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Cinzia Tosini Vs Adriano Liloni: “Un incontro al… peperoncino!”

Oggi vi presento Adriano Liloni, un “Sovversivo del Gusto”!

Ricordo la prima volta che l’ho conosciuto… Me lo avevano segnalato per il suo locale a Moniga del Garda, “I Sovversivi del Gusto”.  Più che un locale, una vetrina per la promozione del territorio. L’idea mi piaceva, e quando questo accade, statene certi che presto o tardi devo verificare con i miei occhi…

L’occasione capitò presto e furono subito scintille!  Peperino lui, peperina io, non poteva essere altrimenti.  Dopo i vari combenevoli mi invitò la sera a cena nel suo ristorante, Il Pegaso a Gavardo (BS). Certo era che… non avevo idea della serata che mi aspettava! 😉

Al mio arrivo trovai ad aspettarmi Franco Liloni, il fratello di Adriano nonché pittore, scultore, archeologo e reporter di Telecolor, una televisione locale. Passammo la cena a chiacchierare… Franco scoprì una Cinzia a tratti ascoltatrice, a tratti chiacchierona, e a tratti spigolosa.  Tutto andò bene fino a che il nipote di Adriano, addetto alla sala, mi chiese: “Per iniziare vi porto delle bollicine?”  Mmmm che nervi!! Risposi: “Ah bè… partiamo bene, io non bevo bevande gassate!”  Un po’ stranito mi guardò e se ne andò. Cinque minuti dopo tutta la gente in sala fu interrotta da un annuncio di Adriano: “Abbiamo un’ospite in sala che contesta il termine bollicine, si chiama Cinzia Tosini. La invito ad alzarsi e a spiegare a tutti il motivo della contestazione”. In quel momento l’avrei strozzato!!

Chi mi conosce veramente sa quanto io sia timida… Nonostante questo mi sono alzata spiegando che non mi piaceva il termine bollicine perché ritengo non faccia buona cultura del vino. Mi fermai li, ma decisi che ne avrei scritto un pezzo a breve,  e cosi feci… Il locale pian piano si svuotò mentre noi tre ci raccontavamo le nostre vite, i nostri sogni e i nostri progetti.  Posso dirvi solo che bacchetto spesso a gran voce Adriano per le sue prese di posizione a volte eccessive nei termini. Ma chi lo conosce sa che è un uomo che crede nella terra, nei produttori e nella gente che lavora bene.

Adriano, detto questo ora tocca a te rispondermi…

  • Adriano Liloni un Sovversivo del Gusto, ti vuoi presentare a chi ancora non ti conosce?

Sono un passionale ingestibile; ho creato tout court questa associazione partendo dalla mia zona, la Vallesabbia e il Garda.

  • Adriano, chi sono i Sovversivi del Gusto?

Sono un piccolo gruppo di valligiani produttori di formaggi, di mieli e di vini. Tutto è nato in sordina con raduni serali. Poi, il 2 Luglio del 2006 in un mio momento di pazzia affittai l’isola del Garda e creai il primo evento con tanto di battello.

  • Che scopo vi prefiggete raggiungere?

Lo scopo era di riunire produttori della zona. In seguito infiltrazioni giornalistiche hanno portato ad un effetto domino che neanche immaginavamo… Come la presentazione del primo volume dei Sovversivi a Milano al programma di RAI Radio 2 di Vergassola. Gli eventi continuano, ed annualmente vengono ripetuti in location diverse.

  • Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato?

Le difficoltà ci sono state e ci sono tuttora. Non essendo collegati a grandi movimenti ed essendo assolutamente autonomi, nelle galassie della comunicazione enogastronomica non è poi così facile. Nonostante questo il secondo volume dei Sovversivi del Gusto ha raggiunto Parigi e per un caso fortunatissimo ha vinto il Cookbook Awards per la fotografia di settore, un premio internazionale di grande rilievo.

  • Come vedi l’Italia dei piccoli-medi produttori in questo momento? E cosa pensi possano fare nell’immediato le Istituzioni competenti?

Le istituzioni competenti? Quali? Quelle statali? Aspetta e spera… L’Italia non è paese da piccoli artigiani e piccoli imprenditori.  Per quanto riguarda gli aiuti si preferiscono fare progetti faraonici per grandi aziende…

  • Sono donna appassionata di vino ma soprattutto del suo mondo, mi racconti come vivi tu il vino?

Come vivo il vino e il buon cibo?  Secondo te?   😉

  • Raccontami del tuo locale, Il Pegaso. Com’è nato ?

E’ nato nel dicembre del lontano 1987.  Dopo varie esperienze lavorative nel settore, siamo sbarcati io e mio fratello in questo nascosto locale che dopo dodici gestioni fallimentari stava chiudendo i battenti… Tanta volontà, pochi soldi e tante idee. Un mix pericoloso che dura quasi da un quarto di secolo… Abbiamo puntato su una cucina alternativa di monte e di mare con ricette di nostra creazione. Anni di percorso in salita e impegno e siamo ancora qua nonostante la grande crisi nel settore. Clienti storici che ritornano, siamo praticamente invecchiati assieme… Alcuni di loro hanno fatto qui le loro cerimonie di cresima o addirittura di battesimo, me li sono visti crescere anno dopo anno. Una fidelizzazione che ci gratifica e che ci da la forza di andare avanti…




Vite… di Vino: La storia di Ziu Antoneddu Argiolas, classe 1906

L’Italia è stata fatta da grandi uomini e donne, solchi della terra, presenze indelebili nella storia… Penso a mio nonno, a mio padre e a molti altri… uomini tenaci, determinati, orgogliosi, grandi lavoratori! Ogni volta che mi capita di ascoltarne le storie è per me grande emozione. Riviverne anche così le vite, è di grande insegnamento…

Oggi voglio raccontarvi la storia di un uomo, la storia di Ziu Antoneddu, ai più conosciuto come  Antonio Argiolas. Un uomo di terra e di vino, un uomo che ha realizzato un sogno ormai conosciuto nel mondo…

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Antonio Argiolas

Recentemente, grazie a una breve vacanza in di Sardegna, ho avuto modo di incontrare Valentina Argiolas. Valentina ha partecipato alla trentesima edizione del Congresso Nazionale Onav, tenutosi nel mese di Giugno a Nuoro. La tematica: “Il vino e le donne”.  Ormai la presenza femminile in questo settore è determinante sia tra le appassionate, sia tra le donne attivamente presenti nelle aziende grazie alla spiccata capacità organizzativa. Durante il congresso si è parlato anche del protagonista della viticoltura in Sardegna: “Il Cannonau, il vitigno più coltivato al mondo. In francese Grenache, in spagnolo Granacia… comunque sia,  in Sardegna la viticoltura è una delle più antiche”.

