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Na’ tazzulella e’ cafè…

 

di Pietro Parisi e Cinzia Tosini

“Confesso che Cinzia mi ha letteralmente costretto a raccontarle le atmosfere del caffè napoletano…  e come dirle di no, na’ tazzulella  e’ cafè, se la merita proprio!”

Il caffè per un napoletano,  più che una bevanda, è una cosa sacra! Scandisce le fasi della giornate. 

Assai importante è quello del risveglio!  Il primo caffè va fatto a “regola d’arte” perché determina l’andamento dell’intera giornata!  Mai sbagliare il primo caffè ad un napoletano!

Ma come mai vi chiederete il caffè napoletano è famoso in tutto il mondo?

Bè, innanzitutto lo rese famoso la mitica caffettiera napoletana ormai tristemente in disuso.  Ma riferendoci  a questa eccellenza in se, si dice che il sapore del caffè è diverso sia per l’acqua, che per la particolare tostatura che acclama gli oli essenziali e migliora l’estrazione degli aromi.

  • Monologo dedicato al caffè da “Questi fantasmi”

Io a tutto rinuncerei tranne che a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori dal balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con le mie mani… Chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo… con la stessa cura? Capirete che, dovendo servire me stesso , seguo le vere esperienze e non trascuro niente… Sul becco… lo vedete il becco? Sul becco io ci metto questo coppitello di carta… Pare niente… Questo coppitello ha la sua funzione… E già, perchè il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde. Come pure, prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. Piccolo segreto! In modo che, nel momento della colata qua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo. E me lo tosto da me. Quella è la cosa più difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore… A manto di monaco… Color manto di monaco.

E’ una grande soddisfazione ed evito pure di prendermi collera, perchè se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete… ve scappa ‘a mano o’ piezz’ ‘e coppa, s’aunisce a chillo ‘e sotto, se mmesca posa e ccafè… insomma, viene una zoza… siccome l’ho fatto con le mie mani e nun m’ ‘a pozzo piglia’ cu nisciuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso.

Caspita, chesto è cafè… è ciucculata. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo.

Eduardo De Filippo

E ora intervengo io…

Dovete sapere che con Pietro ho fatto uno scambio alla pari. Io mi sono impegnata a  scrivere di lui, e lui mi ha promesso di scrivere su una chicca italiana che amo profondamente per il suo sapore e per ciò che rappresenta. Si, perché il caffè è un vero e proprio momento celebrativo, una pausa di piacere  che ci fa ripartire con il ritmo giusto.

Adoro berlo seduta nei vecchi caffè, avvolta dalla storia… Nei miei viaggi cerco sempre il locale giusto. Appena lo trovo mi immergo in quelle atmosfere e la mente va…  Forse perché nei caffè storici, punti d’incontro di grandi personalità, spesso si è fatta la storia, e io amo tutto ciò che ne ha una…

Ma tornando al verace caffè napoletano voglio ricordare una bella tradizione che una volta mi raccontò un signore che incontrai per caso chiacchierando, “il caffè sospeso“.  Mi disse: “Cinzia devi sapere che nei vecchi caffè di paese dai frequentatori abituali, è consuetudine pagare un caffè in più quando non se ne trova uno sospeso”.  Sospeso direte? Sospeso in che senso?  Nel senso che abitualmente se ne trova uno già pagato, e la ruota gira così… Luciano De Crescenzo scrittore napoletano ne ha fatto persino un libro, “Il caffè sospeso”.

Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo…

Luciano De Crescenzo

 




Una birra prego, ma… artigianale grazie!

La ricetta : “Il Tiramisù alla Birra”

Recentemente ho conosciuto tramite un amico comune, Marco e Mario, un artigiano del mobile e un agente immobiliare, due fratelli che hanno cambiato il loro percorso di vita dirottandolo verso il mondo della birra.  Il loro progetto è quello di far conoscere birrifici artigianali e diffondere cultura birraia.

Visto che la cosa mi ha incuriosito parecchio, sono andata a trovarli nel loro BeerShop Al Frate Birraiolo, e davanti a una birra mi sono fatta raccontare.

  • Dunque… com’è scattata la “scintilla” che ha trasformato la vostra vita?

Siamo da sempre consumatori e amanti della buona birra.  Spinti da uno spirito di cambiamento e dalla situazione economica attuale, abbiamo deciso di trasformare in lavoro la nostra passione.

  • Come reputate la cultura della birra in Italia?

