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“Le Prisonnier” de La Maison Anselmet

Visitare i vigneti in Val D’Aosta è sempre una vera esperienza… La frammentazione degli appezzamenti, il variare delle altitudini, i suggestivi terrazzamenti dei terreni alla vista fanno riflettere sul duro lavoro dei viticoltori valdostani.

Da sempre chiamata viticoltura eroica… eroi i suoi uomini e le sue donne che con tenacia lavorano la terra. Quando ci viene versato un vino valdostano osserviamolo con occhi attenti.  Degustandolo poi, coglieremo tutta la determinazione, la fatica e l’impegno di chi con passione fa dei vini della Val d’Aosta un’orgogliosa Tipicità Italiana.

I vigneti della Maison Anselmet a Villeneuve (AO), ne sono fiera testimonianza. Ho avuto il piacere di essere guidata nella mia visita da Renato Anselmet che nel 1978 ha voluto dare continuità alla tradizione familiare per produrre vino, e non solo per se.  Chiacchierando seduti in sala degustazione mi ha detto: “Ho iniziato con 70 bottiglie, ora con Giorgio Anselmet, attuale “condottiero” della Maison,  siamo arrivati a 70.000”

Mi ha colpito in particolare il racconto di una vigna “imprigionata” tra due formazioni rocciose nella zona di produzione del VdA Torrette DOC.  La sua particolarità  è la doppia escursione termica: “Al mattino avvolta da basse temperature che durante il giorno risalgono. Quando poi alla sera la temperatura tende a calare nuovamente, il calore della roccia trattenuto durante il giorno mitiga questa condizione”. Il risultato è Le Prisonnier, vino prodotto sperimentando nella vinificazione un metodo risalente a documentazioni del 1800.

Un vino unico… da liberare…

“La vite é come un figlio… se la senti, se la ami… se é tua, lei ti restituisce nel suo crescere l’amore che le hai dato… il grappolo si esprime cosí”

Gabriele Gianni (Vignaiolo di Villeneuve)

 




Vite… di Vino: Vi presento Cristina Inganni

Non ci sono vite facili… ci sono Vite se vissute. Viviamo e cresciamo nel dolore, nell’esperienza, nella gioia, nella conoscenza.  La Vita nella Terra… Vite di Vino.

Era una mattina d’estate quando ancora sonnecchiante, nel chiacchiericcio spensierato con amici pianificavo la giornata. A un tratto l’amico chef Fabio Mazzolini mi disse: “Non puoi partire senza conoscere Cristina Inganni dell’azienda vitivinicola La Cantrina!”

Ascolto sempre i buoni consigli, la mia vita ormai è condotta dal passaparola delle persone che conosco e che mi indicano la tappa successiva. Io vado, ascolto, e racconto, e alla fine mi sento dire: “Cinzia devi conoscere…”  E’ quasi un rituale ormai, alcuni lo chiamano “percorso”, io dico che è solo vivere la vita, momento per momento… intensamente, come per me mai è stato prima. Basta farsi cullare dai venti, a volte buoni e a volte cattivi… ma il vento non si ferma mai, ti spinge, e ti rialza…

Presi accordi al telefono,  e arrivai da Cristina di prima mattina. Sono sempre molto emozionata mentre percorro la strada che mi conduce alla conoscenza di nuovi luoghi e persone. Sono le mie avventure preferite, mi piace viverle tra me e me per assaporarle appieno…   Appena giunta a destinazione la vidi leggermente agitata. C’era un po’ di scompiglio dovuto al fatto che il cane di Cristina aveva appena attaccato con triste esito un coniglio uscito inavvertitamente dalla gabbia.  La reazione dei suoi bambini fu quella che potete immaginare…  Appena la situazione rientrò nella normalità, ci avviammo per la visita. Dopo uno sguardo alla vigna che generalmente contemplo per conto mio, quasi fosse un biglietto da visita, andammo in cantina, e li iniziammo a raccontarci…

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Cristina era incuriosita da questa mia necessità di scoperta e d’apprendimento. Le spiegai che in questa “mia seconda vita” la conoscenza è fondamentale, viene prima di tutto… nulla mi appaga e mi soddisfa di più. Ascoltare le Storie della gente è come un viaggio nel tempo e nello spazio…

Dalle cantine ci spostammo nella sala degustazione,  li mi raccontò dei suoi vini e del suo percorso di vita.  Lei non è nata vignaiola, la sua vena creativa l’aveva portata all’Accademia delle Belle Arti a Milano. Fu il primo marito Dario Dattoli  nel 1990 a intraprendere questa attività.  Dario noto ristoratore bresciano e appassionato di vino diede la spinta iniziale all’azienda, fino a che una mattina del 1998 Cristina ricevette una telefonata. Un incidente con un mezzo meccanico pose fine alla vita di suo marito nelle stesse vigne che lui tanto amava.

Spesso diamo troppe cose per scontate… non ci rendiamo conto che basta un attimo e tutto cambia,  a volte nel bene, a volte nel male… Sono le prove alle quali la vita ci sottopone, sta a noi poi reagire e rialzarci. Cristina Inganni ce l’ha fatta, è subentrata nell’Azienda Agricola La Cantrina nel 1998, sei ettari di vigneto che gestisce con la fondamentale collaborazione di Diego Lavo, esperto viticoltore. La Cantrina, dal nome del piccolo borgo rurale della Valtènesi, nel comune di Bedizzole (BS),  nell’entroterra del  Lago di Garda.

La sua formazione artistica ha dato un’impronta creativa sia all’attività in vigna che all’attività in cantina.  Lei ama definirla così: Un libero esercizio di stile… libero perché mi piace essere creativa, esercizio perché io chiamo esercitazioni i miei vini, stile perché ognuno di noi possiede il proprio. Produce cinque varietà di vini: Sole di Dario un vino passito dolce,  a ricordo del primo marito,  Rine IGT  Benaco bresciano bianco, Corteccio IGT Benaco bresciano Pinot Nero, Zerdi IGT Benaco bresciano rosso e Nepomuceno IGT Benaco bresciano merlot. (IGT: Indicazione Geografica Tipica).

