’esplorare nuovi terre, ma nell’avere nuovi occhi”.  Marcel Proust

Ho incontrato Gaetano Besana poco tempo fa, in un pomeriggio di primavera.

Conoscendo i miei gusti in materia di ambiente mi avevano suggerito da tempo una visita nel luogo che aveva fondato. Al mio arrivo lo sguardo si è perso nei bei paesaggi delle colline della Brianza, poco distanti da casa, ma quanto basta perché l’ambiente si trasformi.

Gaetano Besana, da fotografo di moda in un mondo di vetrine a contadino nel mondo della terra. Cosa lo ha spinto a fermarsi sulle colline della Brianza? La risposta è semplice, la stessa per molti. La pace che ti trasmette la terra con i suoi cicli naturali e con il suo silenzio, unica risposta alla vita vera, quella che faticosamente cerchiamo nella materialità, fonte di felicità virtuale, di veloce consumo, e di poca permanenza nell’anima e nella memoria.

Gaetano, dopo aver ereditato un appezzamento di terra dal padre, nel 1998 decide di acquistare dei terreni con un borgo abbandonato vicino al Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone.

Dopo tredici anni dedicati alla ristrutturazione nasce un’oasi di biodiversità, l’Oasi di Galbusera Bianca a Rovagnate, in provincia di Lecco.

Un borgo agricolo sostenibile affiliato al sistema Oasi di WWF.  Venti ettari tra boschi e colline terrazzate in cui si coltivano ortaggi e tanta frutta autoctona.

Centoventi varietà di mele, sessanta di pere, trenta di fichi, venti di prugne, sessanta di pomodori, che vengono lavorate e trasformate in marmellate e conserve direttamente nel complesso agricolo.

A completamento di quest’oasi verde un’osteria e una locanda di cucina naturale, e in aggiunta un agriturismo con undici camere tematiche dal gusto rurale. Ognuna arredata in modo singolare, alcune con vecchi mobili di famiglia, e altre con oggetti provenienti dai vari paesi del mondo che Gaetano ha visitato.

Una in particolare mi ha colpito, quella del fieno, facile capire il perché, basta solo guardare la foto…

La realizzazione del progetto di recupero dell’Oasi di biodiversità di Galbusera Bianca è stata riconosciuta alla BIT – Borsa Internazionale del Turismo il 15 Febbraio scorso a Milano; l’ambito quello della prima edizione di Green Travel Awards Premio GIST per le eccellenze del turismo sostenibile e responsabile

Il Gruppo Italiano Stampa Turistica, seguendo le linee guida della Carta europea del turismo sostenibile e responsabile, ha premiato l’impegno dimostrato in tal senso per la categoria Agriturismi.

Mentre ascoltavo il racconto di vita di Gaetano ho piacevolmente goduto della pace del posto, ma non solo. Oltre a gustarmi un sorbetto bio alla frutta, ho assaggiato il liquore alla Spirea di sua produzione.

Per chi non la conosce, la Spirea è un fiore dalle proprietà antinfiammatorie usato in fitoterapia per i dolori articolari e per gli stati influenzali.

“L’Oasi di biodiversità di Galbusera Bianca, uno stile di vita in armonia con la natura che porti le persone a ritrovare le proprie radici,  perché la Terra cura l’uomo che cura la terra” Gaetano Besana

Gaetano Besana

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