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“Due chiacchiere con… Chiara Soldati”

Il vino spesso sembra  assomigliare a colui che lo crea…

Chiara Soldati

Chiara Soldati conduce insieme al padre Giorgio  “La Scolca”,  l’azienda Vitivinicola più antica della zona di Gavi (AL).  I loro vini e spumanti sono una delle eccellenze Italiane nel mondo.

Nella mia visita alla Tenuta, guidata da Chiara ho potuto apprezzare oltre che il luogo, la semplicità di questa famiglia che mi ha concesso veri momenti di vita. Cugina del grande Mario Soldati, scrittore e regista, uomo appassionato di territori, di  storia,  di poesia, che avrei voluto conoscere,  ma soprattutto ascoltare. Conoscere lei,  è stato un po’ come conoscere lui…

  • Chiara Soldati cugina del grande Mario Soldati. Chiara conoscerti è un po’ come conoscere lui. Mi regali un tuo ricordo di Mario…

Vignaioli si nasce, tecnicamente lo si diventa, ma l’anima più profonda della terra e del vino non la si può apprendere se non vivendo, da generazioni, il lento susseguirsi delle  stagioni della vite e della vita in una simbiosi che si riscopre e si svela assaggiando i vini che nascono da questa danza che si ripete ogni anno uguale, ma sempre nuova. Molto è cambiato nel mondo “gaviese” da quando il cugino Mario Soldati nel 1977 veniva a visitare queste colline per scrivere il  Suo libro ”Vino al Vino”: la maggior parte delle proprietà di allora sono cambiate di mano svariate volte, tante da far scordare origini ed identità.

Antesignano delle odierne guide enologiche, Mario espresse allora un augurio ed un consiglio, visitando la nostra cantina ed assaggiando il nostro Gavi, che rileggo ancora oggi con molto affetto :

“ L’importante è il vino, e finora non se ne può dire che bene. Ma più importante è l’uomo, l’augurio è che l’intelligenza industriale sia così intelligente da non sopraffare mai il cuore artigianale”.

Quel cuore di cui parlava Mario  ha permesso a mio padre di raggiungere mete insperate in quegli anni sia per il Gavi in generale sia per la nostra cantina, ma soprattutto ha permesso a me oggi di essere ancora testimone e artefice di un successo in continua evoluzione.

  • Hai un cognome importante. Non è sempre facile rispondere alle aspettative della gente in questi casi. Qual è stata la tua esperienza?

Le tappe professionali che hanno caratterizzato la mia formazione e lo svolgimento della mia attività  lavorativa, sono state frutto di un percorso non casuale, ma contraddistinto costantemente dalla volontà di approfondire e sviluppare le tematiche di qualità, innovazione e promozione territoriale. La cosa più importante è sapere di avere la possibilità di provare a mettersi in gioco e sapere che c’è qualcuno che può darti questa possibilità.

  • Le nostre origini…tutto parte da li. Il tuo destino segnato nel mondo del vino. Hai mai pensato di dedicarti ad altro?

Dopo il liceo classico, ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza con indirizzo economico e contemporaneamente ho cominciato la specializzazione nel settore vinicolo. Da 18 impegnata nel mondo del vino.  Nulla ha più senso della passione”: per vivere pienamente la propria vita ed il proprio lavoro non si può prescindere dall’avere come motore ed ispirazione una grande emozione. Il vino per me è una grande passione che si ripete ogni anno nel momento della vendemmia.

  • Eccoci, due donne… Io una semplice appassionata del vino e delle storie della sua gente qui con te, donna produttrice di successo. Che cosa mi consiglieresti per il mio percorso di conoscenza?

Non c’è modo migliore per conoscere un vino se non conoscere i volti ed i territori che ne sono l’anima più intrinseca. Da anni faccio parte del Movimento Turismo del Vino e da anni sostengo quanto sia imprescindibile per conoscere una Denominazione, un vino, un’Azienda, vivere le esperienze che fanno nascere il patrimonio di profumi e aromi che ritroviamo poi nel bicchiere.

Ho letto le Baccanti di Euripide. Ricordo bene il concetto che,  Zeus diede agli uomini il dono del vino per aiutarli a dimenticare i dolori, e anche l’affermazione che  in assenza del vino non esiste l’amore. Tutta la tragedia è pervasa da  una gioiosa esaltazione e dalla comunione con la natura  che porta alla liberazione dei sentimenti.

  • Amo la terra, i suoi prodotti e le sue tradizioni.  Puoi raccontarmi della tua terra di Gavi?

Per spiegare cosa rappresenta per me il  Gavi  non posso prescindere dal mio vissuto personale in quanto l’infatuazione  verso questo fazzoletto di terra a ridosso della Liguria si tramanda ormai da cinque generazioni e in ogni passaggio di testimone, inevitabilmente, la fusione con questa magica realtà è totale e, forse, sta proprio in questo invisibile legame il segreto di tanta caparbia passione .

Tutte le uve hanno luoghi dove, coltivate, danno il meglio di se stesse. Qualcuna riesce poi ad esprimere tutte le sue potenzialità in un luogo soltanto dove il vitigno trova l’armonia e l’habitat migliore per crescere, il terreno, il clima, l’altitudine e l’esposizione per maturare nella sua pienezza di aromi e profumi. Un po’ come ne” I Miserabili” di H.de Balzac, sicuramente il luogo influisce sull’anima profonda di cose e persone e ne condiziona azioni e pensieri, così anche per il vitigno esistono luoghi d’elezione per far crescere e maturare le singole varietà. In tempi di mercato globale, forse, rimane una delle flebili certezze dei consumatori il poter bere dei vini realmente autoctoni e di sicura provenienza territoriale.

