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“Lu Vi Cottu” della terra dei cinghiali

Vi presento “lu vi cottu” che in dialetto marchigiano indica “il vino cotto”, un vino da dessert.

Siamo a Loro Piceno, nel maceratese, il comune per eccellenza di questa antichissima bevanda di tradizione marchigiana. Mario Soldati nell’opera Vino al Vino del 1971, descrivendo le sensazioni provate all’assaggio di un mosto cotto invecchiato sessant’ anni scriveva:

“Lo trovo un vino da dessert, ottimo. Di un bel colore rosso mattone a riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseante di tanti passiti e marsalati. C’è qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano, nel vino cotto…”

Me lo ha fatto conoscere la cara Emanuela Tiberi dell’Az. Agricola David Tiberi di Loro Piceno (MC).

Insieme a lei, ma non solo, ho passato piacevolmente una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” dedicata alla regione Marche. Coordinatore di questo tour, Carlo Vischi, l’ambientazione quella de “Il Canneto, ristorante dell’Hotel Sheraton Malpensa.

Durante la cena con Emanuela si è parlato a lungo di questa produzione tipicamente  marchigiana dalla storia millenaria. Visto il mio interesse per le tradizioni ha pensato bene di inviarmi una pubblicazione realizzata dalla Camera di Commercio di Macerata che ho ricevuto pochi giorni fa, e su cui leggo testualmente:

“Vuole la tradizione che, conservato in botti di rovere, esso costituisse un principio medicamentoso atto a conservare lucentezza alla pelle, curare gli eritemi dei bambini, risanare gli effluvi degli aliti e, principalmente, sollevare lo spirito umano dalla monotonia di ogni giorno. Non c’era contadino o mezzadro che un tempo non avesse la propria botte di vino cotto.”

Il vino cotto ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, riposa a lungo invecchiando in botti di legno di rovere. Oltre ad essere utilizzato nella preparazione di dolci e per insaporire le carni, è un ottimo rimedio per curare la tosse e il raffreddore.

Detto questo mi direte: “Ma… i cinghiali son scappati?” Magari vi rispondo!

Purtroppo sono causa di continua e seria devastazione dei raccolti. Da anni interi branchi danneggiano le coltivazioni di queste terre creando gravi ostacoli all’agricoltura locale. Nemmeno l’attività venatoria è stata capace di ridurre la presenza di questi animali selvatici. Un’analisi della Coldiretti ha stimato i danni conseguenti agli attacchi ad un importo di oltre quattro milioni di euro.

Riporto qui di seguito lo sfogo che solo qualche giorno fa Emanuela mi ha fatto scrivendomi una mail:

“Cinzia, oggi sono andata a potare la mia vigna; su diverse viti ho trovato enormi buche che i cinghiali hanno scavato per cercare le radici. Il rischio è la conseguente morte delle piante. Un vero problema che noi agricoltori nel maceratese viviamo da anni. Chi di dovere se ne occupa, ma i risultati sono ancora poco visibili.”

Sembra quasi impossibile che non si possa risolvere questa situazione. Da curiosa quale sono ricercando sul web, ho trovato un articolo del 2010 della Provincia di Sondrio che riporta la strategia adottata dagli agricoltori locali “sull’uso dell’odore dell’orso” per allontanare i cinghiali. Strategia decisamente da approfondire…

 




La mia prima volta a… “ViniVeri e Vinitaly 2013”

Sono stati eventi di “grandi numeri” che non starò qui ad elencare, anche perché son certa, che i numeri… finirei col darli!

Sono stati giorni intensi, giorni di eventi di Vino e di Vignaioli finalizzati alla promozione e alla conoscenza di grandi tipicità Italiane che ci rendono famosi nel mondo. Vetrine che vanno viste a “giuste dosi” per gustarne tutti gli aspetti e le ricchezze.

Ma ora vi chiedo: “Sarà impresa mai possibile in questi contesti?” Quello che so per certo è che, dopo aver passato due giorni su e giù in perlustrazione parlando, guardando, ma soprattutto camminando (ahia i miei piedi…) son pronta per stilare un “bugiardino, ma… diVino!”

Consigli, posologia, modalità d’uso e… effetti indesiderati delle Fiere di Vino 😉

Premetto che non ho citato “VinNatur” solo perché quest’anno non sono riuscita ad andare.  Una cosa che proprio non capisco, dato che stiamo parlando di vini naturali, è il motivo per cui queste belle iniziative con un denominatore comune non siano organizzate in un solo contesto. Questo eviterebbe agli appassionati visitatori come me, di fare un tour a tappe a dir poco estenuante! Ehhh… che sospiri che faccio!

Detto questo, torniamo al mio bugiardino delle Fiere di Vino:

  • Consigli: Bè, il mio consiglio è avere le idee ben chiare sugli stand su cui soffermarsi dopo aver letto il programma; in caso contrario, visto i numeri delle presenze, si rischia praticamente di perdersi!
  • Posologia: Le dosi di somministrazione delle fiere…? Praticamente dopo una giornata di “somministrazione” le mie orecchie erano distrutte. 🙁 I miei amici produttori, sentiti al loro ritorno, hanno programmato un fine settimana di relax in una baita in montagna senza collegamenti telefonici… 😉
  • Modalità d’uso: Ironizzo come al solito, ma anche nelle fiere sia pur nella confusione ci sono sempre spunti interessanti, sempre che li sappiamo cogliere soffermandoci a parlare con i “provati produttori”.
  • Effetti indesiderati: Stordimento, mal di piedi, ma… sempre col sorriso, perché ogni volta tornando a casa si è più ricchi di conoscenza e di spunti su cui riflettere…

Detto questo, pronti via!