Mentre degustavamo un Turriga del 2007, un rosso dall’apprezzabile struttura del genere che piace a me, Valentina sollecitata dalla mia curiosità, mi ha raccontato la storia dell’azienda fondata dal bisnonno Francesco,  ma spinta ai livelli che ora ha raggiunto,  dal nonno Antonio. Un’azienda a conduzione familiare; figli e nipoti nei vari ruoli sono coinvolti con passione per dare seguito e continuità a questa realtà nata dalla tenacia di un uomo, o meglio, di una leggenda. Lui è Ziu Antoneddu…

Nacque il 26 Dicembre del 1906, vide le guerre… Suo padre rimase presto vedovo. Con le tre sorelle venne affidato alla nonna materna. Fin da bambino si distinse a scuola; la matematica era la sua passione, il lavoro era la sua missione. Si ingegnava in mille imprese vivendo da pendolare tra Cagliari e Genova. Fece di tutto…  Iniziò con due ettari di vigneto. Era determinato ad acquistarne ogni anno un appezzamento in aggiunta.  Diventarono quattro, e poi sei, e poi dieci, e poi cento… fino agli attuali trecento. A trent’anni conobbe sua moglie Bonaria, e innamoratissimo la sposò.

Bonaria lo completava e lo aiutava in tutto, non c’era tempo, c’era solo lavoro… Antonio era un appassionato viaggiatore, lei no. Fecero il viaggio di nozze a Napoli. Lui continuò a viaggiare, Bonaria preferiva aspettare a casa. Andò in California, a Rio de Janeiro, in Svizzera, in Germania, in Portogallo, in Spagna, in Russia, in Ucraina…  Antonio voleva vedere il mondo. Ebbero tre figli che in seguito gli diedero sette nipoti. La più grande Valentina. Tutti presenti attivamente in azienda. Antonio ne era orgoglioso, aveva cento anni ormai. Era stanco ma felice…

Valentina nel raccontarmi i suoi ricordi mi ripeté spesso:  “Cinzia, lui era un uomo d’altri tempi, un uomo di stile e di garbo, un uomo gentile”.  Antonio o meglio Ziu Antoneddu, ha visto concretizzarsi il suo lavoro, ha visto crescere i figli e i nipoti, li ha visti prepararsi nello studio e nella vita affinché coi tempi ormai cambiati, potessero dare continuità al lavoro da lui iniziato.  Molte le soddisfazioni,  molti i riconoscimenti… molti ancora i progetti.  Antonio Argiolas ci ha lasciato il 20 Giugno del 2009 all’età di 102 anni. Lui è, e sarà sempre una leggenda…  e le leggende non muoiono mai…

Il segreto di vivere cento anni, è la voglia di vivere e di fare… Io avevo sempre voglia di fare

Antonio Argiolas, Ziu Antoneddu

 




Alzi la mano chi sa che cosa c’è “dietro” una forma di Fontina DOP!

Qualche settimana fa visitando Lo Tzaven, l’agrimercato di Campagna Amica di Aosta teso a favorire la filiera corta per riavvicinare il consumatore al diretto produttore, ho incontrato Yves Perraillon, artigiano della Fontina. Due chiacchiere e… in men che non si dica ero in Alpeggio a 2200 metri! Direte: “Ma a far che?” A mangiar pane, burro e… Fontina!

E ora vi chiedo: “Alzi la mano chi sa che cosa c’è “dietro” una forma di Fontina DOP?”  Va bè che non vi vedo, ma… non fate i furbi! Dunque, parto io dicendo che prima del mio tour guidato non avevo dato la giusta considerazione a questa tipicità Valdostana. Pensate che ci vogliono ben 100 litri di latte per fare una forma di fontina!

(DOP: Denominazione di Origine Protetta che viene attribuita agli alimenti le cui caratteristiche dipendono dal territorio da cui provengono. Viene garantita da un disciplinare.)

Consiglio a tutti una visita, perché, oltre che a passare una giornata a contatto con la natura, avrete modo di apprezzare l’unicità di un prodotto Italiano ottenuto con grande lavoro, impegno e passione! Lavoro che ho potuto apprezzare guidata da Yves e sua moglie, che mi hanno condotta nelle fasi e nei luoghi di lavorazione. Guardando Yves in un momento di vita, nella ritualità dei gesti ripetuti nel corso degli anni, ammirata gli ho chiesto: “Quante volte hai fatto queste operazioni…?

La visita in alpeggio è stata la parte più emozionante del mio percorso. Natura, silenzi, il contatto con un vitellino nato solo da un giorno… Poi,  assistere alla lavorazione del burro come a suo tempo da bambina… Ricordo che in campagna a Treviso guardavo mia nonna Jija nel compimento della stessa operazione, quasi in contemplazione, ammirata dalla trasformazione della panna in burro che poi gustavo spalmato sul pane, esattamente come ho fatto in alpeggio da Yves…

In queste vallate ad un’altezza media di 2000 metri gli animali vengono alimentati in pascoli ricchi di una particolare vegetazione che conferisce al latte caratteristiche ben più peculiari dell’allevamento a fondo valle. Nonostante questo, non si può distinguere dall’etichetta una fontina d’alpeggio e una di fondo valle, visto che la marchiatura è la stessa, e non è permesso dal disciplinare aggiungere nulla oltre la specifica della DOP. Solo i profumi e i sapori ci permettono all’assaggio di differenziarle. Vi pare giusto? A mio parere no! Il lavoro che comporta l’allevamento in alpeggio viene premiato da un prodotto con caratteristiche peculiari, e perché mai il consumatore non deve avere la possibilità di poterlo leggerlo dall’etichetta! Mah!

Ma chi meglio di Yves vi può raccontare…

  • Yves Perrailon, produttore di Fontina DOP d’alpeggio. Com’è nata questa tua passione?