Cinzia, possiamo dirti solo che si fa fatica a parlare di una vera cultura birraia in Italia. Uno degli obiettivi del nostro progetto è proprio quello di avvicinare più persone possibili al mondo della birra.

  • Quali sono le differenze principali tra la birra industriale e la birra artigianale?

La più grossa differenza tra una birra industriale e una artigianale, è che quest’ultima non avendo subito trattamento termico e nessuna filtrazione, mantiene lieviti “vivi e vegeti”,  e quindi in continua fermentazione.

  • Si sente spesso parlare di birra “cruda”.  A voi la parola…

Per birra cruda si intende una birra non pastorizzata, non microfiltrata e quindi libera di esprimere molte proprietà benefiche per il nostro organismo.

– La pastorizzazione è un trattamento termico sterilizzante condotto a 60 °C per circa venti minuti, impiegato dall’industria per eliminare dalla birra ogni microrganismo,  allungando la durata e standardizzando il gusto.

– Una birra non microfiltrata è una birra integra di vitamine, di antiossidanti e di lieviti vivi.

  • Sto scoprendo un vero e proprio mondo della birra artigianale.  Me ne descrivete alcune che vi hanno particolarmente colpito?

Per non far torto a nessuno, diremo che ogni birrificio artigianale ha la sua storia che merita di essere ascoltata…  Noi daremo ad ognuno il giusto spazio.

  • Gli amici scherzando mi prendono in giro perché amo usare i bicchieri “giusti” per il vino, per la birra, e non solo…  Vedo spesso bere birra dalla bottiglia.  Questa abitudine può penalizzare la degustazione?

Innanzitutto ad ogni stile di birra corrisponde il suo bicchiere.  Per quanto riguarda l’abitudine di bere direttamente dalla bottiglia, oltre a penalizzare fortemente la degustazione, fa ingerire molta anidride carbonica provocando  la classica “pancia da frate birraiolo”.

  • Donne e birra… Qual è la vostra opinione?

“Donne e birra” è un bel binomio da far crescere, in quanto troppe donne considerano la birra una bevanda amara. Cinzia, anche se sappiamo che ami la birra rossa… ti ricordi la birra alla ciliegia che ti abbiamo fatto assaggiare?  Eri entusiasta, profumi e sapori perfetti per l’abbinamento con una crostata di ciliegie!

  • Che cosa vi proponete per il presente e per il futuro con il vostro progetto?

Le idee tante… i progetti anche! Per ora diffondere buona cultura della birra, è la nostra massima aspirazione.  Le cose verranno man mano.

  • Birra e cucina… Mi raccontate una ricetta?

Certo Cinzia! Sappiamo che ti piace il tiramisù… ma l’hai mai assaggiato alla birra?

– Stesso procedimento del tiramisù classico,  l’unica differenza è che si devono inzuppare per bene i savoiardi nella birra.

– Una volta pronto servirlo fresco accompagnandolo con un boccale della stessa birra usata nella ricetta. Quando in bocca si incontreranno i due sapori sentirai… un’esplosione di gusto!

 




Infestante sarà lei! La Portulaca, “infestante” bella e buona.

di Giustino Catalano

Appare strano che l’uomo classifichi determinate piante infestanti. A ben vedere, infatti, in natura ogni forma di vita ha il suo esatto posto, presupponendo che in un ecosistema perfetto anche piante apparentemente inutili abbiano una loro precisa collocazione e  scopo. Forse l’unico infestante, così come lo intendiamo noi umani, è proprio l’uomo!

Le piante infestanti così come sono viste nella nostra umana comune accezione in effetti sono la cura o la spia di squilibri che si manifestano nel terreno.

L’incuria umana, il suo scarso rispetto per i luoghi, le cattive lavorazioni o anche, perché no, gli scompensi creati da concimazioni eccessive fanno sì che madre natura sia costretta a darci un segnale o a porre autonomamente un rimedio.

La gramigna è spia di terreni incolti o dove vengono sversati materiali di riporto. La camomilla con i suoi piccoli e bei fiori è sanante di terreni troppo compatti e poco lavorati.

  • Ma allora perché chiamarle infestanti?

Il punto è proprio  quello. Si definiscono tali solo per la loro difficile eliminazione, per il loro comportamento invasivo, e per la nostra scarsa capacità di eliminarle avendo dimenticato come vivere in perfetta armonia con la natura.

