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Paolo, Marco e Francesco, appassionati di terra e territorio: “Contadini per Passione”

Era il 30 Giugno 2011 quando mi arrivò una mail…

Salve Cinzia,  lieto di fare la tua conoscenza,
mi chiamo Paolo, ho 29 anni, e insieme ad alcuni ragazzi appassionati di terra e territorio, nonché giovani contadini, abbiamo dato vita al progetto “Contadini per Passione”, sintesi che racchiude la voglia e la passione di comunicare le eccellenze del nostro territorio. Parte integrante del progetto, sono Marco, 28 anni, e Francesco, 26, il nostro contadino “informatico”. Ci troviamo a Ribera, piccolo e rinomato centro agricolo della provincia di Agrigento. Qui produciamo l’Arancia di Ribera DOP. Si tratta di un’arancia a polpa bionda senza semi, estremamente saporita e dolce grazie all’elevato grado zuccherino che riesce a raggiungere in fase di maturazione, varietà “Washington Navel”. L’aranceto invece, è immerso nella splendida valle del Verdura, precisamente nel basso Verdura. Una vera e propria oasi arancicola ad una manciata di km dal mare in contrada di “Cannagrande”. Una tra le zone di produzione più rinomate e più antiche, in cui è possibile far risalire gli aranceti più vecchi di Ribera.

Ti auguro una buona serata, Paolo

Dopo alcuni contatti mi accordai con Francesco, dai più chiamato Kiko, per una chiacchierata su Skipe.  La tecnologia è di grande aiuto, e accorcia le distanze…

Mi raccontò come iniziò l’avventura nel 2003, quando Paolo e suo fratello Marco ereditando dai nonni un aranceto, decisero di continuare in prima persona a condurlo. Lui, Francesco, chiamato il contadino informatico, si aggiunse in seguito. Parlammo della Sicilia, delle loro arance, dei loro progetti…

Quando gli dissi di scrivere le problematiche incontrate nel loro percorso per dare un esempio pratico ad altri giovani, mi rispose così:  “Cinzia, noi più che parlare dei problemi del settore agricolo, vorremmo parlare delle soluzioni che secondo noi potrebbero essere più utili”.

Ebbene, loro lo fanno.  Scrivono e raccontano la Terra di Sicilia nel loro aranceto “virtuale”: contadiniperpassione.it

  • Ciao ragazzi! Per un soffio non ci siamo visti al Salone del Gusto a Torino. Paolo mi aveva telefonato, ma purtroppo il mio arrivo è coinciso con la vostra partenza. Dunque, siete stati dei relatori… ormai siete famosi, e chi vi ferma più! 😉 Mi raccontate com’ è andata?

E’ andata benissimo Cinzia, davvero un’altra esperienza che arricchisce la nostra storia. Al Salone del Gusto abbiamo semplicemente raccontato la storia del nostro percorso, solo che stavolta l’attenzione maggiore era rivolta al nostro uso delle nuove tecnologie, certamente un’innovazione nel settore delle aziende agricole.

Abbiamo potuto constatare come l’ingresso dei giovani in agricoltura può davvero cambiare questo settore, e cambiarlo in meglio. Ma non si tratta in verità di un merito solo dei giovani. E’ un problema generale di idee, di idee nuove, di voglia di scommettere su questo settore affiancandolo a competenze solitamente tenute distanti da questo mondo. Noi lo abbiamo fatto e probabilmente abbiamo pure convinto al Salone del Gusto, che la nostra è la direzione migliore per i giovani, per gli imprenditori piccoli, e per quelli che vogliono migliorarsi costantemente ricercando la qualità in fatto di produzione e di comunicazione. Cerchiamo di mantenere un contatto diretto con chiunque si avvicini alla nostra storia e al nostro progetto, e ci poniamo in termini di trasparenza. I nostri toni non sono aziendalistici, piuttosto sono informali. Gli slogan non ci piacciono, ci piacciono i dialoghi puri e semplici. I social media e il blog ci permettono tutto questo.

  • Siete un esempio per molti giovani. L’amore e il rispetto per la terra permette di fare una buona agricoltura. Far conoscere le eccellenze del territorio utilizzando la comunicazione web, il nuovo modo di comunicare. Come vi dicevo qualche giorno fa, scrivere del mio credo della Terra, e di Italiani come voi, mi rende felice ed orgogliosa. Ma ora ditemi, a che punto siete con il vostro progetto?

Il progetto continua, il progetto anzi subisce continue spinte in avanti grazie all’affetto dei nostri amici virtuali che nell’ultimo anno sono stati trasformati, in gran parte, in amici reali. Questo senza fare distinzione fra partner, clienti e fornitori. Abbiamo l’idea di essere tutti una grande famiglia,  e con Slow Food tocchiamo con mano questa sensazione.

Contadini per Passione non si ferma,  e grazie alla saggia guida di Paolo non rischia di sedersi sugli allori. Questi attestati di stima ci fanno piacere perché rendono onore al nostro lavoro e a tutto il settore agricolo. In noi provocano la giusta carica per perseguire i nostri obiettivi che rimangono identici: “Permettere all’azienda di autosostenersi, comunicare le nostre idee, la nostra voglia di territorio e di relazioni importanti con chi sceglie di darci fiducia, continuare a produrre secondo i crismi della sostenibilità, della ecocompatibilità e della genuinità”.

Siamo al lavoro su un restyling del sito per offrire una migliore esperienza a quanti decidono di visitare il nostro “aranceto virtuale”,  mantenendo però la costante presenza online per dialogare con i nostri preziosi amici.

     I Contadini per Passione… non si fermano più!

Bedda Ribera, bedda a tutti l’uri, farini un paradisu ognunu spera, o terra d’oru, o terra di l’amuri, sì bedda sì, sì bedda:  O mia Ribera… Giuseppe Nicola Ciliberto




La Barbera, un vino di carattere al femminile…

Generosa Barbera, bevendola ci pare d’esser soli in mare sfidanti una bufera… Giosuè Carducci

La Barbera, un vino al femminile impetuoso elegante e di personalità. Giosuè Carducci con questi versi ne fa intendere chiaramente il carattere.

Un vino del Piemonte tra i miei preferiti, citato per la prima volta nella storia nel 1249 in un documento depositato nell’archivio capitolare di Casale Monferrato. Si diffuse dapprima nel territorio Astigiano diffondendosi poi nel Monferrato e nel Tortonese.

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L’occasione di celebrarlo mi è giunta con piacere con Barbera Revolution”, la degustazione verticale della Barbera d’Asti Coppo di Canelli svoltasi mercoledì 23 Ottobre scorso  al Chick’nQuick – Sadler di  Milano.

L’esperta guida del sommelier Luca Gardini ci ha condotto, durante la serata, all’assaggio e alla storia dei vini. I piatti di Claudio Sadler  un piacevole incontro di sapori, da lui definti “tradizionalmente all’avanguardia”.

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Claudio Sadler

La Barbera 1947, la Barbera d’Asti Pomorosso annate 2010, 2004, 1996, 1989 e infine Moscato d’Asti Moncalvina 2011 sono i vini Coppo degustati.

Un’azienda sulle colline di Canelli, tramandata di generazione in generazione che compie ben centoventi anni. Nuove leve che si affacciano, oltre che ad un mercato diventato globale, ad un clima in mutamento che modificherà le scelte e le produzioni.

Come dice Luca Gardini: “Ogni prodotto naturale, anche la Barbera, ha una sua evoluzione.”