Questo è il caso delle uve di Cortese che, anche se coltivate in molte località di Asti, Alessandria e persino Cuneo o Pavia, solo a Gavi e negli undici comuni circostanti, esprimono un vino dall’aristocratica personalità , intenso, durevole ed elegante.

Osservando i vigneti, un occhio attento, può capire molto di quello che i grappoli conferiranno una  volta divenuti vino, diciamo che la pianta è un po’ lo specchio dell’anima di quello che conterrà la bottiglia.

Per questo è importante preservare l’autenticità di un vitigno come il Cortese, autoctono e autore di un vino bianco che riesce a sprigionare la sua forte personalità sia  da giovane, nell’annata di produzione, sia spumantizzato, in purezza,  con  un ventaglio di profumi speziati  e un gusto mandorlato persistente che evolve in bocca con raffinata eleganza.

L’apertura del mondo oggi ci permette di degustare vini bianchi di ogni provenienza, persino le più lontane ed impensate, con esplosioni di gusti e aromi di grande potenza, ma il Gavi di qualità riesce a superare mode e tendenze proprio grazie ad una personalità forte e raffinata, poco ruffiana, ma di grande carattere che conquista proprio per il suo dualismo di vino delicato ma dalla struttura decisa e persistente.

Al di là del nome “Cortese” del vitigno, che può ingannare l’immaginazione dell’assaggiatore, il Gavi  è dotato di caratteristiche tipicamente mascoline.

  • E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente  il consumatore?

Sicuramente è necessaria un’opportuna informazione al cliente. Purtroppo questo non sempre è possibile, e non sempre le informazioni giungono al destinatario correttamente. Nei numerosi viaggi all’estero, mi sono accorta che sicuramente gli stranieri sono molto più attenti e preparati su questa materia rispetto al consumatore italiano.

  • La parola “spumante” a detta di molti sembra fuori moda. Vengono usate definizioni che a mio parere non fanno vera cultura  del vino. La parola a te…

Lo spumante classico, rifermentato in bottiglia, trova le sue più remote radici nei vini spontaneamente frizzanti o spumosi degli antichi i quali conoscevano certamente la differenza qualitativa, dovuta alla presenza o meno dell’anidride carbonica, fra i vini fermentati in recipienti chiusi e quelli fermentati in recipienti aperti. Si ritiene quindi che questi vini più o meno spumeggianti secondo l’ermeticità del recipiente usato – dall’otre, all’anfora, poi dalla botte alla bottiglia – abbiano rallegrato fin dai tempi più antichi le mense e reso solenni le cerimonie. Il vino  che ci da emozione e gioia, per natura un vino mosso, direi uno Spumante Metodo Classico. Napoleone diceva del vino : nella vittoria lo meriti, nella sconfitta ne hai bisogno.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese della tecnologia, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

La ricchezza del panorama enologico italiano consiste proprio nella grande ricchezza varietale e nella distribuzione produttiva diversificata in molte realtà con capacità produttive differenti. Il mantenimento della nostra rete rurale è garantita anche dalla presenza di tante piccole aziende che investono sul territorio e contribuiscono a mantenere attive anche aree di difficile coltivazione. Penso ad esempio alle Cinque Terre o alla Valle d’Aosta.

  • E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione per aiutare i produttori in modo concreto nell’immediato?

In Italia manca un vero “sistema paese” che possa promuovere, sviluppare, sostenete il settore vino, come ad esempio osserviamo in Francia. Le iniziative sono tante, alcune anche molto interessanti, ma manca una visione d’insieme, una reale sinergia. Gli sforzi e le iniziative sono distribuiti tra diversi soggetti non sempre gestiti da una regia che sappia imprimere una forza d’impatto efficace.

  • Che consigli daresti ad un giovane che vuole iniziare in questo settore, sia come tecnico che come produttore?

Sicuramente il consiglio che mi sento di dare è quello di giungere a questa determinazione dopo aver visto e comparato diverse realtà produttive nazionali ed estere sfruttando l’opportunità di stage in azienda. Collaboro da diverso tempo con l’Università Cattolica di Piacenza, nell’ambito del Master di Enologia, marketing e territorio, apprezzandone la visione e l’indirizzo concreto di formazione. Al termine del percorso formativo, consiglio di specializzarsi in uno specifico ambito di competenze. Il futuro professionale e produttivo si basa sulle eccellenze, su ciò che potrà fare la differenza in un mondo ormai globalizzato.

 




Un bicchiere di vino? Si, grazie ma… consapevolmente!

Le mie domande agli esperti…

                                   Risponde il Prof. Nicola Sorrentino

  • E’ risaputo il mio grande amore per il vino.  Dal punto di vista medico vuoi dare qualche consiglio?

Dopo la pasta anch’io amo il vino. Quello buono e possibilmente rosso, ovviamente con tutto il rispetto per gli altri vini…

L’etanolo, costituente fondamentale delle bevande alcoliche, assunto ad alte dosi comunque è nocivo per la salute. Il nostro organismo è in grado di sopportare questo componente senza evidenti danni, a patto che non vengano superate le Unità Alcoliche (U.A.) giornaliere consigliate. Un bicchiere di vino (125 ml) contiene 12 g di etanolo e corrisponde a 1 U.A.

Si consiglia di bere moderatamente,  l’uomo due bicchieri, la donna e l’anziano un solo bicchiere, sempre in corrispondenza dei pasti e con molta attenzione prima di mettersi alla guida. Questa dose consigliata, in una persona adulta e sana, non può essere stabilita da rigidi norme, in quanto le variabili individuali sono molteplici, perché la dose consigliata moderata per una persona può essere eccessiva per un’altra.  Non è comunque possibile prevedere con precisione la quantità di alcool nel sangue  in base a quanto è stato ingerito.