Oggi parliamo della Portulaca (Portulaca Oleracea), diffusissima nei nostri campi e conosciuta con moltissimi nomi dialettali (erba porcellana, sportellacchia, purchiacca, erba pucchiacchella, ecc.). Pianta annuale a diffusione e portamento prostrato (diremmo serpeggiante), spesso ce la ritroviamo soprattutto nei mesi che vanno da giugno ad agosto, che compare nei nostri giardini. Somiglia molto a una pianta grassa con le sue foglie carnose e i suoi rami di colore bruno.  I suoi piccoli fiorellini gialli ce la fanno prima apprezzare e, poi, maledire nel momento in cui cerchiamo di liberarcene.

  • Ma perché è lì, e soprattutto è davvero inutilizzabile?

Sicuramente sulla scorta delle poche righe precedenti la Portulaca compare per un motivo. Cattivo drenaggio del terreno, ossia, detto in parole povere l’acqua ristagna nel sottosuolo perché troppo compatto.

  • Ma veniamo alla domanda più interessante… è del tutto inutile?

E qui la risposta stupefacente. Assolutamente no!

Le sue foglie più tenere sono buonissime in insalata, sia da sole che come aggiunta.

Del pari i  suoi ramoscelli, una volta  essiccati al sole e conservati, sono molto saporiti se adoperati come condimento per una pasta aglio e olio nel quale sono stati fatti rinvenire. Otterete un sugo dove questi “bastoncini” per loro aromaticità, ricordano vagamente i profumi del fungo porcino.

Ma, e questa è la notizia più interessante, fa anche bene in quanto pianta ricchissima di Omega-3, grasso in grado di aumentare le nostre difese immunitarie, e di vitamine.

Quindi la mangiamo! Ma non solo.

  • L’infuso delle sue foglie ha effetti depurativi sull’organismo. E’ un buon diuretico.
  • Se adoperato per uso esterno va benissimo per curare orticarie, foruncoli ed eczemi.
  • I contadini usavano, se punti da un’ape o una vespa, prendere le foglie più carnose,  spezzarle a metà,  e strofinarle sulla puntura.

Insomma, alla Portulaca manca solo la parola. E se parlasse ci direbbe “infestante sarà lei!




Il più antico Caffè d’Europa

Adoro bere il caffè seduta nei vecchi locali, avvolta dalla storia… Nei miei viaggi cerco sempre il locale giusto, e appena lo trovo mi immergo in quelle atmosfere, e la mente va…

Ma ora mi chiedo, qual è il “caffè” più antico al mondo ?

                         Risponde Giustino Catalano

Il caffè più antico al mondo esisteva già intorno al 1500 a Costantinopoli, un caffè accompagnato da piccoli dolci.

Era fatto alla turca come penso che fosse fatto anche al Caffè Procope, antico locale parigino aperto nel 1686 da un Siciliano che si trasferì li.

I metodi di ottenimento della bevanda a noi noti sono molto recenti. Anche la cosiddetta caffettiera napoletana (non la moka!) mutuava dal sistema antico.

Un filtro consentiva di evitare la posa, presente invece nel caffè alla turca. Sarebbe più corretto dire originale in quanto fatto anche in Etiopia e aree vicine così da sempre. I cosiddetti fondi poi, in alcune aree del bacino del mediterraneo sono anche letti (Grecia in testa)!

 




“Due chiacchiere con… Giustino Catalano”

Ho conosciuto Giustino Catalano commentando un suo scritto di erbe spontanee, argomento a me assai caro.  Qualche botta e risposta, e giù al telefono a chiacchierare… Simpatico ed appassionato, ma soprattutto innamorato della terra!  I suoi racconti mi hanno portato a lui…

Educatore del Gusto, Tea Tester professionista, Fiduciario e Docente Slow Food e Formatore Orti e MIUR. Responsabile Presidio Salsiccia Rossa di Castelpoto. Sommelier Professionista FISAR e assaggiatore ufficiale di vari prodotti. Consulente Eno-gastronomico alla ristorazione. Ambasciatore dell’Accademia della Gastronomia Storica.

Discendo dal lato paterno da un famiglia di produttori e mediatori di vini ed olii che fornivano la Moet Chandon del liquer de expedition sino agli anni ’30 dello scorso secolo. E dal lato materno sono pronipote di un pasticcere modicano e nipote di un esperto di pasticceria. Cresciuto all’ombra di queste persone cerco di portare avanti le passioni che sono nel mio DNA con studio, serietà e costanza. Se avete pari interessi siete i benvenuti, a prescindere dal colore della pelle, le idee politiche e lo status sociale.  Il mondo, come il piacere, è di tutti…”

  • Giustino Catalano, una vera fortuna per me incontrarti… la tua presentazione parla da se. Ma in fondo chi sei?

