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“Due chiacchiere con… Laura Turri, una Donna dell’Olio”

Ho conosciuto Laura Turri grazie a Luigi Caricato. Mi affido sempre ai consigli delle persone che stimo nei miei percorsi di conoscenza. Percorsi che non mi fanno sbagliare strada, che mi conducono alla consapevolezza dei prodotti, ma soprattutto alla comprensione delle persone. Non si possono scindere le cose, una è connessa all’altra…

Con Laura, donna gentile e delicata, ho passato un pomeriggio passeggiando tra gli ulivi e i suggestivi scenari del lago di Garda. Lei una produttrice, una Donna dell’olio che mi ha raccontato dell’azienda familiare tramandata dal padre Giancarlo e dal nonno Mario. L’Azienda Turri situata a Cavaion Veronese è tra i primi oleifici di Verona. Nasce nel 1951, e dagli anni ’80 è seguita da Laura con i fratelli Mario, Luisa e Giovanni.

Prima di passare la parola a Laura, voglio fare un piccolo ripasso su come un’oliva si trasforma in quel  liquido denso e profumato che ci fa chiudere gli occhi, e che ci riporta a sapori antichi…

 Tutto inizia con la raccolta, possibilmente fatta a mano, per non rovinare ne il frutto ne la pianta… Dopo questa operazione le olive un volta controllate e lavate iniziano le fasi per la loro trasformazione.

  • Con la 1’ fase della lavorazione, la frangitura, con molazze di granito o frangitori a martello si trasformano le olive in una pasta.
  • Con la 2’ fase, la gramolazione, la pasta olearia viene rimescolata per una trentina di minuti circa.
  • Infine con la 3’ fase, l’estrazione, si separa l’olio dall’acqua e dalle parti solide (sansa).

Finite queste tre operazioni si procede con l’imbottigliamento.

Ovviamente le cose sono molto più elaborate di come le ho descritte, ma vi lascio la curiosità di scoprirle andando a visitare direttamente un oleificio.

  • Ho descritto in modo semplice le fasi che portano alla produzione dell’olio d’oliva. Ora, da produttrice, mi descrivi le caratteristiche distintive dell’olio Gardesano?

L’Olio del Garda è prodotto prevalentemente con la cultivar Casaliva varietà autoctona del lago di Garda. Poi ci sono altre varietà storiche come il Leccino, il Frantoio, il Rossanel, la Raza, il Moraiolo, il Pendolino.  E’ conosciuto per la sua delicatezza e per il suo fruttato leggero con retrogusto di mandorla apprezzabile già dopo pochi mesi dalla produzione.

  • Quali consigli ti senti di dare al consumatore per una prima valutazione dell’olio all’acquisto?

Il mio consiglio è di essere curiosi, di assaggiare, di confrontare e di imparare gli abbinamenti dell’olio con le diverse pietanze. E’ così che pian piano si scopre un mondo nuovo di sapori. Perché non dimentichiamo che l’olio è come il vino, va abbinato con il giusto piatto. Ad esempio per una pietanza delicata come il pesce opterei per un olio del Garda, mentre valorizzerei una pasta e fagioli con un buon olio Toscano… Per chi è insicuro nell’acquisto consiglio di affidarsi agli oli Dop, sono un buon punto di partenza per imparare a conoscere ed abbinare l’olio di qualità nei diversi profumi e sapori.

  • Laura, fai parte delle Donne dell’Olio, che cosa si prefigge questa associazione?

Da poche settimane la nuova Presidente è Gabriella Stansfield, produttrice Toscana nonché assaggiatrice. Con la Vice Presidente Francesca Pingi, valorizzerà l’associazione guidandola nella promozione della cultura e della conoscenza dell’arte olivicola e olearia. Indirizzerà in particolare il proprio impegno verso il mondo femminile, coinvolgendo attraverso varie azioni il mondo della produzione, della distribuzione, della comunicazione e del consumo. La finalità senza fini di lucro, è la promozione di una corretta immagine dell’olio d’oliva di qualità.

  • Donne o Olio. Quanto incide la presenza femminile in questo settore?

Sono sempre più numerose le donne che operano in tutte le fasi del processo produttivo in tutti i settori del comparto: donne che operano negli oliveti, nei frantoi, nelle strutture di vendita, nei ristoranti, nelle mense, nelle pubbliche amministrazioni, e nelle associazioni. Sono ormai numerose le agronome, le ricercatrici, le studiose, le giornaliste e le assaggiatrici. Ma, soprattutto, sono tante, tantissime, centinaia di migliaia le donne che comprano l’olio, assai più numerose degli uomini.

Sono in prevalenza le donne che “usano”  l’olio, e che preparando i pasti, determinano le abitudini alimentari di tutta la famiglia. Si potrebbe quasi sostenere che, da questo punto di vista, le donne  rappresentino l’elemento chiave nel mondo dell’olio. E’ “vitale” quindi per questo che operino nel modo migliore, approfondendo le loro conoscenze per diventare operatori “virtuosi” e consumatori consapevoli ed informati.

  • Da vicepresidente del Consorzio dell’olio Garda Dop, hai visto nascere il progetto Oligar. Di cosa si tratta?

Come consorzio ci eravamo resi conto che per vendere l’olio del Garda in nuovi mercati – ma non solo in quelli – era necessario migliorare la conoscenza del prodotto. Il progetto mirava ad ottenere ulteriori informazioni sulla qualità misurando i quantitativi di pirofeofitine e alchilsteri. Lo scopo era verificare l’assenza di contaminanti “nuovi” quali gli ftalati,  per applicare agli oli del Garda il metodo degli isotopi stabili, in grado di identificare la provenienza territoriale di un alimento in maniera certa. I risultati ottenuti, per i primi due aspetti, sono stati tranquillizzanti. Per il terzo è stato addirittura possibile dimostrare che, applicando quel metodo, si può distinguere la provenienza di oli prodotti nelle sottozone del Garda.

  • Olio extravergine d’oliva come alimento. Hai suggerimenti per l’uso?

Suggerisco di andare a visitare il sito del Consorzio Garda Dop. Qui si possono trovare interessanti e accattivanti ricette dove l’olio del Garda viene utilizzato per valorizzare piatti diversi.

  • L’olio d’oliva è usato nella cosmesi fin dall’antichità. Hai qualche consiglio?

Siamo in inverno e i nostri capelli a volte sono spenti e opachi. Suggerisco di provare un trattamento completo all’olio di oliva: “Amalgamare bene sette cucchiai d’olio extra vergine d’oliva con il succo di un limone. Con il composto così ottenuto massaggiare sia il cuoio capelluto che i capelli, lasciando in posa per circa mezz’ora.  Terminare infine il trattamento con uno shampoo delicato.  Provare per credere!

