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“Due chiacchiere con… Maria Elena Curzio, una cuoca a domicilio”

Maria Elena Curzio, Presidente dell’Associazione Nazionale  Cuoche a domicilio.

Un’infanzia trascorsa con sua nonna Jolanda, donna verace del sud che cucinava ascoltando musica lirica napoletana, che raccontava le ricette come se fossero fiabe, che parlava con gli ingredienti… che le diceva che “ogni ricetta custodisce un segreto”.

Ho conosciuto Maria Elena a Olio Officina Food Festival, tra le donne dell’olio. Li abbiamo chiacchierato a lungo sulla voglia di recuperare le tradizioni della cucina di una volta, quella semplice, quella della nostra infanzia.

Con Maria Grazia Barone, Maria Elena Curzio e Laura Elisa Turri.

Con Maria Elena Curzio e Laura Elisa Turri.

  • Maria Elena, le passioni nascono spesso dalle esperienze fatte crescendo. Com’è nata la tua?

Ricordo quando mia nonna faceva la “frittata di pasta con il tesoro”. Una frittata tradizionale con l’aggiunta della mollica usata per pulire la ciotola nella quale aveva sbattuto le uova. Nonna Jolanda diceva a noi nipoti che chi trovava la mollica avrebbe avuto fortuna. E’ da qui che è nata la mia passione… dall’odore della pastiera infornata di notte, dalle patate fritte preparate quando ero triste. Cucinare è dare amore a chi si ama.

  • Sei Presidente dell’Associazione Cuoche a domicilio. Come ti è nata l’idea di fondarla?

Dopo un tumore al seno fortunatamente superato, ho deciso che avrei vissuto la mia vita trasformando la mia passione per la cucina in un mestiere, per creare qualcosa di mio. Ho deciso di affinare la mia professionalità non con corsi di cucina, ma lavorando nella cucina di un grande chef, Gennaro Esposito. Da lui ho imparato la fatica del lavoro, il rigore, il rispetto per i prodotti, il lavoro di squadra.

A lui parlai del mio sogno e del lavoro che volevo intraprendere. Dopo avermi ascoltato mi lanciò una sfida. Avrei dovuto trovare donne che cucinando nelle case delle persone, trasferissero la passione per la cucina e per le tradizioni… insegnando il buono. Mi avrebbe invitato alla famosa Festa a Vico che lui organizza ogni anno. Così è stato. Dopo aver contattato via internet tantissime cuoche a domicilio il 25 maggio del 2011 è nata l’Associazione Nazionale Cuoche a domicilio.

Lo scopo che ci prefiggiamo è la valorizzazione, la conservazione, e la divulgazione delle ricette culinarie tradizionali italiane. Le cuoche che ne fanno parte con le loro iniziative e la voglia di mettersi in gioco, si propongono di rieducare coloro che le seguono, al piacere dei profumi e del gusto del cibo, nobilitando il lavoro della donna che cucina.

  • Tra i tuoi associati hai solo donne o hai anche richieste  di… “cuochi” a domicilio?

Ho scelto di avere solo donne perché  il mestiere di cuoco a domicilio nasce al maschile con i “monsù”, i protagonisti che, con la loro arte culinaria, cucinavano ai nobili. Un retaggio culturale che conduceva solo gli uomini ad essere chef. L’economia, la cultura, la tradizione, l’educazione alimentare era mestiere delle donne che io vorrei nobilitare con il loro lavoro e con i lussi della semplicità.

  • Come si svolge esattamente questa vostra attività?

Chiamare una cuoca a domicilio è un’esperienza unica; una persona che porta con se la passione e la gioia di cucinare. Insieme alla padrona di casa valuta le intolleranze, decide il menù e l’allestimento della tavola. E’ la cuoca a domicilio che va a fare la spesa. Qualche ora prima dell’evento arriva come una Mary Poppins con valigie magiche piene di bontà e di attrezzi che in cucina daranno vita alla magia. Mentre la padrona di casa intrattiene i suoi ospiti, serve i piatti agli invitati e racconta le preparazioni nell’attesa di vedere le espressioni del piacere di assaggiare.

  • Mi racconti qualche esperienza di vita reale vissuta nello svolgimento della vostra attività ?

Ti racconto una bella esperienza ed una complicata.

La bella esperienza è quella della prima volta che ho partecipato alla festa a Vico. Dovevo preparare il pranzo dopo la conferenza stampa alla quale erano presenti tantissimi chef sellati e critici enogastronomici. Nel contempo dovevo coordinare in un’enorme cucina professionale le cuoche a domicilio che non avevano mai cucinato insieme. Una prova durissima che abbiamo superato  preparando le ricette della nostra tradizione a noi ben note. Il complimento più bello è stato quello ricevuto da un famoso chef che ci ha detto: “Rimanete come siete… voi siete preziose”.

L’esperienza difficile è stata quando abbiamo cucinato al simposio tecnico sul pane italiano, il Comunipane, presso il Molino Quaglia delle farine Petra. Erano presenti solo due piastre ad induzione. Abbiamo preparato la pasta in condizioni proibitive senza un lavello. L’esperienza e le tecniche acquisite però hanno fatto si che tutto sia andato bene.

  • Dunque ora parliamo di grandi chef. Come ho scritto recentemente in un articolo, io sono quella “fastidiosa” per alcuni di loro… quella “rompi”, quella che a volte li prende in giro per l’esasperazione dei piatti.  Non hanno capito che le mie sono solo provocazioni per riportarli alla tradizione. Qual è il tuo pensiero in merito?

Come rompi sono forse peggio di te. Anch’io penso che la tradizione e le radici siano alla base di tutto. Se dimentichiamo da dove partiamo non sapremo più dove tornare. I grandi chef  con le loro divagazioni stanno massificando tutto. Io combatto per la difesa del piccolo produttore locale, per il profumo del pane aspettato con pazienza, voglio insegnare il buono, voglio raccontare la vita degli ingredienti.

  • Ahimè, sono molto più brava a mangiare che a cucinare. Assaggiare e sentire i profumi del vino e del cibo per me è vera estasi . La speranza però è l’ultima a morire… Voi cuoche a domicilio fate anche “corsi di cucina… a domicilio”? 

Portando nelle case i prodotti locali di stagione e quelli dimenticati, con i corsi di cucina comunichiamo alle persone il nostro obiettivo. Sarei personalmente onorata di insegnarti e di contagiarti con la mia passione, anzi ti lancio un’idea, potremmo farlo in un evento con donne famose che vogliono imparare scambiando alla pari la loro cultura degli abbinamenti di vino e di olio con i miei insegnamenti. Che ne dici?

Ti dico che… accetto volentieri la sfida ! 😉

 




L’Italia ha bisogno di #competitività #accessibilità #servizi #accoglienza #appartenenza #rete… ma soprattutto ha bisogno di tornare a credere!

Dico spesso che ormai l’unica cosa di concreto che c’è rimasta è la terraSiamo uno dei paesi più belli al mondo! Abbiamo una grande storia, grandi testimonianze artistiche, grandi eccellenze enogastronomiche, grandi tradizioni! Insomma, avremmo tutte le carte in regola, ma vi chiedo: “Siamo in grado di giocarcele al meglio?”

Dopo la mia recente visita alla Bit, la Borsa Internazionale del Turismo, dopo aver ascoltato i bravi relatori esporre soluzioni e strategie di marketing assolutamente indispensabili per la promozione del territorio, mi sono posta alcune riflessioni che voglio fermare qui.

Come è mia abitudine voglio partire dall’inizio, dalla nascita del turismo.

A titolo informativo la prima agenzia di viaggio è stata aperta a Londra nel 1841 da Thomas Cook, grazie all’impulso dato ai trasporti ferroviari e marittimi dell’ottocento che hanno reso possibile in tempi brevi gli spostamenti. Viaggiare non era più un lusso riservato all’élite. A questo proposito cito l’Articolo 7 del Codice mondiale di etica del turismo che sancisce questo diritto:

La possibilità di accedere direttamente e personalmente alla scoperta ed al godimento delle ricchezze del pianeta rappresenta un diritto di cui tutti  gli abitanti del mondo devono poter usufruire in modo paritario; la sempre più estesa partecipazione al turismo nazionale ed internazionale sarà considerata come una delle migliori espressioni possibili del costante aumento di tempo libero e non dovrà essere ostacolata in alcun modo.”