Finimmo per parlare delle mie perplessità sull’espressione “terroir”.  Questo termine francese dal significato assai discusso, esprime un territorio nel quale l’interazione dell’ambiente fisico e biologico, e dei fattori umani, determina la tipicità di un prodotto. Io sarei per lasciare ai Francesi la loro espressione. Noi Italiani abbiamo la nostra, “la tipicità”, quell’armoniosa combinazione di elementi che l’uomo con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio.

Tipicità del vino: “Espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno,  al territorio e al clima”

Ad un certo punto Cristina mi disse: “Cinzia, devi parlarne con Angelo Peretti…” (direttore del periodico online internetgourmet.it).   Lo stesso pomeriggio passai con Angelo ben mezz’ora al telefono. Fu molto esauriente, ma… c’era ancora un “ma”  che sciolsi leggendo la definizione del terroir data da Luigi Veronelli:

…è il canto della terra e l’anima del vignaiolo.

Il vino nasce prima nella testa, ancor prima che nel vigneto, ancor prima che in cantina… devi avere un’idea del vino esattamente come nell’arte…   Cristina Inganni

 




DiVini Fermenti… mossi, e fermi!

E dove non è vino non è amore… né alcun altro diletto hanno i mortali…  Euripide (480-406 ca. a.C.)

In effetti  il termine vino ha origine dal verbo sanscrito vena, amare… e  io il vino, lo amo! Questa bevanda alcolica fin dall’origine dei tempi suscita emozione, poesia… con i suoi profumi inebria le menti, diletta i palati, e allieta la vita…

Ma partiamo dall’inizio…  che cos’è il vino?

Questo nettare è una bevanda alcolica ottenuta della fermentazione, (trasformazione chimica del frutto della vite, l’uva) che si innesca grazie ai lieviti presenti naturalmente sulla buccia dell’acino.

DiVini Fermenti… tutto ha origine da li… Jack Kerouac, scrittore e poeta statunitense diceva: C’è saggezza nel vino”.  E come dargli torto!

Ci sono vini fermi e vini mossi… La scelta dipende dal gusto soggettivo, a volte dall’intensità del  momento che si vive. Il vino ci accompagna nelle fasi della nostra vita, per me che lo amo e lo vivo,  è così…

Ma devo rompere l’incantesimo in questo momento di poesia per scagliare l’ennesima pietra su un termine che proprio non sopporto! Un termine che ritengo non faccia cultura del buon vino, che lo sminuisca… un termine che mi ricorda una bevanda gassata! Ma vogliamo scherzare! Io proprio no! Penso che avrete già capito a che parola mi riferisco… Quando mi sento dire: “Vuole una bollicina?”  La mia faccia fa di quelle smorfie!!  “Una bollicina dico!?  Ma quale bollicina, io bevo vino!!

Direi a questo punto di fare un brevissimo ripasso, mi raccomando che gli esperti non si offendano… Il ripasso è per noi consumatori appassionati, quelli che influenzano il mercato…

Il vino può essere fermo o mosso.

– Il vino fermo subisce generalmente solo la fermentazione alcolica con la quale gli zuccheri presenti nel mosto (liquido ottenuto dalla pigiatura dell’uva), vengono trasformati in alcol etilico. Quando invece gli si vuole dare più morbidezza, si procede con la fermentazione malolattica (con questo passaggio si trasforma l’aspro acido malico presente nell’uva, nel meno acre acido lattico).

– I vini mossi invece, subiscono una seconda rifermentazione, la fermentazione carbonica, con cui i lieviti per l’appunto trasformano lo zucchero in anidride carbonica dando vita alla presenza di piccole bollicine. Più sono ricche, fini e persistenti, più il vino è di qualità.

I vini mossi possono essere ottenuti con due metodi:

  • Con il Metodo Classico o Méthode Champenoise, il vino viene fatto rifermentare in bottiglia dopo essere stato addizionato con il liqueur de tirage, una miscela di vino con una ben determinata quantità di zucchero di canna, di lieviti, e di sostanze minerali. Con questa tecnica si ottengono vini mossi di qualità che richiedono un tempo di fermentazione più lungo del metodo qui di seguito descritto. Vini più complessi, vini a tutto pasto…
  • Con il Metodo Martinotti  (Federico Martinotti è l’inventore di questa tecnica risalente alla fine dell’800) o Metodo Charmat (Eugene Charmat brevettò l’invenzione di Martinotti),  invece la seconda fermentazione dura pochi mesi, e avviene in grandi recipienti o autoclavi con l’aggiunta della medesima miscela di lieviti. Questi vini sono più freschi, semplici e profumati…

Tornando alle famigerate bollicine qualcuno dirà: “Ecco la rompi all’attacco!”  Bè, dico semplicemente quello che penso, sempre pronta a cambiare idea qualora quella proposta sia migliore della mia… e non sono la sola. Riporto alcuni recenti commenti legati all’argomento…