Sono un consulente enogastronomico. Parola che vuol dir tutto e non vuol dir niente. Sono solo un appassionato della mia terra e della gastronomia intesa a 360°.

  • Scrivi storie di prodotti. Raccontami…

Ritengo che un prodotto che non narra la fatica e l’ingegno (quella che chiamo l’affettività umana) che c’è dietro, non è un prodotto.

  • Ti piace il tuo lavoro?

Una sola cosa posso dire con certezza. Mi sveglio alla mattina e sono contento del lavoro che dovrò fare perché il mio lavoro mi piace tantissimo. Il cuore mi batte per le cose nuove che scopro ogni giorno.

  • Hai sogni che vorresti realizzare?

Non ho sogni. Io vivo la vita per quello che mi manda e per quello che riesco a realizzare di giorno in giorno.  A 50 anni non si hanno né sogni né rimpianti. Si vive in allegria.

 




Ma… la birra fa ingrassare?

 

Le mie domande agli esperti. Risponde il Prof. Nicola Sorrentino

La birra è una bevanda naturale e salutare priva di grassi e povera di sodio.  E’ spesso al centro di dibattiti e polemiche, che creano confusione e diffidenza in chi la beve: facciamo chiarezza!

Un bicchiere della nostra bionda preferita non fa ingrassare e apporta il giusto mix di vitamine, fibre, sali minerali, e antiossidanti. Un bicchiere da pasto di birra chiara (200 cc) apporta solo 68 kcal, circa le stesse di un’analoga quantità di succo d’arancia o di un’ altra bevanda a base di frutta, meno di un bicchiere (125 cc) di vino rosso o bianco, la metà di un qualsiasi soft drink.

Va sfatata l’idea che la birra sia una bevanda ipercalorica e piena di sostanze chimiche dannose alla nostra salute. La birra si fa solo partendo da sostanze naturali come l’orzo o il luppolo e solo chi ne beve grosse quantità tende ad ingrassare. Questa idea di bevanda ingrassante, probabilmente, è legata al fatto che in alcuni paesi del Nord Europa il suo consumo eccessivo è legato anche ad una alimentazione scorretta, grassa e ricca di calorie.

La birra invece, abbinata ad uno stile di vita corretto e ad un’alimentazione di tipo mediterraneo sana ed equilibrata, può influenzare beneficamente il nostro stato di benessere psicofisico. Sono numerosi i lavori scientifici che dicono che un moderato consumo di alcool sia abbinato ad un minor rischio di malattie cardiovascolari, grazie alla presenza di composti minori come i polifenoli, importanti anche per ridurre i fenomeni ossidanti legati all’invecchiamento in generale.

 Il basso tenore alcolico e la sua “leggerezza” rendono la birra adatta a uomini e a donne attenti alla propria forma fisica, e che non vogliono aumentare di peso. Studi effettuati negli USA hanno messo in evidenza che le donne abituate a bere un bicchiere di birra al pasto, fanno meno fatica a rimanere snelle rispetto a quelle completamente astemie.

Spesso le donne non amano bere birra perché temono che la schiuma dia un senso di gonfiore con la conseguente e fastidiosa dilatazione della pancia. Ma la schiuma non gonfia perchè l’anidride carbonica in eccesso resta imprigionata nella schiuma stessa e non viene ingerita. A parere degli esperti una buona birra deve essere servita con una schiuma ben compatta ed alta almeno due dita. Tutte ragioni che fanno della birra “chiara” un’amica della linea!

 




La mia danza con… le api!

Bene direte… ‘sto giro Cinzia è proprio andata! E invece no vi dico io… e ora vi racconto!

Dovete sapere che le api scambiano informazioni tra loro attraverso delle danze con le quali si  indicano le fonti di cibo, la direzione e la qualità del nettare.  Ad esempio, con la danza dell’addome conducono le sorelle a distanze di oltre 100 metri, mentre con la danza circolare segnalano approvvigionamenti nelle immediate vicinanze.  La scoperta del linguaggio delle api venne fatta nel 1973 dal premio Nobel Karl Von Frish zoologo austriaco.

E quindi ora si danza… in direzione Padova all’Apicoltura Giarin!

Da sempre adoro questo prodotto, e quando il mio amico Gianpaolo  mi disse che i suo zii lo producevano, non ho perso l’occasione per una visita in incognito… si perché rivelai solo alla fine com’ero arrivata a loro. Mi piace farmi conoscere per quella che sono, alla fin fine c’è molta più soddisfazione!