 




“La Storia di Wainer Molteni, la rivoluzione di un clochard…”

Non voltarti questa volta… non far finta che non esisto.

Può succedere all’improvviso, da un giorno all’altro. Può succedere in modo graduale, inesorabile. Fatto sta che ci si può ritrovare senza più nulla, e quando succede, è sempre troppi tardi… Wainer Molteni

Dico spesso che è un attimo cadere… E’ successo a me, come a molti altri. Non dare per scontato ciò che abbiamo sembra li per li solo una bella frase, di significato certo, ma quando succede l’irreparabile, quando la vita ci mette in ginocchio, allora si che ne ponderiamo veramente il senso…

Il fallimento nel proprio percorso di vita è cosa facile. Può avvenire per la perdita del lavoro, per un amore finito, per una malattia… Un momento si è su, ed un attimo dopo si è giù… Ed è proprio li, quando si oltrepassa la soglia, che si guarda la vita con occhi diversi. Se dopo quel momento troviamo la forza di rialzarci, tutto cambia, perché da quel momento, saremo cambiati noi…

Ho conosciuto Wainer qualche sera fa durante una cena dal caro amico e chef Simone Toninato. Era li per la presentazione del suo libro, Io sono Nessuno, la storia di un clochard alla riscossa. Durante la serata oltre a raccontare il suo percorso di vita si è degustato l’olio d’oliva prodotto dalla Fattoria dei Clochard alla Riscossa, la prima fattoria gestita da dodici senzatetto di Milano e Pistoia.

Wainer Molteni è cresciuto con i nonni a Mombello di Limbiate, nella campagna brianzola. Un’infanzia tutto sommato tranquilla, tra la dolcezza di nonna Bambina, e, citando le parole di Wainer, la saggezza contadina di nonno Emilio, tipica di chi conosce il peso delle parole e dei silenzi, e sa come gira la vita.

La passione per la musica lo portò a diventare un dj di successo degli anni ottanta. Veniva chiamato nelle maggiori discoteche di Firenze, Bologna, Roma, Milano, Londra, Parigi. La vita continuava… i nonni uno dopo l’altro se ne andarono. Mantenendosi con la musica si laureò in sociologia portando avanti un’altra sua passione, la criminologia. Capire le menti criminali, gli oscuri meccanismi delle loro azioni lo avevano affascinato sin da bambino.

Fu in quegli anni di corsa tra musica e studio, che Wainer scoprì il piacere del cibo. Una sera dovendo suonare a Milano volle fermarsi a Cesano Maderno. Erano anni che non passava di li… Rivide la Villa Borromeo nella nuova veste, dopo i restauri. Era diventata un hotel con un ristorante annesso, Il Fauno. Fu quella sera a cena che conobbe lo chef Simone Toninato.

Dopo aver superato un bando di concorso ebbe l’opportunità di frequentare un master in criminologia. Passò tre anni nel Centro di addestramento alle scienze forensi dell’FBI di Quantico in Virginia. Li visitò il braccio della morte di Antsville in Texas, e percorse il miglio verde, il corridoio che collega le celle al luogo dell’esecuzione. Li si percepiva la paura e la disperazione…  Finiti i tre anni gli si prospettò la possibilità di tornare in Italia con un’offerta di lavoro che accettò. Avrebbe ricoperto il ruolo di direttore del personale di una catena di supermercati. Tutto andò bene, fino al giorno in cui la società dichiarò bancarotta fraudolenta.

Improvvisamente era senza lavoro, ma era tranquillo, perché avendo un curriculum di tutto rispetto non credeva di aver problemi nella ricerca di una nuova occupazione. Non fu così. I colloqui non andavano a buon fine, dicevano che era troppo qualificato. Il tempo passava e i soldi finirono. Arrivò lo sfratto e in men che non si dica si trovò a conoscere la realtà dell’assistenzialismo. Era diventato un clochard… Seduto su un cartone osservava un mondo di gente invisibile, di persone con le quali i passanti evitavano di incrociare lo sguardo per vergogna, per pena, per indifferenza… Imparò a chiedere l’elemosina, conobbe il freddo, quello più rigido, che addormenta…  Ma trovò anche tanti amici, e tanta solidarietà…

Tante le lotte, le occupazioni, gli arresti… ben quaranta. Fino alla consegna di un piccolo appartamento e l’incarico di consulente dell’amministrazione milanese per il reintegro dei senza fissa dimora. A Milano non mancano le strutture d’accoglienza sia pur con le loro pecche, ma non è quello il problema. La questione importante è che non si parla di recupero, di reinserimento… Come dice Wainer, è fondamentale dare una possibilità a coloro che hanno voglia di riscatto per uscire dalla situazione in cui si trovano. Erano circa 6000 le persone per strada l’anno scorso, oggi sono 13.000… Ci saranno ancora morti per il freddo…

Wainer sta portando avanti tanti progetti…  A Pontremoli avendo avuto un lascito, vorrebbe creare un centro di recupero per chi è affetto da dipendenze. A Zeme Lomellina, vicino a Pavia, disponendo di una vecchia cascina vorrebbe creare un centro dove i pensionati insegnano gli antichi mestieri ai senzacasa. Per non parlare della fattoria già avviata gestita da dodici clochard a Serravalle: settantamila metri di terreno in cui sono coltivate duecentocinquanta piante da frutto, cinquecento ulivi, un allevamento di galline, conigli e una coppia di asini. Quest’anno per la prima volta si è prodotto l’olio d’oliva. Li serve tutto, dal coraggio al sostegno nella formazione agricola ed enogastronomica. Qualsiasi aiuto è benvenuto, affinché questi progetti si concretizzino.

A fine cena ho chiesto a Wainer se credeva nel destino. Per quanto mi riguarda ormai la mia vita e dominata dai venti della conoscenza.  Mi ci cullo, a volte sono buoni, e a volte sono cattivi, io mi limito solo a muovere un po’ il timone mentre guardo l’orizzonte…

Non so se fosse scritto o è stato un caso, fatto sta che è successo. Dario dice che è il karma, che tutto torna. Che puoi fare, disfare, essere ricco, povero, ma ciò che conta è che tu compia il tuo percorso. Che ci sono mille strade, mille incroci.