  • Aldo Cannoletta, appassionato e Sommelier degustatore di provenienza Fisar: “Cinzia, sono in sintonia totale con te, è un’espressione inespressa e squalificante. Una semplificazione semplicistica e impropria  perché  le bollicine sono presenti in tutte le bevande gassate.  Parliamo di un prodotto che nasce come vino per diventare… bollicine!!”
  • Marcello Malta, giornalista, conduttore tv, direttore responsabile di magazine, editorialista sportivo, responsabile di redazione di due riviste di enogastronomia, Sommelier AIS, giudice enologico: “Oggi con “bollicine” mixi vini come Prosecco, Franciacorta e persino i frizzanti o quelli dal leggero pétillant (effervescenza). Almeno tra quelli che ne sanno un po’ meno…  Per non parlare, poi, di quando le “bollicine” te le chiamano “prosecchino” indipendentemente da regione, provenienza, uve e qualità. Uno sfacelo! E alla fine, lo sappiamo bene, Vox Populi, Vox Dei. Pertanto la generazione della confusione è in atto già da un po’. Io sarei per cestinarlo…”
  • Tommaso Ponzanelli, uomo appassionato che ama raccontare di come la terra porta il vino nel bicchiere: “Sul termine bollicine sono tollerante se riferito a spumanti o champagne in senso affettuoso… Purtroppo in Italia non abbiamo avuto la capacità o la sensibilità di valorizzare certe produzioni e di dare loro una riconducibilità al territorio ed al metodo usato. Penso che l’errore consista nella parola spumante che è terribilmente generica.  In Francia lo Champagne che è uno spumante si identifica solamente come Champagne, e così con il Cremant d’Alsazia o con il Cremant di Borgogna dove si trovano prodotti eccezionali ma che non sono Champagne. Voglio dire che dovrebbero essere identificati con una determinata zona.”

Concludo io, dicendo che sarebbe opportuno legare il nome dei vini di qualità al territorio, ma soprattutto al produttore. Generalizzare crea solo continua confusione, e non premia chi lavora bene e con impegno…

DiVini Fermenti… mossi, e fermi”

…l’umor dolce dei grappoli,
l’umido succo che solleva i miseri d’ogni cordoglio, allor che si riempiono dell’umor della vite, e dà nel sonno l’oblio dei mali cotidiani; e farmaco altro non v’è delle fatiche…

 Euripide (480-406 ca. a.C.)




La dolce Stevia, la green revolution!

Sono donna di molte passioni è fatto risaputo… Una di queste è per le piante medicinali, le erbe spontanee, e i rimedi naturali. Appena ne sento parlare è come se un’antenna sulla mia testa si alzasse per captare il segnale.

L’abuso dei farmaci è ormai sotto gli occhi di tutti.  E’ consuetudine fare la coda non dal fruttivendolo… ma in farmacia! Mah! 🙁 Dobbiamo fare un passo indietro, e ritornare ai vecchi sistemi di una volta, ove possibile ovviamente.

Recentemente ho percorso 400 km per ascoltare un medico in un castello in Piemonte. Insieme si è discusso di natura, di biologico… concetto a volte abusato e non sempre realmente praticato, e di rimedi naturali.  Ma è stato il nome, e soprattutto le proprietà di una pianta a catturare la mia attenzione: la Stevia Rabaudiana. La conoscete? Dite la verità però! 😉 Io l’ho conosciuta quel giorno. Subito dopo, a casa, ho incominciato a cercare informazioni, e con mio stupore ho scoperto che molti come me, non la conoscevano affatto… esperti e non esperti. Ero decisa, e volevo fortemente che qualcuno ne scrivesse com’è giusto che sia. L’amico Giustino Catalano ha accolto la mia richiesta…

La dolce Stevia… la green revolution!

di  Giustino Catalano

Personalmente non ho mai creduto ai complotti in campo alimentare anche se poi molte volte ho dovuto constatare nei fatti che esistevano. Quello della Stevia Rabaudiana, e non perché lo dica io, pare però proprio esserlo a detta di molti. Ma come direbbe l’amica Cinzia Tosini partiamo dalle fondamenta!

La Stevia Rebaudiana è una pianta perenne originaria delle zone di confine tra Paraguay e Brasile. In pieno sviluppo raggiunge gli 80 centimetri di altezza. La particolarità di questo simpatico e sempreverde arbusto, è che ha il potere di dolcificare, e che è adoperata dalle popolazioni sudamericane da sempre. Molti di voi diranno che in natura anche molte altre piante hanno tale potere. Vero.

Dovete sapere però che da studi condotti questa pianta si può adoperare sia sotto forma di foglie fresche che secche. Una volta tritate il loro potere dolcificante è di 20/30 volte superiore a quello della stessa quantità di zucchero. Tale potere diventa di 200/300 volte maggiore se si adopera un suo estratto, che se concentrato in acqua, lo è ben 70 volte di più!

Grande potere dolcificante. Interessante ma nulla di nuovo neanche qui se non che è naturale a differenza di altre sostanze in commercio. Ma non finisce qui… anzi direi che qui viene il bello.

Ecco cosa hanno riscontrato gli studi effettuati:

  • Non contiene calorie e quindi è ottima nelle diete senza dover rinunziare a dolcificare.
  • Non altera i livelli di zucchero nel sangue e quindi è idonea per i diabetici.
  • Inibisce la formazione della carie e della placca dentale e quindi può essere adoperata nei dentifrici
  • Riduce i livelli di colesterolo.
  • Ed inoltre, può essere adoperata in cucina, in cosmesi, è antibatterica, antifungina,  aumenta le difese antiossidanti proteggendo i vasi e il sistema cardiovascolare, guarisce dermatiti ed eczemi… insomma un miracolo della natura!!

Ma dove si trova vi chiederete…? Fino a pochi mesi fa in Europa era vietata (Svizzera esclusa!). Perché…? Era sospettata di essere cancerogena.

La cosa strana è che questa pianta si adopera in tutto il Sud America (addirittura in Brasile come rimedio della medicina popolare contro il diabete), in Messico, in Canada e negli USA, in tutto il sud est asiatico arrivando anche ad essere il dolcificante di alcune note bevande con le bollicine in Giappone, e in Israele.

Insomma mancavamo solo noi europei all’appello… il perché non si sa. Forse siamo più prudenti di altri e alle cose ci arriviamo dopo qualche millennio di sperimentazione!!

Ora io non so se si possa parlare di complotto, ma sta di fatto che da quando ne è stato ammesso l’uso sono comparse le prime bustine di questo miracolo, e le piante da coltivare sul proprio balcone… Si, perché ognuno di noi potrebbe coltivarsela e dolcificarsi ciò che vuole… peccato che non si reperiscono facilmente in commercio. Solo su noti siti on line qualcuno le tratta.