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Luca Gardini

Durante la serata ho avuto il piacere di chiacchierare con Gianni Coppo. Come dico spesso le persone sono importanti: sono la trasposizione della personalità e del carattere di ciò che producono.

Mi ha raccontato e gli ho raccontato, salutandolo una promessa: “Arrivederci a Canelli.”

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Gianni Coppo

Barbera significa tutto, per noi 120 anni di storia dedicati a questo vino, per il Piemonte rappresenta la sua anima più nascosta, più popolare, più magica.  Fam. Coppo – Canelli

                                                                                

 




Due chiacchiere con Paolo Cuor di Leone, o… di formaggio?

 

Oggi vi voglio presentare Paolo Leone, il mio Maestro Assaggiatore di formaggi!

Laureato in Scienze della Produzione Animale e Ricercatore ed esperto divulgatore della cultura dell’alimentazione, conduce percorsi sensoriali di conoscenza per diffondere la cultura dei formaggi. Vere esperienze sensoriali che ci permettono un consumo consapevole di questo prodotto caseario, apprendendone la storia e le caratteristiche.

Conobbi Paolo tramite il mio gruppo “Le Vigne-tte”. Un gruppo dedicato a chi ama il cibo e il vino, ma soprattutto a chi ama la terra e le persone che la rispettano e la lavorano. Commenta che commenta una sera decidemmo di organizzare un raduno per incontrarci tutti di persona!  Era momentaneamente senza auto, e quindi dopo esserci accordati, lo andai a prendere a Milano. Durante il percorso oltre a raccontarci delle nostre vite, viaggiammo accompagnati dal sottofondo musicale che aveva portato con sé.  Musica di gran classe di cui è appassionato. Ve ne do un assaggio…

Tu ne te souviendras pas
De mon visage, de mon nom.
Les marionnettes d’ici-bas
Font trois petits tours et puis s’en vont…

“Tu ne te souviendras pas” – Barbara  1962

Avete sentito che meraviglia… vera poesia per le orecchie e per l’anima!

Ma ora stop alla musica, è tempo di farvi conoscere  Paolo Leone, o meglio Paolino, come lo chiamo io! 😉

  • Paolo, ti ricordi quella mattina lungo la strada, ti chiesi come fosse nata questa tua passione per il mondo caseario. Torniamo indietro nel tempo,  raccontami…

La passione per l’alimento formaggio è ben lontana, risale all’infanzia quando io e mia sorella avevamo una ‘tata’,  Maria (Mariute come era chiamata dai suoi), originaria della bassa friulana; quando tornava dalle ferie ci portava sempre un bel pezzo di Latteria, che, anche se ben incartato, emanava un tal profumo di latte, burro e… formaggio da non resistere!  Me lo ricordo ancora adesso!

Anche la passione per le storie dei formaggi nasce da lì… E’ aumentata poi sempre più quando per studio e lavoro ho iniziato a frequentare allevatori e casari. Al di là di quello che potevo (e posso) vedere io, c’erano fatti e storie che solo loro sapevano, ma che volentieri condividevano, e così pian piano mi sono appassionato e ho deciso di fare da portavoce di una piccola parte di quel mondo.

  • Posologia e modalità d’uso del…  formaggio! 

Il formaggio è un alimento quasi completo, al punto che basterebbe aggiungere soltanto un piatto di verdure, magari a foglia verde, per soddisfare le esigenze in nutrienti di un pasto. Ma su questi aspetti lascio la parola agli esperti del settore… (sempre che non pensino che il Quartirolo sia un formaggio magro!).

Quanto al ‘come’,  il primo concetto che si deve tenere a mente quando si vuole mangiare formaggio, (uno o più) con soddisfazione sensoriale, è che bisogna estrarlo dal frigorifero in anticipo rispetto al momento della degustazione, il tempo necessario affinché raggiunga una temperatura adeguata, ovvero almeno 16° C- 18°C.  Poi va preparato, pulito se necessario, tagliato per bene (poi ti spiego…),  messo nella giusta sequenza di sapore.  Insomma, con il cacio non si scherza!

  •  “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.  Cosa pensi degli abbinamenti con i formaggi.   Meglio gustati in purezza o… abbinati a… ?

Ecco in questo sono un pochino integralista…  Siccome suppongo che il formaggio sia buono, perché abbinarlo a qualcosa? Casomai posso utilizzare le pere o altra frutta o altri prodotti, come ‘separatori’ di sapori.

Nel caso (toh… un caso, e che caso!)  volessi assaggiare dei formaggi saporiti, per esempio dei caprini, e se la stagione me lo consente, trovo che i lamponi freschi e maturi, siano un ottimo cibo da alternare. Allo stesso modo sono eccellenti fette sottili di mela verde, che possono pulire la bocca anche dai sapori di formaggi vaccini grassi e stagionati.  Comunque si possono trovare una quantità quasi infinita di abbinamenti, basta assaggiare e sperimentare.  Però… evitate di propormi l’abbinamento con  “composta di cipolle rosse di tropea caramellate all’aceto balsamico, zenzero e…”  Capito !?

  • Recentemente ho scoperto la Fontina DOP visitando una realtà Valdostana che la produce in Alpeggio. In queste vallate ad un’altezza media di 2000 metri gli animali vengono alimentati in pascoli ricchi di una particolare vegetazione che conferisce al latte caratteristiche ben più peculiari dell’allevamento a fondo valle. Nonostante questo, non si può distinguere dall’etichetta una fontina d’alpeggio e una di fondo valle, visto che la marchiatura è la stessa, e non è permesso dal disciplinare aggiungere nulla oltre la specifica della DOP. Cosa ne pensi, e come valuti per la conoscenza del consumatore la parte descrittiva delle etichette?

Questo è l’argomento di una battaglia che combatto da tempo. Proprio in questi giorni comunicavo a degli studenti questi concetti. Bisogna che i consumatori capiscano dove sta la qualità, e le etichette, lo permetterebbero. Anche l’uso di marchi sulle forme (in Francia succede già da tempo) possono indicare la provenienza di un formaggio. Se però i produttori si mettessero d’accordo e facessero azione comune, forse… potrebbero ottenere qualcosa. So che non è facile.  Ma…  la battaglia continua!

  • “Formaggi e birre artigianali”.  Una moda o… ?  

Tutto è moda, nulla è moda…

La birra, anzi le birre (cit.) presentano una varietà di profumi, aromi, sapori e gradazioni alcoliche, che si possono perfettamente abbinare con qualsiasi alimento; in particolare l’abbinamento con i formaggi, che per varietà e complessità non sono da meno delle birre,  rappresenta una delle ‘sfide’ tra le più appassionanti. Ogni qualvolta mi si presenta l’occasione di organizzare una degustazione di ‘birre e formaggi’, soprattutto con Schigi o Kuaska, due guru italiani delle birre, non posso esimermi ! Anche se ne esco sempre abbastanza brillo…

  • Ormai mi conosci…  Dimmi che formaggio mi proporresti ?

Il Blu di bufala, blu perché ha le muffe blu-verdi come quelle che si usano per fare il Gorgonzola. Lo ho associato a te perché è saporito e persistente! Se mangiato durante il pasto direi che è perfetto abbinarci un Buttafuoco! Se invece si mangia alla fine del pasto… accompagniamolo con un passito da uve brachetto (così gli esperti di vino hanno un motivo per prendersela con me!)

  • Mi hai fatto venire voglia di tagliarmene un pezzetto!  Ma aspetta un po’, leggevo che insegni a “tagliare”  il formaggio… Questa è bella,  mi vuoi spiegare?