L’importante è non fermarsi. Il cosa, il perché, vengono dopo…                                                                   

      da “Io sono nessuno” di Wainer Molteni

 

 
 

 

 

 




“A mio figlio Andrea… era l’8 Dicembre del 1989”

La ricetta : “La Fonduta”

Era l’8 Dicembre del 1989,  era notte quando nacque mio figlio…

Mi tornano in mente le parole della scrittrice americana Erma Bombeck…

I figli sono come gli aquiloni,
passi la vita a cercare di farli alzare da terra.
Corri e corri con loro
fino a restare tutti e due senza fiato…
Come gli aquiloni, essi finiscono a terra…
e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri
che presto impareranno a volare.


Infine sono in aria:
gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne.
E a ogni metro di corda
che sfugge dalla tua mano
il cuore ti si riempie di gioia
e di tristezza insieme.

Giorno dopo giorno
l’aquilone si allontana sempre più
e tu senti che non passerà molto tempo
prima che quella bella creatura
spezzi il filo che vi unisce e si innalzi,
come è giusto che sia, libera e sola.


Allora soltanto saprai
di avere assolto il tuo compito. 

Così è giusto che sia…

Sfogliando delle vecchie foto  la mente è tornata in un lampo a quei ricordi, ormai ventitré anni fa… Quanta paura, essere genitore fa cambiare tutto, la responsabilità di una vita per la prima volta. Non ero pratica di bambini, essendo figlia unica non ero molto esperta.

Ricordo che, quando lo vidi per la prima volta aveva una testa terribilmente allungata. Avete presente i Simpson?  Chiesi subito:  “Ma rimane così?” Mi spiegarono che era la conseguenza delle difficoltà che avevo avuto nel parto. Il gonfiore scomparve in fretta a differenza della suo pianto… uh che frignone! Piangeva sempre, e con che voce! 🙁

La sua prima parola “brumma”, macchina…

In realtà la passione per i motori l’abbiamo entrambi nel DNA. Però, a differenza di lui,  io ho i miei limiti! Certe volte lo strozzerei! E’ arrivato a portarmi una portiera in camera! Senza parlare di quella volta che aprendo la doccia mi sono trovata davanti ad un pneumatico! Più che in una camera lui vive in un officina!

Ma non solo, perché essendo appassionato di tecnologia sperimenta di tutto! Avete presente l’eccentrico inventore Emmett “Doc” Brown nella trilogia di Ritorno al futuro? Ecco, lui… uguale!!! 😉

Andrea è un po’ particolare, come me dicono.  A volte orso e solitario, ma per lo più amabile e sensibile. Solo chi lo conosce bene lo sa.

Mi ricordo quando anni fa felice mi portò a casa da scuola la sua ricetta della fonduta. La provammo subito. La sto leggendo ora esattamente come me la scrisse lui:

La Fonduta di Andrea  (dosi per una persona)

  • 100 gr. di fontina DOP
  • 3 cucchiai di latte
  • 15 gr. di burro
  • 1 uovo  

Amalgamare tutti gli ingredienti e far cuocere a fuoco lento mescolando fino ad ottenere un composto omogeneo.

Oggi Andrea compie gli anni. La nostra vita negli ultimi tempi è cambiata, io spesso sono assente, ma di una cosa sono certa, come un aquilone, lui ormai ha imparato a volare.

Andrea

Andrea




Piero Rondolino, l’architetto risicoltore padre del riso gemmato Acquerello

di Cinzia Tosini e Marco Corti

Tra le mie tante passioni c’è anche la medicina naturale. La natura ci offre molto per curarci, è così dai tempi dei tempi. Ci siamo solo un po’ impigriti abusando dei rimedi facili. Vivere  naturalmente, con i ritmi di madre natura, con i suoi aiuti, ovviamente appena questa vita frenetica ce lo permette. Dobbiamo diventare ricercatori del nostro benessere, le soddisfazioni e i risultati, ci stupiranno!

Questa premessa per farvi capire come la mia “famosa antenna” si alzò, quando un giorno il chinesiologo Marco Corti mi parlò dell’utilizzo di un riso che definì terapeutico. Un riso a cui viene reintegrata la propria gemma ricca di vitamine e preziose sostanze nutritive abitualmente da tutti scartate. Marco l’ha testato con risultati positivi impostando regimi alimentari a pazienti con patologie critiche che qui di seguito ci descriverà.

Un procedimento brevettato dall’ideatore Piero Rondolino, architetto risicoltore, ma soprattutto uomo risoluto nella ricerca della qualità. L’ho incontrato qualche giorno fa a Livorno Ferraris (VC), nella Tenuta Colombara, sede della produzione del suo riso gemmato Acquerello.

Sono arrivata da Piero un sabato mattina dopo averlo chiamato un paio di volte al telefono visto che, come al solito, persa la strada vagavo tra le risaie. Una volta giunta a destinazione un ingresso tra due torri e una lunga stradina mi ha condotta a lui. Tra sorrisi e presentazioni abbiamo commentato la bellezza storica del posto. In effetti la Tenuta Colombara si trova su un’antica strada romana, la strada liburnasca, che da Casale Monferrato porta a Ivrea. Dal 1500 qui è iniziata la coltivazione del riso che ha avuto felice continuità fino ai nostri tempi.

Cesare Rondolino, padre di Piero, ha acquistato la proprietà nel 1935. Poco è cambiato da allora. I fabbricati, le antiche attrezzature agricole, il dormitorio delle mondine sono stati conservati nello stato d’essere dei tempi, tanto da consentire la realizzazione di un percorso museale tematico sulla civiltà risicola. Dal 2004 la Tenuta Colombara è sede didattica dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Bra).

Dopo aver raccontato un po’ di me a Piero, dopo che lui ha capito cosa cercavo, ho incominciato ad ascoltarlo…

Piero Rondolino nasce a Torino. Nel 1971 appena laureato in architettura, sente che investire energie nella terra è la strada giusta. Inizia così col padre la sua avventura di risicoltore. Per vent’anni lavora, studia, e ricerca, determinato nella volontà di produrre un riso di qualità. Opta per la coltivazione  biologica, per la filiera corta, per la varietà Carnaroli, connubio ideale con la tradizione gastronomica Italiana.

Nasce così nel 1992 la produzione di riso Acquerello, il “riso vecchio lavorato fresco”.  L’invecchiamento del riso grezzo tenuto al fresco nei silos da uno a sette anni, permette all’amido in presenza dell’ossigeno di perfezionare nel tempo le sue caratteristiche migliorando la qualità.

Nei successivi vent’anni di attività Piero si rende conto che la gemma che si separa dal riso durante la sbiancatura, ricca di sostanze nutritive, viene ingiustamente scartata. Nel 2009 brevetta un procedimento con il quale reintegra la stessa al riso bianco restituendogli preziose sostanze nutritive: proteine, vitamine e minerali. Una gemma di riso che ho assaggiato piacevolmente sorpresa dal gradevole sapore di nocciolina.  Acquerello oggi è un’azienda di 140 ettari a conduzione familiare in cui collaborano insieme a Piero e alla moglie Maria, i figli Rinaldo, Umberto e Anna.