Mi accolse  il caro e gentile Maffeo titolare dell’azienda. Mi raccontò della sua avventura alla scoperta del miele e non solo…  Perché  la sua passione per quest’arte nacque nel 1980 quando Anna  allora sua fidanzata gli regalò un’arnia. Lentamente la sua dedizione all’apicoltura  aumentò intensificando l’attività fino a farla diventare l’interesse principale della famiglia.

Conosciamo tutti le proprietà benefiche del miele prodotto derivante dal nettare dei fiori, ma voglio ricordare solo per un istante le sue composizioni nutrizionali. Ebbene per  100 g. di miele abbiamo un valore energetico di 314 kcal, proteine 0.6 %, carboidrati 78 %, e soprattutto grassi 0%… quindi sotto a mangiarlo, che poi è cosi buono!

Aggirandomi nel loro emporio, curiosa che curiosa trovai un liquore ottenuto con un lungo procedimento di macerazione di miele di millefiori, alcol, spezie e bucce di limone. Questa loro rugiada dei colli euganei  si chiama  “Luna di miele”.  Un elisir  già  conosciuto nell’antica Grecia nel 1500 a.C.,  considerato bevanda sacra dono degli  Dei  prodotta dalle api che trasformavano il sole in miele unendo la linfa vitale della terra… l’acqua.

Con Maffeo chiacchierammo a lungo… Mi raccontò degli incontri didattici  organizzati con gli studenti per condividere passioni e conoscenze acquisite negli anni. Una sua bella idea è stata quella di far adottare un’arnia dipinta dagli stessi ragazzi, per dar loro un senso di appartenenza che li invogli a seguire con la continuità delle loro visite, le fasi della  produzione di questo prodotto naturale.

Passeggiando  nel giardino circostante notai  bellissime sculture in pietra che scoprii a breve sue creazioni. Orgoglioso mi fece fare un vero e proprio percorso d’arte… si perché  nella casa in cui risiedevano ne erano presenti tantissime!

 




La gelatina di fiori di Sambuco

La ricetta : “La gelatina di fiori di Sambuco”

di Fausto Delegà

Raccogliere i fiori di Sambuco è un gesto che da grande gioia e riempie il naso di un profumo intenso ed unico. La magia si compie poi nella possibilità di trasferire profumo e aromi in tutte le preparazioni nelle quali i fiori di Sambuco possono essere usati. Una specie di eternizzazione della primavera che si può far riesplodere ogni mattina a colazione, in ogni pranzo o cena sposando questa gelatina con i formaggi.

Attenzione: la pianta del Sambuco, esclusi i fiori e i frutti, è una pianta tossica.

Anche i frutti sono da evitare crudi, per la loro alta proprietà lassativa che conservano in parte anche da cotti, sotto forma di marmellata, per altro squisita. Scurissima, con colore intensissimo e che marca in modo quasi indelebile ogni cosa che tocca.  Attenzione anche a non confondere il Sambuco normale con l’ebulus, erbaceo dai frutti più grossi, immangiabili e tossici, veri purganti micidiali.

 Chiudo con qualche curiosità…

  • Il nome generico Sambucus potrebbe derivare da uno strumento musicale a fiato, in latino noto come “sambuca”.
  • Dal frutto si ottiene un colorante blu e un inchiostro.
  • Il succo della radice è utilizzato per tingere i capelli neri.

La gelatina di Sambuco

A maturazione completa raccogliere 20 fiori di Sambuco possibilmente in giorni assolati, caldi e asciutti.

Metterli a bagno in un litro d’acqua con il succo di un limone biologico per tre giorni, quindi  filtrare con apposita carta e unire al liquido, filtrato e profumato, un kg di zucchero gelificato per litro. Far bollire a fuoco medio per 8 minuti.

Togliere la schiuma bianca che in genere si forma un po’ in superficie,  e poi invasettare  a caldo.

Tappare subito,  lasciar raffreddare e conservare a temperatura ambiente. Si otterrà una perfetta gelatina che tappata, e sottovuoto, si conserverà anche un anno. Una volta aperta tenere in frigorifero.

sambuco




“Due chiacchiere con… Fausto Delegà”

Fausto Delegà, il mio “mielologo” appassionato… L’amore per il territorio, per le tradizioni, per gli olii, per le erbe spontanee ma soprattutto per i mieli ci ha fatto incontrare.  Mantovano come me, vive a Vienna con un pendolarismo aereo tra Austria e Italia. Lui è un Italiano Doc, che vi voglio far conoscere…

  • Fausto, immagina che ci siamo appena conosciuti. Come ti presenteresti?