Partendo dall’assunto che ognuno deve mangiare tutte le parti rappresentative di un formaggio, questo fatto si verifica solo se lo tagliamo correttamente. Poiché la maturazione delle forme avviene per quasi tutti i formaggi (l’eccezione è costituita dagli erborinati),  dalla periferia (la crosta) al centro della forma, sarebbe un’esperienza sensoriale incompleta “il mangiare solo la parte centrale, o solo quella più esterna” di un formaggio.  Perché se non lo conosco, e non lo so tagliare, posso decidere che le croste non sono importanti.

Ti racconto un aneddoto per rendere meglio il concetto; ho i brividi al ricordo avendolo letto persino su un blog Italiano di cucina molto seguito.  Ci sono quelli che tolgono la crosta dei formaggi a crosta fiorita,  per renderli più presentabili (sic!). Ho precisato ‘Italiano’ , perché prova ad immaginare di scrivere una frase simile su un blog… francese ? Come minimo ti aspettano fuori dalla redazione e ti prendono a torte di camembert in faccia!

Per concludere, se si tagliano bene si possono presentare bene e conservare meglio. Ti aspetto per una dimostrazione pratica!

  • In questi anni di esperienza hai avuto modo di assaggiare moltissimi formaggi. Ardua risposta, ma coraggio!  Dimmi se qualcuno ti ha colpito in particolare?

Me ne hanno tirati molti, ma non mi ha mai colpito nessuno…  Ahahahaha A parte gli scherzi, senza ombra di dubbio, quello che mi ha colpito di più è stato il Tchoukou, il formaggio dei Tuareg. Si tratta di un formaggio non salato e ‘secco’.   Questa tipologia è pressoché unica rispetto alle nostre abituali, sia per dimensioni che per aspetto, ricorda una sfoglia.

Curiosamente mi trovo a constatare che, anche uno degli altri formaggi che mi ha colpito, non è salato. Si tratta, come forse avrai intuito, del Pannerone (lodigiano), famoso soprattutto per il suo sapore dolce-amaro e per le note di burro che si percepiscono al naso prima, e in bocca poi.

Poi… potrei dirtene uno per ogni lettera dell’alfabeto,  ma mi fermerò alla lettera B. B come Bitto: “Non potrò mai dimenticare quel pezzo di formaggio d’alpeggio che al naso sapeva di frutta esotica, di ananas in particolare! Stupefacente!”

 




Che ne dite di un orto sul tetto?

Direte: “Un’orto sul tetto? Cinzia, ma che dici?!”  Dico che  avete capito bene! Un orto sul tetto per la riduzione dell’inquinamento dell’aria, per favorire l’isolamento termico dell’edificio, per regolare i flussi delle acque piovane, e soprattutto, per coltivare frutta e verdura! 😉

In molti paesi come la Norvegia, il Giappone, gli USA è tendenza ormai diffusa.  Bene, io ne ho visto uno proprio qualche giorno fa, a I Giardinè, una bella realtà biologica a Missaglia (LC),  nel Parco di Montevecchia.  Albertina Ornaghi e il marito Giancarlo sono un esempio concreto di chi la Terra la ama e soprattutto  la rispetta, coltivando frutta e verdura in modo naturale e senza concimi chimici.

Da loro ho scoperto frutti dimenticati come l’Azzeruolo, erbe aromatiche come la Salvia Ananas, il Sedano selvatico, l’Erba di San Pietro, la Perilla frutescens… senza dimenticare erbe spontanee come la Portulaca, il Silene e la Pimpinella. Vi ricordate il detto: “l’insalata non è buona e non è bella se non c’è la pimpinella!” 😉

Terra, dal latino Terra.  Il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole e il più grande dei pianeti terrestri del sistema solare. Il pianeta su cui vivono tutte le specie viventi conosciute. L’unico corpo planetario del sistema solare adatto a sostenere la vita. Il futuro del pianeta è legato a quello del Sole, ma dipende anche da noi.

I nostri errori, le nostre esigenze insaziabili l’hanno intossicata.  Ognuno di noi nel suo piccolo può fare qualcosa per curarla, esattamente come fanno Albertina e Giancarlo ai Giardinè.

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Passo a loro la parola…

  • I Giardinè, un’avventura nata un anno fa. Mi raccontate il vostro progetto?

La nostra avventura nata dalla passione per le erbe selvatiche continua ormai da 27 anni. Nel nostro tempo libero vaghiamo per prati e boschi; dalla Brianza al Trentino alla Valle d’Aosta… Cerchiamo e studiamo fiori, erbe selvatiche e officinali.
Abbiamo cominciato a sognare un pezzo di paradiso in terra in cui coltivare dagli ortaggi ai fiori, dalle erbe officinali ai frutti…

Abbiamo sempre bandito dalle nostre menti i prodotti chimici. Con l’aiuto di documentazioni e libri vari, prepariamo i nostri antiparassitari con le piante da noi coltivate, e con la raccolta spontanea lavorando il suolo con attrezzi non invasivi.  Dopo alcuni errori di percorso abbiamo notato che in natura molti problemi si risolvono da soli, senza l’intervento dell’uomo. Abbiamo così dato una maggiore attenzione all’osservazione dell’ambiente e dei tempi necessari per i cicli della vita naturale. Così è nata la VERICOLTURA: “Vera,  perché nel Naturale c’è la verità”.

  • Una “terra pulita” ritengo sia elemento fondamentale per partire con ogni coltivazione e per ottenere un prodotto sano. Com’è possibile ripristinare terreni che non hanno più questa caratteristica per l’adozione impropria di concimi chimici?

La terra perde la sua naturale fertilità principalmente per 2 motivi:

–  Primo, per una lavorazione non rispettosa degli strati sottostanti la superfice; ad esempio rivoltando e stravolgendo la vita dei micro organismi. La lavorazione meccanica del terreno è indispensabile con attrezzi a basso impatto, giungendo a un compromesso e mantenendo con la terra un rapporto di equilibrio e buon senso, e soprattutto dimenticando il radicato principio del costante e progressivo guadagno.

–  In secondo luogo i prodotti anche naturali (letame non maturo) intossicano la terra avvelenando la vita sottostante, interrompono la catena rigenerativa indebolendo la naturale resistenza delle piante agli agenti patogeni.          

  • Mi spiegate il vostro concetto di naturalità?

La naturalità per ogni essere vivente è l’assenza nel proprio habitat, di alterazioni artificiali prodotte dall’uomo (la terra è un contenitore di esseri viventi). L’uomo è un anello della catena della vita.  Ogni fiore ha il suo colore, ogni erba ha il suo profumo e la sua segreta virtù.

  • Come avete vissuto la siccità di quest’anno?

La siccità di quest’anno la si può interpretare in vari modi. Evento straordinario o cambiamento graduale del clima futuro?  In tutti i casi circa due mesi e mezzo di assenza totale di precipitazioni ci ha dato la possibilità di osservare le reazioni delle piante orticole e degli insetti. Con modalità diverse i vari tipi di ortaggi a conduzione naturale (senza apporto di acqua), hanno gradualmente diminuito la produzione sino al totale blocco, e l’apparente loro disseccamento. Con le prime piogge in breve tempo, tutto è ritornato alla vita con ottimi prodotti.

  • Collaborate con Terra Madre…  mi raccontate la vostra esperienza?