Nasce da una passione di famiglia tramandata da generazione in generazione. Sono sempre stato appassionato da tutto ciò che è legato all’agricoltura… dagli animali, dalla fienagione, dalla caseificazione del latte…

  • Com’è la tua giornata tipo?

Bè dipende dalla stagione… Nel periodo invernale si va a fondo valle:

– Sveglia alle 5,  mungitura, alimentazione degli animali, conferimento del latte in caseificio e alle 16 seconda mungitura.

Nel periodo estivo si va in alpeggio:

– Sveglia alle 3 di mattina, mungitura, lavorazione del latte per la produzione di fontina. Segue la pulizia della stalla,  la salatura e il rivoltamento delle fontine prodotte nei giorni precedenti. Poi si va al pascolo fino alle 12 col rientro degli animali.  Si pranza alle 15, e dopo la seconda mungitura si procede con la lavorazione della fontina e con il pascolo fino alle ore 22.

  • La DOP viene certificata a garanzia del prodotto in base ad un disciplinare di produzione della DOP “FONTINA”. Quali sono i requisiti richiesti per la certificazione? 

Sono molti tra cui  la zona di produzione, la stagionatura,  la porzionatura del formaggio fontina, l’alimentazione delle lattifere costituita da fieno ed erba verde prodotta esclusivamente in Valle D’aosta e altri ancora… Il disciplinare è consultabile sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Si riconosce dal marchio “Consorzio Tutela Fontina” (CTF).

  • Nella mia visita alla tua azienda ho notato che i tuoi collaboratori sono per lo più stranieri. Com’è l’approccio lavorativo degli Italiani al settore caseario?

Non si trova personale italiano, ahimè. Assumiamo personale straniero che formiamo sul lavoro da svolgere, devo dire con ottimi risultati.

Il formaggio… la corsa del latte verso l’immortalità.

Clifton Fadiman

 




L’Albero dei gelati… una Storia d’amore per la Terra!

Questa nostra Terra ha bisogno d’amore e di salvaguardia. Come dice Carlo Sgorlon, la terra è madre, la terra è il principio e la fine, e tutto il resto non è che una favola. Tornare a vivere in armonia con la natura, seguendo i suoi ritmi, nel rispetto dell’ambiente, si può ancora. Si deve, perché ne facciamo parte, perché tradirla è come tradire noi stessi.

L’Albero dei gelati ne è un concreto esempio. Una realtà nata sette anni fa impegnata nello sviluppo della cultura ecosostenibile, che ha fatto suo elemento distintivo la promozione dei piccoli produttori della Brianza, senza però trascurare le eccellenza del nostro territorio. La ricerca delle materie prime, la rivalutazione del concetto di stagionalità, il km 0, la conoscenza diretta dei produttori a filiera corta, la riscoperta dei sapori perduti, l’utilizzo di fonti rinnovabili per l’energia necessaria in gelateria… sono i motivi che mi hanno portato alla loro conoscenza.

Ho avuto modo di incontrarli la prima volta ad una manifestazione a Milano nella quale si sono presentati con il loro carretto a pannelli solari.  Ideato con la collaborazione di giovani ingegneri, raffredda i loro gelati con i raggi del sole. Monia e Alessandro hanno sviluppato la loro passione e creatività dando continuità alla tradizione familiare. Prima con la sede a Barlassina, poi a Seregno e infine a Cogliate. Monia mi ha raccontato di un loro sogno che a breve si realizzerà… l’apertura di una nuova sede a New York.

Era venuto il momento di andare a trovarli. E quindi come dico io,  pronti… via!

Andai da loro un caldo pomeriggio di una domenica di qualche settimana fa. La prima impressione al mio ingresso fu il ricordo di una bottega di campagna dall’atmosfera dei bei tempi. Qui e la vasi di piantine, libri sparsi, un angolo dedicato ai bambini per insegnare loro la differenza tra un frutto biologico e un frutto trattato. Per avvicinarli alla natura anche con gesti semplici, come quello di regalare in primavera delle bustine contenenti semi da piantare nelle vaschette biodegradabili del gelato.

Monia e Alessandro  mi guidarono nella visita raccontandomi la loro storia e soprattutto la loro filosofia. Quando poi  arrivammo a parlare degli ingredienti dei loro gelati,  si alzò letteralmente la mia famosa “antenna”.   Si, perché andammo a toccare un argomento a me molto caro, le erbe benefiche e i frutti dimenticati.

Non mi credete? Leggete un po’ qui… 

  • Gelato alle erbe aromatiche di Montevecchia.
  • Gelato alla Salvia Ananas, una specie di Salvia dal profumo di ananas.
  • Gelato all’Azzeruolo, un frutto dimenticato.
  • Gelato al Frassino da manna, antica coltivazione dalle proprietà decongestionanti del fegato e dall’azione sedativa della tosse.
  • Gelato alla Viola del pensiero, dalle proprietà benefiche per l’apparato renale.
  • Gelato al Garofano cinese, utile per prevenire le vertigini, il nervosismo e le palpitazioni.
  • Gelato alla Bocca di leone, utilizzata per fare i gargarismi nelle ulcerazioni della bocca.
  • Gelato alla Spirulina, un’alga coltivata da un unico produttore in toscana, e che in Africa è chiamata l’Alga della vita per le sue proprietà.

I gusti dei loro gelati rispecchiano la loro creatività. Una continua evoluzione dal dolce al salato, dai più classici ai più sorprendenti… Come per il gusto ai formaggi locali della tradizione di piccoli produttori, o a quello agli ortaggi di stagione, o alla panna acida e salmone inacidito con verdello di Siracusa (varietà di limoni).

Un gusto molto particolare è quello della “Spiga e Madia”. Questo gelato ha trovato ispirazione dal progetto sviluppato in Brianza di coltivare mais per ricavare farina integrale. Un gelato con un latte che deriva da un cereale antico ricco di folati, sostanze che prevengono il rischio d’infarto.

Non hanno dimenticato neanche chi, per intolleranze al lattosio, poteva gustarsi solo i gelati alla frutta. I gusti alle creme preparati con latte vegetale sono dedicati a loro. Per ora sono dolcificati con il fruttosio, ma tra poco lo saranno con la stevia.  Sapete che pianta è la Stevia?  Con l’amico Giustino Catalano recentemente ho pubblicato un pezzo che ne racconta delle belle!  Ne consiglio vivamente la lettura!