Questo video vi spiegherà meglio la storia del chicco…

E ora la parola al chinesiologo Marco Corti con i suoi test.

Ho testato il riso Acquerello con test di contrazione muscolare per la verifica parametrata tra risi di alta qualità nutrizionale. Il riso Acquerello è risultato essere il migliore, e ad oggi, è ritenuto da me gold standard di riferimento per tutte le diete.

Ho introdotto questo riso nelle diete di persone con gravi problematiche intestinali, nei casi di diabete di tipo 1 e 2, nei casi di soggetti con ulcere gastro-intestinali, in casi di grave obesità.

In tutti i casi la dose ed il prodotto sono stati monitorati con test di contrazione muscolare. Abbiamo potuto notare un netto miglioramento delle condizioni del soggetto.  Il riso è sempre stato somministrato con cottura a bassa temperatura nella sua acqua (1 misura di riso e 3 di acqua), e con l’aggiunta di olio extravergine di oliva a fine cottura.  I soggetti in cura non si sono mai lamentati della somministrazione continua sia a pranzo che a cena, in quanto il prodotto è risultato estremamente gustoso.

Il riso Acquerello è stato utilizzato anche su atleti di diverse discipline. I risultati ottenuti sono molto soddisfacenti. La prova è stata fatta su 10 atleti alternando con pasta integrale di grano duro. Abbiamo suggerito agli atleti di mangiare per 7 giorni pasta integrale di grano duro a pranzo e a cena, nella dose secondo loro ideale; la stessa cosa con il riso acquerello per una settimana.

Le differenze riscontrate dagli atleti quando hanno mangiato riso Acquerello sono:

  • Minor sonnolenza post pranzo
  • Meno ingolfamento alimentare con feci più regolari
  • Maggior energia nella performance atletica

Dai test di controllo abbiamo verificato che sono diminuite le dosi di integratori e chiusure alimentari. Non per nulla nei paesi orientali l’uso del riso è così diffuso…

Marco Corti
chinesiologo.mc@libero.it



Gianfranco Comincioli… l’Erbamat, e i suoi oli denocciolati

Ci sono persone la cui storia dovrebbe diventare memoria d’insegnamento… Esattamente così, ci sono persone che incontro la cui storia, ma soprattutto la cui esperienza, ha portato a tali successi nelle proprie produzioni  da riconoscere non solo con premi, ma da divulgare come insegnamento per far si che le conoscenze acquisite negli anni, vengano messe a frutto per le generazioni future. Quando le incontro mi informo su chi darà continuità al loro lavoro, quasi sentissi a rischio la perdita di tanta esperienza acquisita negli anni.

Ciò che mi ha colpito soprattutto nella conoscenza di Gianfranco Comincioli, è la determinazione dell’uomo nel voler  fare il meglio… Una vita dedicata alla ricerca della qualità e all’accuratezza del prodotto. L’ho percepito ascoltandolo, fiero ed orgoglioso, memore dell’insegnamento del padre, menzionato spesso nella nostra lunga chiacchierata di una domenica pomeriggio di qualche tempo fa.

Seduti ad un vecchio tavolo di legno, Gianfranco mi ha raccontato delle sue ricerche sull’utilizzo dell’Erbamat, vitigno antico a bacca bianca ormai in via di estinzione vinificato ed assemblato ad un altro vitigno autoctono, il Trebbiano Valtenesi.

Gianfranco Comincioli

Gianfranco Comincioli

Subentrato nell’azienda familiare a diciotto anni s’innamorò di questo vino bianco denominato in seguito Perlì. Un vino particolare, longevo e complesso come lui stesso lo ha definito. Voleva fare un bianco diverso visto che il Lugana era già il vino protagonista di questa zona. Seguiva le orme del padre che, anni prima, circa nel 1960, fece un vino bianco per se e per gli amici fatto da viti centenarie di Trebbiano Valtenesi, un vino di grande corpo con ben 14 gradi chiamato “il latte del nonno”.

Per ben venticinque anni seguirono prove di vinificazione, fino a giungere al 2007 quando Gianfranco volle cambiare impostazione. Da quattro anni ormai lo sta sperimentando anche in spumantizzazione in ancestrale, il più naturale dei metodi che utilizza unicamente gli zuccheri dell’uva.

Dovete sapere che dal 1552, da ben quattordici generazioni,  la famiglia Comincioli vive e segue le attività legate al territorio di Puegnago del Garda. La produzione di vino è iniziata col Groppello, vitigno autoctono della Valtenesi. In seguito, dal 1943, ha avuto continuità con l’operosità di Giovanni Battista Comincioli che ha portato l’azienda nel 1966, al conseguimento del riconoscimento ad Asti della medaglia d’oro Douja d’Or. Dal 1978 la guida è passata al figlio Gianfranco, che, nel rispetto della tradizione, ha dato impulso alla ricerca e alla sperimentazione.

Ma non finisce qui, visto che l’attività della famiglia Comincioli è legata oltreché alla vite, anche all’olivo. La loro filosofia, citando le loro stesse parole,  è che l’olio lo fa la pianta e l’ambiente. Le fasi della produzione sono concentrate nel rispetto totale dell’olivo e del suo frutto, al fine di esaltarne al massimo i caratteri, gli aromi, e i sapori.

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Olio extra vergine di oliva Comincioli

Guidata da Gianfranco ho potuto apprezzare il risultato delle sue ricerche e dei suoi studi. La  realizzazione di un frantoio tecnologicamente avanzato, ha permesso di operare in assenza di contatto con l’aria, evitando fenomeni ossidativi che influiscono negativamente sulla qualità e sulla durata nel tempo dell’olio.

Le olive trattate sono la Casaliva, cultivar autoctona esclusiva delle terre del lago di Garda, e la Leccino, cultivar presente nelle terre del Garda. Nascono così gli oli denocciolati ottenuti esclusivamente dalla polpa delle olive, un prodotto della Terra realizzato con il massimo rispetto, per garantire le componenti salutistiche che rendono gli oli extra vergini d’oliva elementi essenziali per la nostra alimentazione, e per la nostra salute.

 




Avere personalità significa unicità… nel vino, come nelle persone

Batto spesso su questo tasto, e mi ripeto,  perché ritengo che l’esperienza di chi “fa il vino”,  sia fondamentale quanto il vitigno, il clima, e il territorio. Tutti fattori racchiusi nella “tipicità di un prodotto”, quell’armoniosa combinazione di elementi che l’uomo con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio.