Ho scoperto TERRA MADRE a Torino nella passata edizione. Ascoltando Roberto Burdese,  Andrea Segrè, Shiva Vandana e  le esperienze di vita quotidiana di contadini di varie parti del mondo, ho capito che i principi di Terra Madre erano lo specchio del nostro pensiero e modus operandi.  Difesa della biodiversità (da anni propaghiamo molti semi e a volte recuperiamo specie in estinzione) lotta allo spreco, cibo per la salute… Non mi ritengo all’altezza di collaborare con gli esperti di Terra Madre anni luce distanti da me, ma nel mio piccolo vorrei portare le mie esperienze positive e negative, a quanti sognano per il futuro un mondo PULITO e GIUSTO.

  • Praticate l’apicoltura.  Ho letto recentemente alcuni attacchi in cui si accusano gli apicoltori di sfruttare le api. Cosa ne pensate?

L’Apicoltura a mio avviso, non è differente dal problema della terra. L’ape produce il miele per la sua sopravvivenza, e noi da questo prodotto ricaviamo vantaggi e benefici.
La loro presenza stabile nel territorio anche nei momenti di scarsa produzione, è un fattore indispensabile per il corretto equilibrio naturale .
Le api sono nostre alleate per la sopravvivenza, e non vanno considerate solo un mezzo da reddito.

  • Il vostro “tetto verde” è un esempio che mi auguro si possa moltiplicare per i benefici che apporta all’ambiente. Quali sono i consigli che potete dare alle persone che vogliono intraprendere questa scelta?

Alla realizzazione del tetto verde siamo arrivati con molte difficoltà.  Seppur diffuso da molto tempo, e oggi anche incentivato in alcuni stati del nord Europa per i suoi vantaggi, qui da noi incontra molto disinteresse. Il nostro primo obiettivo era ambientale perché non sopportavamo l’idea di deturpare il paesaggio agreste con la visione di un tetto.  Pensando poi alla velocita dell’acqua con i temporali su un tetto convenzionale, e il successivo scorrimento violento, ci si è posti l’obiettivo di contenere seppur in minima parte un eventuale danno ambientale. Senza tralasciare gli altri vantaggi, come ad esempio i benefici climatici all’abitazione.

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Un consiglio: non vi demoralizzate se all’idea di migliorare l’ambiente in cui vivete troverete persone scettiche. Sicuramente troverete chi vi approva; l’importante è affidare l’esecuzione a persone competenti sia per la preparazione del letto, sia per la tipologia del terriccio di base.

La Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra.

Capriolo Zoppo (Nativi americani)

I Giardinè 
Cascina Pianeta VI  – Missaglia (LC)
 



Street Food… “fare un passo indietro per andare avanti”

Street Food, tradotto letteralmente cibo da strada. Nei tempi passati un’abitudine comune, all’estero consuetudine, recentemente in Italia rivalutato con l’uso di una terminologia inglese. Diciamo la verità, chiamandolo così da un senso di modernità che altrimenti  non avrebbe, ma il succo è che trattasi di cibo tipico della tradizione locale che si consuma passeggiando o su una panchina,  in modo più economico, vivendo di più il territorio.

Solo qualche giorno fa ne parlavo con Beniamino Nespor, proprietario insieme  ad Eugenio Roncoroni  del  Ristorante  e  Burger Bar di Milano,  “Al Mercato.

Due giovani ventinovenni che ho conosciuto grazie a Francesco Ottaviani, un medico con cui spesso scambio opinioni ed esperienze. Conoscendomi mi ha detto: “Devi andare! Quei ragazzi hanno quella genialità che ami ricercare nelle persone!” Qualcuno la chiama pazzia, io vi dico solo che diffido della normalità. Amo le menti creative con quel briciolo di follia che permette di osare.

Al mio arrivo mi ha colpito la parte esterna del locale, quasi anonima direi… Nessuna insegna del ristorante, solo qualche sedia all’esterno e l’indicazione del Burger Bar. Poi, entrando, l’atmosfera è cambiata…  L’ambiente piccolo e accogliente e la scelta di rendere visibile il lavoro in cucina mi ha messo subito a mio agio.  Mi ha accolto il gentile Beniamino con il quale ho iniziato subito a chiacchierare…

  • Beniamino, quando Francesco mi ha parlato di voi e del vostro locale con tanto entusiasmo, sapendo la vostra giovane età, mi sono da subito incuriosita. Com’è nata la vostra amicizia e successivamente la vostra collaborazione?

Ci siamo incontrati per la prima volta alle medie, ma poi ci siamo persi di vista.  Tre anni fa un nostro amico comune ci ha rimesso in contatto perché sapeva delle nostre intenzioni di aprire un ristorante.  Dopo esserci frequentati di nuovo per un po’, abbiamo deciso di portare avanti il progetto “Al Mercato”.

  • “Al Mercato”, perché la scelta di questo nome?

E’ stato il primo nome che ci ha messo subito d’accordo, e comunque rispecchiava la nostra idea di creare un punto tipo mercato, dove si vede quello che si mangia mentre viene cotto. Una cosa molto diffusa nei mercati asiatici.

  • Nessuna insegna all’esterno segnala la presenza del vostro ristorante. Che cosa  motiva questa scelta?

Le insegne non sono necessarie, ci piace così, solo con il nostro logo in neon rosso.  Non abbiamo mai fatto pubblicità di alcun tipo perchè contiamo molto di più sul passaparola.  Trovo anche che dia una bella sensazione passare davanti a questo luogo anonimo dall’esterno, vedendo questa grande cucina a vista, le persone che mangiano, quelle in coda…

  • Mi racconti che tipo di cucina fate?

Dalla parte ristorante facciamo cucina internazionale di base italiana.  Ci piace mischiare ingredienti provenienti da tutto il mondo, idee che ci vengono pensando ai nostri viaggi, ma utilizzando delle basi e delle tecniche da cucina italiana.   Cerchiamo anche di mantenere il concetto molto italiano di antipasto, primo, e secondo.  Nell’hamburger bar ci divertiamo a proporre hamburger e altri street food dal mondo, ovviamente utilizzando le tecniche da ristorante.  Questo ci da la possibilità di offrire sempre un prodotto di qualità.

  • “Street Food”, cosa vi ha spinto a seguire anche questa strada?

Lo street food è la passione di ogni foodie.  E noi, oltre che cuochi, siamo anche foodie.  Ci piace andare in giro a mangiare nelle peggiori bettole del mondo, mangiare per strada, in piedi,  cose a caso… Insomma, provare sempre nuove esperienze.  Lo street food è quello che fa comprendere come è fatto un paese.  L’esperienza di mangiare con le mani poi, è totalmente diversa da quella fatta usando le posate.

  • Beniamino, quando mi hai chiesto cosa volessi mangiare ti ho risposto: “Portami quello che mangeresti tu in questo momento”.  Bè, mi hai portato un mega panino rivelatosi buonissimo.  Detto così ovviamente non rende l’idea.  Me lo vuoi raccontare?

Hai mangiato il nostro burger fatto nella maniera preferita da me.  L’hamburger “Al Mercato” è un’interpretazione nostra del classico street food americano.

Usiamo la carne di un allevamento biologico, la tritiamo dalle 2 alle 6 volte al giorno, le verdure le prepariamo tutti i giorni, la marmellata di cipolle la facciamo noi, i cetrioli sott’aceto li facciamo noi, la salsa pure, e il pane lo abbiamo disegnato insieme al nostro panettiere…  Poi ci sono tutte le varie aggiunte per soddisfare ogni palato.

Chi vive senza follia, non è così saggio come crede.