Ma ora voglio farvi conoscere meglio Monia e Alessandro.  A loro la parola…

  • Le nostre origini, tutto parte da li… Cosa vi ha spinto ad intraprendere l’attività di artigiani del gelato?

Siamo una seconda generazione di gelatieri, anche se abbiamo capito che era il lavoro che volevano veramente fare, dopo che ognuno di noi figli ha seguito percorsi universitari diversi. A un certo punto la passione ha chiamato, e abbiamo seguito il cuore che ci diceva di “fare gelati” secondo una filosofia molto precisa: materie prime biologiche di piccoli produttori che conosciamo e abbiamo visitato personalmente, frutta maturata sulla pianta dal sole e colta solo nel suo momento migliore, filiera corta, km0, prodotti equosolidali, tutto nel pieno rispetto della natura compresi i packaging che utilizziamo, rigorosamente biodegradabili. E’ nato così l’Albero dei gelati.

  • Tradizione ed innovazione…  Utilizzate ancora pratiche tramandate dall’esperienza familiare?

Sì moltissimo, è ancora molto attuale come le infusioni per alcuni gusti e la lavorazione delle uova. Poi fortunatamente la tecnologia “del freddo” ha fatto passi da gigante e ora ci aiuta molto di più rispetto a 30 anni fa.

  • Un “bugiardino” goloso: posologia e modalità d’uso del…  gelato?

Assumere in grande quantità tranquillamente ogni giorno! Se un gelato è fatto bene ha pochissimi grassi e “buoni”; i gusti alle creme hanno solo il 5-8% di grassi (panna e latte, niente grassi vegetali o peggio ancora grassi vegetali idrogenati che non vengono smaltiti dal nostro fisico come i grassi “buoni”, ma occludono le nostre arterie), mentre la frutta nulla. Gli zuccheri sono circa al 28%, veramente poco se pensiamo che una merendina industriale ha il 18% di grassi e il 49% di zuccheri.

  • Da appassionata di vino se vi chiedo un gelato al… vino, che ne dite?

Diciamo che è buonissimo, ed è una bella esperienza che spesso proponiamo in gelateria. Uno dei nostri preferiti è la Ciliegia con il Moscato di Scanzo.

  • La creatività non ha limite. Sogni e progetti nel cassetto?

Il nostro sogno è sempre quello di continuare a fare gelato con la contaminazione esistente tra noi che “trasformiamo” un ingrediente e chi questo ingrediente lo coltiva in modo responsabile, tra noi quindi e il mondo contadino/agricolo, perché siamo anelli della stessa catena. Ci piace vedere maturare la “nostra” frutta, condividere i problemi quotidiani di un raccolto che può andare bene o male a seconda della condizioni climatiche.  Lavoriamo così in Brianza e dal prossimo anno la nostra avventura continuerà anche a New York, una bella sfida.

  • Gelati abbinati ai piatti. Me ne raccontate qualcuno?

Ce ne sono tantissimi… Gelato di Fatulì della Val Saviore con miele di melata e sorbetto ai fichi fioroni su crostone di pane di lievito madre. Gelato di fagiolini menta selvatica e aceto di mele, con tagliata di roast-beef al sale di Cervia. Gelato al peperone di Carmagnola con Robiola di Roccaverano. Gelato ai funghi porcini con riso mantecato…

  • Vi rifornite da piccoli produttori. Qual è la vostra esperienza nella scelta e nell’approvvigionamento?

Innanzitutto la qualità non è paragonabile a quella di nessuna “grande distribuzione”.  E’ solo un po’ complicato in termini logistici.

  • Organizzate Laboratori di gelato per i bambini. Quali argomenti trattate?

I Laboratori di gelato sono sempre una grande soddisfazione.  Attraverso i cinque sensi annusiamo le fragole (generalmente facciamo questo gusto), cercando di spiegare la differenza tra un aroma “finto” e uno “vero”. Parliamo di stagionalità (le fragola a dicembre è meglio lasciarle al supermercato!), parliamo di frutta non necessariamente perfetta, perchè a noi interessa che sia buona, rossa  e matura…

  • Gelato d’estate o… gelato tutto l’anno ?

Assolutamente tutto l’anno! I “veri” amanti del gelato lo gustano maggiormente d’inverno che d’estate!

Oh amabile sorbetto, nettare prezioso e delicato,
benedetto colui che t’ha inventato…
Due cose in questo mondo meritano il primo onore
il sorbetto gelato e il caldo amore…

Carlo Goldoni (Amore in caricatura 1761)

 




Winemaker significa fare il vino… o no?

Winemaker significa fare il vino, ma in Italia questo termine è inteso come la figura professionale del consulente enologo. Non tornano i conti, a meno che lo stesso non lo faccia… intendo il vino! In molti casi succede, in alcuni no! Quindi forse una ridimensionata a questo termine andrebbe data.

In un recente articolo dell’amico Michelangelo Tagliente riguardo “l’appiattimento del livello qualitativo dei vini”, citando le sue stesse parole, mah, che dire… Forse, che se personalmente producessi vino, vorrei che mi assomigliasse, anzi, senza forse! Baserei la scelta di un consulente enologo su sue ben precise doti, esperienze, e pensiero.   Anzi dico di più, vorrei che fosse attivamente “più presente” nel fare il vino, e cioè presente in quella serie di operazioni che non si limitano solo alla consulenza.

Allego un passaggio di un articolo di qualche anno fa letto sul Blog di Luciano Pignataro. L’ho trovato molto interessante e attuale: “Che vi credete che faccia un consulente enologo qui in Nuova Zelanda? Praticamente tutto: monta le pompe, pulisce la diraspatrice, lava il pavimento, entra nel tino per svinare, scarica la vinaccia, insomma un winemaker nel vero senso della parola! Qualche giorno dopo leggo un articolo in un magazine di vino NZ che cade “a fagiolo” sull’argomento. Parla dell’Italia e racconta come negli ultimi anni le cantine di grande fama sono più famose grazie al consulente enologo anziché ai vini ed alle sue peculiarità…

Bè, a questo punto direi proprio di porre la domanda a chi si definisce winemaker interpretandone il significato letterale e basico di chi fa il vino. La persona in questione è il caro amico Marco Bernava.

  • Marco, Winemaker significa fare il vino… o no?

Cinzia è un piacere e un onore esporti il mio pensiero.