Strane coincidenze… Certo è che se ognuno di noi potesse coltivarsela sul proprio balcone finirebbe un grande mercato che è quello degli zuccheri raffinati… e comincerebbe la vera prima grande green revolution!

 




Il vino come lo vivo io… “La Cascina I Carpini dei Colli Tortonesi”

Il vino è molto di più di una bevanda, il vino è storia, è pensiero, è filosofia di vita. Questo è il mio pensiero, questo è il mio modo di vivere il vino.

Sto guardando una bottiglia di vino, o meglio una bottiglia di vino d’arte.   Mi concentro sull’etichetta: colori caldi d’autunno, di terra, di fuoco, di passione.

Sul sigillo lo stemma araldico della famiglia che lo produce: un uomo, una bandiera, una corona. Il mio sguardo si fissa. Mi concentro. Ricordi di tempi passati, di onore, di gloria.  Ora faccio roteare la bottiglia, e leggo:

“Un vino d’oro splendeva nei bicchieri che ci inebbriò l’amore, nei tuoi occhi neri,  fuoco in una radura s’incendiò”  A. Bertolucci

Un Barbera Superiore 2006 dei Colli Tortonesi V.Q.P.R.D. (vino di qualità prodotto in regione determinata) di  Paolo Carlo Ghislandi della Cascina I Carpini.  Ora apro la bottiglia e libero i profumi. Lo verso, e mi approprio dei sentori, e mi inebrio nei ricordi.

Tempo fa ho visitato l’Azienda Agricola Vitivinicola Cascina I Carpini del caro amico Paolo Carlo Ghislandi.  Situata a Pozzol Groppo in provincia di Alessandria, concede oltre ad una piacevole gita nel silenzio dei colli tortonesi,  una degustazione di ottimi vini che Paolo produce unendo tecnica e tradizione.

Sette Zolle,  Bruma d’Autunno, Falò d’Ottobre,  Brezza d’Estate, Rugiada del Mattino e il Chiaror Sul Masso Spumante Brut Metodo Martinotti, più che nomi di vini, vini che richiamano alla natura, alla poesia e all’arte.

 




Sorseggiando succo d’Uva… oggi si parla di ambiente! Progetto Ita.Ca.® (Italian Wine Carbon Calculator)

Durante i miei giorni di vacanza nella rigogliosa terra gardesana mi son detta: “Cinzia in questi giorni solo relax… lago, letture e chiacchiere”.  A quelle proprio non posso rinunciare, a meno che non intervenga il mio caro amico e medico Enzo Primerano con l’anestesia… ma totale 😉

Va be’, ora bando agli scherzi che si parte con la mia storia!

Una mattina chiacchierando con Adriano Liloni nel suo locale a Moniga del Garda  “I Sovversivi del Gusto”, più che un nome un programma, ma lo capirete andando ;-),  dopo aver fatto un po’ del mio classico folklore non riuscendo a trattenermi gli ho chiesto: “Adriano, ascolta un po’… ma un posticino di quelli giusti, con le persone giuste… e che soprattutto fanno “tipicità ” da visitare, noo?”  Bè,  i nomi proposti molti… La mia curiosità però scattò quando lui pronunciò il nome di un produttore di “succo d’uva”.  Ricordo che da ragazzina a Treviso mentre seguivo mio zio Edoardo in vigna, chiedevo spesso: “Zio ma perché se l’uva è un frutto non può essere trasformata in un succo?”.  Lui mi rispondeva che era fatta per fare il vino, e la questione si chiudeva.

Ma visto che, come si suol dire, la curiosità è il motore della conoscenza, chiavi inserite e… pronti, via!!

La Cascina Belmonte è un’azienda agricola che fonda la sua attività vitivinicola su un approccio di rispetto dell’ecosistema e di conservazione del territorio.  Sette ettari di vigneto a Muscoline in provincia di Brescia, in cui ho fatto una piacevole passeggiata mentre aspettavo la mia guida, Enrico Di Martino, titolare e agronomo dell’azienda.  Enrico mi ha spiegato come nelle sue vigne non venga utilizzato nessun trattamento erbicida, insetticida, antibotritico…  insomma si punti ad un vino pulito,  tanto da lavare l’uva prima di vendemmiarla!

La visione ecologica nel vigneto favorita dall’adozione di strategie naturali che puntano al rispetto di una biodiversità tesa alla tutela dell’ambiente, è un argomento a cui tengo molto  e che ho voluto approfondire.

  • Enrico, a questo proposito vuoi parlarmi del progetto Ita.Ca.® (Italian Wine Carbon Calculator) finalizzato alla misurazione dell’Impronta Carbonica. Che obiettivi ti prefiggi aderendo?

Il progetto Ita.Ca.® è un progetto di rilevanza nazionale finalizzato al monitoraggio e alla riduzione delle emissioniVendemmia aziendali di gas serra.

L’obiettivo del lavoro svolto è quello della misurazione della cosiddetta impronta carbonica, ovvero la quantificazione delle emissioni di gas serra nell’azienda vitivinicola, con contemporanea individuazione degli ambiti maggiormente impattanti all’interno dell’intero processo di produzione, e delle aree su cui agire più efficacemente attraverso azioni concrete e circoscritte, per la riduzione delle emissioni stesse.

In un momento in cui, anche le scelte di consumo risultano sempre più orientate a supporto di prodotti e filiere rispettosi dell’ambiente, assume maggior rilevanza la capacità di fornire informazioni chiare su pratiche e processi, affinché anche il consumatore con le sue scelte possa premiare aziende e territori impegnati nella ricerca di una possibile sostenibilità ambientale. Essere viticoltori è un impegno antico che oggi comporta un’opposizione strenua all’impoverimento dei territori, percorribile soltanto grazie alla valorizzazione delle inclinazioni naturali, e realizzabile solo in presenza di un’imprescindibile sostenibilità ambientale ed economica dei processi produttivi. Conservazione e valorizzazione del territorio sono il punto di partenza di una viticoltura attenta, capace di sfruttare con intelligenza, rispetto e lungimiranza le risorse disponibili, e di avvicinarsi sempre più ad un concetto di piena sostenibilità.