1′ Tappa:   “ViniVeri 2013” – Decima edizione della rassegna storica dei produttori naturali a Cerea (VR)

Dico spesso che mi sento “Contadina” per l’amore e per la pace che mi trasmette la terra…

“In quanto Contadini non dobbiamo mai stancarci di essere Custodi dell’Ambiente e tutto ciò che lo compone, poiché da sempre esso è dominato dalla smania di possesso dell’uomo, è luogo di conquista, occasione di sfruttamento…  A noi Contadini Veri compete il dovere di non dimenticare che della biodiversità, qualsiasi forma vivente ha bisogno, sia se appartiene al mondo animale che vegetale, essa stessa è sorgente di vita. Giampiero Bea, Presidente Consorzio ViniVeri”

Questo è il pensiero dei partecipanti presenti, produttori di vino ma non solo… Amici che ho felicemente rivisto e riabbracciato.

2’ Tappa: “Vinitaly 2013” – Salone internazionale del vino e dei distillati a Verona

Del Vinitaly se ne dicono di ogni, chi lo ama e chi lo odia. Personalmente non ero mai stata, un po’ per timore della confusione che non amo, e un po’ perché come dico spesso, amo vivere le realtà produttive direttamente “sul campo” insieme ai produttori. Ciò non toglie il massimo rispetto per questa manifestazione regina incontrastata del panorama enologico internazionale.  Sollecitata dalla presenza di molti vignaioli che negli ultimi tempi ho avuto il piacere di conoscere, ho deciso solo in extremis di parteciparvi.

Le mie impressioni? Vi risponderò con degli aggettivi: maestoso, imponente, immenso, caotico… comunque sia, importante nodo di scambi e punto di partenza per presa di contatti. Non ho cambiato il mio modo di vedere le cose, ma ammetto che ho apprezzato molto la grandezza dell’evento.

A conclusione di queste belle, sia pur intense e stancanti giornate in giro per fiere, con il mio autista spericolato, un vignaiolo d’eccezione di Terra di Franciacorta, Monzio Compagnoni, abbiamo “vinosamente” festeggiato in una bella trattoria!

In alto i calici e… Salute  ai bevitori di passione! 🙂

 




Mi chiamo Alessandro Job… racconto le mie emozioni attraverso il vino

Azienda Agricola Villa Job – Pozzuolo del Friuli (Udine)

“Mi chiamo Alessandro Job, ho 30 anni e amo sognare e raccontare la vita e le mie emozioni attraverso il vino. Questo è quello che sono, nella sua pura essenza e senza fronzoli. Perché proprio il vino? Perché certe cose sono difficili da spiegare solo con le parole…”

Ho conosciuto Alessandro inizialmente sul web, poi di persona a Milano al Food & Wine Festival 2012,  e poi, come piace a me, sul “campo”, quando insieme all’amico Michelangelo Tagliente sono andata a trovarlo direttamente in azienda, o meglio in villa, Villa Job.

La sua azienda agricola si trova in una dimora storica costruita nel 1637 e acquistata da Gregorio Job nel 1910. Da appassionata di storia quale sono ho apprezzato molto i soffitti piacevolmente decorati, le statue settecentesche collocate nel giardino, ma soprattutto la cantina con volta a botte con “segni” che l’occhio attento sa vedere.

Bere vino in ambienti storici è molto suggestivo, soprattutto per una persona come me che in queste atmosfere viaggia con la mente.

Sei ettari di vigneto in cui ho passeggiato insieme ad Alessandro mentre lo ascoltavo raccontare le sue scelte di vita.  Un percorso che ha iniziato giovanissimo nel 1985, e che l’ha legato indissolubilmente alla terra e alla coltivazione naturale.

Al calar della sera ci siamo spostati all’interno dedicandoci alle degustazioni dei suoi vini. Lo scrivo spesso e qui mi ripeto, sono “donna di rossi di struttura e di carattere” e difficilmente mi smentisco. Ovviamente con tutto il rispetto per i bianchi; un ottimo esempio è il suo Risic Blanc  biologico 2010 IGT che  in friulano significa vitigno bianco, un blend di Chardonnay e Sauvignon.

Durante la degustazione la mia attenzione si è rivolta in particolare verso il Serious, un vino rosso biologico senza solfiti nato dalla volontà di Alessandro di produrre un vino naturale legato alla terra, un vino semplice ma…  Serious.

Questo per me è il vino che sa d’uva,  un vino che mi riporta alla terra, un vino contadino…

 




Rocco Vallorani, un giovane enologo e… “ciò che sta dietro a una bottiglia”

Vigneti Vallorani – Colli del Tronto (AP)

Era il 2 ottobre 2012 quando mi arrivò una mail…

Gentile Cinzia, mi chiamo Rocco Vallorani. Ho iniziato a seguirti sul web perché mi ha colpito l’attenzione che dai in tutti i tuoi post a “ciò che sta dietro a una bottiglia”. 

Mi piace molto il tuo modo di raccontare le cose, un’analisi, o meglio un racconto, che va oltre la scheda descrittiva spingendosi più in là, fino cercare la storia che c’è dietro ad ogni prodotto. E’ per questo motivo che ho deciso di scriverti…

Ho studiato enologia a Perugia prima, e a Torino poi. Nel frattempo sono stato per diversi anni in giro per l’Italia e non solo (NZ, USA, Francia ) lavorando come cantiniere e/o assistente enologo, cercando di aumentare le mie conoscenze e competenze, imparando un po’ da tutte le splendide persone che ho incrociato nel mio cammino professionale. Nel 2010 sono tornato a casa e insieme a mio fratello ho ristrutturato la cantina che fu di mio nonno e poi di mio padre. Insieme ci siamo rimessi a produrre vino dando vita ai “Vigneti Vallorani”.