“Tipicità del vino: espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno, al territorio, e al clima”

Clima che ahimè sta cambiando…  Ne ho discusso ampiamente con Claudio Faccoli visitando l’Azienda Agricola Lorenzo Faccoli in Franciacorta.  Claudio mi ha raccontato quanto per lui sia importante, una volta imparata l’arte, “fare da se” il più possibile. Certo, una guida al bisogno è sempre ben accetta, ma non deve prevaricare la filosofia del produttore.

                                                                                  Il vino deve avere personalità…

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Lorenzo Faccoli

Claudio, la moglie Stefania, e il fratello Gian Mario, portano avanti l’azienda fondata nel 1964 dal padre Lorenzo Faccoli. Un uomo discreto, un agricoltore che ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia e alla viticoltura. Circa 5 ettari di vigneto a tratti terrazzato nella terra argillosa del Monte Orfano, il più antico della Franciacorta.

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Maria, la moglie di Lorenzo Faccoli

E ora, la parola a Claudio Faccoli…

  • Claudio, concordo con te che il vino sia il risultato dell’esperienza e del pensiero di chi lo produce. Sei ancora giovane e la tua strada è ancora lunga, ma sei immerso in questo mondo fin dall’infanzia. Cosa trasmetti del tuo vissuto e della tua esperienza nel vino che produci insieme a tuo fratello Gian Mario?

Quello che cerchiamo di trasmettere nel nostro lavoro è la semplicità nella lavorazione del vino che deve essere il più possibile rispettosa della sua naturalità;  un vino che deve identificarsi con il terreno da cui nasce e con l’andamento climatico delle stagioni, e per questo, deve essere ogni anno unico, espressione dell’annata.

  • Terra di Franciacorta, terra vocata alla viticoltura che ho potuto apprezzare durante la mia visita. Me la racconti brevemente?

La Franciacorta è terra bresciana, patria di grandi imprenditori, che hanno saputo scoprire il potenziale tesoro vitivinicolo nascosto in  questa terra ed anziché  appropriarsene,  l’hanno condiviso con tutti i potenziali attori, vecchi e nuovi,  elevandolo così  insieme,  a  prodotto d’eccellenza.  

  • Uno dei problemi in Italia è fare “sistema”.  Non sempre certo, ma per lo più è una cantilena che spesso mi sento ripetere… Qual è la realtà in Franciacorta a questo proposito?

Cinzia, penso che il successo della Franciacorta sia dovuto principalmente al fatto che fino ad oggi i produttori hanno fatto realmente sistema, rinunciando a interessi e posizioni  personali nell’interesse della crescita di tutti coloro che fanno parte di questo territorio.

Cantine Faccoli

Cantine Faccoli

  • Cosa consiglieresti ad un giovane che si vuole avvicinare a questo settore?

Direi che può avere grandi soddisfazioni se si avvicina con immensa voglia di apprendere e con passione per il lavoro, dove la più grande ricompensa non è certo inizialmente  economica,  ma quella di poter far parte della creazione di un prodotto unico tutti gli anni, che per essere tale necessita essenzialmente del suo impegno.

  • In Italia ci sono molti piccoli produttori,  lo sei anche tu.  Nonostante il parere di alcuni esperti, ritengo che piccole e grandi realtà vitivinicole devono coesistere perché entrambe necessarie. Cambia solo l’approccio che ha il consumatore verso l’una o l’altra realtà. Cosa ne pensi?

Dal mio punto di vista  la vocazione di un territorio si riconosce quando sviluppa una  molteplicità di realtà produttive, le  più variegate. Le grandi aziende sono i nostri testimonial che danno grande visibilità ed  identità al  prodotto;  le piccole aziende hanno il ruolo di coinvolgere le persone che hanno bisogno di sviluppare un rapporto più diretto con il produttore e il  prodotto.

  • E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione nell’immediato per aiutare i produttori in modo concreto?

Visto la scarsità di risorse, ciò che chiederei alle istituzioni è di cercare di alleviare il carico burocratico che  appesantisce sempre di più le piccole aziende ed in secondo luogo di difendere a livello internazionale l’unicità dei nostri prodotti…

Con Gian Mario e Claudio Faccoli

Con Gian Mario e Claudio Faccoli

 

 




Un ritorno a Venezia di… gusto!

Venezia, città unica al mondo… C’è chi la ama e c’è chi la odia. Per quanto mi riguarda è stato amore a prima vista, perché Venezia ti riempie gli occhi… Dovunque guardi vedi arte, storia e bellezza. Come dice Friedrich Nietzsche, se dovessi cercare una parola che sostituisce musica, potrei pensare soltanto a Venezia.

I percorsi in questa città magica sono tanti… Percorsi di storia, d’arte, di cultura. In questa mia ultima visita però, ho voluto privilegiare in particolare un percorso… un percorso di gusto!

Detto questo, come dico io… pronti, via!

Dopo la mia consueta passeggiata  a piedi per le calle di Venezia, sono andata a trovare un amico conosciuto a Milano in una cena, Alberto Fol, Executive Chef presso il Ristorante La Cusina dell’Holtel The Westin Europa & Regina. Questo storico hotel affacciato sul Canal Grande, nasce dall’unione di cinque antichi palazzi del diciottesimo e diciannovesimo secolo.

Alberto è nato a Treviso, ma grazie all’albergo dei genitori nelle dolomiti bellunesi, è cresciuto respirando aria di montagna. Tutto è iniziato da li, la passione per la cucina, per la natura, per i produttori che seguono pratiche agricole sostenibili, per i gusti antichi, per la tradizione…

Come per tutti noi, ci sono persone nella nostra memoria che hanno influenzato le nostre scelte. Suo nonno, portandolo da piccolo nell’orto, lo ha avvicinato al vero sapore degli ortaggi appena colti. Io stessa ho ricordi analoghi e indimenticabili, come il sapore dei pomodori appena colti in campagna da mia nonna a Treviso, rossi e carnosi… ricordi indelebili impressi nella memoria che ci riportano al mondo contadino, alla Terra.

Insieme al suo secondo, il timido e introverso Chef Riccardo Porracin,  ho passato una piacevole serata degustando i piatti deliziosi da lui preparati, e conoscendo l’uomo appassionato che pian piano le mie provocazioni scherzose hanno fatto emergere.  Davanti a noi un suggestivo scenario della Basilica di Santa Maria della Salute illuminata dalla luna.