Mi era venuta sete, e quindi visto che dovevo guidare… e sappiamo tutti che chi guida non deve bere… un succo d’uva era perfetto!  Enrico, mi ha spiegato che questa bevanda analcolica è prodotta col 100% di frutta, senza zuccheri aggiunti, senza conservanti, senza coloranti e senza pastorizzazione a caldo.

  • Enrico come ti è nata l’idea di fare un succo d’uva?

L’idea mi è scattata durante un viaggio in bicicletta in Inghilterra.  Avevo una grande sete, e bevendo un succo ho ricavato un piacere così intenso e inatteso che immediatamente ho pensato alla mia materia prima: l’uva. Questo è stato il seme, l’idea iniziale, il blink! Da quel preciso momento è stato come se si fosse aperto un mondo che non potevo più ignorare! Creare con l’uva la bevanda migliore possibile è diventata una ‘necessità’. E’ partita la ricerca in quella direzione… Portare nel bicchiere quell’esperienza così pura e autentica che solo il frutto fresco e naturale riesce a dare.  Lo studio e il lavoro dei tre anni successivi mi hanno poi portato  al “d’UVA”.

  • Che differenza c’è tra vino non alcolico e succo d’uva?

E’ un’interpretazione dell’uva totalmente diversa dal vino, ma ugualmente rappresentativa e rispettosa delle generose qualità di questo frutto d’UVA, una bevanda semplicissima e rivoluzionaria… è il frutto spremuto e niente altro. E’ SENZA ALCOOL perché non subisce fermentazione, e quindi non necessita di essere dealcolizzato come il vino non alcolico d’UVA. E’ uva pressata così com’è, portata a completa maturazione dalla natura stessa. Il trattamento a freddo che subisce, fulcro del suo innovativo percorso produttivo, conserva perfettamente intatte le proprietà del frutto d’origine.

  • Ho potuto apprezzare i tuoi succhi aromatizzati. Mi vuoi raccontare come sei giunto a queste combinazioni?

Merlot-lemongrass-zenzero e merlot-anice-liquirizia, sono il risultato di un lavoro di ulteriore ricerca su sapori e valori nutrizionali fatti con lo chef Davide Garbin. Insieme volevamo dare ai nostri due prodotti in purezza un appeal diverso, unendo le qualità digestive e stimolanti che le erbe e spezie utilizzate ci mettevano a disposizione, a quelle già contenute nell’uva. Sono nati  questi due sapori che conferiscono al d’UVA un carattere deciso, personale, e che si rivolgono ad un pubblico adulto come aperitivo o come fine pasto.

 




“I tortelli di zucca della Gisella raccontati dallo chef Fabio Mazzolini”

La ricetta: “I tortelli di zucca mantovani”

E’ un po’ presto per la zucca lo so, ma il mio pensiero va alla mia cara nonna Gisella. Ho voluto ricordarla così.

Ve l’ho mai detto che sono di origini mantovane…?  Ebbene si!  Li la zucca è una vera tradizione. Ricordo quando mia nonna Gisella mi preparava  i tortelli con la mostarda piccante, gli amaretti e… naturalmente la zucca!  Fantastici profumi e sapori… che ricordi!

Questo ortaggio originario dell’America Centrale,  oltre ad essere famoso per la festa  di  Halloween è conosciuto per le sue proprietà benefiche.  E’ ricco di vitamina A,  di minerali, di fibre ed  è povero di calorie. La sua polpa tritata è utile come lenitivo per le infiammazioni cutanee, mentre il suo estratto è indicato nei disturbi gastrici. In cucina poi trova spazio a molteplici  usi…  dai primi piatti,  ai contorni, ai dolci…

Bene, oggi vorrei ritornare a quei sapori e a quei profumi grazie al caro amico e chef Fabio Mazzolini. Un uomo legato alla natura e alla tradizione… un poeta della cucina.

Fabio, prima di darti il cucchiaio di legno per dirigere l’orchestra, mi racconti un po’ di te…

  • Sei uno chef di successo, ma soprattutto un uomo semplice, simpatico che mi prende in giro di tanto in tanto… Meglio che parli tu, se no lo sai che non mi fermo più… 😉 Come e quando è iniziata questa tua passione?

L’amore per la cucina mi è stato trasmesso dalla mia nonna materna. Gestiva una piccola trattoria di sua proprietà a Desenzano del Garda.  E’ li che ho iniziato a pasticciare con paste e farine…

  • La creatività di voi chef stellati a volte mi fa quasi paura. Ci facciamo due spaghetti aglio e olio mentre ne discutiamo…? Ci stai?

Certo che si Cinzia! Devi sapere che è il mio piatto preferito! Me lo preparo spesso abbondando con l’aglio che faccio fondere lentamente fino a trasformarlo in una morbida crema. L’unico inconveniente è per i poveri malcapitati che si trovano a parlare con me subito dopo! 😉

  • Ora dimmi la cosa che ti piace di più… e non fare lo spiritoso! 🙂 In cucina intendo!

Ora ti spiazzo! Anche se sembrerà strano adoro la cipolla in tutti suoi utilizzi!

  • Mi è venuta una fameee!! Mi prepari una frittatina di cipolle? L’adorooo! (Giuro che quando ho scritto questa domanda non sapevo la risposta precedente)

Ottima scelta… Opterei per una frittata con cipolla bionda a cui abitualmente aggiungo dell’erba di San Pietro!

Ora però bando agli scherzi! Ti passo il cucchiaio di legno, tocca a te dirigere l’orchestra!  Raccontami come fare i tortelli di zucca mantovani, con gli amaretti e la mostarda piccante… quelli della Gisella!