In ogni caso, nella maggior parte dei paesi del mondo, per quanto concerne la guida dell’auto, la concentrazione di alcool nel sangue oltre 0,5 gr. per litro è sanzionabile. Già valori, però, di 0,2 gr. per litro può portare ad un comportamento più gaio.

La concentrazione di etanolo nel sangue dipende da vari fattori: dalla quota ingerita, dalle modalità di assunzione (a digiuno o durante il pasto), dalla composizione corporea, dal peso, dal sesso, dalla capacità individuale di metabolizzare l’alcool e dall’abitudine all’alcool. Le donne hanno una minore efficienza di metabolizzare l’alcool e sono più vulnerabili ai suoi effetti. Un uomo di 70 kg per smaltire il contenuto di alcool di un bicchiere di vino impiega circa 2 ore. Bere moderatamente non vuol dire solo bere poco, ma anche non bere ravvicinatamene; il nostro organismo in questo modo smaltisce meglio l’etanolo.

Si sconsiglia di consumare alcolici in maniera concentrata nel week end, abitudine diffusa nel nostro paese. Una modica e regolare quantità di vino (o di birra) assunta durante il pasto potrebbe esercitare benefici effetti nella protezione delle malattie cardiovascolari. Benefici effetti dovuti alla presenza di polifenoli, di cui sono ricchi i vini rossi, dal resveratrolo alla quercetina, sostanze con marcate proprietà antiossidanti.

L’abuso cronico, invece, di alcool è in grado di provocare una serie di danni a vari sistemi (sul sistema nervoso, sull’apparato digerente, sul fegato, ecc.). Evitate l’alcool durante l’infanzia, l’adolescenza, la gravidanza, l’allattamento. Riducete o evitate l’alcool in caso di familiarità per diabete, obesità e trigliceridi alti. Fate attenzione all’interazione dell’alcool con molti farmaci.




“Due chiacchiere con… Nicola Sorrentino”

Incontrare dopo dieci anni una persona con cui si è collaborato ottimamente è sempre un vero piacere. Mi è successo poco tempo fa in una nota manifestazione a Milano. Mi riferisco al Prof. Nicola Sorrentino, specializzato in Scienza dell’Alimentazione, Idrologia, Climatologia e Talassoterapia, argomenti a me molto cari.  Due chiacchiere non potevano proprio mancare.

Dal 1982 si occupa di problemi legati all’alimentazione ed attualmente è docente di “Igiene nutrizionale e Crenoterapia” presso la Scuola di Specializzazione in Idrologia medica dell’Università degli Studi di Pavia. Autore di numerosi libri (Cosa mangiamo, Le diete lampo,  La Dieta dei Vip, La Dieta Baso, Psicodieta, Dizionario degli alimenti, Cellulite, ecc.). Collabora con numerosissime testate giornalistiche e televisive.

  • Nicola, alimentazione italiana, promossa, bocciata o… rimandata?

Assolutamente promossa.  Il “modello” alimentare che nel corso degli anni si è venuto a delineare come il più appropriato in termini di rischio e prevenzione dell’Obesità, delle malattie cardiovascolari,  e delle malattie in generale, è quello Mediterraneo:  la nostra alimentazione italiana.  Povera di acidi grassi saturi e di proteine animali, ricca di carboidrati, fibre e antiossidanti naturali, la Dieta Mediterranea  è riconosciuta universalmente per i suoi benefici su linea e salute. Oltre ad essere gustosa. Questo regime alimentare si basa sul consumo di prodotti della tradizione mediterranea: cereali (pane, pasta, polenta), latte e derivati, pesce, frutta, ortaggi, legumi e olio d’oliva. Alimenti semplici e genuini, colti nella loro stagionalità, ricchi di antiossidanti, antiradicali liberi e di grassi soprattutto insaturi. Alimenti con proprietà antinvecchiamento, ideali per tenere a bada i livelli di colesterolo, la pressione arteriosa, la glicemia e per mantenere in salute cuore, cervello, arterie e vene.

  • Mi definisci il tuo concetto di  “dieta”?

Partendo dal presupposto, che un regime alimentare sano è basilare per tutti e che dovrebbe essere uno stile di vita, per chi deve dimagrire, una dieta deve essere essenzialmente l’abitudine ad alimentarsi in modo sano e controllato. Una volta assodato questo, ai miei pazienti spiego sempre che seguire una dieta non è comunque un atto punitivo, ma che si può continuare a stare a tavola con gioia. Seguire un regime ipocalorico non vuol dire saltare i pasti e sognare con nostalgia un piatto di spaghetti, significa essenzialmente riorganizzare la propria alimentazione, in base ai propri gusti ed abitudini.

  • Quali sono gli errori principali che riscontri nell’alimentazione degli Italiani?

Sono stato per circa dieci anni il coordinatore di un programma chiamato “Educare per prevenire”. Il programma, rivolto alle scuole medio-superiori dell’area milanese, è stato sviluppato con il patrocinio della Provincia di Milano, l’Assessorato all’istruzione, e grazie al supporto del provveditorato agli Studi.

 I nutrizionisti sono intervenuti con un programma educativo sull’alimentazione dedicato agli studenti, distribuendo loro un questionario da compilare. Ha avuto un ottimo impatto, e ha permesso di mettere a fuoco molti errori.  Fra questi è emerso che il problema era a casa, dove non c’era stato né supporto, né follow-up ai nostri sforzi. Occorre quindi educare anche i genitori.