Esattamente così, il turismo è un diritto, che però per molti non lo è più! Viaggiare in Italia costa troppo! L’estero è assai più competitivo.Questa è la risposta univoca della gente. E’ fondamentale riflettere. Non solo strategie di marketing, ma investimenti concreti e determinanti per il suo rilancio. Qui di seguito voglio analizzare alcuni punti che ritengo fondamentali in tal senso.

  • Competitività

L’anno scorso sono partita da sola a Settembre per la Sardegna convinta di trovare prezzi competitivi visto il periodo, ma mi sono dovuta ricredere. “Partire da sola non è un vantaggio”così mi è stato detto. Ma come? Siamo un paese di single e non siamo ancora organizzati in tal senso! Comunque sia, single o non single, i prezzi dei pacchetti turistici in Italia non sono competitivi come all’estero. Riflettiamo…

  • Accessibilità

Ottanta milioni di diversamente abili in Europa, 650 milioni nel mondo. Ribadisco che il turismo è un diritto per tutti. E’ fondamentale adeguarsi con servizi che rendano il turismo accessibile una realtà. Quest’anno nella Giornata mondiale delle persone con disabilità, la Commissione Europea ha riconosciuto a Berlino il premio “Access city Award”. Purtroppo nessuna città italiana si è contraddistinta in tal senso. Alcuni amici al ritorno di un viaggio in California mi hanno raccontato che li, gli autobus, hanno l’ingresso a livello del marciapiede per permettere a chi si sposta con una seggiolina a rotelle un facile accesso. Questo sistema è stato adottato in alcune province italiane ma non è ancora sufficientemente esteso. Riflettiamo…

  • Servizi

Bè, per quanto riguarda i servizi è tutto un dire. Vi racconto la mia esperienza dell’anno scorso a Quartu Sant’Elena, in provincia di  Cagliari. Un mare da togliere il fiato, da vivere tratto dopo tratto; peccato che non avendo con me l’auto contavo sui mezzi pubblici che tristemente ho scoperto essere insufficienti. Ero a dir poco inviperita; ricordo ancora il mio sfogo su twitter: “Davanti a me un mare meraviglioso, dietro di me servizi che lasciano senza parole, anzi, ce ne sarebbero!” Mi misi in cammino ma anche così l’ennesimo problema! Non c’erano ne piste ciclabili ne marciapiedi tanto da rendere rischioso il proseguimento a piedi. Ovviamente c’è caso e caso, ma non vi è dubbio che la rete dei trasporti va migliorata e potenziata, possibilmente con mezzi innovativi ed ecosostenibili. Mi è stata riportata un’altra esperienza dalla California dove, a fianco ai numerosi punti di noleggio-bici, partono di continuo autobus predisposti tra l’altro al trasporto dei mezzi a due ruote, così da rendere facilmente fruibile la visita di lunghi tratti di territorio. Riflettiamo…

  • Accoglienza

Come è consueto dire “l’ospitalità è indice di civiltà” e non solo… e qui mi fermo.

  • Appartenenza

Come scrivevo qualche giorno fa : “Sono una viaggiatrice, un’ italiana orgogliosa del suo paese che visita, ricerca, e gusta, ma che soprattutto ama parlare con la gente, la mia guida migliore!” Ricordo il 17 Marzo del 2011, ero in viaggio. Si festeggiava il 150’ anniversario dell’Unità d’Italia. Durante il percorso mi fermai in un ristorante di un’amica a mangiare e mi accorsi che all’ingresso non c’erano segni celebrativi. Entrai e dopo i consueti saluti le dissi: “Ma se ti metto fuori la bandiera che ho in macchina…?”  Lei ovviamente accettò. L’appartenenza è un segnale importante per il turismo. Riflettiamo…

  • Rete

Internet è una rete globale; abbiamo uno strumento con il quale in un attimo milioni di computer si connettono tra loro. Promuovere il territorio in rete è una grande opportunità che dobbiamo tutti sfruttare al meglio. Ognuno di noi lo può farlo a suo modo, anche solo con una foto con delle pillole informative. Le recensioni delle persone sono una grande opportunità per promuovere il  territorio italiano e le sue tipicità. Investire nella rete è fondamentale!

Voglio concludere queste mie riflessioni con l’Art. 1 del Codice Mondiale di Etica del Turismo:

Il turismo quale strumento di comprensione e di rispetto reciproco tra i popoli e le società”
La comprensione e la promozione dei valori etici comuni all’umanità, in uno spirito di tolleranza e rispetto delle diversità di credo religioso, filosofico e morale, rappresentano il fondamento e la conseguenza di un turismo responsabile; gli attori del settore turistico e i turisti stessi rispetteranno le tradizioni e le pratiche sociali e culturali di tutti i popoli, comprese quelle delle minoranze e delle popolazioni autoctone, e ne riconosceranno il valore.

Quando impareremo a fare turismo… ma turismo sul serio!





L’ingegnere brianzolo nelle vigne delle terre armate

“Le terre armate direte…? Ah bè, siamo apposto, se si armano anche le terre ora!” Datemi un attimo, che vi spiego!  Questo è forse l’unico caso in cui l’armatura, è di gran lunga una vera fortuna!

Recentemente ho avuto il piacere di conoscere Gianni Cogo, vignaiolo brianzolo, o meglio, ingegnere brianzolo che per passione produce vino a Bonassola alle porte del golfo del Tigullio e del parco delle cinque terre.

Bonassola, antico borgo marinaro dai vicoli stretti e dal clima mediterraneo in cui si può passeggiare guardando il mare tra bouganvillee, ginestre, alberi di ulivo e di pino, erbe aromatiche e agrumeti.

Gianni ha origini venete come me; il destino lo ha portato ad innamorarsi di un fazzoletto di terra sulle colline del Levante ligure; le terrazze a ridosso del mare strappate grazie alle opere di ingegneria naturalistica, sono la sua caratteristica saliente.

L’Azienda Agricola Valdiscalve nata nel 2003, gestisce 4000 mq di terreni acquisiti grazie ad una ricostruzione e meccanizzazione dei terrazzamenti; è condotta da Gianni insieme alla moglie Maria, architetto di professione, vignaiola per passione. Dai vitigni autoctoni Vermentino, Albarola e Bosco, nei Poderi Reggimonti e Salice, tra la brezza iodata nasce il suo VermentIng Colline di Levanto Bianco D.O.C.

Con Gianni ho passato un intero pomeriggio a parlare, come piace a me, per conoscere e capire.  Le difficoltà che accomunano i racconti di chi investe la propria energia e la voglia di fare nell’agricoltura sono ormai una triste consuetudine a me ben nota.  La cosa interessante, che mi affascina e che mi piace scoprire, è quell’elemento distintivo che ciascuno di noi mettendo a frutto la propria esperienza trasferisce nel proprio operato.

Sono sempre più convinta che la terra ci possa salvare se sapremo salvare lei…  Gianni Cogo sta andando proprio in questa direzione, unendo l’esperienza del suo lavoro alla passione per la viticoltura. Nel rispetto delle caratteristiche del territorio ha applicato “la tecnica delle terre armate” per ripristinare le antiche terrazze.

  • Lascio a Gianni il compito di spiegare meglio di cosa si tratta:

Le terre armate sono costituite da un sostegno in acciaio internamente rivestito da una rete in yuta e ancorato al terreno. Dopo essere riempite di terra, le terre armate vengono inerbite con erbe tradizionali. Permettono di stabilizzare terreni anche con pendenze scoscese, perdurano nel tempo, si inseriscono armonicamente nel paesaggio e permettono di sfruttare al meglio la superficie di terreno coltivabile.