Fabio: Cinzia devi prendere della zucca mantovana della qualità delica.

Cinzia: Delica? Ma come faccio a riconoscerla?

Fabio: Che disastro che sei! Dai che ti metto la foto!:-) Ora tagliala a pezzi e cuocila nel forno per una mezz’oretta.

Cinzia: Fabio ma devo sbucciarla?

Fabio: Assolutamente no! Una volta cotta, schiaccia la polpa con la forchetta, unisci qualche amaretto sbricciolato, aggiungi della mostarda piccante di mele campanine, parmigiano vacche rosse (razza Reggiana), e sale e pepe quanto basta. E’ mia abitudine aggiungere all’impasto del ripieno dei tortelli, un pizzico di  polvere di caffè per togliere quella stucchevolezza data dalla dolcezza degli ingredienti. Per concludere non ti resta che procedere con la preparazione della pasta all’uovo e confezionare i tortelli. Un leggero condimento di burro insaporito alla salvia e voilà!

E ora,  mentre Fabio sta cucinando io molto seriamente vi dico che… lui è un vero artista! Un uomo che non ama celebrarsi, e che vive la propria passione semplicemente offrendola nelle proprie creazioni.




Chiacchierando d’erbe “in tre…” oggi si parla di timo serpillo e di sedano di montagna!

Sono una chiacchierona bramosa di sapere, ormai è risaputo. Oggi i miei ospiti sono Giustino Catalano e Fausto Delegà.

Ciak si gira,  o meglio… si legge!

  • Cinzia Tosini: Buonasera Giustino, buonasera Fausto. Volevo chiedere ad entrambi qualche informazione sul Timo limone?

Giustino Catalano: Buonasera Cinzia e buonasera Fausto. Devo ammettere che l’essere affiancato a Fausto Delegà per le erbe spontanee mi crea non pochi imbarazzi, poiché la mia è una conoscenza molto contadina, e limitata alle erbe che crescono nella mia terra, e che, soprattutto si consumavano a casa di mia nonna.
Premesso ciò, e in sua aggiunta preciso che la mia abilità nell’accertarmi, il più delle volte, è molto vicina a quella di una capra (tocco e se ho fegato assaggio…) 🙂
Il timo limone lo conosco, ma da noi a Caserta si usa più il Timo serpillo… Sei curiosa eh? Ti dico solo una parola magica, e forse ti tiro fuori una cosa che ti piace… CONCIATO ROMANO.

  • Cinzia Tosini: Sono curiosissimaaa!! Timo serpillo? Cos’è? E… Conciato Romano? Fausto… dove sei? A raccogliere funghi? Conosci il timo serpillo? (figurati se non lo conosce..)  😉

 Giustino Catalano: Ahahahahah… Il timo serpillo è un timo strisciante molto aromatico. Nell’alto casertano si fa dai tempi dei romani un formaggio di pecora, che viene poi conciato con l’acqua della pasta fatta in casa, e poi trattato con olio e timo serpillo. Viene conservato in orci di creta come si usava 2000 anni fa! Stagiona da 6 mesi sino a 2 anni. Il risultato è un formaggio spalmabile, forte e aromatico.

Fausto Delegà: Cinzia, ciao! Una ne fai e cento ne pensi, vero? Buonasera Giustino. Ecco che ti accontento con qualche notizia! Il timo Serpillo ha qualità curative. Si ricava un olio essenziale che è portentoso nelle malattie da raffreddamento e come antibatterico.
Il timo è una pianta che le api amano molto, un buon nettarifero. Ne elaborano un miele straordinariamente aromatico e veramente squisito che raggiunge le sue massime espressioni nelle isole greche, in particolare a Corfú, dove il miele di timo è fantastico. Sera bella. 🙂

  • Cinzia Tosini: Un’altra piccola informazione… ma il sedano di montagna lo conoscete? (figurati se non lo conoscono…) 😉

Fausto Delegà: Il levistico, o sedano di montagna, io lo raccolgo qui in Austria spesso, e lo uso in sostituzione del prezzemolo. Ottimo! Levistico che leva, che toglie il dolore. Analgesico usato molto in epoca romana. Sono buone anche le radici e i semi. 🙂

Giustino Catalano: Il sedano di montagna noi a Caserta lo usiamo o nelle insalate o, personalmente, assieme ad altre erbe ci faccio un battuto e ci condisco dei crostini di pane.

  •   Cinzia Tosini: Ma voi due vi conoscevate?

 Giustino Catalano: No. Ho il piacere oggi. Ciao Fausto. Lieto di leggerti e conoscerti. Io sono un amatore, non un esperto.

Fausto Delegà: Ciao Giustino. Cinzia conosco Giustino dalle tue pagine. Ne apprezzo i saperi e le idee che ha espresso. Giustino sono proprio gli amatori che giocano verso la conoscenza le carte della passione, e che io ritengo i veri esperti.

  • Cinzia Tosini: Ma che bello! E quante belle informazioni! Grazie, e alla prossima!  🙂

 

 




“La pasta non fa ingrassare”, leggenda o verità?

 

Le mie domande agli esperti…

                             Risponde il Prof. Nicola Sorrentino

Buona. Sana. Digeribile. E così facile da preparare. La pasta, Star incontrastata della dieta mediterranea è popolare in tutto il mondo.

Non sono solo i grandi chef che si cimentano col nostro piatto nazionale più celebre… anche le persone comuni hanno scoperto la sua versatilità gastronomica. Sempre deliziosa con pomodoro e basilico, o con aglio olio e peperoncino, oppure con il pesto ligure… gli abbinamenti e i condimenti sono infiniti!