François de La Rochefoucauld




“Due chiacchiere con… Roberto Giuliani”

Roberto Giuliani, Direttore editoriale di Lavinium, rivista di vino e cultura online che nel 2007 ha ricevuto il Premio Veronelli come “Miglior sito di enogastronomia” con la seguente  motivazione: “Perché nel mare del pressapochismo in cui si annaspa navigando in rete, si distingue per la serietà dell’informazione e l’approfondimento delle notizie pur nell’ampia articolazione dei suoi interessi”.

 Lui, ama la scrittura, la fotografia, e naturalmente… il vino!

Lo conosco attraverso i suoi commenti… attraverso le sue prese di posizione alle quali ribatto con rispetto vista la sua esperienza. Lo definirei un esperto conoscitore appassionato della Terra.

Vivo d’intuito, la mia vita è basata sulle sensazioni. Mi capita di sbagliare ma per lo più c’azzecco. L’esperienza e il dolore ci fa acquisire un sesto senso sulle persone… Sento in Roberto la sensibilità di un uomo delicato e amante della natura. Un uomo serio e ironico in egual misura. Si, perchè come diceva Soren KierKegaard, poeta danese considerato padre dell’esistenzialismo, l’ironia è l’occhio sicuro che sa cogliere lo storto, l’assurdo, il vano dell’esistenza…

Detto questo come dico io, punto e a capo. Roberto è il tuo turno! Tocca a te rispondere, e quindi, pronti via!

  • Roberto, ti ho presentato brevemente secondo le mie intuizioni. Qualcosa da aggiungere o da ribattere?

No, semmai da sottrarre, sei fin troppo generosa.

  • Sei figlio di un musicista, come sei arrivato ad appassionarti al mondo del vino?

In realtà la musica è sempre il mio grande amore, non so stare senza, non a caso mi diletto a suonare il pianoforte e la batteria.

Il vino come interesse professionale è arrivato in età matura, circa 15 anni fa. L’ho sempre bevuto ma senza approfondirne la conoscenza più di tanto. I vini laziali che acquistavo da giovane appartenevano al periodo in cui ancora vigeva la produzione quantitativa, era difficile “innamorarsi” del vino a quell’epoca, almeno per me. Il mio primo amore, uno dei vini che mi fece aprire gli occhi su un mondo dalle infinite possibilità espressive, fu una bottiglia di Nebbiolo d’Alba alla fine degli anni ’80.

Poi feci tre viaggi in giro per la Francia, e lì ebbi conferma di quanto c’era da conoscere e apprezzare.

Mi diplomai sommelier all’AIS di Roma e iniziai ad approfondire il nostro territorio partendo dalla Toscana per arrivare fino a Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli e via via tutte le altre regioni italiane. Cominciando anche a scrivere per riviste locali fino a quando, nel 2000 ebbi l’opportunità di collaborare alla neonata rivista Lavinium.

  • Web o meglio World wide web, secondo me una delle invenzioni più potenti al mondo. La libertà di poter comunicare, di avere uno spazio proprio in cui condividere le proprie passioni, in cui raccontare il proprio credo… E’ così che ormai giornalisti, blogger, web writer più o meno esperti, dicono la loro. Caos o… ?

Come spesso accade, quando si ha a disposizione uno strumento gratuito da usare in quasi assoluta libertà, un certo caos si crea, anche perché siamo ormai milioni di persone ad utilizzarlo, ma rappresenta comunque un fenomeno largamente positivo, l’importante è imparare ad usarlo con intelligenza. Il fatto che tutti possano avere uno spazio per esprimersi, ma anche per approfondire la conoscenza senza confini territoriali, dalla musica, alla storia, all’arte, alla cultura in genere, è qualcosa di fantastico. Purtroppo non tutti ne fanno questo uso, e ciò genera appunto un certo caos, del resto non c’è alcuna regolamentazione.

Un altro limite, almeno oggi, sta proprio nella gratuità sempre e comunque, cosa che impedisce ai professionisti di trarre il giusto guadagno dal proprio lavoro sul web, salvo rari casi.

  • “Il consumatore (termine molto vago e grossolano), va educato a capire che ciò che mangia e beve condiziona fortemente la sua salute,  le sue energie, le sue capacità in generale”.  Parole tue Roberto, che condivido pienamente. Ritengo però che, se allo stato attuale seppur con i mezzi informativi presenti, sia ancora molto evidente la mancanza di cultura del cibo e del vino, ci sia un problema di comunicazione. Cosa ne pensi?

Il problema di comunicazione esiste, certamente, ma soprattutto è la cattiva comunicazione a fare danni, a partire dalla pubblicità ingannevole diretta e indiretta con cui ogni giorno siamo martellati sin da bambini. Poi esistono le cosiddette “cattive abitudini”, chi è cresciuto con la coca-cola, le merendine, i cibi confezionati, non ha solo problemi culturali ma dei “vizi” che non è facile eliminare. Per esperienza diretta ho potuto verificare quanta resistenza hanno molte persone a qualsiasi argomentazione che metta in discussione le loro abitudini. Questo non significa che sia inutile cercare di far capire alla gente che mangiare sano è fondamentale, informarla sui danni che può fare alla salute un certo tipo di alimenti, ma a mio avviso non è sufficiente, anche perché, come ben saprai, c’è anche chi “rema contro”, sminuendo l’importanza di evitare prodotti troppo raffinati come zucchero, sale, farina ecc. e cercando di dimostrare che non c’è alcuna differenza fra prodotti industriali e prodotti biologici. Ma l’argomento è complesso e non possiamo approfondirlo qui.

  • Amo ascoltare le storie delle persone, è la mia passione! Amo andare alla radice di ogni cosa. A proposito di questo mi viene in mente un tuo commento inerente ai semi. Cito testualmente: “E’ ESSENZIALE acquistarli da chi li coltiva da sempre, diffidate se non potete sapere l’origine. Molti vivai in realtà li acquistano dalle industrie che li producono in laboratorio. Grazie a questo abbiamo perso i pomodori di Pachino, i cui semi non sono più quelli originari ma provengono da Israele. Quello dei semi è un problema enorme, anche perché molti sono ibridati, ovvero non sono riproducibili, oppure sono OGM. Viene da ridere a pensare al biologico se non c’è un controllo sui semi…”  A questo punto mi chiedo, ma come fa la gente a fidarsi della definizione di “Biologico” quando legge queste cose?

Viviamo in un mondo governato dal Dio denaro, questo ci impone di essere diffidenti e sospettosi. Non sono le etichette a garantire la qualità e la veridicità di un prodotto, purtroppo, per le ragioni appena dette, pertanto ritengo che il biologico non sia una garanzia assoluta. Anche perché, avendo occupato una fetta di mercato sempre più interessante, il bio si è trascinato dentro anche l’industria. Puoi immaginare quanto sia improbabile avere una produzione veramente biologica su centinaia, a volte migliaia di ettari. Ecco, un modo è sicuramente quello di rivolgersi al piccolo produttore, magari a km zero, al coltivatore diretto o comunque a quegli esercenti che si rivolgono alle piccole realtà agricole locali.

  • Altro argomento scottante, vogliamo parlare dello zucchero? Hai posto recentemente la domanda sotto una mia nota. Mi vuoi rispondere qui?

Come ho accennato prima, lo zucchero è un problema serio: impossibile quantificarne l’uso, basti pensare che in una lattina di coca-cola c’è l’equivalente di parecchie bustine di zucchero raffinato, o che in qualunque prodotto dolciario viene utilizzato in notevole quantità. Non è un caso che il diabete sia diventata una malattia sempre più frequente, che colpisce ancora di più in giovanissima età, ovvero nella fase in cui si prendono più zuccheri raffinati in assoluto, attraverso bevande, merendine, caramelle e quant’altro piace alla maggior parte dei bambini figli di quest’epoca consumistica.