Un altro punto è la pubblicità televisiva che ha come target i bambini ed è estremamente dannosa. I bambini fanno pressione sui genitori affinché comprino gli snack che vengono pubblicizzati.
Ci sono già stati sviluppi positivi come il regolamento sull’etichettatura che mira ad informare il consumatore su cosa sta acquistando, usando etichette speciali per la qualità dei prodotti, per prodotti biologici, ecc. Le etichette sono anche un mezzo per assicurare l’origine degli alimenti.

E’ chiaro che abbiamo bisogno di più campagne di informazione, soprattutto nelle scuole, per arrivare anche ai bambini, poiché è a quella età che cominciano i problemi di salute legati all’alimentazione. Bisogna educare famiglie, insegnanti, responsabili scolastici, medici di famiglia, farmacisti, insomma tutti coloro che vengono a contatto con il pubblico.

  • Qual è la tua opinione sul “cibo biologico”,   moda o realtà?

Si al cibo biologico. Recentemente la signora Obama ha lanciato un messaggio ben preciso: sostenere un’agricoltura locale, ecosostenibile e biologica. Gli USA hanno sempre fortemente influenzato i modelli di consumo soprattutto nei giovani. Nell’attuale programma dell’agricoltura americana c’è una incentivazione verso i giovani per diventare agricoltori, ma soprattutto per far conoscere cosa e come mangiare.  Programma di educazione alimentare che nel nostro paese è stato già discusso e che chiarisco nella domanda successiva.

  • Sostengo da sempre quanto sia importante nel percorso scolastico l’educazione alimentare. Molto si sta facendo,  ma molto si potrebbe ancora. Cosa ne pensi?  

Negli ultimi 40 anni le abitudini alimentari degli Italiani sono cambiate notevolmente. Un tenore di vita più  elevato ha permesso l’utilizzo di prodotti più rari e raffinati: da un lato sono scomparse le carenze nutrizionali di una volta, dall’altro ha esposto tutte le persone che mangiano più del dovuto, a gravi problemi per la salute.

Obesità, gotta, malattie di tipo cardiovascolare, ipertensione,  diabete, difficoltà respiratorie, osteoartrosi, ecc. Il 50% degli Italiani ha un sovrappeso di circa 6 kg. Questo grasso  superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a tutte le malattie prima citate.

L’Obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in soprappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso.

  • La colpa?

– Mode alimentari che arrivano da altri paesi ricche di zuccheri, di fritture e povere di verdure e fibre.
– Troppa pubblicità che influenza il gusto e la scelta dei cibi degli adulti e ancor più dei bambini che passano molte ore davanti ad un televisore. Madri che, per stanchezza o per pigrizia dopo una giornata di lavoro, prediligono cibi preconfezionati sicuramente appetitosi e di facile preparazione, ma ricchi di grassi, calorie e con uno scarso apporto di principi nutritivi.
Tutto questo contribuisce a generare nei più piccoli la nascita di un problema  grave perché i chili in più, che oltre ad essere antiestetici causano loro imbarazzo e disagio, spalancando la porta a molte  malattie. La dieta deve essere varia e deve garantire all’organismo tutti i nutrienti di cui necessita: proteine, grassi, zuccheri, vitamine, sali minerali e fibre vegetali.

  • E’ ormai consuetudine  la presenza di chef stellati negli eventi enogastronomici. La loro cucina creativa punta alla valorizzazione del piatto a volte quasi maniacale. Personalmente amo molto la nostra grande tradizione che ci ha resi famosi nel mondo,  e  sono convinta che ci sia una reale voglia di ritorno alla semplicità dei sapori.  Qual è la tua opinione in merito?

Sono assolutamente contrario a piatti con preparazioni elaborate e ad accoppiamenti “anomali” che tolgono gusto e sapore. Bisogna saper sfruttare gli ingredienti a nostra disposizione esaltandone i sapori naturali, senza appesantirli con preparazioni  strane, variando molto gli alimenti anche in base alla stagionalità.

  • Adoro ascoltare ricette raccontate, ricordo quando mi parlavi della tua pizza alla scarola…  Mi piacerebbe che me ne raccontassi una alla quale sei particolarmente legato, e che ti riporta alla memoria le atmosfere dell’infanzia.

La pizza con la scarola mi ricorda molto la mia infanzia, ma c’è un episodio che ancora oggi  dopo cinquant’anni non ho dimenticato perché  vissuto simpaticamente con gioia e divertimento. Era una domenica, e la mia mamma aveva invitato a pranzo zii e parenti.

Aveva incominciato a cucinare il giorno precedente per preparare i polipetti affogati al pomodoro. Pietanza che mia madre cucinava in modo eccellente, e che con il sugo condiva la pasta obbligatoriamente fatta a mano. Uno di quei piatti che cucinato “a fuoco lento” il giorno prima, è ancora più gustoso.

Erano circa due chili di polipetti che tra  stupore e meraviglia al momento di riscaldare il tutto, erano scomparsi! Era rimasto solo il sugo! Mia mamma era arrabbiatissima pensando ad uno scherzo. In realtà mia sorella Nives, tutt’ora in “carne”, e degna moglie di mio cognato Antonio anche lui buongustaio, durante la notte li aveva mangiati tutti!  Aveva mangiato due chili di polipetti e stava benissimo! Spero che mia sorella non legga questa storia che ha sempre negato. Certamente i polipetti non potevano sciogliersi o… volar via!

 




“Due chiacchiere con… Mattia Vezzola”

Tempo fa feci visita a Gianni Vittorio Capovilla, noto distillatore di cui vi ho già raccontato in un’altra mia storia. Discorrevo con lui di un mio progetto… qualcuno forse lo chiamerebbe sogno, ma sognare non costa nulla. Come dico spesso… se non provi nella vita non saprai mai cosa potrebbe essere stato.