Il ripristino delle terrazze con tecniche moderne ha inoltre permesso di regimentare gli scoli di acqua piovana così da ridurre il rischio di smottamenti del terreno. Le terrazze sono meccanizzate, ovverosono state congiunte con un sistema di “sentieri” percorribili con dei piccoli mezzi agricoli (trattorini). Su ogni terrazza è presente un sistema di irrigamento centralizzato “a goccia” che permette di ridurre al massimo gli sprechi idrici innaffiando direttamente ogni vite alla base secondo le necessità della stagione. Grazie a questo sistema, la percentuale di barbatelle che non attecchiscono è estremamenteridotta.

Riprendo la parola io per dire che…

Tengo molto ad  approfondire questo tema visto il rischio idrogeologico del nostro paese. L’argomento è stato affrontato recentemente a Roma in una Conferenza nazionale che ha coinvolto associazioni legate all’ambiente ed esperti del settore. I dati emersi non poco allarmanti. Ben 6.633 comuni a rischio idrogeologico. Frane, alluvioni, smottamenti, devastazioni ambientali, conseguenti alla speculazione edilizia, alla scarsa attenzione per il patrimonio boschivo, all’abbandono di terreni per politiche agricole poco accorte, che non aiutano il lavoro dei contadini e compromettono lo sviluppo dell’agricoltura.

La Liguria è una delle sfortunate regioni protagoniste di queste disavventure.  Lo scorso autunno colpita nel cuore delle Cinque Terre con la caduta della Via dell’amore, un percorso sospeso famoso nel mondo; senza dimenticare poi il disastro causato dall’alluvione che ha coinvolto precedentemente anche la Toscana con cumuli di detriti e fango che hanno sommerso intere zone.

Stiamo vivendo una gravissima emergenza economica e ambientale conseguente a errori imperdonabili di incapaci che hanno speculato sul territorio e sugli Italiani. Le denunce continue gridate a più voci non devono essere motivo di speculazione. Chi di competenza, dovrà con urgenza mettere sui tavoli dei lavori il tema agricoltura, per porre in condizione agevole chi può ancora far si che l’Italia si risollevi dal fango che l’ha investita.

Il rapporto uomo-natura si è dissociato come il rapporto uomo-uomo, la perdita di collegamento e di relazione con la natura ha accresciuto il disagio esistenziale… Ma il rifugio è pur sempre la riscoperta del mondo, della natura, e la presa di coscienza di ciò che ci sta attorno…

Prof. Paolo Michele Erede (medico e filosofo)




Oggi voglio togliermi come si suol dire… “qualche sassolino…”

Da tempo volevo fermare alcune mie riflessioni su… “mediaticità e blogger”,   su… “chi sta oggi sotto i riflettori ”,  su… “i libri più esibiti e venduti del momento” e  su… “gli chef dell’alta cucina”. Ringrazio lo chef  Matteo Scibilia e Luigi Caricato per avermi dato lo spunto.

Stamane leggendo un articolo pubblicato da Luigi Caricato sul suo blog,  “Più umiltà e meno sfrontatezza dietro ai fornelli”,  ho voluto togliermi come si suol dire qualche sassolino dalla scarpa… Tutto è nato da un post dello chef Matteo Scibilia, dell’Osteria Buona Condotta di Ornago:

Ormai c’é una grande divisione nel mondo della ristorazione. Pochi e sempre gli stessi chef sotto i riflettori. Sempre gli stessi giornalisti protettori e non si capisce se per capacità o per successo sulla clientela. Questo incredibile momento di grande mediaticità del nostro settore, tra blogger e simili, sembra un circo che gira su se stesso”.

Leggo concetti importanti, ne analizzerò uno per volta.

  • Il primo: “E’ un momento di grande mediaticità  del nostro settore, tra blogger e simili, sembra un circo che gira su se stesso. Matteo Scibilia dell’Osteria Buona Condotta ”.

Dunque, nonostante è risaputo che non mi piace il termine blogger, rientro in questa categoria mediatica. Ho questo blog nato dalla passione di sempre per la terra, per i suoi prodotti, e per le Persone. Un blog nato come terapia di buona vita, dopo che la stessa mi ha travolto facendomi cadere. Mi sono rialzata così, scrivendo quello che vivo. Detto questo entro in merito; i blog sono diari in rete che nascono dalle passioni. Questi contenitori ci permettono di darne diffusione.

Viste poi le recenti polemiche, insisto sul concetto che blogger e giornalista sono figure ben diverse.  Il blogger scrive per lo più trasmettendo il proprio credo e le proprie emozioni. Il giornalista è tale, perché esercita in esclusiva questa professione; spesso scrive cronache, e non sempre  trasmette emozioni. Comunque sia, entrambe queste figure possono aiutare la promozione della terra in un momento difficile come questo, “facendo bene”. E’ fondamentale l’aiuto di tutti per la diffusione delle realtà produttive, per il territorio e per la nostra Italia.  Insisto, “non è una gara”!

Ricordo a tutti che per “noi blogger”,  l’energia e non solo quella per ciò che facciamo, è di grande sacrificio. Per quanto mi riguarda comunque sia e comunque sarà, continuo imperterrita, nonostante tutto, tenendo i piedi per terra e ricordando perché ho iniziato a fare tutto questo. Quindi, se questo momento di grande mediaticità può servire ad aiutare “tutti”, perché no!

  • E ancora… “La gente è attratta da chi sta sotto i riflettori. Luigi Caricato”.

Purtroppo è una società che si ferma a guardare più le vetrine che i contenuti.  Qualche giorno fa una persona mi ha scritto chiedendomi se ho uno zio americano per ciò che faccio. Mi ha quasi divertito la cosa visto la semplicità con cui vivo, ma mi ha fatto riflettere, su quanto possa ingannare la visione apparente delle cose. E’ per questo che, nonostante ritengo buona cosa la conoscenza sul web, mi è fondamentale conoscere dal vivo le persone. La conoscenza è mezzo indispensabile per dare giudizi concreti. Quindi se il tempo e la conoscenza non fa affiorare i contenuti, i riflettori si spengono in fretta.

  • E ancora… “In libreria i libri più esibiti e venduti sono quelli firmati (ma non necessariamente scritti) dai tromboni televisivi. Luigi Caricato”.

Vero purtroppo… libri dai contenuti leggeri, specchio della società. Forse complice è la televisione con i suoi messaggi comunicativi per lo più di poco spessore. Forse perché si sta vivendo un momento difficile e la gente vuole  evadere.  Sta di fatto che gli editori seguono l’onda del marketing. Sta a noi cavalcare l’onda giusta…

  • E ancora… “Alcuni chef innominabili, dopo aver per lungo tempo reso pornografia l’alta cucina, oggi invocano il ritorno alla cucina semplice e a prezzi accessibili. Luigi Caricato”.

Dunque io sono quella “fastidiosa” per alcuni di loro… quella “rompi”, quella che a volte li prende in giro per l’uso delle foglie che sanno di ostrica o per l’esagerata esasperazione dei piatti. Quella che ordina in posti  in cui non è consuetudine farlo una frittata di cipolle, o la mozzarella in carrozza, o le verdure in pastella dicendo loro che forse una foglia di menta avrebbe migliorato il tutto.  Io sono “l’elemento disturbante” per molti, almeno così mi dicono… Non hanno capito che le mie sono solo provocazioni per riportarli un po’ alla tradizione!

Ricordo quando una sera la persona a cena con me, ha passato ironicamente il coltello allo chef perplesso dalle mie richieste. Io rappresento come dico spesso la gente, l’appassionata che trae puro piacere dal cibo. Sono le persone come me che dovrebbero dire più la loro. Questo ovviamente con tutto il rispetto per gli esperti del settore. Preciso che con alcuni chef sono amica, li rispetto e li ammiro per la loro bravura. Sono offerte diverse, semplicemente questo.  Per quanto mi riguarda amo le tradizioni e la cucina semplice di una volta, casomai un pochino rivisitata. E’ possibile che non riesco a trovare un cuoco che mi faccia, a volte persino che non conosca, i “ciceri e tria” fatti come vanno fatti??  E’ vero, è una specialità leccese, ma perché non fare corsi di cucina regionale anziché fare i “fuochi d’artificio” nei piatti?!