Noi vendiamo la quasi totalità delle bottiglie direttamente, riducendo al minimo indispensabile i rappresentanti. Ci teniamo a farlo in prima persona, e, quando possibile, a far visitare l’azienda ai clienti, perché non vogliamo solo vendere una bottiglia che, piazzata su uno scaffale sarà solo una delle tante, ma, attraverso i nostri vini, cerchiamo di trasmettere le nostre idee, i nostri valori, ed il nostro territorio.

Ti ringrazio per il pezzo che hai scritto, “ridare l’identità ai contadini“, spero possa arrivare agli occhi di chi decide delle nostre sorti ma, sinceramente, ne dubito, scusa il pessimismo. Ho visto che sei spesso in viaggio, hai in programma una visita nel Piceno? Sarebbe un piacere incontrare una persona così attenta nell’ascoltare la voce di chi ha qualcosa da raccontare…  Rocco

Ricordo che inizialmente mi scrisse chiedendomi un giudizio sui vini che avrebbe provveduto a spedirmi. Lo fermai subito sia pur ringraziandolo per la fiducia. Gli feci capire che non sarei stata in grado di scrivere nulla così. La conoscenza delle persone per me è fondamentale esperienza per capire i loro prodotti. I giudizi tecnici li lascio agli esperti, io il vino lo bevo e lo vivo facendomelo raccontare da chi lo produce.

Lui è un giovane enologo che mi ha capito e non si è arreso. L’ho trovato così determinato da non poter non accettare l’invito per incontrarlo e conoscerlo a Bologna in occasione di “Gusto Nudo”, la Fiera dei vignaioli Eretici.

Li abbiamo parlato e mi ha raccontato…

Rocco Vallorani è cresciuto nell’azienda di famiglia. A quei tempi il vino prodotto era destinato al mercato locale e venduto prevalentemente sfuso. Dopo aver frequentato l’istituto agrario si è iscritto a Perugia al corso di laurea in viticoltura ed enologia. Mentre studiava ha avuto modo di fare il tirocinio a Montalcino nell’Azienda Siro Pacenti.

Rocco:A fianco al titolare, Giancarlo Pacenti, persona vera e perfezionista all’inverosimile, mi sono  letteralmente innamorato del sangiovese e della sua eleganza.

Sentendo la necessità di vedere cose nuove e di ampliare le sue conoscenze sul vino, decise di partire cercando lavoro in Nuova Zelanda, terra dai paesaggi fantastici e incontaminati che lo ha fatto innamorare già dai primi giorni.

Rocco:Gente sempre con il sorriso sulle labbra, rispettosa dei beni comuni. Nessuno li si permette di buttare una cicca a terra o lasciare rifiuti in un parco (da Italiano ho provato molta invidia).

Una volta tornato accettò l’incarico di assistente enologo in una cantina di Limoux in Francia, nella Linguadoca. Fu in quel periodo che si rese conto di non aver appagato del tutto la sua voglia di sapere. Decise quindi di iscriversi al corso di laurea specialistica in scienze viticole ed enologiche delle università di Torino e di Milano che si tiene ad Asti.  Durante queste esperienze, fondamentali per la sua crescita personale e professionale, ha avuto modo di conoscere persone squisite provenienti da ogni angolo del mondo, tutte legate dalla stessa passione per il vino. L’Italia a suo favore però ha un infinito potenziale varietale che nessuno stato, tantomeno la Francia, può vantare. Più di 600 varietà di vite capaci di produrre vini unici nel loro genere con un forte legame con il territorio, che rende le nostre varietà poco adattabili ad altri ambienti.

Rocco: “Ho provato dei Sangiovese prodotti negli States o in Australia, dei Montepulciani neozelandesi, Arneis e Nebbioli prodotti negli Stati Uniti. Pur riconoscendo l’elevata qualità media dei vini del nuovo mondo, sulle varietà Italiche non c’è confronto. A differenza delle nostre varietà autoctone, quelle francesi sono state esportate con ottimi risultati in tutto il mondo. Basti pensare ai buonissimi Sauvignon Neozelandesi, agli ottimi Cabernet e Merlot degli Stati Uniti, agli interessanti Chardonnnay Cileni o i Shiraz Australiani. Sono convinto che la valorizzazione delle nostre varietà possa essere la nostra arma in più nell’ormai globalizzato mercato del vino.”

Durante l’esperienza all’estero Rocco mi ha raccontato quanto ha apprezzato il clima di sincera collaborazione tra tutti i produttori, consapevoli del fatto che, muovendosi nella stessa direzione è l’intera area ad acquisire valore. Se penso a quante volte insisto nei miei scritti e a voce durante le mie visite su questo concetto… mah, dicono che chi la dura la vince, io dico solo che insisto!

Rocco: “Cinzia, ci tengo a raccontarti un particolare; premesso che le degustazioni nelle aziende del nuovo mondo si pagano 5-10 dollari a persona, in tutti gli stati è prevista la degustazione gratuita per i lavoratori del settore. Cioè un consumatore normale che va a fare una degustazione sostiene il costo della stessa, mentre per un dipendente di un’altra cantina non ci sono costi. Inoltre in ogni zona viticola venivano organizzati party pre e post vendemmia solo per le persone del settore, ognuno portava una bottiglia della cantina per la quale lavorava e tutti insieme ci si trovava a degustare tutti i vini del territorio scambiandosi conoscenze e pareri.”

Altro argomento che abbiamo affrontato insieme è stato quello relativo alla figura e alle mansioni del winemaker su cui mi sono già precedentemente soffermata. Rocco mi ha raccontato che da produttore ed enologo è rimasto molto colpito dal fatto che tutte le cantine hanno un “winemaker” interno, molto spesso giovane, sui 30-35 anni, con laurea in Enologia e diverse esperienze alle spalle. Una persona competente che si affianca al vignaiolo, vivendo il vigneto e la cantina tutti i giorni dell’anno, seguendo le viti dal risveglio primaverile fino alla vendemmia, poi i vini fino alla bottiglia.