Come mi presenterei…? Se i mieli e gli oli potessero essere improvvisamente compresi da tutti nei loro dialetti sottili, delicati e armonici, il mondo cambierebbe. Ecco mi presenterei con questo pensiero che mi guida da un po’ di anni nelle sfide, idee e provocazioni che lancio qua e la per spostare, come dico io, il punto di vista oggi imperante in larga parte dei consumatori sui mieli ed oli.

Perché solo spostando il punto di vista, cambiando le credenze che ci dominano, specie in campo alimentare, potremmo sperare di sovvertire l’attuale situazione drammatica che vede il creatore di cibi, l’agricoltore agri tutore sempre più proposto come anonimo, sparente, nella società che crede in larga parte che i cibi appaiano miracolosamente negli scaffali e nei frigoriferi degli ipertutto, forse per una magia in cui la faccia e le mani e la genialità di chi fa cibo scompaiono per far posto al grande Brand che, se va bene, ci ha messo solo la parte finale e meno difficile del percorso per chi sa fare il caimano: il dio mercato che oggi in larga parte tutto globalizza. Ecco mi presenterei come creatore di nuovi punti di vista.

  • Com’è nata questa tua avventura di gastro-divulgatore?

L’avventura è nata tanti anni fa, a volte quando faccio il conto matematico mi stupisco un po’, ma per poco, data la mia idea che il tempo sia una stupida credenza, direi perciò che propongo le mie idee da una ventina di anni, con un percorso che è andato via via affinandosi nel tempo. Processo obbligato, direi, di aumento di conoscenze che negli ultimi anni hanno cambiato veramente gli orizzonti nelle cantine, nei frantoi, negli alveari mielosi e in tutte le produzioni buone e giuste in genere.

Potrei dire che più di vent’anni fa era convinzione affermare che il vino e l’olio erano le parole che il sole scriveva sulla terra e che il terreno era un organismo vivente di cui siamo parte. Oggi, spesso, si viene presi per matti se non si parte almeno da li per fare un passo avanti. Sono nato come divulgatore e giornalista 25 anni fa, quando Slow Food muoveva attraverso l’ARCI i primi passi, quando l’olio era meno buono e meno prolisso di oggi, quando i blog non esistevano e uno per dire qualcosa doveva scrivere, magari per l’Unità, come feci io alcune volte per i primi anni, oppure con una mia altra esperienza… fondando una radio libera.  L’avvento del web con i social e i blog di oggi, le adozioni di cibo, la creazione dei mieli padani, la neurobiologia vegetale,  hanno favorito l’inizio di un nuovo percorso di cultura.

  • Siamo entrambi di Mantova. Mi racconti un tuo ricordo di questa terra?

Mantua me genuit scriveva Virgilio. E Dante rilevava nella Commedia la cortesia dei mantovani. Gente di terra e di acqua, una città nata in mezzo ad un impaludamento del Mincio che la circonda con i suoi laghi. Città dallo skyline unico al mondo, recentemente sfigurato dal sisma, ma già in via di recupero.

Mantova è anche la città della cucina di Principi e di popolo, dove nel ‘500 grandi cuochi iniziarono a codificare le tecniche. Terra dalle produzioni qualitativamente eccelse, basti pensare ai suoi salami, cotechini, spalle, meloni igp, cipolla, e negli ultimi anni terra anche di Lambruschi estremi, eleganti, inediti e stupefacenti, vedi il Ruberti.

Terra unica in Italia, dove si producono insieme, uno al nord e l’altro al sud, il Padano e il Reggiano, due capisaldi della nostra cucina nel mondo.  E, dal mio punto di vista, terra di mieli, con una storia mellifera che inizia in epoca romana, un paese ora in provincia di Rovigo, ma allora legato a Ostiglia e a Mantova, che porta ancora il nome di Melara, Ara dei Mieli. Virgilio, figlio di apicoltori e lui stesso amante delle api e dei mieli, dedica il quarto libro delle Georgiche alle api ed al miele. In una terra così, non si può che nascere impastati di buono e di bello.

  • Da mielologo appassionato, come reputi la cultura dei mieli in Italia?