Concludo con un ricordo.  Una sera ormai quasi due anni fa, ero a cena per un caso fortuito in un ristorante con allora tre stelle Michelin. Dopo le mie provocazioni iniziali che hanno contribuito a stemperare l’atmosfera steccata, il proprietario  mi ha raccontato che era stato condotto per un incontro di lavoro in un locale analogo al suo. Bè, la cosa l’aveva infastidito alquanto. Mi disse: “Ma caspita, non potevano portarmi a mangiare in un locale in cui servivano due fette di culatello e così di seguito…”  Ahhh!! Allora è così, a quanto pare la verità è che, la semplicità nei piatti piace molto anche a loro! 😉




“Ridare identità ai Contadini”

Oggi voglio fermarmi a riflettere…  A volte è necessario per fare il punto sulle proprie esperienze.

E’ ormai risaputo… amo visitare le realtà produttive, parlare con i Contadini, quelli con la C maiuscola. Ascolto le loro storie, i loro racconti, i loro sfoghi… Sono stanchi, arrabbiati, combattuti…  I meccanismi contorti della politica e della burocrazia li attanaglia a tal punto da toglier loro la voglia di lottare. Tutto ciò porta a isolarli disperdendo energie, quelle buone, quelle che qualcosa ancora potrebbero. Alcuni sono demotivati a tal punto da perdere la passione, altri affondano, non riuscendo a sostenere le spese di gestione. Ogni volta che sento morire un’azienda agricola è una ferita al cuore, una sconfitta per l’Italia.

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  • Gli agricoltori “hanno bisogno di tornare a credere”!
  • Si devono “individuare persone capaci in cui possano riporre fiducia”, è da li che si può, e che si deve ripartire.
  • Si devono creare “reti che li uniscano con una nuova mentalità”.
  • E’ importante che “vadano nella stessa direzione senza sparpagliarsi”.

Per molti sono una sognatrice, una donna che fa poesia, che, spinta dall’entusiasmo e dalla poca esperienza, crede ancora che quest’Italia ce la possa fare. Lo vedo nei loro occhi quando arrabbiata da ciò che sento, propongo soluzioni. Troppi intrecci malavitosi hanno rovinato ciò che i nostri nonni e i nostri padri hanno costruito con fatica.

Dibatto spesso su questo argomento, perché il bandolo della matassa va trovato!  Perché forse continuare a parlarne può indurre qualcuno a crederci! I segnali ci sono eccome, i giovani si stanno proiettando sempre più verso questo settore. Proprio oggi leggevo su un articolo l’aumento del 26% delle iscrizioni all’Università per i corsi di laurea in scienze agroalimentari. E’ per questo che ho deciso di riportare alcune riflessioni sul mondo contadino fatte nelle varie discussioni che spesso mi trovo ad imbastire, per capire se una strada da percorrere c’è ancora… Io ci credo!

Il mestiere del contadino, come quello del marinaio e del soldato, contiene in se stesso un alimento per l’anima: non si tratta che di liberarlo.”

Jean Guitton

  • Teresio Nardi, Fiduciario della condotta Slow Food Oltrepò Pavese: “Vengo dalla terra, ho lavorato 38 anni nella scuola e dai giovani ho avuto molto; ai miei allievi ho sempre dato sincerità, buon esempio e ho trasmesso loro passione per il lavoro. Ora posso dedicare la mia passione alla terra dove sono nato e cresciuto; lo faccio perché mi piace, non chiedo nulla a nessuno e tutto questo mi gratifica molto…”

Il nostro modello economico ha guastato tante cose, tutto è visto in funzione del reddito e tutto come strumento produttivo. Il terreno non è capitale! Io ho sempre insegnato che una grande componente del terreno è terra naturale – natura, non rinnovabile e quindi da conservare con amore e attenzione, altri più autorevoli di me lo hanno detto, ma quante volte negli ultimi cinquant’anni c’è stato un progetto politico in questo senso. Altra considerazione: il contadino dev’essere visto come guardiano dell’ambiente e del territorio, motivato a questo e valorizzato nel suo lavoro per questo motivo. Ancora: il terreno deve produrre cibo! Non energia o aree fabbricabili o capannoni… Ancora: il cibo è un bene fondamentale (a me hanno insegnato fin dalla nascita che il cibo non si spreca) non è merce di scambio. Tutto questo i veri contadini lo sanno e vivono male la situazione attuale.

Non è facile… i veri contadini: quelli che coltivano la terra, che credono nel loro lavoro, che tutelano l’ambiente e le tradizioni locali, che hanno assorbito la cultura della terra dai loro nonni e dalla storia della loro famiglia; sono anche quelli che conoscono le incertezze dei loro obiettivi, e le temono: le stagioni, le intemperie, la siccità, la grandine, il vento e tutto ciò che influisce sul ciclo di vita degli essere viventi che con tanta fatica loro allevano e tutelano. Prima temevano solo la natura che a volte è amica e altre volte è nemica; ora temono anche il “progresso” che gli sottrae terra, libertà di semente, aria pulita, paesaggio, ambiente, biodiversità; sono stati spesso ingannati dalla tecnologia. Per tutto questo è difficile coinvolgerli, conquistare la loro fiducia, far loro credere che oggi c’è qualcuno che è dalla loro parte e che vuole il ritorno alla terra, alla tutela dell’ambiente, alla valorizzazione del territorio e delle tradizioni, nonché un cibo di qualità e giusto che può venire solo dal lavoro del “contadino”.

  • Luigi Caricato, scrittore, giornalista, oleologo, ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere, con rubriche e articoli. Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale”, periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.

Il guaio è che sui contadini si continua a speculare. Ci vorrebbe una riformulazione delle associazioni di categoria non  più adeguate ai tempi. Gestiscono la burocrazia e soprattutto tanto danaro, ma non dispensano idee e soprattutto non rappresentano più i propri associati. Ho un amico che è stato fondatore di una delle tre grandi associazioni esistenti, e che ora è stato tagliato fuori perché ritenuto “inutile” in quanto intellettuale. Sta proprio qui l’errore; le associazioni hanno bisogno di essere guidate da intellettuali che diano un indirizzo e che lo facciano senza clamore, come invece accade.  Io sono figlio di agricoltori e da fanciullo, e poi da ragazzo, ho lavorato in campagna; so cosa significhi, per questo, conoscendo le esigenze degli agricoltori sono profondamente preoccupato per loro. Oggi come ieri nessuno li rappresenta e tutela. La stessa comunicazione anziché aiutare l’agricoltore a fare quel passo in avanti che non riesce da solo a compiere, lo banalizza.

 Non ha senso creare una nuova associazione, ma è urgente che cambino i dirigenti, che siano agricoltori veri, loro per primi. Agricoltori nell’animo, più che nella forma. E’ un percorso a ostacoli. Io stesso per i miei scritti vengo punito con atti di ostilità, ma non demordo, perché  quando le idee sono buone, tutto prima o poi va in porto.  Oggi l’agricoltore per essere salvato andrebbe lasciato libero, ma la libertà è un traguardo difficile da raggiungere. Per superare gli ostacoli è necessario rendere gli agricoltori indipendenti, e l’indipendenza la si ottiene con la certezza del reddito. Sta qui il punto dolente: tanto il danaro (tantissimo) dato all’agricoltura, finisce nelle mani sbagliate, e così gli agricoltori non guadagnano mai la propria libertà. Non sono ottimista perché  convinto che, come per la politica, nulla cambierà nell’associazionismo. Sto raccogliendo nuove adesioni di intellettuali da cui spero di trarre quella “forza giusta” per stimolare il cambiamento. Non è facile. Anzi, è più facile cambiare l’Italia che non l’agricoltura. Si tratta di un’impresa ardua. Ma io amo le sfide, e qualcosa otterrò, ne sono certo…

  • Alfonso Pascale, Vice Presidente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, membro del Tavolo Permanente di Partenariato della Rete Rurale Nazionale in rappresentanza della Rete Fattorie Sociali. Collabora con l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA).