Rocco: “Gli enologi che ho avuto la fortuna di incontrare mi hanno raccontato che il loro obbiettivo è quello di ottenere vini che esprimessero le idee del proprietario. Tra gli appassionati dei vini prodotti utilizzando le tecniche naturali, gli enologi sono spesso visti come chimici del settore, pronti con pozioni o unguenti a rendere “innaturali” i vini. A mio parere un bravo enologo è colui che segue i vigneti, da questi decide quando e come vinificare e quali tecniche utilizzare per ottenere un vino che sia la migliore espressione del connubio tra vitigno, territorio e persone che lo lavorano. Oggi purtroppo molte aziende si affidano ai cosiddetti “superconsulenti”, enologi sicuramente molto preparati e brillanti, che si trovano però a seguire decine di cantine sparse su tutto il territorio, e a gestire uve di ogni tipologia prodotte in condizioni totalmente diverse. Considerando anche i costi di queste consulenze, non sarebbe forse più giusto affidarsi a un enologo, magari giovane, che possa davvero dedicarsi quotidianamente alla nascita di un determinato vino, trasmettendo tramite questo anche la personalità propria e quella del vignaiolo? E per le cantine non sarebbe meglio avere una persona con le specifiche competenze che li affianca nel lavoro quotidiano?”

Rocco con il fratello Stefano ha deciso nel 2005 di dedicarsi all’azienda di famiglia chiudendo inizialmente la cantina  per avviare i lavori di ristrutturazione terminati nel 2010. Una realtà a conduzione biologica in terra marchigiana alimentata energicamente da un impianto fotovoltaico che gli permette di avere, nell’arco dell’anno, un bilancio energetico positivo. Una  superfice di otto ettari di cui sette a vigneto e uno a oliveto. Le varietà allevate sono Pecorino, Passerina, Trebbiano, Malvasia, Sangiovese e Montepulciano.

Rocco: “Tutti i nostri prodotti fanno affinamento sur lies, una tecnica antica nata in Borgogna per la produzione di Chablis, che permetteva di ottenere vini più complessi dal punto di vista aromatico e gustativo favorendo inoltre le stabilità tartarica e proteica dei vini. L’unico neo di questa tecnica è il tempo; per avvenire al meglio richiede almeno 6-8 mesi, ma spesso anche un anno. Purtroppo, con l’industrializzazione della produzione di vino le tecniche che richiedevano tempo sono state accantonate per far posto a nuovi prodotti naturali e/o di sintesi, ed attrezzature all’avanguardia in grado di accelerare ogni tipo di processo. Oggi per fortuna si sta guardando al passato cercando di apprendere le cose migliori che, erroneamente, ci eravamo lasciati alle spalle. Sarei un ipocrita se dicessi che la tecnologia non faciliti il lavoro, però credo che debba essere utilizzata nella maniera giusta, senza forzature. Crediamo molto nelle potenzialità del piceno e per i nostri vini abbiamo cercato dei nomi che fossero legati alla nostra tradizione.”

  • Avora è un Falerio DOC, una delle denominazioni più antiche del Piceno che si produce assemblando le varietà a bacca bianca allevate in quest’area. Il nome deriva da un termine dialettale utilizzato per indicare i terreni soggetti alla Bora (Bora diventa Vora in dialetto marchigiano) quindi quelli esposti a Est-Nord/Est, come i terreni con i quali produciamo questo vino.
  • Polisia è un Rosso Piceno DOC, altra doc storica locale, prodotto con un assemblaggio di Montepulciano e Sangiovese. Il nome deriva dalla legenda di Polisia, figlia di un prefetto romano che governava ad Ascoli che, contro la volontà del padre, si fece battezzare dal vescovo di Ascoli per poi rifugiarsi sul Monte Ascenzione da dove protegge gli abitanti del Piceno.
  • Il Konè è un Rosso Piceno Superiore DOC prodotto dalle varietà Sangiovese e Montepulciano ma affinato in barriques di rovere francese per almeno 14 mesi. Il nome deriva da un termine dialettale ascolano ma di origine greca, Konè, che sta ad indicare qualcosa di prezioso. Oramai in disuso nel linguaggio quotidiano, questo termine veniva spesso utilizzato dai nonni per chiamare amabilmente i nipoti.

Nelle annate che lo permettono, oltre alla nostra linea, produciamo due riserve, un Montepulciano ed un Sangiovese in purezza affinati in barrique per 24 mesi. Questi vini sono stati dedicati da noi ai nostri nonni, perché è grazie a loro che oggi abbiamo la possibilità di valorizzare il patrimonio che ci hanno lasciato. Il Sangiovese, elegante e raffinato come nostro nonno Livio, si chiama appunto Sorlivio, mentre il Montepulciano, caratterizzato da un carattere più deciso come era nostra nonna Filomena, si chiama Philumene, che nell’etimologia greca significa amico della forza.

Fra qualche mese ho in previsione una tappa nelle Marche. Rocco non mancherò di venirti a trovare come abitualmente faccio e come piace a me, direttamente sul campo… o meglio, in vigna!

 




La passione per il vino di… Bruno Dotti

Bruno Dotti, titolare dell’Azienda Agricola San Cristoforo a Erbusco, il cuore della Franciacorta.

“Ma sopra tutto nel buon vino ho fede, e credo che sia salvo chi lo crede…”  Luigi Pulci (1432 – 1484)

Luigi Pulci, poeta italiano del 1400 esprime con i suoi versi il mio pensiero: “nel buon vino ho fede.”  Ma quanti credono con vera passione nel vino? Lungi da me far polemica, ma come dico spesso, devo credere in quello che faccio e in quello che scrivo, esattamente come un vignaiolo deve credere nel vino. La passione non si può esprimere in altro modo…

Ma ora entro in merito per farvi capire il perché di questa mia premessa.