C’è gente che mette anche tre cucchiaini di zucchero nel cappuccino, sebbene il latte abbia già una propria dolcezza che compensa l’amaro del caffè. “Cattive abitudini”, appunto… Usare almeno zucchero integrale di canna (non quello grezzo, che subisce praticamente gli stessi procedimenti di raffinazione di quello bianco ottenuto dalla barbabietola), quando siamo noi ad aggiungerlo nelle pietanze, può ridurre un po’ il danno, oltre a fornire ancora buone dosi di minerali e vitamine del gruppo B. E poi, se avessimo la sana abitudine di usare l’olfatto sempre, noteremmo come lo zucchero raffinato ha un odore fortemente dolciastro ma finto, mentre quello integrale è profumato e molto meno dolce.

  • Se ti dico che…  “forse bisogna tornare indietro per andare avanti”,  cosa mi rispondi?

Su questo tema posso dirti subito che sono un convinto sostenitore della teoria della decrescita di Serge Latouche, siamo arrivati ad un punto limite, anzi, in gran parte lo abbiamo oltrepassato. Stiamo prosciugando il pianeta e rendendo invivibile la vita agli animali, alle piante e agli uomini. La nostra società è basata sull’aumento ininterrotto dei consumi e sulla massimizzazione dei profitti. Non è un caso che, ancora oggi, sentiamo dire da tutte le correnti politiche che per risollevare il Paese bisogna tornare a produrre e incrementare i consumi, questa è pura follia. Bisogna puntare ad una nuova economia e ad una nuova società, che abbia altre basi su cui fondare il proprio benessere, quello vero e non quello indotto dai falsi desideri e bisogni con cui il sistema ci impone di vivere.

  • Bè, direi di finire con un brindisi!  Ormai un pochino mi conosci, amo i vini rossi di carattere e di struttura. Cosa mi offri?  E… a proposito, da amante della musica quale sei, metti un giusto sottofondo, ma mi raccomando, dimmi il titolo e l’artista… Son curiosa io! 😉

Credo di poter aggiungere “di grande finezza”, perché sono sicuro che una persona come te, che ama il piacere della vita e apprezza le sue sfumature, ricerchi anche l’eleganza in un vino. La mia proposta, rigorosamente italica, mi spinge ad occhi chiusi verso il Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva di Ar.Pe.Pe., un vino strepitoso, 100% nebbiolo (detto localmente chiavennasca) che nasce da vigne terrazzate e impervie alla base delle Alpi Retiche, nella sottozona Sassella.

La musica di sottofondo? In questo caso più che di sottofondo sarà una compagna di emozioni: Waltz For Debby, una delle più belle composizioni di un raffinato pianista jazz come Bill Evans.

 




Un grido d’aiuto dagli agricoltori: “Lasciateci lavorare!”

Oggi voglio dare spazio allo sfogo di un amico viticoltore che fa eco a tante altre voci. Burocrazia, burocrazia e ancora burocrazia! E’ questo che continuamente mi sento dire dai produttori. Dobbiamo fare gli amministrativi o gli agricoltori mi dicono… mah, dico io!

Mi chiedo se qualcuno di questi burocrati impositori di tanta carta da compilare si rende conto cosa vuol dire produrre? Di quanta fatica, tempo, e impegno comporta lavorare la terra? Ma non solo dato che il tempo libero devono occuparlo per promuoversi in fiere e in manifestazioni per farsi conoscere, ma soprattutto per far conoscere i loro prodotti.  Ricordo anni fa di aver letto che in Giappone un’azienda ha imposto ai propri dirigenti di fare esperienza diretta in produzione tra gli operai… sarebbe opportuno anche qui da noi, e in molti settori direi!

Sostengo da sempre con grande convinzione che per giudicare il lavoro degli altri, per capirne le difficoltà, i problemi e le soluzioni, bisogna semplicemente farlo! Anziché occupare i comodi uffici, uscite e parlate con i produttori!  Dovete vivere le realtà! Dovete ascoltarli! Siete voi i nostri rappresentanti, e quindi e ora di muoversi, di tirare su le sorti di quest’Italia ferita e messa in ginocchio! La terra è quello che ci rimane, chi la lavora rappresenta la nostra unica speranza di salvarci da questa crisi! Aiutiamoli a lavorare!

Perdonerete il mio sfogo, ma gli Italiani, quelli veri, quelli che lottano lo fanno in ogni modo, anche così, lanciando un grido d’aiuto! Ed è per questo che ora passo la parola a uno di loro… all’amico Marco Bernava.

  • Marco, cosa chiederesti alle istituzioni sia a livello nazionale che europeo nell’immediato per aiutare i produttori?

Lasciateci fare e vendere!” Perché far vino è un’arte… è poesia e tecnica allo stesso tempo, e gli artisti devono avere spazio per fare bene, devono avere libertà di movimento. 

Ci siamo incastrati in un sistema che non funziona Cinzia, e non solo in viticoltura ma oserei dire in tutto il settore agrario. Concentrandomi sulla viticoltura e sull’elaborazione di vino, credo che come nel resto del settore primario una delle grosse colpe sia della UE e dalle politiche dei Paesi membri: “Direttive che si traducono in normative e controlli che senza mezzi termini definisco tanto inutili quanto dannose, un sistema di aiuti all’impianto/espianto incoerente, un sistema doganiere che non dovrebbe esistere ed invece vincola tutte le trattative intracomunitarie, norme di etichettaggio pesanti, sistemi di qualificazione dei prodotti un po’ aleatorie … e molto altro che potrei aggiungere…”

La mia esperienza come tecnico ed ora come produttore mi fa capire sempre più i viticoltori con il loro pianto per i prezzi bassi, per la loro impotenza sul mercato perché l’offerta frazionatissima (e senza voce collettiva, non inganniamoci), davanti a colossi che dettano prezzi di acquisto delle uve tenendo in conto solo la loro logica di profitto (frutto di un sistema globalmente incorretto), non considerando minimamente i costi di produzione del viticoltore.

Capisco sempre più quanto in passato si sia distorto e viziato il settore. Mi fa male pensare a come viene percepito il vino da certi settori della società, a causa di scelte politiche errate nella sostanza. Mi rende triste vedere come bisogna accontentare l’amministrazione con determinate pratiche burocratiche che assumono più i connotati di un rito vudù piuttosto che di una gestione amministrativa. La mia esperienza mi porta a concludere che voglio vivere bene come tecnico una parte dell’agricoltura affascinante e dinamica e che vivrò lottando come produttore e commerciale di se stesso, nella speranza (o illusione) che il sistema si semplifichi.

Non dico che debba essere un settore anarchico, ma nemmeno che io debba dedicare la metà del mio tempo a lavorare per l’amministrazione pubblica. Certo è che il settore deve avere un apparato legislativo corretto e coerente che vincoli ciò che è dannoso alla salute (trattandosi di un prodotto alimentare) e ciò che è frode reale, ma lasciando che i produttori possano creare originalità e che la possano offrire e vendere con agilità.