Io in primis mi definisco winemaker, ma lo faccio interpretandone il significato letterale e basico di “chi fa il vino”.  In Italia (e non solo), credo che ci siano delle figure ben definite professionalmente e soprattutto a livello di formazione. Aggiungo  con convinzione che dovrebbero integrarsi e complementarsi per ottenere vini originali. Parto dall’ idea che  il vino è lo specchio di un sistema “azienda vitivinicola” nel suo complesso:

  • La proprietà deve essere l’ambasciatore del prodotto, l’immagine, ed il cuore.
  • La parte viticola, e qui entra in scena l’agronomo insieme ai vignaioli, la vedo come l’arte di plasmare un frutto geniale.
  • La parte enologica, e qui enologo e cantiniere devono essere un tutt’uno, la vedo come l’elaborazione personale della potenza del vigneto.
  • Nel complesso poi il terroir  in cui una cantina produce, lo definirei come la somma degli elementi che creano un prodotto originale e che devono essere in parte gestiti ed in parte semplicemente letti ed interpretati.

A volte invece mi sembra che ci sia la volontà da parte di qualcuno di fare “la prima donna” e questo arriva a rompere i meccanismi positivi e porta a non trasmettere l’originalità del prodotto finale.

A mio avviso ogni persona coinvolta nel processo produttivo dovrebbe apportare il suo essere co-autore di un vino con un fine ultimo comune a tutti: “regalare sensazioni”. Il consulente in moltissime realtà aziendali è essenziale, sia esso agronomo o enologo, ma a mio avviso deve essere interprete del terroir  in cui si cala a lavorare, e non deve “mettere la firma e basta”.

Il suo ruolo lo fa partecipe della fase produttiva, ma il suo coinvolgimento con il terroir e la singola realtà, varia a seconda del suo stile e della sua etica professionale. Ci sono realtà in cui il consulente deve limitarsi a dare protocolli, fare o interpretare analisi, e prendere decisioni tecniche; ci sono altre realtà in cui potrebbe (e a mio avviso dovrebbe), coinvolgersi passionalmente con il sistema di cui entra a far parte.

Una bottiglia è come una canzone: “La puoi creare come sinfonia di strumenti o come insieme di assoli…  il risultato sarà ovviamente diverso”.

Marco Bernava

 




Oggi si beve cloruro di magnesio… ma con succo d’uva!

Lo conoscete il cloruro di magnesio?

Il magnesio è un minerale. E’ presente nel cacao, nella frutta secca, nei frutti di mare, nelle fave, nei fagioli, nella crusca, nell’orzo… insomma in alimenti un pochino trascurati.

La carenza di magnesio è causa di molti malesseri: dall’area psichica, all’area muscolare, all’area cardiovascolare, e a molte altre.

La carenza di magnesio è causa di molti malesseri… dall’area psichica, all’area muscolare, all’area cardiovascolare, e a molte altre.

Questa carenza può essere semplicemente risolta con l’assunzione di un integratore: “il cloruro di magnesio“. Un sale acquistabile con una minima spesa tranquillamente in qualsiasi farmacia, esattamente come faccio io da tempo. E’ sufficiente scioglierne 25/30 gr. in un litro d’acqua e berne mezzo bicchiere una volta al giorno.

Ahimè, il sapore non è dei migliori, ma basta diluirlo con del succo di frutta, e il gioco è fatto! Oggi me ne sono preparata un bicchiere diluendolo con del succo d’uva! 😉

Molte le sue proprietà: purifica il sangue, aumenta il tono immunitario e contribuisce al corretto funzionamento della maggior parte degli apparati del nostro corpo, insomma, mantiene giovani! 😉 Già nei primi anni del 1900 i medici francesi  P. Delbet e A. Neveu, ne sperimentarono l’uso con ottimi risultati!

Non vi resta che provare…

 




Due chiacchiere con… Mario Maffi, un vero Italiano.

Conobbi Mario Maffi – Enologo e Direttore Tecnico dell’Azienda Agricola Montelio – grazie a un suo invito per una visita alla cantina. Lo ascoltai e mi ascoltò per ore. Un uomo semplice come pochi – dallo sguardo schietto e sincero – legato al territorio, alla sua storia e alle sue tradizioni. Un vero Italiano.

L’Azienda Agricola Montelio, il cui nome ha origine dal greco Helios Monte del sole, si trova a Codevilla, in provincia di Pavia. Fu l’Ing. Angelo Domenico Mazza, grande appassionato di viticoltura, a dare inizio all’attività con l’acquistò dei primi terreni nel 1848. Dal 1982, la Direzione tecnica è affidata all’enologo Mario Maffi. Nato a Varzi, è un grande esperto e conoscitore dell’Oltrepò Pavese.

Qualche settimana fa sono tornata a trovarlo. Una persona che stimo molto, uno degli uomini migliori che ho conosciuto in questi ultimi anni.

  • Le nostre origini… tutto parte da li. Come è  iniziata la tua avventura nel mondo del vino?

Sono nato in mezzo alle vigne perché mio padre faceva il viticoltore.  Il mio hobby preferito però era disegnare case. Quando andai a Tortona per iscrivermi a Geometra, destino vuole che dimenticai un documento a casa. Strada facendo incontrai la mia professoressa d’italiano di Retorbido, che, sentita la mia scelta, mi sconsigliò vivamente. Mi esortò invece ad iscrivermi all’Istituto agrario nonostante i miei voti migliori fossero in costruzione e topografia. Finita la scuola l’Ing. Spalla mi propose una collaborazione nel suo studio. Scoppiai letteralmente a piangere quando dovetti rinunciare… avevo da poco ricevuto una chiamata; dovevo partire per il  militare. Non era proprio destino, e mi arresi alla sorte. Una volta tornato mi specializzai in Enologia.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese per le nuove tecnologie, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Questo discorso può avere un senso solo con i vini bianchi. Per i vini rossi no. Il vino rosso nasce in vigna. Ho un caro amico che sta vivendo un momento difficile per problemi di salute, un insegnante di musica impegnato nel sociale. Lui, Giuseppe Colombo, ha deciso insieme a tre amici  di produrre del vino buono, e si è rivolto a me. Un giorno in un contesto piemontese di quelli importanti,  in una degustazione di undici vini degustati alla cieca, ha riscosso molto successo nonostante la piccola dimensione della realtà.  Il vino rosso, partendo da una buona uva, può essere prodotto tranquillamente con ottimi risultati.