La verdura,  caposaldo dell’alimentazione  sana,  ne esalta il sapore, la digeribilità e la leggerezza.  Melanzane, piselli, ceci, cime di rapa, zucchine o broccoli. Ecco solo alcuni esempi delle verdure che possono rendere originale e sempre diverso il solito piatto di pasta. Per non parlare poi di abbinamenti gustosi ed insoliti con ragù di pesce, o di carne, oppure con  sughi vegetariani per piatti speciali e sempre sani.

  • Ma che cosa ci dà la pasta dal punto di vista nutrizionale?

E’ povera di grassi, ricca di carboidrati, e rappresenta la fonte principale di energia per il nostro organismo. Mangiata tre ore prima dell’esercizio aumenta il glucosio disponibile e migliora il rendimento.

“La pasta fà bene e non fà ingrassare!”

Se svolgiamo una vita attiva e una moderata attività fisica, la pasta aumenta anche il nostro dinamismo e non si trasforma in depositi di grasso.

Inoltre questo prezioso alimento agisce anche nei confronti del nostro umore. Non a caso infatti, dopo aver consumato un gustoso piatto di pasta ci sentiamo più sereni:  merito del triptofano, un aminoacido che aumenta dopo l’assunzione di carboidrati semplici o complessi e che ha il potere di agire  sui centri dell’umore stimolando la produzione di serotonina (neurotrasmettitore efficace nelle forme depressive).Naturalmente se il piatto é condito con sughi pesanti ed elaborati che affaticano il fegato e richiedono una lunga digestione non è assicurato il senso di serenità e benessere.

Quindi via libera alla pasta se sappiamo mantenerne la leggerezza senza aumentarne eccessivamente il valore calorico!

 

 




“Due chiacchiere con… Luigi Caricato”

Ho avuto il piacere di conoscerlo ed ascoltarlo nell’ultima edizione di Olio Officina, il Food Festival da lui diretto e ideato per approfondire e divulgare attraverso percorsi olistici, la cultura degli oli. Chiarire qualche dubbio è sempre utile… quindi,  pronti via!

Luigi Caricato di professione… Oleologo. Scrittore e giornalista ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva, oltre a un romanzo, L’olio della conversione. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere.

  • Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale” periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.
  • Dal febbraio 2009 dirige il mensile on line in lingua inglese “Teatro Naturale International”.
  • Dal 18 novembre 2010 cura il blog “Olio Officina“.
  • Luigi Caricato, oleologo-divulgatore che racconta a 360° gli oli d’oliva. Come è nata questa tua avventura nel mondo dell’olio?

E’ una avventura nata da una radicata tradizione familiare. Sono figlio e discendente di olivicoltori e frantoiani. Quindi provengo da coloro che sono i veri artefici dell’olio. Sono nato tra l’altro nel Salento, a pochi chilometri da Lecce, in una terra tappezzata di olivi e che nel passato ha vissuto un intenso traffico d’olio verso ogni angolo d’Europa. Grazie al commercio dell’olio nel Seicento è stato possibile realizzare le grandi architetture barocche, proprio in virtù dei cospicui guadagni derivati dalla vendita dell’olio.

Comunque, a parte questa appartenenza, debbo allo scrittore Giuseppe Pontiggia il mio impegno totale a favore del mondo dell’olio. E’ stato lui a spingermi a occuparmene. Mi definiva il “Papa dell’olio”, anche per via dei miei studi teologici. E così nel corso degli anni ho scritto tanti libri, e ho iniziato a intraprendere una lunga serie di percorsi virtuosi che sicuramente hanno lasciato un segno importante.

  • Adoro gli ulivi, piante secolari dall’aspetto rugoso, sentinelle di anni di storia. Qualcuno stenterebbe a crederlo visto che sono conosciuta per la mia parlantina… ma ti assicuro che alla loro vista un  rispettoso silenzio s’impone in me. L’ulivo mi trasmette pace e armonia. Dire ulivo al singolare però non è proprio corretto. La realtà è che ne esistono moltissime varietà suddivise a livello sensoriale per caratteristiche olfattive e gustative. Puoi darmi una mappa olistica aggiornata?

E’ proprio così. E’ la stessa sensazione che provo anch’io, soprattutto quando sono a contatto con gli olivi secolari. Non è un caso che tanti poeti hanno scritto versi che sono grandi elegie. Ed è anche corretto che non si debba pensare all’olivo solo al singolare. Le varietà di olivi sono tantissime, migliaia.

L’Italia vanta il primato assoluto: 538 sono le cultivar che l’Ivalsa, l’Istituto di propagazione legnosa, ha censito. Non è soltanto un aspetto importante per l’alto valore della biodiversità in sè. Significa anche disporre di una possibilità concreta di ottenere dalla spremitura delle tante, differenti olive, oli peculiari e unici. Una mappa sensoriale l’ho tracciata nel mio ultimo libro, “Olio: crudo e cotto”, edito da Tecniche Nuove, ma alla prossima edizione di Olio Officina Food Festival ci saranno sorprese al riguardo.

  • Come reputi la cultura degli oli in Italia?

Sono sfacciatamente ottimista. Perché sono convinto che, in fondo, con la forza della volontà e con l’impegno si possano ottenere ancora grandi risultati. Io li ho ottenuti, e li vedo. Rispetto al passato sono soddisfatto. Dobbiamo del resto confrontarci con i decenni passati e attendere il futuro, lavorando sodo. Oggi non siamo contenti, perché oggettivamente se il consumatore sceglie in funzione del prezzo più conveniente vorrà dire che non esiste una vera cultura di prodotto, nel senso pieno del termine. Però è diverso, oggi c’è un maggiore senso di responsabilità. I produttori sono diventati più bravi.

Ora tocca agli chef, e soprattutto ai ristoratori, acquisire una maggiore consapevolezza, e studiare, studiare tanto: sperimentare soprattutto nuove formulazioni alimentari con l’olio extra vergine di oliva protagonista di primo piano. L’olio,  ma anche tutti gli altri condimenti, debbono tutti insieme assumere il ruolo di ingrediente importante, e non essere confinati nell’ambito di alimenti marginali sui quali sorvolare come è avvenuto finora.