Recentemente ho visitato l’Azienda Agricola San Cristoforo seguendo i buoni consigli di Mattia Vezzola, che, dietro mia richiesta mi ha suggerito loro, e altre realtà da visitare in terra di Franciacorta.

Bruno Dotti, titolare dell’azienda familiare in cui collabora con la moglie Claudia, non è nato vignaiolo, tutt’altro… Anni fa seguendo la passione del padre ha acquistato una piccola realtà vitivinicola imparando man mano l’arte di fare vino. Dai due ettari iniziali oggi il suo vigneto ne ricopre ben dodici distribuiti in vari appezzamenti tutti nel comune di Erbusco.

Durante la mia visita Bruno mi ha raccontato la sua felice scelta di vita, scelta lievemente offuscata dalle problematiche, le classiche ormai che sono abituata ad ascoltare, legate alla “strangolante burocrazia”.

Dopo la visita al vigneto e alla cantina ci siamo trasferiti nella sala degustazione, giusto perché, con il mio chiacchierare, una certa sete va sempre soddisfatta. E qui arriva il bello, e mi spiego…

Come al solito, tra foto che metto all’istante in rete e macchina fotografica alla mano per fermare i ricordi, ho iniziato la mia esplorazione. Attirata da alcune belle bottiglie dipinte esposte qua e la, ho notato con estremo piacere che erano produzioni di realtà locali e non.

La cosa mi ha entusiasmato a tal punto da non potermi esimermi dal complimentarmi per la scelta dettata da un autentico amore per questo settore che, in questo modo, trova la sua giusta espressione nel “fare sistema”.

A conclusione del nostro incontro abbiamo brindato a chi crede con “vera passione” nel il vino, bevendo un calice del suo Franciacorta DOCG Brut, uvaggio Chardonnay 100%.

Salute ai bevitori di passione!




“La zuppa di Porcini di Gualtiero”

Il caro Gualtiero… e badate bene, non il Gualtiero noto ai più.

Qui di seguito racconto di un uomo di novantun anni dalle mille passioni… un uomo dei bei tempi che furono, un uomo che una sera a Treviso mi ha stravolto di emozioni.

Gualtiero Basso padre della cara amica Alessandra, è nato a Treviso il 2 Luglio del 1921. Figlio di un odontotecnico ha continuato l’attività del padre, ma non solo…

Durante  la seconda guerra mondiale arruolatosi nella G.a.F., la Guardia alla Frontiera, ha ricoperto l’incarico di telegrafista a Belluno e in seguito di batteriologo nell’ospedale militare di Padova e di Milano.  Ricordi di guerra indelebili che gli hanno temprato l’anima. Chi come lui li ha vissuti, mai li potrà dimenticare…

Ho conosciuto un uomo meticoloso, quasi maniacale nell’annotare ogni vicissitudine della sua vita. Una vita dominata dalla passione e dalla voglia di fare. Un collezionista di francobolli, di orologi da taschino, di vino, un appassionato di cinema tanto da girare lui stesso negli anni ‘60, quando all’epoca era consigliere del Cine Club di Treviso, dei cortometraggi.  

In seguito, accompagnare il figlio Giancarlo alla pratica dello Judo, lo ha portato a diventare il Presidente che ha permesso ad una piccola realtà sportiva non militare, di aggiudicarsi il 2′ posto nel “Gran Premio Società” nel 1972. Riporto le sue parole: “Un risultato incredibile voluto e conquistato contro tutti. Ci sono stati momenti anche tristi come la morte di alcuni giovani atleti, oppure il momento in cui ho preferito lasciare ad altri la guida, perché gli anni aumentavano…”                        

Durante il pomeriggio in cui l’ho conosciuto l’ho seguito attentamente ascoltandolo nei racconti della sua vita. Mi conduceva orgoglioso mostrandomi le sue tante collezioni. La più sbalorditiva è stata quella del modellismo ferroviario, non potete immaginare! Sono rimasta senza parole… e questo già la dice lunga! 😉 Trenini e vagoni di tutti i modelli e di tutte le epoche, riprodotti minuziosamente! Un’intera stanza dedicata con plastico annesso, e una rete ferroviaria in scala nel giardino. Fantastico!

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Gualtiero Basso

Ma non finisce qui, perché una volta a tavola i discorsi si sono spostati sui piaceri legati al gusto, fino a far saltar fuori un fungo, o meglio… tre porcini! La passione di Gualtiero per i funghi è nata negli anni ’70 dopo aver conosciuto lo scrittore e micologo Fernado Raris.

Gualtiero mi ha spiegato che il termine porcino si riferisce a più specie e più precisamente al boletus edulis, al boletus aereus, al boletus reticulatus e al boletus pinicola. Le sue varietà preferite per la qualità e per il gusto, sono quella dell’aereus e della pinicola. Detto questo, pronti via con la sua zuppa di porcini!

La zuppa di Porcini di Gualtiero

Per 4 persone

  • 300 gr. di porcini  freschi varietà boletus aereus o pinicola
  • ½  cipolla
  • 1 cucchiaio di farina
  • 80 gr. di burro
  • prezzemolo, sale e pepe q.b.

Tagliare i porcini a fettine sottili di 2/3 mm. Quindi porli in una casseruola in cui si è fatta soffriggere nel burro fuso la cipolla.

Cuocere lentamente i funghi per una mezz’oretta unendo al bisogno del buon brodo.

Nel frattempo passare al forno delle fette di pane su cui, una volta dorate, spalmare un velo di burro.

Porle quindi in piatti fondi, e cospargerle con i funghi preparati.