Gianni mi ascoltava attento… capiva il mio entusiasmo.  D’un tratto mi disse: “Cinzia, devi conoscere un enologo che crede nel territorio, si chiama Mattia Vezzola”.  Direttore ed enologo dell’Azienda Bellavista a Erbusco in Franciacorta, Consigliere regionale e nazionale dell’Associazione Enologi ed Enotecnici Italiana, conduce con il fratello l’Azienda vitivinicola di famiglia Costa Ripa a Moniga del Garda. Fatta questa premessa, vi posso solo dire che seguo sempre i buoni consigli. Quindi sono andata, e l’ho conosciuto chiacchierando davanti ad un calice di vino… come piace a me.

  • Le nostre origini… tutto parte da li. Come è iniziata la tua avventura nel mondo del vino?

Per tradizione; la mia famiglia coltiva la vigna e produce vino dal 1936 a Moniga del Garda.

  •  Sei grande conoscitore del territorio, dei vitigni e dei vini Gardesani. Ce li puoi raccontare brevemente?

Sono quattro i vitigni:  Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera. Rispettivamente eleganza, sapidità, piccoli frutti e più frutta rossa, più complessità e più freschezza. Il vino principe è il Valtènesi Chiaretto che proviene dai quattro vitigni con maggioranza Groppello.  E’ tra i vini più setosi e papati del mondo.

  • Il vino per me è molto di più di una bevanda, il vino è storia, è pensiero, è filosofia di vita. Cos’è per te il vino?

Il vino è saper ascoltare, saper aspettare e cogliere, saper raccontare ed emozionare, è tempo passato, presente e futuro, è un modello di vita, è regola e disciplina, è rispetto della natura.  La storia di intere famiglie, di intere generazioni.

  •  Amo visitare i piccoli produttori, passeggiare con loro in vigna e sentirne le loro storie. Io vivo così il vino. Mi capita spesso però di sentire gli esperti sostenere che un piccolo produttore difficilmente è in grado di fare un vino di qualità per la mancanza di tecnologia, che queste realtà non possono sostenere. Lascio a te la risposta.

Le dimensioni non sono significative ma è importante, per potersi avvicinare alla costanza qualitativa, avere la possibilità e la competenza di saper scegliere. L’eccellenza sta nel pensiero e non nella dimensione.

  •  E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione per aiutare i produttori in modo concreto?

Concedere istituzionalmente le responsabilità delle scelte e la guida delle filosofie a persone di provata e consolidata esperienza.

  •  Che consigli daresti ad un giovane che vuole iniziare in questo settore?

Studiare, amare, e avere la fortuna di incontrare il mondo estero.

E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente il consumatore?

 Direi di no;  il bio dovrebbe essere un pre-requisito da non dichiarare, il resto è nel conoscere e saper fare. C’è una grande attenzione da parte delle cantine alla qualità del proprio prodotto e non solo, oggi si pensa anche alla salute del consumatore e da qui un percorso di produzione non necessariamente biodinamico o biologico, ma il più naturale possibile.

  • I consorzi sono nati per unire le singole forze e tutelare i vignaioli. Spesso criticati, cosa ne pensi?

Il consorzio come primo compito ha quello di definire le regole e farle rispettare. Secondo, tutelare e valorizzare la vocazionalità del territorio e del proprio prodotto, attraverso tutti i mezzi di comunicazione a disposizione. Terzo, utilizzare, al fine di ottenere il consenso generale del consumatore e una credibilità sempre più rafforzata, le potenzialità di ogni produttore, esaltando ogni singola peculiarità, che in un quadro generale d’insieme dia forma ad un progetto definito e concreto di crescita e sviluppo. Quarto, lavorare per ottenere dalle istituzioni quei riconoscimenti e quei sostegni indispensabili, per essere sempre più competitivi sui mercati sia consolidati che emergenti. In sintesi, legare la terra al mercato.

  • Qual è la vostra realtà in Franciacorta sulla promozione vinicola?

Il consorzio, attraverso la sua organizzazione e relativo ufficio stampa, da alcuni anni si adopera per diffondere la denominazione Franciacorta con ogni mezzo che si identifichi nella qualità dell’immagine, della comunicazione, e del linguaggio, anche attraverso una forma diretta che è quella del Festival del Franciacorta itinerante.




I miei tour Vinosi… ad Aosta. “La Crotta di Vegneron”

La Crotta di Vegneron è una cooperativa di viticoltori situata nel borgo di Chambave ad Aosta.

Nata nel 1980 fu ideata e fondata da Yves Burgay originario di Chambave, nato nel 1925 e deceduto nel 2011. Presidente della cooperativa vitivinicola che riuniva i vignerons della valle per molti anni, dal carattere forte e determinato a detta  di coloro che hanno avuto l’onore di conoscerlo.

Le sue ricerche hanno portato alla produzione del pregiato Moscato Passito di Chambave prodotto dalla Crotta definito come suo capolavoro. Vinificatore esperto e memoria storica della viticoltura di Chambave, si pose come obiettivo la D.O.C. regionale con sotto denominazione di zona e di vitigno che le istituzioni riconobbero.

La Crotta estende i  trenta ha di vigneti su dieci comuni circostanti.  I suoi soci sono attivamente presenti nella conduzione dell’azienda. Uno di loro guidandomi durante la mia visita, mi ha raccontato che il particolare microclima di questo territorio determina scarse precipitazioni, con conseguente attacco parassitario molto limitato, e uso al minimo di  trattamenti  antiparassitari. E questa non è cosa da poco…

Dopo la mia visita, non ho potuto fare a meno di degustare un vino rosso di carattere e di struttura… come piace a me! Un Fumin, antico vitigno autoctono della Valle d’Aosta a maturazione tardiva.  Ottimo!