  • Cosa ritieni possano fare le istituzione nell’immediato per aiutare i produttori in modo concreto?

Serve meno burocrazia, serve un investimento forte sui giovani, mirato e non sparpagliato, per creare imprenditorialità.

Finita la guerra il Friuli Venezia Giulia ha dato i soldi alle famiglie contadine. Ma dovevano investire minimo su otto ettari, e con mutui trentennali agevolati. Se decidevano di chiudere prima l’azienda, dovevano restituire i soldi…

  • E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente  il consumatore?

Dire biologico è quasi una moda visto che l’italiano medio non è educato al termine.  Finché io vedrò un cartello di vigneto biologico vicino a zone fortemente inquinate, non posso credere nel biologico. Il biologico potrebbe avere una logica se ci fosse un regolamento severo che garantisse la sua applicazione.

Andrebbe fatta una mappatura dei terreni esenti da fonti di inquinamento importanti, e una mappatura delle zone poco piovose. Non possono venirmi a raccontare che nella valle dell’Adige con 1300 mm di pioggia all’anno possono fare il biologico con i parametri di Bruxelles.

Il nostro vino all’Azienda Montelio,  rientra in una categoria che chiamo “verso il rispetto dell’ambiente”. Cerchiamo di fare un’agricoltura integrata. Abbiamo lasciato dei boschi intorno alle vigne, ed abbiamo consentito ad  un gruppo naturalistico di costruire, accanto alle piante, nidi artificiali per facilitare il ritorno di cinciallegre e codirossi.

Ricreare un ambiente naturale, questa è la cosa veramente importante…

 

 




Agronomo e anche Agricoltore, Winemaker e anche Cantiniere, Italiano ma anche Catalano… lui è Marco Bernava

Giacomo Leopardi, mio poeta prediletto scriveva: “Sono convinto che anche all’ultimo istante della nostra vita ognuno di noi può cambiare il proprio destino…” Io ci credo fermamente. Per farlo l’unica è lasciarsi andare, e vivere tutto quello che si può vivere…

Non fraintendetemi, non faccio cose folli,  ma se mi trovo davanti ad un’opportunità la colgo al volo. Ho imparato a farlo negli ultimi due anni vita, e vi assicuro che ne vale veramente la pena.  Nello stesso modo, quando mi si propone una persona da conoscere, che mi viene presentata per la sua unicità, non mi tiro mai indietro. E’ un viaggio nelle anime, spesso molto intimo ed emozionante. Il risultato è un arricchimento personale di conoscenza e di esperienza, che regala veri momenti di vita… Fu così che un giorno un’amica mi parlò di Marco Bernava, vignaiolo italiano in terra di Spagna.

Lo conobbi dapprima al telefono, e poi successivamente per mesi e mesi con uno scambio di mail.  A volte con veri e propri disappunti, a volte con prese di posizione… Un’amicizia vera e sincera che è cresciuta col tempo, e che mi ha portato ad affezionarmi sempre più alla persona che stavo imparando a conoscere, e ad apprezzare. C’eravamo ripromessi alla prima occasione possibile d’incontrarci. Ebbene qualche settimana fa, la stessa amica che mi mise in contatto con lui,  con una scusa mi spinse a recarmi all’esterno dello stabile in cui mi trovavo per una piccola cosa da risolvere. Non avete idea della mia espressione quando lo vidi sulla porta. Lo abbracciai forte, felice ed emozionata come da tempo non mi capitava…

Vigneti Bernavi'

Vigneti Bernavi’

Vi presento Marco Bernava, il mio caro  Marco, un uomo di terra e di vino… 

  • Marco, la prima volta che ti parlai al telefono ti chiesi di raccontarmi un po’ di te. Le tue parole mi bastarono a capire.  Immagina di tornare indietro nel tempo, era il 19 Dicembre del 2011. “Ciao Marco sono Cinzia, mi hanno parlato di te, raccontami…?”

“E’ una bella domanda! – mi dissi – come farò a riassumere tutte le mie inquietudini in una telefonata senza apparire un folle?”. E ora mi ritrovo con lo stesso dilemma, ma il titolo della nostra chiacchierata riassume bene alcuni degli aspetti centrali del mio “raccontarmi”. Ho 35 anni, sono nato a Milano e sono laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie con una tesi sperimentale in viticoltura ed enologia. Ho degustato personalmente e professionalmente l’Italia vitivinicola da nord a sud fino a maturare l’idea della sfida più grande ed avvincente: “Diventare produttore vitivinicolo!”.

Ecco il mio essere orgogliosamente italiano, agronomo e winemaker. Ma come grande amante del sistema naturale in cui vivo, e di cui l’agricoltura ritengo sia la vera strada dell’esserne parte integrante, ho deciso di fare un passo oltre i miei studi e diventare anche agricoltore, viticoltore e cantiniere. Ho deciso di farlo in terra Catalana (Spagna), dove lavoro nei vigneti e nella nostra cantina di proprietà, guidato dalla passione per il vino, insieme alla mia compagna Ruth (la vera catalana), e mio fratello Gino.

  • Dove ha origine la tua passione per la terra e per la viticoltura?

Sono profondamente convinto che ogni essere umano abbia la necessità del contatto con la terra e con la natura. Sai perché una persona quando va in montagna e vede un bosco, o vede un campo coltivato e rigoglioso, o un bel frutteto, si sente così bene che spontaneamente esclama: “Che meraviglia di posto”? Per il colore verde che ci da questa sensazione. È infatti dimostrato che la semplice vista del verde della vegetazione, viene associata nei meandri ancestrali del nostro cervello all’abbondanza: “Vegetazione significa acqua, significa presenza di animali, significa cibo”. Ecco perché quando evadiamo dal cemento e dall’asfalto, ci sentiamo bene.

Noi siamo parte della natura, ma ne abbiamo perso la coscienza”.

Con questo preambolo rispondo al perché della mia passione per la terra: “La sento parte di me!” In più studiare i sistemi ecologici, gli esseri vegetali e gli animali da un punto di vista biologico e poi tecnologico e applicativo, ti concede il lusso di capire meglio il mondo naturale e il ruolo dell’essere umano come facente parte di questo mondo. Il comprendere poi come poter approfittare in modo intelligente delle risorse naturali per creare alimenti ti svela l’intersecarsi dei cicli biologici e l’essenza dell’ecologia. Inoltre, le mie origini familiari sono legate all’agricoltura, e credo che nei miei geni si sia risvegliata questa voglia di riprendere i capitoli iniziati dai miei nonni.