Ma non è finita qui, perché il mio percorso di gusto è continuato il giorno dopo all’Antinoo’s Lounge & Restaurant del Centurion Palace Hotel.  Il suo nome è riconducibile ad una moneta di Antinoo trovata durante i lavori che hanno portato all’apertura dell’hotel affacciato sul Canal Grande. Al mio arrivo mi ha colpito la facciata dallo spiccato stile gotico veneziano, entrando l’accogliente giardino con edera e piante di bambù, e all’ingresso della hall un lampadario di cristallo a forma di gondola! Spettacolare!

Ad accogliermi la gentile Micaela Scapin dell’Ufficio Stampa, e Massimo Livan l’Executive Chef.  Mi ritornavano in mente le parole di Riccardo Porracin il giorno precedente: “Cinzia, Massimo è un gran chiacchierone, alla tua pari direi, se non di più!Bella sfida mi son detta, sfida che ho vinto! 😉 Ma per farmi stare zitta Massimo ha trovato facilmente il modo, il suo eccellente menù degustativo ha fatto si che la mia concentrazione fosse dedicata alla creatività dei suoi piatti.

Come dico spesso, mettersi a tavola e gustare cibo e vino, è un’autentica celebrazione dei prodotti della Terra, guidata da chi cucina grazie all’esperienza e alla sapienza maturata.

 Sono convinto che un grande piatto si possa creare anche utilizzando soltanto due ingredienti. La bravura di uno chef si misura anche nella capacità di osare, sperimentare, ingegnarsi. Massimo Livan

 




Il “rispetto del contadino” di Valter Calvi, vignaiolo in Terra d’Oltrepò

Conobbi Valter Calvi  grazie ai consigli di Mario Maffi. Quando Mario mi raccontò della passione e del rispetto del contadino che Valter e suo figlio Davide mettevano nella conduzione della loro attività, decisi di recarmi da loro per una visita…

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Valter e Davide Calvi da “Il cerchio della terra” di Laura Ferrari, fotografie di Alessandro Branca

Andai per la prima volta una sera di alcuni mesi fa, dopo essermi persa come al solito vagando su e giù per Castana, a Pavia. Quando finalmente riuscii ad arrivare seduta a tavola davanti ad un calice di vino chiacchierai con Valter a lungo… Avevo intuito la sua curiosità, o meglio, la sua voglia di capire e di conoscermi. Inizialmente la interpretai come diffidenza, sentimento che non temevo, perché, quando non si ha nulla da nascondere, non si ha nulla da temere…  Ero li per conoscerlo, e per invitarlo a partecipare ad una serata di degustazione di vini dell’Oltrepò. E così è stato…

Giorni fa ho voluto tornare a trovarlo,  per la persona che è, per l’uomo che stimo, per il suo credo della Terra, per il suo rispetto del contadino…  Viene definito da molti un cane sciolto, un uomo libero e anticonformista, un uomo che non segue la massa

Io lo capisco bene perché sono molto simile, dicono una ribelle…  Io dico solo che siamo persone che seguono coerentemente la propria natura, che non vogliono uniformarsi solo perché il tempo lo richiede. A volte si rischia di rimanere soli, ma se si soccombe, si è comunque soli anche in una folla…

L’Azienda Vitivinicola Calvi è condotta da Davide e dal padre Valter.  Da undici generazioni, fin dalla fine del 1600, continua la tradizione della coltivazione della vite sulle colline di Castana. Nove ettari di vigneti suddivisi in dieci vigne: Montarzolo, Canne, Custieu, Colomba, Pragazzolo, Monteguzzo, Bugena, Frach, Falerna, San Bacchino. La loro viticoltura è basata sul rispetto dell’ambiente e sul benessere della pianta, senza uso di concimi chimici e limitando gli antiparassitari. Adottano ormai da venticinque anni la tecnica dell’inerbimento dei filari, così da evitare l’erosione dei terreni collinari e nel contempo creando un microhabitat ideale per essenze erbacee ed  insetti utili.

Ma ora la parola a Valter Calvi…

  • Valter, vuoi raccontarmi che cosa intendi per  “rispetto del contadino”?

E’ il rispetto verso “Madre Natura” che il vero contadino ha innato. Considerando che siamo parte integrante del sistema: terra, acqua e cielo, non possiamo rapportarci con questi elementi e con tutti gli esseri viventi se non con rispetto.

  • Sei come me un appassionato di storia.  Fai parte del gruppo Primus Colle, mi spieghi chi siete e che cosa vi prefiggete?

Il rispetto di cui sopra è legato indissolubilmente alle conoscenze che i nostri avi ci hanno tramandato, e alle nuove esperienze che noi possiamo fare e che poi tramanderemo.  In un momento storico rivolto solo in avanti, assieme ad altri appassionati, abbiamo voluto creare un’associazione che ricerchi la storia di questo nostro territorio di Prima Collina, e la mantenga prima che si disperda per sempre. Attraverso delle pubblicazioni chiamate  i “Quaderni di Primis Collis” e a camminate per antichi sentieri,  cerchiamo di divulgare la nostra piccola ma non meno importante storia.

  • Sei membro del Club del Buttafuoco storico sia come produttore che come appassionato. Carlo Porta, poeta dialettale milanese, attribuì a questo vino il nome Buttafuoco per il suo corpo e carattere. Raccontami com’è iniziata questa tua avventura?

Anche qui il “rispetto” ha avuto parte preponderante.  Ho sempre pensato che le fatiche, il sudore, e le immense conoscenze dei vecchi vignaioli non potessero  perdersi per inconsistenti esigenze commerciali. L’idea del Club Buttafuoco Storico è nata nel 1989 con l’impianto di una vigna.  Ho poi cercato di coinvolgere altri produttori spiegando che al di la dell’interesse  per raggiungere quella “nobiltà” che il vignaiolo deve avere, bisognava produrre un vino strettamente legato al territorio e agli antichi saperi.  Quasi per gioco abbiamo cominciato a produrre Buttafuoco secondo le esperienze dei nostri avi, e in quelle vigne tramandateci come altamente vocate. Il 7 febbraio del 1996 è nato il  “Club del Buttafuoco Storico”

  • Sei anche un ricercatore. Mi dicevi delle tue sperimentazioni con la varietà chiamata Vespolina o Ughetta…

Cinzia, ricercatore è una parola grossa… sempre da vignaiolo ho fatto nuove prove. Se non fosse così non saremmo arrivati a questa ricchezza di diversità nel mondo vitivinicolo…

L’Ughetta di Canneto (Vespolina è un nome attribuito a posteriore che non mi piace) e la Moradella, erano tra le uve più coltivate prima dell’avvento fillosserico in queste mie terre. Ora che siamo riusciti a recuperarle è normale la curiosità di vedere il loro carattere in purezza.