A fine serata Gualtiero mi ha voluto regalare un suo cortometraggio girato nel 1960. Anch’io sono un’appassionata di cinema. Quando gli ho detto che il film che amo di più è  “Nuovo Cinema Paradiso”, lui prontamente mi ha risposto: “Il mio è Balla coi Lupi!”

“Tutto nasce dall’uomo, tutto ritorna all’uomo…  tratto dal film Balla coi Lupi”

 

 




“Un #TamTamxlaTerra, per chi crede che il futuro lo abbiamo sotto i piedi…”

Come scrive Wikipedia:  “Il tam-tam è un tipo di tamburo usato da alcuni popoli africani come strumento di comunicazione a distanza per diffondere un messaggio di villaggio in villaggio. Metaforicamente, il diffondersi delle informazioni tramite passaparola.”

Bene, è da qualche giorno che a modo mio, per fare sinergia, ho lanciato un hashtag su twitter, per i più un motto per unire e far conoscere produttori; produttori italiani che incontro e che incontrerò nel mio girovagare sui social media e soprattutto… piano piano di persona. E ora di dire BASTA agli egoismi, e ora di darsi la mano! Uniti si può ancora! Sparpagliarsi non giova a nessuno. Si deve ripartire soprattutto dalle “Persone”, poi con buoni progetti, si può andare lontano…

Lo scritto che riporto qui di seguito è lo sfogo di un’amica, una produttrice d’olio d’oliva in terra di Calabria. L’Italia VUOTA della quale parla sono convinta che si possa ancora colmare… Io incontro tanta gente, le persone hanno soprattutto bisogno di tornare a credere in qualcuno che li unisca, e in cui possano riporre fiducia! Forza Italiani! Io voglio un #TamTamxla Terra!

 “Chi uccide con lo sfruttamento, con l’ipocrisia o con l’indifferenza il mondo rurale sta cancellando il futuro”.

di Alessandra Paolini

Non chiedetevi cosa state facendo…

Non chiedetevi chi sta coltivando il grano sul quale farete forbite dissertazioni gastronomiche, chi pota le arance che spremerete per gli aperitivi più innovativi, chi è chino a legare le prime delle pesche, chi fresa, chi concima, chi dirada…

Questo mondo non vi appartiene è nei margini dove la vostra cupidigia l’ha appartato, vi girate intorno come iene mai sazie fino a quando dovrete voltarvi in cerca di altre carcasse, le vostre! Perché chi uccide con lo sfruttamento, con l’ipocrisia o con l’indifferenza il mondo rurale sta cancellando il futuro. Non chiedetevi cosa state facendo…

Ed ecco oggi la mia piccola provocazione, il sassolino che lancio, un concreto S.O.S. a nave amica:

Denunciamo!

Ma denunciamo sparando a zero su queste paludi schifose nelle quali la cultura contadina o diciamo l’imprenditoria agricola sta affondando!

Raccontiamola la storia di un prototipo di figuro (uso il maschile perché il termine è tale, ma io mi sono appena imbattuta in una figura) che ritiene che ai ciba-polli li si possa schiacciare come si ritiene; un po’ meno magari a quelli della categoria che spremono uva, visto che la suddetta si pregia di essere titolare di un’enoteca, ma di una vecchia meschina mescita di vino per ubriaconi non sarebbe degna di tener le redini!

E raccontiamolo di queste frange o forse son qualcosa di ben più corposo? Che vogliono qualità a prezzo zero incassabile a dodici mesi, come l’obolo che dai per spurgarti dai peccati! L’Italia sta in crisi? NO! L’Italia cercherà ancora la crisi che non ha compiutamente raggiunto, prova ne è l’esistenza e la sussistenza economica di Italiani che non sanno fare il loro lavoro, ma, purtroppo, ancora continuano a lavorare a danno e discapito di chi lavora bene fra mille difficoltà, e prova pure a migliorarsi!

Fino a quando esisterà la GDO (grande distribuzione organizzata) che non capisce un caspita di quello che vende e l’idiota che spende 300 euro per cena ma poi pidocchia sul chilo di agrumi, fino a quando c’è la signora in visone che chiede come mai un chilo di pesche costi così tanto, fino a quando c’è il ristoratore i cui dipendenti ricevono per mancia più di quanto a loro costa una bottiglia di olio, ma quest’ultima te la pagano solo se ti danni a ricordargli che la fattura ha data dell’anno precedente, fino a quando tutto ciò esiste e prolifera, l’Italia resterà la discarica che è diventata, perché gli uomini che la abitano al pari di quelli che la governano non vogliono capire niente ed investono sui simboli e lo sventolio delle bandiere (verdi come i soldi) anche se poi non sanno bene se siano o meno vantaggiosi.

Ma l’Italia non è in crisi, l’Italia è VUOTA, il ché è ben diverso, la crisi, anche quella economica, presuppone dal mio canto una capacità introspettiva per cogliere ed elaborare al meglio la presenza di uno stato di crisi, di contro, il vuoto può provarlo e lo prova anche un frigorifero di classe E, proprio come noi italiani, freddi, vuoti e stolti e voraci consumatori!




Giorgio Grai, e “il senso del dovere”

“Stiamo vivendo in un’epoca in cui tutti hanno diritti, ma nessuno parla di doveri. Giorgio Grai”

Ho incontrato Giorgio Grai seguendo il consiglio di Gianni Cogo, l’ingegnere brianzolo che “arma le terre” a Bonassola e di cui ho scritto poco tempo fa. Avevo organizzato un tour di vini, ma soprattutto di vignaioli tra il Veneto e il Friuli. In particolare mi sentivo in dovere di mantenere la promessa fatta tempo indietro all’amico Michelangelo Tagliente nel condurlo in visita a Oslavia dal caro Josko Gravner.