Lascio andare solo due esempi in Europa: l’etichettaggio e il sistema di qualificazione dei vini da un lato, e le pratiche enologiche autorizzate dall’altro. Sono paradossi di come NON si dovrebbe gestire a livello supra-nazionale il settore. Basicamente perché sul mercato ci dobbiamo confrontare con il “nuovo mondo” del vino, dove le regole sono più lasse e dove hanno capito che nel fondo l’equivalente di ogni muro che la UE ci costruisce e che dobbiamo saltare non fa altro che incrementare i costi di produzione, quindi diminuire la competitività sui mercati internazionali, e far risultare cari i vini a volte anche sul mercato nazionale. Risultati: da una parte importiamo vini economici e dall’altra limitiamo il consumo interno di prodotto nazionale, confondendo in sostanza il consumatore e allontanandolo dal gaudire di un prodotto che fa parte della nostra cultura da secoli immemori.

Poi non dimentichiamo che la viticoltura e l’enologia sono alla base della gestione di molti territori dei nostri Paesi: gestione paesaggistica, gestione ambientale, tessuto socioeconomico (pensiamo oltre ai produttori anche all’indotto enoturistico). Questo ruolo sociale dovrebbe essere ulteriormente premiato e non bastonato dalle politiche sia comunitarie che nazionali. Dovrebbero lasciar lavorare e fomentare lo sviluppo del settore vitivinicolo e di ciò che gravita intorno a lui, soprattutto nelle zone vocate, dove ogni alternativa economica risulterebbe essere o un fracasso o un’aberrazione ed una distruzione del territorio. Mi riferisco concretamente al tema eolico in Spagna e per quanto ne so anche in Italia: interessi di multinazionali dipinti coi colori dell’ecologia e della sostenibilità, venduti al territorio inerme come è quello agricolo, distruggendone la vocazione e trasformandolo in un paesaggio pseudo-industriale massificato e violentato dalla speculazione (in campagna ancora non era arrivata).

Ma questa è un’ altra storia Cinzia: se vuoi ne parleremo! 

 




Ma… voi fate l’amore col cibo?

Ricordo un giorno mentre descrivevo ad un cuoco le sensazioni provate nel gustare un dolce… vera estasi! Lui ascontandomi mi disse: “Cinzia, tu hai fatto l’amore col cibo“.  Mi toccò interrompere la conversazione della persona con me a cena. L’intensità del momento era tale da far si che la mia concentrazione fosse dedicata interamente alla piacevolezza di quelle emozioni. Pensate che esagero? Bè, dipende da come vivete il cibo… Io lo vivo assaporandolo lentamente e godendone dei sapori e dei profumi… non per niente sono sempre l’ultima a finire. Per me il cibo va celebrato, ma attenzione, ricordiamoci sempre che, come oggi è in uso dire: “Siamo quello che mangiamo”!

E ora vi chiedo: “Quanti realmente si rendono conto dei danni di una cattiva alimentazione?”  Ormai da anni siamo spettatori di un bombardamento mediatico di informazioni fuorvianti. Molto spesso dico: “Spegnete la tv e… incominciate a pensare che forse ritornare un passo indietro recuperando le sane abitudini di una volta ci potrebbe far solo bene!”

Legumi, frutta secca, cibi meno raffinati, pasti meno veloci… basta leggere ed informarsi un po’. Molto si sta facendo in questa direzione, e molto si può ancora. Faccio intervenire spesso a mio supporto medico l’amico Nicola Sorrentino per sfatare miti e credenze sbagliate che ci condizionano nell’alimentazione.  L’educazione alimentare nella scuola è fondamentale, direi anche quella civica, e qui ce ne sarebbe da dire, ma non voglio uscire fuori tema, perchè oggi il protagonista è Nicola Sorrentino e il suo nuovo libro “La Dieta Sorrentino”.

Un libro che, come mi racconta Nicola, aiuta a dimagrire, ma insegna anche come  mangiare per vivere a lungo e bene.

Nicola, a te la parola…

La Dieta Sorrentino. La vera dieta salutare per dimagrire e stare bene”

di Nicola Sorrentino

Un libro chiaro, comprensibile  con molte ricette gustose e facili da eseguire per chiunque voglia cimentarsi in cucina. Una dieta che limita i grassi, tiene sotto controllo gli zuccheri, abbonda invece con i prodotti ortofrutticoli  ed alimenti ipocalorici, ma nello stesso tempo stuzzicanti e sazianti.

Un regime alimentare un po’ vegetariano perché prevede come proteine di origine animale solo lo yogurt , il parmigiano sulla pasta e il pesce, settimanalmente le uova. Raramente un panino con prosciutto o bresaola. Molti piatti con legumi: ceci, fagioli, piselli, lenticchie, soia. Come spuntino e merenda, spesso la frutta secca perché permette di arrivare ai pasti principali con meno fame.  Molti studi dicono che gli alimenti come la frutta secca, con un buon contenuto di grassi ma con basso indice glicemico, aumentano il senso di sazietà.

Un libro dove dice che la pasta non fa ingrassare: il segreto  è condirla con semplicità e fantasia, preparando sughi leggeri a base di verdure, insaporiti con erbe aromatiche e spezie, e conditi con olio extravergine d’oliva, salse allo yogurt o un cucchiaino di parmigiano. Una dieta dove prevede per pranzo o per cena  una serie di gustosi piatti unici dove la pasta si accompagna a volte con verdure o legumi e a volte con il pesce.  Meglio se la pasta è integrale: con la raffinazione della farina vengono eliminati  molti nutrienti importanti per l’organismo. I cereali integrali e la pasta consumati giornalmente e abbinati a uno stile di vita corretto possono ridurre il rischio di numerose patologie. E in più aiutarci a dimagrire.

Un libro dov’è scritto che bisogna ridurre drasticamente la carne rossa. In passato portare carne in tavola era un segno di benessere, oggi non è più così. Un tempo inoltre si pensava che la carne fosse necessaria per produrre sangue e che donasse forza e vigore, oggi non si considera più sinonimo di salute. Tuttavia bisogna fare delle precisazioni: sicuramente le carni bianche sono meno nocive di quelle rosse e si prestano a metodi di cottura differenti e meno insalubri. Contengono minori quantità di grassi e apportano in misura inferiore colesterolo e acido urico, sostanze legate a svariate malattie.

Nella dieta Sorrentino non c’è il latte, non sono previsti neanche latticini,  fatta eccezione per il parmigiano e lo yogurt,  ammettendo che una piccola quantità dei suoi derivati aiuta a coprire i fabbisogni di calcio e vitamina D, ma asserendo anche che se né può ben fare a meno. Lo yogurt, comunque, se magro, privato cioè della frazione lipidica (0,1% di grassi), bianco o alla frutta, inserirlo nella dieta può essere un’opportunità salutare, sebbene le proteine del latte non siano delle migliori: un vasetto di yogurt, a causa del suo contenuto d’acqua, non ne apporta più di 4-5 g (circa 4 ogni 100 g). Il fatto di essere privato della materia grassa comporta una riduzione del contenuto di calorie, colesterolo e grassi saturi che rendono questo alimento adatto a qualsiasi regime dietetico. Tuttavia, la principale qualità dello yogurt risiede nel suo contenuto di fermenti lattici (bifidobatteri e lattobacilli), i quali esercitano un positivo effetto antinfiammatorio sistemico, immuno-stimolante e di regolazione della funzione intestinale. A tale riguardo, non si può fare a meno di osservare che alcune varietà sono persino arricchite di fibre.