Mettiamo pure il dito nella piaga. Parto da una provocazione: se io chiedessi ai tuoi lettori in una domanda secca quanti mieli si possono produrre in Italia, intendo tipologie mellifere tra monoflora e melate, e nello stesso tempo come fanno le api a fare il miele quante risposte esatte avrei? Non credo più di una ogni dieci intervistati. Questo da il senso e la misura della questione. Ma in parte potremmo fare la stessa domanda per l’olio da olive: quante varietà di Ulivi esistono in italia? Avremo pochissime risposte esatte. Perché pochi sanno che l’Italia potrebbe regalare al mondo, e a tutti noi, quasi 60 tipologie diverse di mieli. E nello stesso tempo in pochi direbbero che le nostre cultivar di ulivo sono più vicine alle 600 varietà che alle 500. Nessuno poi probabilmente risponderebbe alla domanda del come fa l’ape a regalarci i mieli. No, non vi lascio con la domanda sospesa, o meglio solo a metà la lasciamo sospesa. L’ape fa i mieli con una tecnica assolutamente straordinaria, un immenso scambio di baci tra ape e ape, crea i mieli. Sappiatelo e vi basti… Per ora.

  • Vivi a Vienna, qual è la realtà sulla promozione del territorio rispetto all’Italia?

AUSTRIA E VIENNA.
Devo dire che l’attenzione e la voglia di capire, rispetto alla nostra cultura materiale e ai nostri prodotti che si muovono con le persone qui a Vienna e in Austria, in genere sono notevoli, sincere, e profonde. Siamo molto amati, benevolmente invidiati, ricercati e spesso… deludenti, perché gran parte della realtà immensa e potente dei nostri terroir resta bloccata tra le pastoie di uno stato che ha massacrato il commercio estero, che qui chiude le sedi di promozione, e che quando ha cercato di promuovere lo ha fatto con i soliti noti e stranoti, amici di… cugini di… finanziatori di… feste e banchetti inutili, parole e slogan perdenti.  Forse la creatività contagiante di un genio folle e lucido come Oscar Farinetti  farà storia nei prossimi anni. Comunque a Vienna ci stiamo muovendo e attrezzando per cambiar strada, metodi e finalità.

  • Per concludere mi viene spontaneo farti una richiesta… Mi racconti una ricetta a base di miele?

Prima di tutto alcune considerazioni…

Quando leggo o sento ricette nelle quali, ogni tanto, si nomina tra gli ingredienti il miele spesso mi irrito, no forse è proprio meglio dire mi inca… Perché…? Perché 99 volte su cento viene usata la parola miele in modo talmente generico e impreciso che sembra quasi che usare in quella ricetta castagno, acacia, corbezzolo o lavanda sia la stessa cosa. Questa è sana, bella e gretta ignoranza.  La stessa che fa scrivere e dire anche: “un goccio di olio di oliva…” come se vi fosse un miele unico, e un unico olio da olive a disposizione. È ora di dire un sonoro BASTA a queste stupide indicazioni.  Bisognerebbe rifiutarsi di procedere con tutte le ricette che su questi due punti, olio e mieli, propongono questa inaccettabile superficialità.

Poi una regola fondamentale. I mieli si sposano sempre bene con le sostanze grasse, dai formaggi al burro, dalla panna al lardo e infine anche con gli oli, specie quelli da olive. Altra cosa importante è che possono essere presenti a tutta cucina, dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni e ovviamente… nei dolci come ci insegna il grande maestro e amico Corrado Assenza.

Solo una cosa potrei consigliare, non una vera e propria ricetta ma un’esaltazione del gusto. Quando in estate, non avendo la fortuna di avere un proprio orto o non potendo vivere in paradisi terrestri come le nostre isole o le regioni meridionali, spesso ci si accontenta di pomodori che rimangono lontani anni luce dal loro vero gusto di “pomodoro”.  Ecco, in questi casi una dose appropriata e molto calibrata di miele di melata di abete bianco di terroir toscani, gli mette quella marcia in più che la serra non gli avrebbe potuto mai regalare. Provare per credere, ah ah ah ah…

 




“Pesavo 192 kg… ora ne peso 74” La Storia dello chef Pietro Parisi.

Come sottolinea il Prof. Nicola Sorrentino, specialista in scienza dell’alimentazione, l’obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in sovrappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso. Questo grasso superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a malattie cardiovascolari, all’ipertensione, al diabete, a difficoltà respiratorie, all’osteoartrosi, e ad altre patologie ben note.

La Storia di Pietro Parisi, chef e patron di  “Era Ora”,  il suo Ristorante a Palma Campana

 

  • Ciao Pietro, raccontami di te.