Dopo aver inviato una mail per fissare un incontro, una mattina rispondendo al cellulare ho sentito una voce dirmi: “Buongiorno Cinzia, sono Giorgio Grai.” Ero di base da amici nel centro di Treviso. Partita di buon’ora raggiunsi Michelangelo a Concordia Saggitaria; un abbraccio e via per la prima tappa del nostro tour, direzione Buttrio del Friuli.

Non mi ero informata molto sulla storia di Giorgio. Come di consuetudine preferisco conoscere le persone direttamente, per farmene un’idea non viziata da ciò che leggo o sento; qualche volta mi rendo conto che è un po’ rischioso, ma a me piace così, perché quello che vivo in questo modo è molto più emozionante.

Michelangelo è stato testimone di quel che scrivo; solo dopo, sulla strada del ritorno, mi ha rivelato che ha temuto un pochino nell’ascoltare i nostri discorsi per la piega che inizialmente avevano preso. Giorgio Grai non capendo esattamente cosa cercassi con le mie domande ad un tratto mi chiese deciso: “Vorrei capire come posso essere utile per lei?” Non potevo che rispondergli che non lo sapevo. Ero li perché mi avevano consigliato di conoscerlo. Gli dissi semplicemente che lo avrei capito solo attraverso la sua conoscenza.

Un uomo non facile… ma non lo sono neanch’io. C’è stato un momento in cui, vista la sua perplessità, non ho potuto fare a meno di chiedergli: “Coraggio, dica quello che pensa!” La sua risposta è stata: “Signora, se c’è una persona che dice quello che pensa sono io!” In questa sua affermazione mi sono ritrovata. Durante la mia vita ho pagato molte volte per le mie scelte, per non essere scesa a compromessi.

Il mio ormai è un percorso, anche se non mi è ancora del tutto chiara la destinazione. Forse è proprio per questo che mi faccio guidare; so solo che da ogni persona che incontro cerco di trarre un insegnamento che amo scrivere in modo semplice, che custodisco, e che condivido.

Giorgio Grai è nato a Bolzano da padre triestino e madre roveretana. Figlio di una famiglia di albergatori è cresciuto in un tempo in cui, citando le sue stesse parole “il diritto di poter studiare voleva dire avere il diritto di essere promossi”. Dopo gli studi di agraria e la specializzazione in viticultura ed enologia, le esperienze fatte all’estero lo hanno educato all’ uso del tatto, del gusto e del profumo. La passione per i motori che ben capisco e che condivido, lo hanno portato poi ad essere per ben dieci anni un pilota di rally.

Non mi soffermo troppo sulla storia della sua vita a molti ben nota dalle informazioni sul web; ho preferito “vivere l’uomo” mentre, degustando vino alla luce del sole, riflettevo sulle sue parole: “Il recupero del senso del dovere oltre che del diritto”. Al mio ritorno a casa di cose su di lui ne ho lette e ne ho sentite molte… Io so solo per certo, che ricorderò di averlo conosciuto in una mattinata di Marzo mentre assaporava la sua torta di papavero, tipicità del sud Tirolo, e che poi, abbiamo passeggiato insieme nella cantina dell’azienda agricola condotta con Marina Danieli.

E ora vi chiedo: “Vi è mai capitato di degustare vino appoggiando i calici su un cofano di una Subaro sotto il sole caldo di una mattina di Marzo ?” Io l’ho fatto, ma soprattutto l’ho vissuto. In quell’atmosfera ho assaporato la vita ascoltando Giorgio raccontare il suo vino e infine sentendogli dire: “Godo di questo momento.

Riporto qui di seguito un passaggio tratto da “I Vignaioli storici” di Luigi Veronelli e Nichi Stefi, che Giorgio Grai mi ha dato il giorno del nostro incontro.

“Giorgio Grai appare con l’aria distaccata di chi non vuole appartenere a nessuno ed è disposto a pagare con l’isolamento la sua libertà. Ha la battuta pronta, spesso caustica, sempre divertente; ma sotto la risata si legge la sua voglia di precisione. La sua avventura nel vino non è solo frutto di un piacere grande ed evidente, ma il lavoro continuo di cui è consapevole e che ti propone come fosse la cosa più ovvia del mondo…”




“Ricordo quando mio padre preparava i lampascioni…”

La ricetta : “I Lampascioni al forno”

Mio padre si chiamava Aldo. Nacque il 12 Marzo del 1933 in un paesino del Mantovano. Un creativo artista del marmo con una grande passione per il suo lavoro… quando si è spenta, si è spento lui.

Beato chi non perde la passione…

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Di lui mi rimangono pochi oggetti. Una macchina fotografica che ha fermato molti istanti della mia infanzia, un vecchio portafoto che ci accompagnava durante i nostri viaggi, e un’armonica a bocca. Ricordo che per anni, dopo che se ne è andato, spesso mi fermavo ad annusare l’odore del legno su cui appoggiava le labbra per suonarla. Arrivò un giorno in cui non l’ho sentito più…

Adorava il suo lavoro, adorava viaggiare, adorava la musica, adorava il vino e il cibo, adorava andar per boschi a cercare funghi… Un carattere difficile che ha reso il nostro rapporto a volte conflittuale anche se pur sempre intenso e profondo.

Posso solo dire per certo che, quando se n’è andato lui, se n’è andato un pezzo del mio cuore.

“I rapporti conflittuali possono essere veri e profondi, perché in essi, ognuno gioca la propria vera essenza alla ricerca di consonanza con l’essenza altrui…” Alessandra Paolini

Ormai sono passati tanti anni, ma per me è come se fosse ieri. Oggi nel giorno del suo compleanno voglio ricordarlo con dei profumi e dei sapori della memoria che, riportandomi con la mente al passato, mi ricordano il tempo che fu…

Oltre ad amare molto le frittate, che lui stesso preparava meticolosamente, ricordo in particolare un cipollotto selvatico, il lampascione, che aveva imparato ad apprezzare e a cucinare da sua madre. Io stessa ne vado ghiottissima se trovo chi sa prepararlo senza che  il caratteristico sapore amarognolo abbia il sopravvento.