  • Ascoltando un tuo intervento,  ricordo un concetto che  sottolineavi spesso: “Gli Oli di Oliva considerati come veri e propri presidi di medicina preventiva”.  A questo punto mi sorge spontanea la domanda: “Posologia e modalità d’uso?”

Sì, sono “presidi di medicina preventiva”, perché nessun alimento può guarire, ma può senza dubbio contribure a migliorare il nostro stato di salute.

Posologia: sempre, tutti i giorni, senza saltarne uno. L’olio ricavato dale olive contribuisce a migliorare la percezione delle altre materie prime, ed è anche un veicolo sano di sapori.

– Le modalità d’uso: con moderazione, sempre, perché anche i grassi migliori restano comunque grassi, e non si può eccedere. Per questo, con oli di alta qualità si ottiene un alto effetto condente e, di conseguenza, ne deriva anche la necessità di utilizzarne ogni volta un poco, la quantità giusta, finalizzata a insaporire e rendere più edibile e gustoso il cibo.

  • Spremitura a caldo, a freddo, prima spremitura… Ci chiarisci questi concetti?

Esiste soltanto un’unica spremitura, oggi, con le nuove tecnologie; e nonostante un regolamento comunitario permetta di riportare in etichetta le diciture “spremitura a freddo” (per gli oli ottenuti con macine e presse) ed “estratti a freddo” (per gli oli ricavati da tecnologie estrattive più moderne, tramite centrifughe) in realtà non esiste più una estrazione a caldo. Sono terminologie che resistono nell’immaginario, ma non più aderenti alla realtà.

  • Visto che l’Italiano medio si approvvigiona direttamente dallo scaffale del  supermercato, quale consiglio ti senti di dare per una scelta consapevole?

Il miglior consiglio è di andare direttamente dai produttori. Almeno quando siamo in vacanza e possiamo incontrarli direttamente presso le aziende sarebbe un bel gesto di solidarietà. Se non si garantisce una sopravvivenza agli olivicoltori, crolla tutto il sistema. Nel caso delle famiglie, sarebbe il caso di portare con sé i bambini, così da metterli in contatto diretto con la realtà.

Poi, altro consiglio, visto che la maggioranza dei consumatori acquista in gran parte nei supermercati, meglio non assecondare gli istinti peggiori affidandosi al sottocosto: oltre che immorale, il sottocosto può nascondere inganni. Ciò non significa che certi prezzi bassi non siano giustificati, se provengono dall’estero, dove i costi di produzione sono inferiori, ma va detto che la migliore scelta è posizionarsi preferibilmente sui prodotti così detti “premium”, di fascia medio alta. In fondo si tratta di utilizzarne poco, e quel poco di grasso deve essere necessariamente il migliore.

  • Come valuti la comunicazione specialistica sugli oli in Italia?

La comunicazione specializzata in materia di olio potrei anche valutarla bene, ma di fatto non esiste. Siamo purtroppo carenti in comunicazione, e spesso a fare comunicazione non sono i comunicatori veri, i professionisti, ma soggetti improvvisati che credono basti solo metter in fila una serie di parole e investire danaro per comunicare. C’è da dire che la stampa generalista si ferma solo in superficie e si limita a pubblicare i comunicati stampa, quindi notizie costruite a immagine e somiglianza di chi non sa comunicare. Siamo perciò molto indietro in materia di comunicazione dell’olio e di ciò che vi ruota attorno. E’ una grave carenza culturale che meriterebbe di essere colmata.

  • L’olio migliora con l’invecchiamento?

No, la vita dell’olio è breve. Più alta è la qualità, e meglio si conservano gli oli, più se ne allunga la vita. Pensare a oli d’invecchiamento è un errore.

  • A differenza dei corsi di assaggiatore di vino, quelli degli oli non sono ancora diffusi quanto dovrebbero.  Secondo te qual è la causa?

In realtà sono diffusi. Più che altro si svolgono a macchia di leopardo e non ci si rende conto dell’incidenza di quanti corsi di assaggio si svolgano in Italia. Manca sicuramente un atteggiamento analogo ai sommeliers, propenso a educare all’analisi sensoriale degli oli anche la gente comune, gli appassionati. Il problema semmai è che vi sono associazioni di produttori finanziate dall’Unione europea e che svolgono l’attività di organizzazione di corsi, penalizzando così le vere scuole di assaggio. Ciò determina uno squilibrio e le conseguenze sono le si notano nei pochi corsi per appassionati.

  • Qual è il ruolo degli oli in cucina?

Accompagnare tutti, o quasi, gli altri ingredienti, amalgamandoli. I grassi sono veicolatori di sapori e anche di sostanze nutritive e caloriche. L’olio ha inoltre una funzione plastificante e di attenuatore del gusto salato, ma anche una funzione antiaderente e insieme lubrificante, oltre alla funzione di rosolare e di esercitare un effetto anti indurimento nei prodotti da forno.

  • Adoro intingere il pane nell’olio… Qual è il modo corretto di assaggiarlo per valutarne la qualità?

Attraverso l’assaggio dell’olio direttamente nel bicchiere. L’olio con il pane lo si gusta, ma nel bicchiere lo si degusta per valutarne tutta la bontà.

  • E ora per finire che ne dici di consigliarmi una ricetta “oleosa”?

Le ricette sono tante, e ognuno ha la sua ricetta del cuore. Ora, se dovessi dirne una soltanto, tornerei alla semplicità assoluta. Da salentino quale sono, anche se vivo ormai dal 1984 a Milano, dico la frisella, ovvero questo pane biscottato in forno bagnato per poche decine di secondi in acqua, quindi ricoperto di pomodori tagliati a tocchi, su cui si versa sale, origano e olio. Si potrebbe aggiungere di tutto: rucola, cipolla, capperi… Credo che occorra partire dalla semplicità per trarre il massimo beneficio.

 

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