Sono un ragazzo di Napoli ex obeso, pesavo 192 kg, attualmente il mio peso è di 74 kg.  Inutile dire che in passato ho provato diete, farmaci, sondino gastrico, ricoveri per dimagrire… tutto con scarsi risultati, e per poco tempo. La svolta decisiva è arrivata dopo l’ausilio della chirurgia mininvasiva.

  • Come hai vissuto il problema dell’obesità?

L’ho vissuto per molti anni, diciamo almeno per una quindicina. Da ragazzino non ci davo peso, ma crescendo ha incominciato a crearmi veri problemi, sia di convivenza con i miei coetanei, che mentali. Venivo deriso per il mio fisico, e questo mi portava ad estraniarmi dalle compagnie.  Mi ritrovavo in una solitudine esistenziale che sfogavo con grandi abbuffate di cibo.  Avere una ragazza era difficile, mi sorridevano certo, ma si allontanavano.  Tutto era complicato, dal vestirsi al rapportarsi con le persone. La mia adolescenza non è stata facile…

Una sera ho rischiato anche la vita per colpa di una sonnolenza improvvisa dovuta all’obesità, che mi ha portato ad urtare ed uscire fuori strada con la macchina. Qualcuno mi puntò il dito accusandomi di usare stupefacenti… tutt’altro!  Ma è più facile giudicare che capire…

Mi torna in mente il ricordo di un amico che mi accompagnava nei miei lunghi itinerari gastronomici notturni, tra cornetti, impepate di cozze, pizze fritte e cannoli…  Il conseguente aumento di peso mi portava molti problemi  tipo piaghe sotto la pancia, piedi sempre gonfi, grande sudorazione, difficoltà  nei movimenti.

Cinzia, era difficilissimo alzarsi la mattina. Tanta svogliatezza, mal di testa, mal di schiena… Mi viene quasi da sorridere quando penso che ora non riesco a stare a letto per più di 7 ore. Sono un grillo nel lavoro, girarmi e rigirarmi con disinvoltura è una meraviglia. Piaceri scontati per molti… ma non per me.

  • Come vivevi il rapporto quotidiano con le persone?

Vedo in televisione e sui giornali tante persone che avendo difficoltà nel dimagrire cadono nella disperazione. Nello stesso tempo vedo persone non obese che ci considerano degli incapaci, dei deboli, per la nostra difficoltà nel sostenere un regime dietetico. La conseguenza è l’emarginazione.

Mi capitava di andare in un ristorante e sentirmi dire dal cameriere se avevo bisogno del supporto di due sedie.  Non avete idea di come vivevo il disagio ogni volta. La realtà è che l’obesità crea grandi barriere,  e porta chi la vive, quasi a nascondersi.

  • La tua forza di volontà, validi ed indispensabili supporti medici, la passione per il tuo lavoro… elementi che ti hanno portato a dare una svolta decisiva alla tua vita. 

Si, ora la mia vita è totalmente cambiata.  E’ stato un percorso difficile.  Ho avuto la forza di decidere e dire finalmente basta optando per un intervento sia pur con le difficoltà del prima e del dopo. Ho riacquisito quella sicurezza in me che avevo perso, e ora, con la mia esperienza, sono più che mai determinato a dare speranza a chi vuole come me percorrere questa strada.  Una cosa però è certa, la mia passione per il cibo, per le tradizioni, per il territorio che trasmetto nel mio lavoro di cuoco, è costante e inalterata.

  • Pietro, ora sei chef e patron del tuo Ristorante “Era Ora” a Palma Campana. Nonostante la tua giovane età, per tradizione familiare sei immerso in questo mondo fin da bambino. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho iniziato a 7 anni, nel laboratorio di pasticceria dello zio materno quasi giocando. Poi come succede spesso è scoccata la scintilla, ed è stato subito amore. Ma ci pensate, spettatore della preparazione della sfogliatella riccia ripiena di ricotta di bufala con salsa allo Strega… bè, stregato sul serio!

Gli studi e le esperienze poi hanno fatto il resto. I miei progetti ora sono orientati verso proposte per una buona tavola, con prodotti sani,  privilegiando il km 0, e acquistando da piccoli produttori. Con il servizio di Market Gourmet Shop di Era Ora, li proponiamo ai consumatori, un nuovo modo di fare la spesa.

Ho chiacchierato a lungo con Pietro. E’ giovane ma determinato, la passione  per le tradizioni, per i territori e per la riscoperta dei bei sapori di una volta ci accomuna.  Le nostre origini sono diverse, ma come dico sempre, io mi sento a casa ovunque, fortunata di vivere in un paese ricco di tipicità uniche al mondo.

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