Le associazioni nate nel secolo scorso vivono tutte una profonda crisi di rappresentanza. Nell’adeguarsi all’attuale modello di intervento pubblico in agricoltura (aiuti PAC), che distruggono il capitale sociale delle campagne, e nel rinunciare a modificarlo, sono venute meno alla loro funzione essenziale: produrre beni relazionali e creare legami solidaristici.
La loro posizione di difesa dei meccanismi assistenzialistici di intervento pubblico nell’economia non deriva (come affermano ipocritamente) da preoccupazioni per le sorti dei propri associati. Il loro atteggiamento conservatore è dettato solo dalla volontà di difendere l’assetto delle proprie strutture organizzative, che si sono adattate nel tempo alla gestione di determinati servizi. Di gente per bene ce n’è in queste organizzazioni ma non sono in grado di fornire un reale sostegno ai contadini e al territorio perché non hanno più la cultura sindacale e professionale per farlo.

Bisognerebbe costruire nuove reti, una nuova società civile che si auto-organizzi al di fuori dei legami che storicamente si sono determinati tra sistema politico e società.

Non sappiamo più leggere la saggezza che ci hanno trasmesso i contadini …

Alfonso Pascale




“I miei percorsi olistici a… Olio Officina Food Festival 2013”

Sono stati giorni intensi quelli trascorsi a Olio Officina Food Festival. Giorni di conoscenza,  di cultura, d’arte, di musica, di danze, di incontri e… dai molti sorrisi!

Ma voglio raccontarvi meglio…

Con l’inaugurazione del Festival avvenuta giovedì 24 Gennaio, come si suol dire si sono aperte le danze. “Paese d’onore 2013″ l’India, sia in qualità di consumatore d’olio, sia come paese coltivatore di olivi destinati alla produzione olearia. Questa attenzione verso l’olio d’oliva è data dal fatto che l’India è il primo paese al mondo per incidenza di malattie cardiovascolari. Son ben noti i fattori che influenzano in tal senso queste patologie: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, fumo, diabete, obesità e inattività fisica. Due cucchiai d’olio d’oliva di qualità sono un efficace presidio medico per contrastare queste malattie.

Questa edizione di Olio Officina è stata dedicata alle donne, guardando il lato femminile dell’olio. In merito è intervenuta Rosalia Cavalieri, docente di Semiotica e Teorie delle lingue dei segni all’università degli studi di Messina, sottolineando come la biologia attesta la maggiore sensibilità olfattiva femminile. Dobbiamo reimparare ad annusare. La nostra mente è ormai viziata dalle immagini che spesso ci condizionano in modo errato. Andare oltre, annusando e non giudicando solo dall’aspetto esteriore…

“Distratti da una mentalità visivo-acustica, abbiamo relegato l’olfatto tra i sensi ‘minori’. Rosalia Cavalieri”

Tante donne dell’olio, ma non solo… Ho avuto il piacere di rivedere la cara Laura Turri che ho conosciuto recentemente visitando il suo Oleificio a Cavaion Veronese, Gabriella Stansfield Presidente delle Donne dell’Olio, Maria Adelaide Bertacco dell’Az. Agr. Colline di Marostica, Alba Guarini della Masseria Pezze Galere (BR), la simpaticissima Paola Fioravanti Presidente dell’Unione Mediterranea Assaggiatori Oli e Maria Elena Curzio Presidente dell’Associazione nazionale Cuoche a domicilio.

 Un incontro in particolare mi ha molto emozionato… Un’amica e una donna che stimo per la profondità dei pensieri, e che ho avuto l’onore di leggere nell’intimità delle nostre scritture private. Lei è Alessandra Paolini della Società Agricola Doria (CS), una Donna dell’olio.

Io non ho un frantoio aziendale… Faccio enormi sacrifici per dialogare con il mio frantoio affinché segua il mio disciplinare, i miei tempi, le mie convinzioni…  faccio chilometri nella campagna olearia e me ne vado a molire molto lontano dalla mia azienda con costi umani ed economici notevoli, in nome della qualità che io volevo…                              Io il mio mondo lo vorrei in una zolla…  Alessandra Paolini

Rincontrare Jeanne Perego, l’insalatologa per eccellenza, è stato un vero piacere. Amo molto le insalate, quelle ricche, con tanti ingredienti e condimenti, altro che contorno, veri secondi piatti ricchi di vitamine! Il suo nuovo libro ne racconta ben 365, una al giorno per tutto l’anno e per tutti i gusti!

Era arrivato il turno di Antonella e Viviana Varese. Due sorelle, due chef, e… due care amiche! Il tema del loro intervento si è sviluppato sulla scelta dell’olio giusto per la cucina di pesce di lago e di mare. Due sorelle ristoratrici: “Antonella con il suo agriturismo a Manerba del Garda Dalie e Fagioli gestito insieme al compagno e chef Fabio Mazzolini, e Viviana con il suo “Alice Ristorante” a Milano”.

Finito l’intervento di Antonella e Viviana, una sensazione di buco allo stomaco ci fece capire che era ora di pranzare. Giusto il tempo di chiamare un taxi e in una volata eravamo da “Alice” il ristorante di Viviana Varese. Nell’intimità di una saletta sotterranea abbiamo pranzato tra confidenze e sorrisi come da tempo non riuscivamo a fare per gli impegni reciproci. Una volta finito, pronta per tornare al festival, Viviana mi ha fermato e mi ha detto: “Guarda un po’ qui dietro!”   Sono scoppiata a ridere quando ho letto alcune frasi umoristiche sul retro della porta della cucina. Un click e… via!

Relatori della tematica inerente alle guide dell’olio, l’oleologo Nicola Perrucci e il Maestrod’olio Fausto Borella. Recentemente ho fatto a Fausto un’intervista con domande  semplici per risposte semplici, come piace a me. Ne riporto una:

  • Cito un’affermazione ascoltata in un tuo intervento che condivido pienamente: “La filiera dell’olio del contadino gli costa almeno dieci euro al litro. Un olio d’oliva che costa tre euro non è un olio extra vergine d’oliva, ma solo una bugia per il consumatore”.  A questo punto ti chiedo: Ma un olio con questo costo com’è ottenuto?

Attraverso navigazioni di navi di olio nei migliori porti italiani. Oppure attraverso una incontrollata tratta dell’olio non certificato del Sud che invade le regioni italiane fino alle Alpi.

Il consiglio che Fausto da al consumatore per indirizzarlo verso una scelta consapevole di un olio d’oliva di qualità, è di scegliere cercando una delle 44 DOP italiane che abbia un costo di circa 6-8€ per 50 cl.

Un altro felice incontro è stato quello con il simpatico Elia Fiorillo, Presidente del Ceq, Consorzio di garanzia per l’olio extravergine di qualità. Elia mi ha spiegato che questo organismo senza scopo di lucro, è aperto a tutti gli operatori olivicoli, produttori, confezionatori e distributori per promuovere e rilanciare la filiera italiana dell’olio d’oliva di qualità.

Era la volta degli ultimi saluti… Ho avuto il piacere di conoscere di persona Massimo Occhinegro esperto Marketing, con il quale pochi giorni prima dibattevo sul web di olio e qualità. Ho riabbracciato Fausto Delegà, intervenuto sulle dolci sinergie tra oli, mieli, api e ulivi. Con Gianpiero Rorato, giornalista e scrittore di Motta di Livenza (TV), ho rievocato il mio paese d’origine che porto nel cuore. Infine ma non per importanza, ho salutato il mio grande amico anconetano Riccardo Pilesi, Marketing food & wine.

Era il mio turno… Toccava a me e a Laura Pantaleo Lucchetti intervenire. La tematica: “Il cibo libera la mente”. Pronti, via!

Ricordo che, quando Luigi qualche mese fa mi propose di intervenire sull’olio d’oliva visto dal consumatore e sulla comunicazione web del cibo mi son detta: “Bella sfida!” Sfida che ho preso con molto impegno leggendo testi, sondando tra la gente, e visitando oleifici…

E’ ben risaputo quanta poca cultura ci sia in Italia nel mondo dell’olio, anzi, nel mondo degli oli, visto che abbiamo in realtà oltre 530 cultivar, ma chiamiamo ancora l’olio al singolare.  La gente conosce l’olio d’oliva, non in base al territorio di provenienza e alla cultivar, ma in base al nome del produttore. Perché non mettere in bella vista qualche informazione in più sulla provenienza?!