Fumin




“Due chiacchiere con… Daniele Manini”

Daniele Manini, agronomo della storica Azienda vitivinicola Doria a Montalto Pavese. Ama definirsi come colui che segue per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina.  Appassionato promotore del recupero dei vitigni storici e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.

Un onore e un piacere conoscerlo…

  •  Chi è Daniele Manini?

Un uomo che vive la vita nella ricerca della serenità e dell’equilibrio con la natura, che trova nella manipolazione della materia uva, energia ed appagamento, con la speranza di emozionare chi degusta l’arte effimera di produrre vino.

  • Daniele, cosa ti ha spinto a scegliere la facoltà agraria?

Il caso…  Dopo un sensazionale periodo nei corsi regolari dell’Aeronautica Militare di Pozzuoli ed in particolare nel magnifico  “Corso Falco IV”, mi sono trovato a riprogrammare la mia vita.  Ha scelto il mio istinto sostenuto dall’esperienza pregressa, e l’amore incondizionato per la natura tutta… In definitiva un modo diverso di mettere a servizio la propria esistenza.

  • Ti definisci Maestro di Cantina. Puoi spiegarmi meglio le differenze di questo ruolo rispetto alle figure tradizionali?

La completezza del ruolo. L’enologo inteso in maniera tradizionale conosce il vino ma non in profondità la cantina e la vigna, non si interessa di accoglienza, marketing e gestione aziendale.

Non esiste una figura professionale adeguata per il cantiniere che benché spesso esperto manipolatore di alimenti,  non trova collocazione adeguata nel mondo professionale se non come operaio agricolo.

Per legge quindi chiunque può fare il cantiniere anche se praticamente nessuno si può permettere di avere in cantina personale non qualificato. L’agronomo propriamente detto, vede il terroir e la vigna ma nella sostanza nessuna esperienza a valle, spesso a partire dal significato enologico di uva.

Non esiste altra figura se non il “Maestro di Cantina” insieme alla proprietà, nell’assumere il ruolo di “promotore e comunicatore”.  Accoglie l’enoturista quasi fosse lo sportello unico in luoghi dove gli assessorati al turismo e all’ambiente non hanno presidi.

Per la parte economico-gestionale è la figura di riferimento per la sicurezza sul lavoro, l’Haccp, la Iso 9000, il controllo di processo e il controllo analitico.  Analizza e gestisce i flussi dei costi in entrata e della gestione  dei prodotti in uscita, quasi come garante della qualità aziendale sia in capo al prodotto che alla gestione. Questo vale per le aziende di piccole e medie dimensioni. Non è un caso che spesso siano i proprietari conduttori ad assolvere più ruoli contemporaneamente,  a causa del fatto che non esiste una figura professionale siffatta in Italia.

  • La tua terra d’origine è Viterbo. Come sei arrivato in Oltrepò Pavese?  Puoi descrivere la tua esperienza maturata in questo territorio nel corso degli anni vissuti qui?

Sono arrivato nel 1998 appunto per calibrare la ISO 9000.  Tramite lo strumento Iso appropriato ho riprogrammato l’azienda per i tempi a venire e per il lungo periodo. Mi sono trovato poi ad assumermi la responsabilità della direzione della cantina, ed a costruirmi, quasi come prototipo, la funzione complessa ed appagante del “ Maestro di cantina”.

Questo territorio per lunghi anni è stato un soggetto ignoto perché tutta la mia energia era calata a sostenere l’attività aziendale e l’acquisizione di professionalità. Chiuso nel mio mondo, cercando la strada migliore per l’azienda Doria e per me, quasi una lunga gravidanza enologica.

  • Sei fautore del recupero, ove possibile, della tradizione storica della viticoltura. Ne è esempio l’utilizzo delle botti di castagno italiano. Come valuti i risultati di questa tua esperienza?

Interessanti e necessari…  la considero archeoenologia o meglio enoarcheologia. Sono fermamente convinto che se non si mette in evidenza il passato e non lo si mette in chiaro (nessuna scuola enologica ha corsi specifici a tal riguardo) non si può parlare di tradizione enologica italiana.

Le nuove leve come possono avere la percezione di cosa sia il vino, inteso come patrimonio culturale ed essenza della cultura enogastronomica italiana, se trovano solo tecniche e tecnicismi nei corsi di enologia. E’ come se un artista non studiasse Storia dell’Arte.  Il vino è Arte… non sono in grado di vederlo come prodotto tecnologico o bevanda.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese della tecnologia, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Michelangelo aveva solo uno scalpello ed un martello…  La Conoscenza è sinonimo di qualità ed è sempre perfettibile finché vita non ci separi dalla nostra passione: il vino.

  • E’ un momento difficile per la viticoltura. Se ti trovassi faccia a faccia con il ministro delle politiche agricole, che misure chiederesti a suo sostegno nell’immediato?

Rispetto. Vorrei riconosciuto il ruolo di Tutore dell’ambiente poiché il sistema ambiente italiano è fragile, e da sempre tutelato da chi con dedizione quotidiana fa manutenzione del meraviglioso paesaggio italiano.

Vorrei che il produttore del vino, quello vero che non ha mai udienza nei salotti romani, quello che sta tutti i giorni sul territorio e che da solo gestisce tutta la filiera vite-uva-vino assumendosi tutti i rischi, “generatore” di ricchezza per il Sistema Paese, e che per questo suo magnifico lavoro di gestione abbia quell’IVA agevolata che D’Alema ci ha tolto dimentico del ruolo sociale ed ambientale, che i padri fondatori della Repubblica Italiana avevano attribuito alle classi agricole, spesso derubricate a zappaterra dalla classe arricchita spesso ex-agricola italiana.