  • Nelle mie discussioni “vinose” difendo a spada tratta i piccoli produttori per le tradizioni e le tipicità che coraggiosamente portano avanti visto il periodo difficile. Mi sento spesso rispondere che predico poesia,  ma non qualità. Questa affermazione viene motivata dalle difficoltà al sostentamento della tecnologia in cantina viste le piccole dimensioni di queste realtà. Valter, giro a te la questione…

L’azienda familiare contadina è un patrimonio inestimabile di cui l’Italia è ancora ricca e che tutto il mondo ci invidia. Può produrre dei prodotti inimitabili dall’industria, può mantenere tecniche di produzione tradizionali e veramente “naturali”, ma soprattutto è fondamentale per la salvaguardia del territorio, sia quello materiale che quello immateriale.

In un contesto di mercato mondiale una ricchezza del genere può essere strategica per veicolare l’immagine dei nostri prodotti. Utile perciò anche all’industria agroalimentare, che naturalmente ha anch’essa la propria identità.

Il rispetto del contadino fa si che costui entri in punta di piedi nella natura,

con umiltà, e devozione…

Valter Calvi

 




Siete sicuri di saper respirare?

Il respiro è l’anima della vita. Tutto respira. La Terra respira.

E ora vi chiedo: “Siete sicuri di saper respirare?”

Respirare è molto di più di un atto meccanico. Respirare è saper godere appieno delle emozioni della vita.  La verità è che la frenesia della vita quotidiana ormai ci ha sopraffatto trascinandoci come in un vortice, senza respiro, nell’indifferenza, nell’ansietà…

Ora fermatevi, e guardate quest’immagine. E’ la Terra, siamo noi, noi li nell’universo, nell’immenso del cielo… e ora respirate, e respirate, e respirate… Io l’ho fatto sul serio, con una tecnica che prende il nome di rebirthing. Volevo approfondire questo argomento da tempo, ma come per ogni cosa che racconto, dovevo viverla, è così è stato. Posso solo dirvi che, respirando guidata da amici esperti, ho avuto come la sensazione di vagare nello spazio, una forte emozione che non si può spiegare a parole, si può solo vivere.

Rebirthing (rinascita): tecnica di respirazione profonda guidata da un rebirther (professionista che ha frequentato un corso di rebirthing).  Migliora l’ossigenazione delle cellule del corpo con un rallentamento delle tensioni muscolari facendo emergere pensieri ed emozioni represse.

Fermiamoci un attimo e prendiamo fiato.

Il paradosso del nostro tempo è che… ridiamo  pochissimo, soffriamo d’insonnia, e ci svegliamo stanchi. Questi sono tempi di pasti veloci e di  digestione lenta. George Carlin

Il respiro è vita…

 di Manuela Preatoni

Il respiro è vita, il respiro è un amico fedele che ci accompagna per tutta la vita, veniamo al mondo con il primo respiro e ce ne andiamo con l’ultimo.

Nella nostra vita possiamo dire di tutto, eppure, credetemi se vi dico che la maggior parte di noi non sa respirare.

Noi immettiamo nel nostro corpo il minimo indispensabile per sopravvivere, ma c’è molto di più… L’ossigeno è energia vitale, energia che si muove e che arriva a stimolare ogni singola parte di noi, rigenerando  cuore, anima, e corpo.

La nostra vita è fatta di emozioni, sogni, gioie, ma ahimè anche di dolori, sofferenze e sconfitte. Ogni qual volta viviamo una di queste esperienze, fateci caso, tratteniamo il fiato, resistiamo, non le manifestiamo, perché non è bene né piangere, né gioire… ed ecco che iniziamo a respirare male.

E’ così che il nostro modo naturale di respirare viene modificato, dalle nostre emozioni represse, dai ritmi di una vita affannata, dallo stress e dalle frustrazioni. Così il nostro respiro perde vitalità, perde la sua proprietà rigeneratrice, non è più spontaneo e liberatorio, e rimane intrappolato in corazze create da muscoli irrigiditi.

Senza rendercene conto perdiamo  i suoi effetti benefici.

Il respiro…

  • Rafforza il sistema immunitario.
  • Riduce la fatica e lo stress diminuendo il cortisolo ematico e il lattato (ormoni dello stress). L’effetto che ne scaturisce è quello di liberare le energie latenti accrescendo lo stato di vitalità mentale.
  • E’ disintossicante: il 70% delle tossine del corpo vengono rilasciate nell’espirazione riducendo acidità nel sangue e favorendo in questo modo la funzionalità dei reni.
  • Aumenta la produzione di endorfine, l’ormone della felicità, creando  rilassamento psicofisico, con uno stato di benessere generale e senso di pienezza e di soddisfazione.
  • Interviene nella regolazione del sistema endocrino.
  • Libera dalle tensioni  emotive.

Questi sono solo alcuni dei vantaggi di una buona e sana respirazione.

Avete mai osservato come respira un bimbo fino a 3-4 anni? Il suo respiro è libero, completo, abbiamo un’espansione sia della gabbia toracica sia dell’addome, l’energia attraversa tutto il corpo senza trovare barriere. Provate ad osservare un adulto, difficilmente avrà una respirazione completa, noterete che privilegerà, inconsapevolmente una parte del tronco, e soprattutto non sarà un respiro armonioso, ma spezzato, corto, leggero, a volte quasi impercettibile.

  • Eravamo capaci di respirare, ma ora è giunto il momento di re-imparare… Mettiamoci all’opera con un breve esercizio:

Riservatevi  10 minuti al giorno. Mettetevi comodi, seduti o sdraiati, in un luogo possibilmente tranquillo. Socchiudete gli occhi e iniziate a respirare normalmente prestando attenzione al vostro respiro, osservando dove la vostra energia non arriva, cercando di avvertite le tensioni nel corpo, i dolori, le sensazioni, le emozioni…

Poi osate un po’ aumentando leggermente l’inspirazione, senza esagerare. Anche se vi sembrerà che non ci sia più posto vi stupirete di quanta altra aria possiamo introdurre. Cercate di rendere il vostro respiro il più completo e uniforme possibile, senza resistenze, e senza forzature. Osservate ancora il vostro corpo, le vostre sensazioni, i piccoli cambiamenti che avvengono… Rilassatevi e iniziate a familiarizzare con il vostro migliore amico.

Alla fine avvertirete uno stato di benessere, leggerezza, un senso di liberazione da tensioni e stress… E pensate che avete respirato solo per  10 minuti.