La mia passione per la viticoltura é presto detta. Le piante del genere Vitis hanno un fascino speciale, una fisiologia molto complessa che le rende dei vegetali con un’ecologia interessantissima e con potenzialità enormi. L’addomesticazione delle piante di vite durante i secoli é uno dei bagagli culturali e tradizionali più importanti che abbiamo. I risultati che oggi giorno possiamo apprezzare degustando vini, derivano da un percorso lungo e tortuoso. E di questo percorso fa parte anche l’enologia con le sue pratiche tanto naturali quanto complesse, proprio in virtù della loro naturalità.

Vigneti Bernavi'

Vigneti Bernavi’

  • C’è una persona che ha influito nelle tue scelte?

I miei genitori hanno studiato per lavorare nel settore dei servizi a Milano; si sono sempre sacrificati perché io e Gino già da piccoli, potessimo godere del colore verde, potessimo nuotare nel mare o nei laghi, potessimo evadere dalla città, e potessimo mantenere il legame con la natura. Loro, e le origini contadine dei miei nonni, hanno mantenuto vivo in me l’amore per la terra, e hanno sicuramente influito sulla scelta di dirottare il mio viaggio sul settore primario.

I miei studi mi hanno da subito avvicinato alla viticultura e all’enologia, una delle branche dell’agroalimentare più avanzate a livello di studi e di conoscenze acquisite.  Effettivamente, curiosando nelle molteplici stanze del settore primario, un quadro mi ha colpito in modo fulmineo… amore a prima vista direi: “Il Vigneto!” E a marcare definitivamente l’interesse nell’approfondire la mie conoscenze sul sistema vigneto, è stato un uomo durante una conferenza: Attilio Scienza. La sua visione del terroir viticolo, e del ruolo della gestione agronomica nel sistema vino derivante anche dai principi del grande Mario Fregoni,  mi hanno catturato da subito. Riconosco che sono la base della rielaborazione del “mio” fare vino.

  • Mi racconti il tuo percorso professionale in Italia?

Tortuoso e breve direi. Dopo la laurea ho avuto la fortuna di collaborare con il Di.Pro.Ve. della Facoltà di Agraria di Milano.  Per il mio modo di essere, credo che la carriera accademica non mi si addiceva soprattutto a 25 anni. La volontà di toccare con mano la quotidianità della vitivinicoltura mi ha spinto a cercare lavoro come agronomo d’azienda. Dopo alcune brevi esperienze in Friuli e in Toscana sono approdato nelle Marche, e ho iniziato a lavorare con Antonio Terni alla Fattoria Le Terrazze. Qui ho potuto collaborare alla creazione di grandi vini, con grandi tecnici, con una grande squadra di persone, ed un grande Antonio. La mia sete di esperienze mi ha portato anche nel sud Italia nella zona del Vulture, per poi ritornare nella bergamasca. Ma ormai dovevo fare i conti col mio vero obiettivo, e con la mia sete ormai non più domabile di costruire il mio progetto personale.

  • Cosa ti ha portato a produrre vino in terra di Spagna?

Il mio legame con la Spagna (meglio detto con la Calalunya) è datato 1996, anno in cui ho conosciuto Ruth. Questa terra ha grandi potenzialità a mio avviso, molte inesplorate. Per un giovane inquieto e agli inizi come me, era una terra “possibile” per iniziare un progetto così importante. L’ Italia con lo sviluppo del settore degli ultimi vent’anni è divenuta terreno difficile per i piccoli promotori, soprattutto se giovani e “ignoti”, a meno di non spingersi in zone dove l’insediamento di un forestiero risulta difficile per ragioni più sociali che non economiche (e parlo di realtà vissute e ben note date le mie origini).  La Spagna lascia qualche porta aperta all’insediamento in parte per fattibilità economica di determinati investimenti, e in parte per una volontà amministrativa e politica di voler mantenere giovani nelle zone rurali (volontà questa, dettata da esigenza e non sicuramente da altruismo e giustizia; la Spagna è rurale, e i voti in zona rurale hanno un peso diverso da quello delle regioni urbanizzate).

Senza addentrarmi in discorsi che ci distoglierebbero dall’argomento vino, riassumo la mia risposta con un gioco filologico e che risulta essere romantico: “In lingua italiana distinguiamo la “viticultura” (ossia il bagaglio culturale legato al mondo viticolo) dalla “viticoltura” (la coltivazione della vite);  in lingua spagnola e catalana, esiste solo la “viticultura”.  Ed io sono un tecnico che si ritrova in un posto senza “viticoltura”!

  • “Io vivo il vino.” Sei sanguigno e combattivo come me. Nel tuo vino si sente il carattere che ti contraddistingue. Quando l’ho bevuto la prima volta ho avuto come una proiezione nella mia mente ricordando i tuoi racconti sulle difficoltà, le fatiche e le emozioni per produrlo. Raccontami il tuo vino?

Se il mio lemma è “in vino vivendo”,  il lemma della Cantina BERNAVÍ è “interpretando il terroir”. Credo che in parte ti puoi dare una spiegazione sul perché!

“Il vino è lo specchio di chi lo fa,  tecnicamente,  sentimentalmente e filosoficamente. Io cerco di trasmettere alla bottiglia la mia interpretazione delle potenzialità delle nostre vigne, sia scegliendo i vitigni, che valutando le annate

Sin dal momento in cui ho deciso le varietà da reimpiantare ho fatto una scelta interpretativa. La gestione agronomica si deve modellare ogni anno sull’andamento climatico e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ed il lavoro in cantina deve rispettare le risposte che ogni anno ogni varietà ci regala (nel bene e a volte nel male!),  proprio per creare un vino originale, che è variabile in quanto prodotto naturale. É proprio la naturalità del prodotto vino che mi ha spinto a non accogliermi a nessun disciplinare di produzione, e che mi fa schierare chiaramente contro tutto il rumore a livello europeo sulle norme di qualificazione dei vini. Il vino di BERNAVÍ vuole essere sincero e immediato come me, come noi!

Siamo noi tre a lavorare e per questo la cantina porta il nostro nome. Per questo i nomi dei nostri vini sono tanto immediati.