La verità è che, chi può se lo procura tramite parenti o amici direttamente nei luoghi di produzione, mentre per chi si approvvigiona presso la grande distribuzione la scelta cade o sulle offerte per l’olio d’oliva per cucinare, o sulle marche più conosciute per l’utilizzo a crudo. Alcuni per non sbagliare mi hanno risposto che comprano l’olio col prezzo più alto. Sarà mai questa una scelta consapevole… ?!

Detto questo mi sono ripromessa di approfittare del mio intervento per fare delle richieste ben precise che aiutino le persone verso una scelta più informata dell’olio d’oliva:

  • Ai Comunicatori chiedo più semplicità nelle parole. Insisto spesso su questo concetto perché la cosa importante è fare buona cultura della terra con parole semplici, per arrivare alla gente. Le persone chiamano ancora l’olio d’oliva di qualità, “l’olio buono”. Il termine “olio evo” ormai tanto usato, ai più è ancora ignoto (evo: extra vergine d’oliva).
  • Agli Olivicoltori chiedo di organizzare più eventi degustativi per raccontare alla gente il proprio olio. Come diceva Veronelli: “L’olio come il vino. L’ulivo come la vite.” Oltre a “Cantine aperte” perchè non fare… “Oleifici aperti”.
  • Alle Enoteche chiedo di creare un angolo per una “oleoteca” che permetta la degustazione degli oli.
  • Ai Ristoratori chiedo di raccontare gli oli d’oliva che vengono portati a tavola esattamente come si fa per il vino, basta chiedere alle aziende produttrici delle schede tecniche, o meglio ancora, formare gli addetti in sala con corsi di assaggiatore d’olio.
  • Ma chiedo qualcosa anche ai consumatori. Di essere più curiosi nel provare gli oli, ne abbiamo talmente tante varietà. Nel dubbio come già detto preferire le Dop. Quando invece siete in vacanza approfittate per visitare una realtà agricola che vi renderà molto più consapevoli sul prodotto che consumerete.

Infine non posso che sottolineare l’importanza della promozione del territorio e dei suoi prodotti attraverso la rete. Questo però non prescinde dal fatto che la conoscenza diretta del produttore e dei suoi prodotti è strumento insostituibile… per lo meno, per come li vivo io…




“Due chiacchiere con… Fausto Borella, il Maestrod’olio!”

Fausto Borella, Maestrod’olio ed esperto di enogastronomia

Giorni fa, durante una delle mie lunghe chiacchierate con l’amico Tommaso Ponzanelli, si argomentava di oli d’oliva e di olivicoltori… Gli raccontavo di aver letto su una copia di Ex Vinis del 2002 di Luigi Veronelli, un vero e proprio Manifesto sull’olio d’oliva. Tommaso è una grande fonte di ricordi… Amo molto ascoltare i suoi aneddoti dei bei tempi passati…

Detto questo mi direte… “E quindi… ?”  E quindi vi dico che proprio in quel momento Tommaso esordì dicendomi: “Devi assolutamente conoscere Fausto Borella!” Detto, fatto! Si, perché dopo uno scambio di opinioni con Fausto, ho deciso che era la persona giusta per qualche approfondimento in più… ovviamente, approfondimenti olistici!  😉

Ma non perdiamo tempo… Pronti… via! 😉

  • Fausto, leggo che vieni definito Maestrod’olio. Leggo anche che hai frequentato la facoltà di Giurisprudenza. Mi vuoi raccontare come hai dato questa svolta alla tua vita?

Sentivo che non avrei mai potuto rivestire la toga forense indossata da mio padre per oltre 50 anni. Avevo bisogno di muovermi, di conoscere le persone, in una espressione, Vivere la mia terra.

  • Nel 2001 hai avuto la fortuna di conoscere Luigi Veronelli. Mi regali un ricordo dell’esperienza di quegli anni?

Fu grazie alla presentazione fatta da Leone Ramacciotti, a quel tempo delegato dell’AIS Versilia. Eravamo al Premio Versilia e mi presentò a Gino Veronelli elogiando le mie doti di appassionato sommelier e promettente scrittore di enogastronomia. Per due anni ho girato l’intera Italia al fianco del Maestro vivendo un’esperienza indimenticabile.

  • La cultura dell’olio d’oliva in Italia è ancora scarsa. Molto se ne dice, e molto se ne fa, ma non ancora abbastanza. La scelta del consumatore davanti allo scaffale non è facile. L’olio d’oliva della grande distribuzione è chiamato con il nome del produttore e non con la provenienza territoriale. La mancanza a chiare lettere del territorio d’origine sull’etichetta non aiuta a capirne le caratteristiche, e non aiuta il consumatore nella scelta. Cosa ne pensi?

È talmente scarsa che ad oggi non si è capita la reale differenza tra olio di oliva e olio extravergine di oliva. L’olio di oliva è una miscela di oli raffinati e una percentuale di olio extravergine ancora indefinita. Per essere extravergine, invece, vanno seguiti dei paragrafi chimici e analitici che portano al risultato di avere un olio da 2 euro oppure da 30 euro. Il mio compito, visti l’enorme divario qualitativo tra le due fasce di prezzo e l’attuale e ancora inspiegabile ignoranza su questo, è quello di comunicare – attraverso corsi, eventi e manifestazioni in Italia e all’Estero – la reale cultura dell’olio extravergine italiano di qualità.

  • Quali consigli ti senti di dare al consumatore per indirizzarlo verso una scelta consapevole di un olio d’oliva di qualità?

Se sei al supermercato cercare una delle 44 DOP italiane che abbia un costo di circa 6-8€ per 50 cl., altrimenti cercare quell’etichetta che parla in maniera più trasparente e corretta possibile al consumatore: annata di produzione, varietà delle olive, tabella nutrizionale, non tanto con acidità o grassi saturi che lasciano il tempo che trovano, ma con l’inserimento dei tocoferoli (Vitamina E) e dei polifenoli totali che rendono unici gli oli del territorio.

  • Quanto è importante il “colore dell’olio” e da che cosa possiamo capire che “un olio è difettoso”?

Il colore dell’olio non è assolutamente importante, è arrivato il momento di sfatare molti luoghi comuni. Il colore ci può aiutare, in qualche caso, a comprendere come sarà l’odore, vedendo mucillagini, sedimenti che porteranno per esempio al difetto di morchia. L’olio difettoso si riconosce dopo pochi assaggi e degustazioni di campioni difettosi fatti attraverso i corsi.

  • Cito un’affermazione ascoltata in un tuo intervento che condivido pienamente: “La filiera dell’olio del contadino gli costa almeno dieci euro al litro. Un olio d’oliva che costa tre euro non è un olio extra vergine d’oliva, ma solo una bugia per il consumatore”.  A questo punto ti chiedo: Ma un olio con questo costo com’è ottenuto?

Attraverso navigazioni di navi di olio nei migliori porti italiani. Oppure attraverso una incontrollata tratta dell’olio non certificato del Sud che invade le regioni italiane fino alle Alpi.

  • Spesso nel condimento, si abbonda con l’olio d’oliva in modo errato. A quanto corrisponde un uso consapevole mensile per una famiglia media?

Come disse il Presidente del Consorzio IGP Toscano, l’uso quotidiano di olio extravergine a persona incide per il costo di 2 sms al giorno. Allora ce lo possiamo permettere un olio extravergine di qualità oppure no?

  • Veronelli scriveva: “L’olio come il vino, l’olivo come la vite”. Condivido pienamente il pensiero, e, conseguentemente a ciò, vorrei che, quando sono in un ristorante, non mi venga presentato solo il vino, ma anche l’olio che mi viene servito. Chiedere che il personale addetto alla sala venga formato in tal senso è un’utopia o una speranza?

È una speranza. Considerando, però, che da 11 anni organizzo corsi, prima grazie all’Associazione Italiana Sommelier dell’Olio di Franco Ricci, e in seguito con la mia Accademia Maestrod’olio. Alle mie lezioni ho sempre avuto una percentuale bassissima di ristoratori, camerieri, maître e addetti ai lavori che sarebbero in assoluto i veri ambasciatori di questo messaggio.