Ci sono tecniche (Rebirthing, Breathwork…)  che propongono sessioni di respiro molto più lunghe e intense, ma che richiedono una preparazione, e, all’inizio, la presenza di un supervisore. Ma per il momento fermiamoci qui, iniziamo ad avvicinarci ad una respirazione sana e consapevole con questo semplice esercizio, per capire se questo fantastico mondo ci può affascinare…

Buona respirata a tutti!

Manuela Preatoni  
Fisiopterapista   E-mail: manu.marco@alice.it
Giuliano Di Betta 
Rebirther 



Vercesi del Castellazzo… un tuffo diVino nella storia dell’Oltrepò Pavese!

Sono un’appassionata di storia, lo so, l’ho già detto altre volte…  Bè, sono anche appassionata di dimore storiche, e qui direte:  “Hai già detto pure quello!”  E  vi ho detto che adoro le spade? Urca, ora me la sto proprio cercando, visto che ho detto più volte anche questo! Bene, appurato che sono ripetitiva quando mi piace qualcosa (è la verità!), vi dico solo che, sapendo che nell’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo avrei trovato “storia, una dimora gentilizia dell’800, e pure spade antiche”, chi mi fermava dall’andarci!

L’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo è condotta dall’amico Gian Maria Vercesi insieme al fratello Marco a Montù Beccaria (PV). Circa 20 ettari vitati a Croatina, Barbera, Pinot Nero, Ughetta e Cabernet Sauvignon. La loro storia  ha origini lontane. Gian Maria mi ha raccontato che la sua famiglia è proprietaria di questi terreni  fin dal 1600. Fu però il padre nel 1961 a dare impulso all’azienda vinificando le uve fino allora solo coltivate.

Conobbi Gian Maria in occasione di una serata di degustazione che avevo organizzato circa un anno fa in Oltrepò OLYMPUS DIGITAL CAMERAPavese, terra bellissima, che stavo incominciando a scoprire. Perché mai mi chiederete organizzare una serata in un territorio che non conoscevo? Bè, durante i miei “tour Vinosi”, come li chiamo io, sentivo spesso maltrattarla, o meglio, sentivo spesso una certa criticità delle persone del settore verso i loro vini, e soprattutto verso la mancanza di coesione dei produttori nel promuoversi.  In un certo senso non si può dire che le cose non stiano proprio così, ma forse qualcosa sta cambiando. Come dico spesso, andare avanti da soli non porta a nulla. Fare “sistema”, questa è la chiave giusta per aprire la porta che conduce alla reale promozione di un territorio.

Organizzare quella serata mi costò non poca energia, soprattutto per le diffidenze che mi trovai ad affrontare…  Per settimane andai su e giù da Milano a Pavia  per parlare con i produttori, per far capire loro che il mio intento era sincero. Guidata dal caro Mario Maffi  e supportata  dall’Azienda Agricola dei Doria di Montalto che ci hanno accolto, la serata finalmente si svolse.   Ma ci pensate, “una cantina dell’Oltrepò, i Doria di Montalto, che promuoveva altre cantine del territorio”. Quando raccontavo di questo mio progetto molti mi davano dell’illusa sognatrice! Mi dicevano: “Figurati se un produttore accoglie a casa sua altri produttori in un momento così difficile!”   Bene, io ci sono riuscita, forse perché ho la testa dura dei mantovani, o forse più semplicemente perché chi la dura la vince! So solo che in Terra d’Oltrepò, questa cosa è successa…

E ora appena posso,  torno in queste colline a chiacchierare con loro, con gli amici vignaioli conosciuti così…

  • Gian Maria, mi racconti cosa trasmetti del “tuo credo”,  nel tuo vino ?

Cerco di trasmettere la forza del terroir evitando interventi pesanti in cantina, sull’uva, sui mosti, e sui vini che ne derivano. Cerco di toccarli il meno possibile proprio per mantenere tutto il loro patrimonio derivante dalla terra su cui vivono.

  • Non è un momento facile per nessun settore produttivo Italiano. Da esperto del territorio quale sei, mi puoi dire come si sta vivendo la viticoltura in Oltrepò Pavese? Ma soprattutto, quali sono le maggiori difficoltà attuali di voi viticoltori?

Le difficoltà sono quelle di sempre, purtroppo. Scarso rapporto tra colleghi ma, soprattutto, la quantità di vino di qualità che scompare in rapporto all’altro vino, quello taroccato, mistificato, violentato per farne un prodotto da prezzo che invade gli scaffali della grande distribuzione e che comunica al mercato quel tipo di qualità. Da qui ha origine il detto che il vino dell’Oltrepò Pavese è mediocre.  Altro problema  è che “non c’è mai tempo” e molto, tocca delegarlo agli altri…

  • Come produttore hai consigli  o suggerimenti da dare ai giornalisti e ai blogger  sulla comunicazione del mondo del vino?

Solo un consiglio: non fermarsi alle apparenze (dell’Oltrepò), approfondire senza farsi influenzare dalle mode. Ricercare, scoprire…

  • Per far capire a chi legge come ti ho conosciuto, ho raccontando della serata di degustazione che organizzai ormai un anno fa. Ho menzionato alcune parole come “diffidenza” o  come “fare sistema”.   La volontà di un cambiamento è forte in molti. Ne è testimonianza la libera Associazione di Produttori “InOtre” di cui sei membro e promotore. Me ne vuoi parlare?

InOLTRE è nata nel 2002, partendo dall’idea di partecipare al Vinitaly con un folto gruppo che non si appoggiasse alle solite collettive istituzionali.

Siamo una decina di produttori con un  duplice fine: “Primo, partecipare a fiere ed eventi per far conoscere un cospicuo numero di etichette di qualità, e fare economie di scala. Secondo, quello di degustarci, e degustare gli altri.

Abbiamo avuto alti e bassi legati spesso al tempo disponibile. Ora, però, stiamo ripartendo con eventi e degustazioni.  Ne abbiamo una in cantiere di una grande annata passata  interpretata da noi dieci, ed un’altra un po’ più complicata, che è ancora in embrione.

A Pavia i nostri vini sono in vendita in esclusiva nel Borgo, in una vineria che si chiama InOLTRE, e nel bar dell’area di servizio VEGA di Stradella. Inoltre forniamo il vino dell’Oltrepò, anche ad una bottega gastronomica  vetrina delle piccole produzioni del territorio, il GOODURIA, nella centralissima piazza Duomo di Voghera.  Per intenderci, InOLTRE 80%, resto d’Italia 20%.

Noi crediamo molto nella divulgazione dei nostri marchi sul territorio provinciale, e questa  è cosa molto più realizzabile quando si lavora in squadra…

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