Un bianco vendemmiato di notte per sfruttare il libeccio fresco, e con la luna che fa risplendere i terreni calcarei: Notte Bianca.  Un rosso,  giovane frutto del lavoro di tre anime e del coupage (taglio) di tre varietà tanto diverse quanto complementari, con vinificazioni ad hoc per ognuna di esse: 3D3.  In itinere le riserve in botti di gran volume, che racconteranno le concentrazioni eccezionali di cui  capace questo terroir…

“Il calice di vino deve raccontare il duro lavoro in vigneti gelidi d’inverno e torridi d’estate, in condizioni tanto estreme quanto affascinanti; deve raccontare di schiene curve sulle viti cercando di capire le necessità di ogni pianta, dalla potatura alla vendemmia…”    Marco Bernava

 




La Natura… cura! Oggi si parla dell’Imperatoria!

Una chiacchierata a tre. 

Cinzia Tosini: A rieccomi! Ciao Giustino, ciao Fausto! Oggi si torna a parlare di erbe… e quindi siete interpellati! Passeggiando in alpeggio con dei produttori di Fontina, si chiacchierava di questa pianta che loro utilizzano (foglie e fiori) per tutto! Ma dico tutto! Per le infiammazioni, le dermatiti, contro le malattie da raffreddamento, per i problemi digestivi, e chi ne ha, più ne metta! Insomma ne vogliamo parlare! Daiii, quando avete finito di spalmarvi la crema abbronzante e di prendere la tintarella, su a documentarsi che oggi si parla di erbe medicinali! A proposito vi allego la foto della pianta che ho fatto personalmente a 2000 metri, si chiama Imperatoria (Peucedanum ostruthium) o Agrù in dialetto Valdostano.

Giustino Catalano: Ma quali creme!! Che fai sfotti? 😉 Incominciamo col dire che l’Imperatoria… si trova anche a quote più basse, e al sud.

Fausto Delegà: Io la conosco l’Imperatoria, già dal nome un programma! Ho assaggiato in Francia liquori frataioli a base di questa simil Angelica. Certo gli oli aromatici dei suoi rizomi sono tanti. So che in Svizzera usano le foglie e il rizoma per aromatizzare formaggi.

Cinzia Tosini: Fausto non ci crederai… Mentre si parlava con il produttore di Fontina, sugli usi di questa pianta, ad un tratto ho detto: “Ma metterla nella fontina, noo?!” Inizierà a farlo… Avremo fontina terapeutica!

Giustino Catalano: Questa cosa mi interessa e non poco!

Fausto Delegà: Bella la notizia della futura fontina… curativa, ah ah 🙂

Cinzia Tosini: Un anziano contadino Valdostano mi ha raccontato, che sia le foglie che il rizoma dell’Imperatoria, sono utilizzate a scopo terapeutico da generazioni. Dunque, lui a tutt’oggi le fa seccare all’ombra, poi le mette in una scatola traspirante, e poi per tutto l’anno le usa per infiammazioni cutanee varie. Fa bollire l’estratto secco, che poi mette in un panno chiuso utilizzandolo a mo’ di tampone imbevuto con il liquido rimasto. Tamponato sulla parte lesa sembra miracoloso… anzi lo è!

  La natura… cura! 😉




I radici e fasioi della Jija

La ricetta : “I Radici e i Fasioi”

Apro le finestre e il mio sguardo si perde… ricordi di campagna, di risate di bambini, di profumo di fieno, di piedi scalzi sull’erba, di vendemmie festanti e di sonni tranquilli.

Solo chi ha avuto un’infanzia passata così, mi può capire. Può capire quella voglia di tornare con la mente ai ricordi, perché la Terra chiama, riportando ad essi.

lorenzaga-si-sveglia

Ogni anno, esattamente il 29 Giugno – ricorrenza di Santi Pietro e Paolo – venivo accompagnata da mia nonna Jija in campagna, nella piccola Lorenzaga di Motta di Livenza a Treviso. Finite le scuole, finito il collegio, finiti i ritmi severi della vita cittadina, finalmente arrivava la fatidica data. Trecento km e via… e tutto cambiava. Non più palazzi ma campi di vigne, pannocchie, oche, galline… una festa! Appena arrivata mi aggiravo da sola a piedi scalzi sull’erba, come in esplorazione, come per riappropriarmi della mia natura, della mia dimensione…

E ora sono qui, ancora una volta, dopo tanti anni, perché la Terra chiama, e non la si dimentica… E’ l’una di notte.

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Affacciata alla finestra contemplo il paesaggio.  In compagnia del canto delle cicale e dei fruscii degli alberi la mente viaggia…

Ricordo mia nonna Jija, una donna contadina conosciuta da tutti per la tenacia e per la determinazione. Ricordo le mattine, quando mi svegliavo all’alba. Col canto del gallo tutto riprendeva il normale ciclo naturale.

La guardavo nella mungitura, nella preparazione del burro, mentre con la falce tagliava l’erba…  La vita in campagna è di grande insegnamento, i momenti vissuti così di grande intensità.

Non dimentico i sapori, quelli di una volta… Il latte appena munto, il pane con il burro fresco, e… i radici e fasioi!  Una purea di fagioli con cui si condisce il radicchio fresco.  Vi assicuro, una vera prelibatezza!

Mia nonna durante l’estate preparava spesso questo piatto, uno tra i miei preferiti. Oggi la voglio ricordare così.

Radici e fasioi

   Preparazione:

  • In un tegame mettere i fagioli borlotti (fasioi) precedentemente ammollati per dodici ore circa.
  • Unire della cipolla tritata, due patate a pezzi, un gambo di sedano a tocchetti, due ossa di maiale, della cannella in polvere, sale e pepe quanto basta.
  • Fare cuocere lentamente fino a che i fagioli saranno morbidi. Quindi, estrarre le ossa e passare il tutto fino ad ottenere una crema densa e omogenea.
  • Nel frattempo far rosolare dei pezzettini di lardo, che a fuoco lento rilasceranno il loro naturale grasso da usare come primo condimento del radicchio.
  • Servire in tavola il radicchio (radici in dialetto), con  la salsa di fagioli che verrà cosparsa sopra come tocco finale.

A proposito di questa ricetta, è usanza locale dire mentre la si mangia: “Magnar e morir”

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