  • Sei un esperto di aceto.  E’ ormai consuetudine trovare sui banchi dei supermercati aceti balsamici da pochi euro. Cosa ne pensi e cosa consigli al consumatore?

Non sono propriamente esperto di aceto. Conosco la materia perché mi affascina. Il discorso è simile all’olio. Esiste un disciplinare molto rigido e ben strutturato che i produttori devono seguire per ottenere la DOP Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o Reggio Emilia. Il prodotto confezionato in bottigliette da 10 cl può arrivare a costare anche 100 €. Per quanto riguarda l’aceto balsamico da usare tutti i giorni, l’unico riferimento qualitativo è il prezzo. Se costa meno di 10 – 15 € per bottiglie da 25 cl. vuol dire che all’interno è aggiunto caramello al 2% e non è invecchiato in caratelli.

Fausto, ci vediamo a breve ad Olio Officina Food Festival. Mi prometti che mi guiderai in una degustazione d’olio, vero?     

Sarà un piacere…

Quello che fece mio padre fu molto più di una semplice stretta di mano; capì che non sarei mai stato portato per studiare tutta la vita regole e norme che non mi appartenevano. Avevo bisogno di staccarmi da una scrivania e viaggiare, conoscere, assaporare ed emozionarmi. In una parola vivere la mia terra…

Fausto Borella

 




Laura Angelini… colei che sussurra alle vigne

Laura Angelini dell’Azienda Agricola La Pietra del Focolare di Ortonovo – La Spezia

La dolce Laura…

L’ho conosciuta ormai un anno fa… Inizialmente attraverso i suoi pensieri sul web, e poi, come capita spesso in questo mio percorso di vita, di persona, quando un giorno mi invitò a raggiungerla a “Terre di Vite”, una manifestazione presso il Castello di Levizzano a Modena alla quale partecipava come ospite.

Laura Angelini della Cantina Pietra del Focolare di Ortonovo (SP), una donna e un’amica alla quale mi sento vicina per la condivisione del pensiero e della filosofia di vita… Una donna che si è ricostruita investendo nella terra…

Un rapporto tra uomo e natura che va ben oltre il mestiere: “Dare l’anima alle piante e vedere che esse ricambiano… Parlare con loro come a un figlio”. Vorremmo produrre un vino che sia “buono” per la gente, e trasmetta un’emozione all’intenditore perché vinca la qualità a scapito della quantità, e queste righe scritte e dettate da un modo di vita tranquillo… restino oggi e domani  davanti a noi… Laura Angelini

Passo a lei la parola… 

  • Ti definisci “colei che sussurra alle vigne”. E’ una definizione romantica che trasmette l’amore che come te condivido per questo mondo. Com’è iniziata la tua storia nel mondo del vino?

Il mondo del vino è una fiaba molto bella. Come in molte fiabe ci sono persone cattive che a volte disturbano un po’,  ma noi faremo di tutto perché la fiaba sia bella e a lieto fine. Stanchi della routine del mondo moderno abbiamo deciso di iniziare quest’avventura per vivere la natura e seguire il corso del tempo, scandito dalla successione delle stagioni, delle notti,  dei giorni, della pioggia e del sole.

Siamo passati da impieghi lavorativi in ufficio e in negozio, ad una vita a contatto con la terra e la natura, per ricollegare quel filo che si stava sempre più assottigliando. Ma soprattutto non abbiamo fatto l’errore di collegare il vino al portafoglio. La Pietra del Focolare è nello stesso tempo un’azienda e una famiglia dove Stefano, Laura e Linda sono i protagonisti indissolubili.

  • Conduci la Cantina Pietra del Focolare di Ortonovo insieme a tuo marito. Come avete iniziato, e chi vi ha introdotto all’arte di fare vino?

Io e Stefano seguiamo tutta la filiera, dalla campagna alla bottiglia. Abbiamo cominciato a produrre vino per creare qualcosa di nostro senza dover sottometterci a nessuno, così da portare avanti l’idea di un vino tipico della nostra zona senza compromessi. Poi, l’amicizia con vecchi viticoltori ci ha aiutato.

  • Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato inizialmente sia a livello burocratico che  gestionale?

Abbiamo incontrato mille difficoltà…  Con la passione, l’amore, e l’impegno le abbiamo superate tutte sempre pronti a lottare per le nostre idee. L’invidia da parte di altri credo sia stata una delle maggiori, comunque sia, continuiamo lavorando…

  • Quanto le scelte e le indicazioni del vostro enologo influiscono sul vino che producete?

Il nostro enologo, Giorgio Baccigalupi, è stato indispensabile come tecnico e come amico. Con il trascorrere del tempo abbiamo seguito sempre più i suoi consigli da amico, e sempre meno quelli da enologo. Questo non perché siamo diventati bravi, ma perché abbiamo cercato un nostro percorso, ben diverso dal suo e da quello dei nostri colleghi. Noi siamo considerati la  “pecora nera” dei Colli di Luni.

  • Ricordo che, durante gli interventi a Terre di Vite, ho ascoltato donne protagoniste della viticoltura ligure ferite dalle istituzioni. Le sentivo esprimere la loro rabbia per gli scarsi interventi istituzionali necessari alla salvaguardia del settore vitivinicolo. A distanza di un anno senti di esprimere lo stesso sfogo o qualcosa è cambiato?

Spesso le istituzioni sono un freno e non un aiuto, nonostante ciò cerchiamo di convivere con esse. In alcuni casi però ci hanno fornito notevoli aiuti, quindi non sono sempre da condannare o da denigrare. Penso che a volte le persone (riferendomi alle mie colleghe liguri), si sfoghino con le istituzioni nascondendo in fondo problemi che hanno con se stesse. Purtroppo l’Italia è malata di politica, di protagonismo, e di molto altro… Credo che la guarigione avrà tempi lunghi… anche per l’assenza di “medicine”…

  • Ricordo le tue bellissime bottiglie dipinte a mano… Come ti è venuta l’idea, e a che cosa ti ispiri? 

Le nostre bottiglie dipinte a mano sono l’espressione dell’amore che abbiamo nei confronti del nostro lavoro, di noi stessi, delle persone, della vita, e di tutto ciò che ci circonda. Ricordiamoci sempre che viviamo in un mondo con una vita meravigliosa, non dimenticando gli amici, che rappresentano la più grande ricchezza…

Stefano dipinge le bottiglie davanti alla stufa a legna nelle sere d’inverno, e io spesso, sono la sua musa ispiratrice…

Correva l’anno 1995, una fredda sera d’inverno io e Laura sedevamo davanti al camino di pietra. Il fuoco lambiva i ceppi accesi e scoppiettanti, il calore riflesso ci avvolgeva, Linda era stata concepita da poco. Le fiamme viste attraverso il vetro di un calice di vino bianco danzavano creando bizzarre figure. Quella sera nacque una filastrocca…

Il focolare trasmette alla pietra il suo calore…

il sole irraggia la vite e dona ai grappoli il colore…

il vino trasmette l’animo di chi l’ha creato a chi lo sa gustare…

e le genti tutte fa cantare…

La Pietra del Focolare




Storie di Donne coraggiose… “Vi presento Nadia Vincenzi”

 

Nadia Vincenzi, chef riminese titolare del Ristorante Da Nadia, una stella Michelin a Castrezzato, Brescia.

Le donne coraggiose, quelle che si rialzano, quelle che la vita nonostante tutto non riesce a piegare. Io le cerco e do loro la mano, perché conoscerle, è una continua lezione di vita.

Ho conosciuto Nadia grazie all’amico giornalista Elio Ghisalberti che, sapendo i miei gusti in fatto di persone, ha pensato bene di presentarmela.