È un regime alimentare che non crea troppe complicazioni, il pasto di mezzogiorno per esempio consiste spesso in preparazioni semplici da consumare sia al bar sia al ristorante, un’alimentazione di tipo mediterraneo dove  prende in considerazione Il cibo non solo come fabbisogno energetico o di sopravvivenza, ma anche come “convivialità”. Convivialità intesa come manifestazione d’affetto, di comunicazione, di aggregazione: e allora niente sensi di colpa se saltuariamente mangiamo una bistecca o una salsiccia, un panino con prosciutto o bresaola. Una fetta di torta o un pranzo di nozze non possono fare male o rovinare la dieta. Quindi, è giusto festeggiare i compleanni, il Natale e le feste… Ben diverso festeggiare tutti i giorni! Quello che si deve modificare è lo stile di vita e l’approccio metodologico alla giornata. Da un’alimentazione corretta, varia ed equilibratadipendono il giusto accrescimento, la capacità di affrontare gli impegni quotidiani con energia ed efficienza, la resistenza alle malattie e la qualità della vita. La Dieta Sorrentino, basata sui principi di una sana alimentazione, consente di ritrovare la forma in 30 giorni mangiando di tutto, senza dover rinunciare né alla pasta neanche alla pizza, riducendo, senza demonizzarle, le proteine di origine animale.

 




Chi il burro ferisce… di spada perisce!

Ora direte: “Cinzia, ma non è così che si dice!” Lo so bene! Non per niente sono donna appassionata di spade, e quindi ho preso in prestito la locuzione e l’ho un pochino riadattata. Anche perché confesso di essere nota per le mie gaffe spontanee e… non ricordando bene i proverbi è mia abitudine storpiarli! Son mica perfetta! 😉

Detto questo punto e a capo. Mi metto l’armatura e a spada tratta eccomi pronta a difendere il burro!

Questo prodotto ricavato dalla lavorazione della panna, è quasi demonizzato, ingiustamente a mio parere, convinta che poco ma buono faccia solo bene! Ma ve le ricordate quelle belle fette di pane burro e marmellata che mangiavamo da piccoli??  Ebbene… io le mangio ancora, ma sono pochi quelli che lo fanno. 🙁

Quindi ora da testa dura quale sono provo a convincere anche voi!

Come… direte?! Ma facendo intervenire il mio caro Nicola, o meglio, il Prof. Nicola Sorrentino specialista in scienza dell’alimentazione. 🙂

  • Nicola, mi spieghi qual è la relazione tra burro e colesterolo?

Cinzia, il burro contiene grassi prevalentemente di tipo saturo, contiene anche colesterolo, tutte sostanze che assunte smodatamente predispongono alle malattie cardiovascolari, ancor più se abbinate ad altri fattori di rischio come il fumo, il sovrappeso, ed una vita sedentaria. I grassi del burro, però, a differenza di altri grassi sono a “catena corta”, particolari grassi importanti per ottenere energia prontamente disponibile e facilmente digeribili se consumati crudi.Il burro e un’ ottima fonte di vitamine liposolubili (A, D).

Per quanto riguarda il colesterolo, 100 gr di burro ne apportano 250 mg, meno di due uova che da sole apportano circa 360 mg di colesteroloLe linee guida per una sana alimentazione Italiana non dicono di evitare il burro, ma nel contesto dell’assunzione dei grassi, ne consigliano una porzione (10 g) al giorno.

Un buon burro è dato soprattutto dalla qualità della “crema di latte ” (panna), e dalla sua lavorazione. Il burro si ottiene separando la parte grassa (solida) del latte da quella liquida. Per ottenere 1 kg di burro occorrono 23-25 kg di latte. E’ un alimento molto energetico perché costituito soprattutto da grassi. I lipidi o grassi sono i nutrienti a più alto potere calorico: forniscono circa 9 kcal/g, più del doppio rispetto agli zuccheri (carboidrati) e alle proteine.

Il burro è esente da trattamenti di rettifica e idrogenazione (reazione che trasforma gli oli vegetali normalmente liquidi in grassi solidi). Il processo di idrogenazione può portare alla formazione di “acidi grassi trans” pericolosi per la nostra salute, perché abbassano il colesterolo buono ed alzano il colesterolo cattivo. Spesso l’idrogenazione viene eseguita ad oli di non buona qualità. Impariamo a leggere le etichette, perché sovente questi acidi sono contenuti nelle margarine, nei grassi da cucina, e in molti prodotti da forno come biscotti o dolci. Attualmente esistono in commercio prodotti con dicitura “grassi vegetali non idrogenati”: essi certamente non contengono acidi grassi trans, ma non sono prodotti da poter identificare come i migliori. Preferiamo quelli che contengono olio extravergine d’oliva o burro.

Detto questo aggiungo io…: “Da domani a colazione sia gli adulti che i bambini,  pane burro e… gran sorrisi! 🙂




Una Storia di Champagne…

Robert De Niro nel film il Cacciatore disse: “Quando un uomo dice di no allo champagne, dice no alla vita”.  Io aggiungo che – è lo stesso per una donna –

Era da tempo che volevo conoscere una delle Maison di terra di Champagne. Leggere spesso della loro capacità di “fare squadra” mi piace molto. A tal proposito cito un’intervista di pochi giorni fa in cui Alfonso Isinelli, curatore insieme a Luca Burei della guida delle migliori 99 Maison di Champagne 2012/2013 dice: “E’ sorprendente la loro capacità di stare uniti, di fare squadra…”  Mi spiace dirlo, ma è un’attitudine che spesso manca in Italia. Andare avanti uniti e compatti è grande strategia vincente nel mondo del vino, e non sono…

Detto questo,  come dico io, punto e a capo… 😉 Ora voglio raccontarvi la mia bella giornata passata alla Maison Pannier a Chateau-Thierry nel centro della Marna con una vera squadra… Una squadra in terra di Champagne!

L’amico Roger Sesto, coordinatore dell’avventura in rappresentanza del Seminario Veronelli, mi invitò poco tempo fa.  Quando me lo disse ero in terra di Sardegna ma mi bastò un attimo per accettare! Accolgo sempre con grande entusiasmo i tour di vini! Nella squadra era presente oltre a me e a Roger, Gigi Brozzoni Direttore del Seminario Veronelli, Silvano Piacentini distributore di Pannier in Italia, Elio Ghisalberti giornalista enogastronomico, Michelangelo Tagliente wine blogger, Claudia Rumi giornalista, Paolo Ianna wine consultant.

Durante il viaggio, a parte l’ansia di Michelangelo per il volo, il tempo è passato allegramente tra racconti e risate, e… naturalmente tra brindisi! Brindisi che Mic ha fatto anche con i suoi  “pantaloni” ! 😉

Al nostro arrivo ad aspettarci il caro Terence, una guida veramente da applauso per la simpatia e la disponibilità.  Ci ha raccontato che la Maison Pannier è stata fondata nel 1899 da Louis Eugène Pannier. Dovete sapere che il Conte di Champagne Hughes Lambert  circa mille fa, per costruire delle fortificazioni dovette far scavare nella roccia per estrarre la pietra necessaria. Si formarono così lunghe gallerie, per l’esattezza 12 km e mezzo,  che Monsieur Pannier reputò ideali per  la conservazione e l’invecchiamento del loro Champagne  grazie alla costante temperatura presente.

Tradizione a braccetto con la tecnologia e uve provenienti dai vigneti del “Pinot Noir dalla Montagne de Reims, Pinot Meunier dalla Valle Marna e Chardonnay dalla Cote de Blancs”  ci hanno fatto apprezzare  il loro Champagne che abbiamo potuto degustare nel pranzo  che ha concluso la  nostra visita. Personalmente tra i tanti assaggi è scoccato un amore particolare con il Blanc de Blancs Vintage,  senza nulla togliere però agli altri Champagne dagli intensi profumi e da quella eleganza che mi faranno ricordare nel tempo questa giornata…

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