  • Ad un giovane che vuole investire la propria energia e passione in questo settore, sia come produttore che come tecnico, cosa consiglieresti per iniziare?

Valutare bene le personali risorse, intendo quelle energetiche, e tante ne servono… Ascoltare con severità e criticità ma sempre con umiltà chi ha più esperienza, porsi sempre “in continua formazione” rispetto al vino ed ai suoi contorni.

Deve vivere con la consapevolezza di essere spesso incompreso da un mondo che gira intorno al vino e che vive in un brodo fatto di realtà vere e false, esperienze vere e presunte, conoscenze e spesso credenze, e molte bugie che creano una miscellanea di umori, e quindi, che avrebbe bisogno di un super psicopatologo.

Nel caso in cui decidesse di affrontarle tutte insieme, che viva con serena alterità la sua personalissima esperienza enoica…

“Il caro Daniele… Ricordo quando una sera, a cena insieme a Montalto Pavese, lo vidi prendere in braccio la sua bella bambina. La alzò in alto e mi disse: “Vedi Cinzia, io voglio che lei cresca imparando ad emozionarsi…”. Mi commuovo ancora quando il pensiero va a quell’immagine…  Se questa mia avventura servisse anche solo a conoscere persone così, io so per certo che la mia strada è giusta, perchè come dico io,  ci sono tanti modi di arricchirsi, e questo per me, è il  migliore…”

 



I… “Doria di Montalto”!

 I Doria di Montalto… non so, ma detto così mi sembra quasi di raccontare  la storia di una famiglia medioevale… di castelli, di sfide e di duelli!

E qui scatta la molla… Si, perché dovete sapere che amo molto la storia, e in particolare amo tutto ciò che ha un vissuto da raccontare.  Quando nel mio girovagare vedo anticaglie è come se fossi calamitata, e se qualcuno è con me sente dirmi: “Aspetta un attimo che devo guardare…”  Non per niente in casa mi circondo di libri antichi, candelabri, leggii, spade, sciabole e coltelli. Quando poi entro nelle dimore storiche la faccenda si fa davvero seria. E’ come se vivessi un dejà vu , come se tornassi a casa…  So solo che un giorno entrando dai Doria di Montalto quell’atmosfera mi avvolse…

Dovete sapere che l’Azienda vitivinicola Doria ha iniziato la sua attività nel 1800.  Pietro Doria, telegrafista durante la seconda guerra mondiale e sopravvissuto allo sterminio della Divisione Acqui a Cefalonia, una volta tornato dalla prigionia diede nuovo impulso all’attività. Gli fecero seguito fino al 1996, i figli Bruno e Adriano.  Dopodiché le redini passarono in mano ad Andrea e Davide,  guidati dalla madre Giuseppina Sassella Doria.

Decisi di fissare un incontro per una visita. Ero in ritardo come al solito… Nonostante i miei sforzi non riesco mai ad essere puntuale! Lungo il percosro i paesaggi catturarono in particolar modo la mia attenzione, tanto da fermarmi e scendere dall’auto per gustarmi appieno tanta bellezza.

Come diceva Luigi Veronelli in un articolo del Corriere del 2003: “È un territorio che va scoperto lentamente, e non solo per la vocazione enologica…”

All’ingresso mi venne incontro il caro Daniele Manini, agronomo dell’azienda, con cui passai un  intero pomeriggio a parlare. Il pensiero mi diverte ancora, perché Mario Maffi enologo ben conosciuto in Oltrepò Pavese, mi aveva preannunciato che fra noi due sarebbe stata una bella lotta… Si, lotta a chi parlava di più! Ebbene lo chiamai a fine serata, avevo vinto io!

Dovete sapere che Daniele si era avviato alla carriera di pilota in aereonautica. Fu un problema alla vista che lo fermò, e che lo costrinse a rimettere in discussione la sua vita. Fu allora che si orientò verso la facoltà di Agraria di Viterbo, che lo portò di li a breve ad iniziare la sua felice collaborazione con la famiglia Doria. Lui è gran fautore del recupero dei vitigni storici  e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.  Inoltre si definisce come la figura che segue, per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina. Ed è proprio questo suo pensiero che l’ha portato a dare continuità alla tradizione della Cantina Doria. Con lui si è realizzato il Barbera “storico” elevato in botti di castagno italiano.  E questa sua sperimentazione ha portato una famosa “tonnellerie francese” ad interessarsi, tanto da affidare ad alcuni docenti la valutazione dei risultati che otterrà.

Io guardo le mie colline e ne sorseggio sovente il vino per non dubitare dei miei maestri… Guardo ogni volta commosso le colline pavesi, che sono il mio dolce orizzonte di pampini. La terra padana si ondula come un immenso mare sfrangiato in profili per me familiari fin dall’infanzia. Le onde sono di intenso verde, e via via si fanno violette azzurre celesti fino a confondersi appunto, con il cielo…

Giovanni Luigi Brera, il Gioânn, nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po (Pv)




Il mio incontro con il Prof. Manzoni, l’enologo dai famosi incroci

Fu Cristina Garetto, protagonista di una delle mie storie, ad accennarmi di lui e dei suoi famosi incroci…

Dovetti ammettere di non conoscerlo, ma dai racconti che mi fece, m’incuriosì da subito.  Chiamatelo istinto, sensazioni, ma qualcosa mi attirava nella conoscenza di quell’uomo. Seppi che era stato seppellito nel cimitero della mia Lorenzaga, piccola frazione di Motta di Livenza, mia terra d’origine, mio unico legame col passato.