Nonostante il suo nome dialettale riconduca spesso all’abitudine di dare dell’ottuso a qualcuno, le sue proprietà culinarie e medicinali smentiscono qualsiasi riferimento legato a questa consuetudine.

Questo vegetale coltivato quasi esclusivamente nelle regioni meridionali, per poter essere raccolto ha bisogno di almeno quattro anni di crescita. Oltre a contribuire ad abbassare i grassi e gli zuccheri nel sangue, ha proprietà antinfiammatorie e lassative.

Ma ora passiamo alla  preparazione dei “lampascioni al forno”

  • Iniziare col pulire i lampascioni privandoli del rivestimento esterno.
  • Quindi procedere tenendoli a bagno in acqua per circa sei ore, in modo da far perder loro un po’ del sapore amarognolo.
  • Scolarli, asciugarli, e  inciderli alla base con un taglio a croce.
  • Infine disporli su una teglia unta e passarli al forno cuocendoli a 180’ per circa mezz’ora.
  • Condirli con olio extra vergine d’oliva, quello buono, sale, aglio, e peperoncino.

Io,  li adoro!

“Ciascuno di noi ha la sua madeleine, il sapore che gli ricorda la meglio età. Non è solo rimpianto dei sapori d’antan, ma uno stato di grazia da ricreare. Una ricerca del tempo perduto… E quando ci riesce, proviamo uno stupore infantile, una gioia bambinesca che ci fa socchiudere gli occhi di piacere… è tempo ritrovato…” Marino Niola, antropologo




Il vino artigianale di Andi Fausto, un uomo fuori dalla mischia

Andi Fausto,  titolare dell’Azienda Agricola a conduzione biodinamica situata a Montù Beccaria.

Nel mio gruppo amatoriale “Le Vigne-tte” si commenta spesso di vino, di natura, e di territorio. Devo dire che ho il piacere di condividere pensieri con “grandi” personaggi. Grandi direte…?!  Per me lo sono, per il loro credo nella terra e nelle persone. La grandezza appartiene ai semplici, non ha bisogno di scintille o di clamore… appartiene a chi vive nella verità, nell’etica, e nell’onestà.

Ebbene, qualche giorno fa mentre si discuteva di vini naturali è intervenuto l’amico Teresio Nardi, fiduciario della condotta Slow Food:  “In Oltrepò c’è un piccolo produttore che lavora con pochissima chimica in vigna (verderame e zolfo) e, per alcuni vini, senza aggiunta di bisolfito. Ottiene prodotti fuori dagli schemi standard non sempre apprezzati dai degustatori ufficiali, ma che vale la pena di assaggiare. Si chiama Andi Fausto”.

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Fausto Andi

Come dico spesso, e qui mi ripeto, seguo sempre i consigli delle persone che stimo nei miei percorsi di conoscenza, tanto che, seduta stante presi il telefono, e, dopo una bella chiacchierata fissai un incontro. Conoscere Fausto è stato un vero piacere, anche se devo ammettere che, nonostante chi mi conosce stenterà a crederlo, ho trovato chi chiacchiera più di me! 😉

L’azienda agricola biodinamica Andi Fausto nel corso degli anni ha recuperato vigneti autoctoni e vigne storiche grazie alla tradizione vinicola familiare tramandata. Durante la mia visita mi ha colpito molto il racconto della nascita della bottaia didattica. Capire l’importanza del legno è di fondamentale esperienza.

Fausto mi ha raccontato come, il famoso bottaio “Cassi” di Casabianca di Montù Beccaria, gli ha insegnato a gestire le problematiche del legno importanti per l’influenza che si vuole dare al proprio vino. Questi insegnamenti l’hanno portato nel 2007 a conoscere Pietro Garbellotto, che, dopo avere ascoltato e apprezzato i contenuti delle richieste di Fausto, ha realizzato la sua bottaia didattica. Pietro Garbellotto, uno degli imprenditori veneti più conosciuti a livello mondiale nel settore vinicolo è scomparso nel 2011 a 88 anni; l’artigiano bottaio di Conegliano (TV) soprannominato “il re delle botti”.

Cantina dell'Azienda Agricola Fausto Andi

Cantina dell’Azienda Agricola Fausto Andi

Durante la visita in cantina, quando Fausto mi ha chiesto che vino volessi assaggiare la mia risposta prontamente è stata: “Rosso e di carattere!” Ho degustato l’Alianum vendemmia 2007, 18 gradi, un vino artigianale come lui lo definisce ottenuto dalla Moradella,  un vitigno storico che ha recuperato. Un vino rosso, caldo, particolare e avvolgente, che ho apprezzato molto.

Nei suoi racconti mi ha colpito un’espressione che ha usato e che condivido pienamente – la perdita della capacità di osservazione del contadino – quella saggezza interpretativa nell’osservazione del cielo e delle condizioni metereologiche che tanto influivano sullo svolgimento delle attività agricole.

Un uomo “fuori dalla mischia”, e non solo per il suo pensiero…  Questa definizione corrisponde al nome di un suo progetto di assistenza. La  finalità è di promuovere l’integrazione di persone attraverso un laboratorio che riunisce gruppi dediti alla trasformazione di prodotti dell’azienda, e di circuiti a coltivazione biologica.

Il laboratorio di agricoltura sociale nato nel 2006, permette ai “collaboratori” in un ambiente familiare lo svolgimento delle attività per la produzione di confetture, vellutate di verdure, succhi di frutta, oltre che al singolare decoro delle bottiglie destinate ad una distribuzione mirata.

“Tu fai e lasciali parlare”

Andi Fausto

 

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