La destinazione non proprio vicina a me è passata in secondo piano quando, alla mia domanda sul perché di quella scelta, la risposta è stata: “E’ una donna di quelle che piacciono a te, di quelle che hanno lottato, di quelle la cui storia è da ascoltare…”  Devo ammettere che ho anche pensato, visto la chiacchierona che sono: “Sarà mica una strategia di sopravvivenza alla serata ?!”  Ovviamente scherzo, primo perché tutto sommato dicono che son simpatica, e secondo, perché ascoltare Nadia è stata una vera esperienza… Mentre lei mi raccontava il suo percorso a volte avevo l’espressione triste, e a volte un po’ da romantica sognante quale sono…  In realtà, ho ascoltato una storia di vita e d’amore il cui lieto fine è avvenuto ben trentotto anni dopo…

Nadia Vincenzi nata a Rimini da genitori romagnoli dovette trasferirsi a dieci anni in Molise con la famiglia  per esigenze lavorative. Furono quelli i suoi anni più felici, quelli dei ricordi migliori, quando dopo la scuola il tempo passava veloce nel ristorante di famiglia. E’ li con sua madre e suo padre che ha imparato i primi rudimenti dell’arte del cucinare che ancora oggi la richiamano a quegli insegnamenti.

Gli anni passavano… Anni spensierati dai ritmi allegri che portarono Nadia, grazie alla sua bellezza, ad aggiudicarsi il titolo di Miss Molise. Nel ’67, a vent’anni, si sposò ed ebbe due figli. Dopo un periodo apparentemente sereno le cose cambiarono e dovette separarsi. Aveva ventisei anni, due figli, e doveva ricominciare… Con tutte le sue forze decise di aprire un piccolo ristorante vicino a Termoli forte dell’esperienza familiare acquisita. Il lavoro tanto, l’impegno e i sacrifici costanti. L’unico svago che si concedeva era quello di qualche serata in sala da ballo quando era possibile. Fu li che conobbe Valerio, quel bellissimo ragazzo, come Nadia me lo ha descritto raccontandomi, che frequentò per circa un anno.

Un giorno Valerio non si presentò ad un appuntamento e da li scomparve dalla sua vita.  Era delusa e risentita, non capiva, ma doveva andare avanti, e così fece… Se ne andò al nord e conobbe un uomo. Nacquero altri due figli, ma anche questa volta la sorte non fu con lei. Rimase nuovamente sola… Per tirare avanti lavorò in un supermercato per quattro anni, fino agli anni ’90, quando nuovamente si rimise in gioco aprendo un piccolo ristorante, “Al Desco”, a San Giuseppe frazione di Rovato, Brescia. L’avventura qui continuò fino al ’93 per poi proseguire con una nuova attività a Sarnico. Nel 2000 l’impegno investito riconobbe a Nadia la stella Michelin. Ma un evento fermò nuovamente la sua vita… Dei dolori improvvisi al ginocchio la costrinsero a sottoporsi ad un intervento chirurgico che la bloccò dall’attività per sei mesi. Si ritrovò nella condizione di dover vendere il ristorante… Dopo la riabilitazione la voglia di tornare in Molise dove aveva vissuto i momenti più felici della sua vita era tanta, ma una nuova opportunità le si propose, la proposta dell’acquisizione di un locale in piena campagna a Castrezzato, Brescia. Iniziò così la nuova avventura con il ristorante “Da Nadia” a cui nel 2011 venne riconosciuta la stella Michelin.

Nel durante dell’attività una sua collaboratrice la formò all’utilizzo dei social network. Per vincere la solitudine Nadia si mise alla ricerca delle vecchie amicizie del Molise. Una sera presa dai ricordi digitò il nome di quel suo amore scomparso improvvisamente tanti anni prima, Valerio. Il nome comparve… Le sembrava inverosimile ma lui anche se solo con un’immagine era la, davanti a lei. Decise di scrivergli per capire perché improvvisamente tanti anni prima si era allontanato. Valerio rispose… L’emozione nel leggerlo indescrivibile… La verità era che i suoi genitori, quando avevano saputo che frequentava una donna separata con due figli, gli avevano impedito di frequentarla. Iniziarono a risentirsi il 17 Maggio del 2012, poi, nei successivi venti giorni un susseguirsi continuo al telefono, fino al 10 Giugno scorso quando Valerio dal Molise è tornato da Nadia, da quell’amore proibito trentotto anni prima. Ora vivono e collaborano felicemente insieme.

Nadia concludendo il racconto della sua storia mi ha detto: “Cinzia, ora non piango più la notte, non sono più sola, lui finalmente è tornata da me!”  La realtà è che non bisogna mai arrendersi, bisogna sempre lasciare una porta aperta alla speranza. Nadia ne è la riprova… Una donna che ha ritrovato il suo amore perso ben dopo trentotto anni… Una donna che vive le soddisfazioni di una vita di impegno e sacrifici esprimendo esperienza e creatività nella sua cucina semplice che richiama i piatti di una volta. Una cucina ittica-romagnola dell’Adriatico.




Rileggendo… “L’olio secondo Veronelli”

Strane coincidenze accadono nella mia vita… Direte: “In che senso?” Mah, a dire il vero non lo so neanch’io, ma è vero che l’anno scorso ho conosciuto Luigi Caricato, che poco dopo gli ho fatto un’intervista e… e poi lui mi ha invitato a dire la mia sull’olio d’oliva guardandolo dal punto di vista del consumatore nella nuova edizione del Festival Olio Officina 2013, e poi…

E poi… leggendo una copia di “Ex Vinis” di Luigi Veronelli del 2002 regalatami da Gianni Vittorio Capovilla, ho trovato un articolo, o meglio un suo Manifesto sull’olio d’oliva. Detto questo, dopo aver strabiliato gli occhi mi son detta:  “Va che coincidenza, trovo questo pezzo di storia proprio in questo periodo che mi sto documentando…”

Luigi Caricato mi ha raccontato che lui stesso ha curato dal 1998 al 2001 sul bimestrale “Ex Vinis” una rubrica sull’olio all’epoca del tutto nuova, che poi diventò una vera guida alle produzioni d’olio d’eccellenza.

Veronelli voleva creare un documento con le linee guida rivolte agli olivicoltori italiani uniti dalla volontà di una produzione olearia basata su un olio estratto per cultivar, e dalla sola polpa delle olive.

L’articolo iniziava motivando l’accettazione della proposta tesa all’elaborazione di un progetto di controllo qualitativo di quello che, secondo lui e altre persone con cui collaborava, definiva “l’olio secondo Veronelli”.

Lui voleva dare ai contadini, citando le sue stesse parole, “la possibilità di essere protagonisti, di avere dalla terra che lavorano – dura tutto l’anno, tanta pena d’inverno, d’estate, tanti sudori, tanti caldi, tanti freddi; faticante sinonimo di contadino; la fatica è la sua misura quotidiana – il benessere”.

10 Aprile 2001

“Ciascuno avverte. E’ in corso un epocale mutamento sociale. Coinvolge appieno l’agricoltura. Il divenire, per molti aspetti rivoluzionarlo, del comparto olio d’oliva è già iniziato. E’ sostenuto dalle persone che hanno lavorato e lavorano per la qualità e l’onestà. Con i vecchi criteri si potrebbe fare al massimo un olio onesto. Con le tecniche mirate alla qualità (e non come succedeva “antan” alla quantità) sarà invece possibile fare oli d’eccellenza. L’olio come il vino. L’olivo come la vite. Dalla raccolta manuale e separata delle cultivar, escludendo il nocciolo prima di una delicata estrazione monocultivar, nasce… Luigi Veronelli”

Un vero e proprio “Manifesto in progress per una nuova cultura dell’olio d’oliva” di tredici pagine, voluto da Luigi Veronelli e realizzato da Olioro in collaborazione con Metapontum Agrobios. Poco tempo dopo si sarebbe occupato di un altro importante progetto, le denominazioni comunali, le De.Co.

Ora il custode della sua memoria storica è Gian Arturo Rota con il quale ha collaborato per quasi vent’anni. Arturo sta mettendo a frutto l’esperienza maturata dandone continuità nel sito “Casa Veronelli”.

Recentemente ha scritto insieme a Nichi Stefi il primo libro a lui dedicato, “La vita è troppo corta per bere vini cattivi“, edito da Giunti e Slow Food Editore.

Sono convinta che scrivere i propri pensieri, il proprio credo, la propria esperienza…  ci regali un pizzico d’immortalità.

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