In quel cimitero c’è una parte della mia famiglia ormai scomparsa, lì ci sarò anch’io, così ho deciso. A volte passeggio al suo interno e guardo le foto sulle lapidi, guardo gli sguardi, e chissà mi dico… lì non temo nulla, li sono tra persone che ho conosciuto. Quel piccolo cimitero tra vigneti e pannocchie è sempre aperto.

Questa è una serata strana, è l’una di notte, sono qui sul mio scrittoio, ma in realtà sono lì con la mente e sto passeggiando sulla ghiaia… Mi sento come teletrasportata, quasi divisa tra due entità. Mentre sto scrivendo lo sto guardando, sono lì davanti alla piccola cappella di famiglia…”

Nel pomeriggio in cui venni a conoscenza di lui, decisi di cercarlo. Volevo però avere quell’unico contatto possibile come d’abitudine faccio prima di scrivere sulle persone. Io sono cosi. Il contatto con la voce, con la pelle, con il luogo di appartenenza mi è fondamentale.

Andai alla ricerca per conto mio, ma nonostante avessi girato in lungo e in largo non lo trovai. Si era fatto tardi, e per il momento rinunciai. Dopo cena avevo promesso di andare a bere il caffè da Renzo e Anna, vicini di casa della zia in campagna e amici di sempre. Renzo mi conosce fin da bambina. Ricordo che ogni estate dopo i mesi passati dalle suore essere portata in campagna era il paradiso. Lui alla mattina passava a salutarmi e mi prendeva in giro. Per non parlare di cosa gli toccava ogni anno in occasione dei fuochi d’artificio della festa del paese. Ero letteralmente terrorizzata, ma lui regolarmente si offriva di distrarmi per evitare i miei singhiozzi. Il paradosso è che ora io li adoro, e appena posso vado a vederli dovunque.

E di nuovo che chiacchiero e mi perdo… dov’ero? Ah si! Dicevo che quella sera davanti a un caffè raccontai a Renzo della mia impresa fallita. Ad un tratto lui mi disse: “Vuoi che torniamo insieme?” Erano le ventuno passate. Bè, certo non mi tirai indietro, in particolar modo perché l’indomani sarei dovuta ripartire. Era l’ultima occasione per cercarlo.

Ci avviammo in auto, entrammo con una pila, e lo cercammo fino a trovarlo. Il loculo era basso. M’inginocchiai guardandolo. Vidi uno sguardo fiero e orgoglioso che non mi stupì. Ero decisa a scrivere di lui, e cosi feci.

Preside della Scuola Enologica di Conegliano, divenne famoso ricercatore sperimentando nel corso degli anni ‘20 – ’30 incroci di vitigni nelle proprietà della Famiglia Collalto. Documentò i suoi studi con una settantina di pubblicazioni. A felice testimonianza dei suoi incroci abbiamo il vitigno più interessante, l’Incrocio Manzoni Fotocamera Luigi Manzoni6.0.13.

Il Prof. Luigi Manzoni utilizzò del polline di Pinot Bianco e fecondò i fiori di Riesling ottenendo così la combinazione. I numeri stavano a indicare il filare e la posizione della pianta.

La Scuola Enologica di Conegliano ha voluto recentemente riordinare il congruo materiale del Manzoni presente nel suo Reparto di Scienze. Pensate che sono riusciti ad assemblare da un suo geniale progetto una particolare fotocamera a banco ottico in legno, che, collegata ad un microscopio, veniva utilizzata per le microfotografie scientifiche. Queste fotografie ottenute dal Manzoni in laboratorio dopo giorni e giorni di meticolosi tentativi, sono considerate a tutt’oggi insuperate, e questo la dice lunga.

Nel leggere i suoi scritti scaturiva la personalità di un uomo caparbiamente determinato nel raggiungere i suoi obiettivi. Devo ammettere che in questo mi rispecchio molto in lui.

Grazie alla sua ricca documentazione ora posso dire di averlo conosciuto. Sì, perché ci sono tanti modi di conoscere le persone. Sono sempre più convinta che scrivere le proprie idee, i propri progetti, e le proprie emozioni, ci dia in dono un pizzico d’immortalità.




La storia di Cristina… una donna proiettata nel futuro con uno sguardo al passato

Si dice che dietro un grande uomo, c’è una grande donna… Bè, io ho avuto modo di constatarlo.

Tutto iniziò un pomeriggio in campagna nella mia Lorenzaga di Motta di Livenza, tra il fruscio delle pannocchie agitate dal vento, il canto delle upupe, e l’allegro vociare di Erica e Giulio, i miei cuginetti che si rotolavano nell’erba. Dopo uno sguardo alla finestra in contemplazione di tanta semplice bellezza di vita, mi misi a guardare dei video di alcuni produttori locali.

Ad un tratto la mia attenzione fu calamitata da una donna che si raccontava, Cristina Garetto. Io vivo d’istinto, lo dico sempre, è la mia guida nella vita. Bè, quel giorno il mio istinto mi indicò la direzione e mi mise in moto. Dopo una breve ricerca trovati i contatti e mi accordai con lei per un incontro. Il pomeriggio successivo ero a Tezze di Piave, nella sede principale della Cantina Cecchetto.

Come d’abitudine feci un giro li intorno. Mi piace capire dove vivono le persone e sentirne le atmosfere, è come conoscerle un po’. Dopo aver fermato i miei ricordi con qualche foto, mi diressi all’ingresso. Fu Cristina ad accogliermi, e i nostri sorrisi ci fecero subito conoscere.

Azienda Agricola Cecchetto

Azienda Agricola Cecchetto

Durante la mia visita mi raccontò dell’incontro felice con Giorgio Cecchetto, suo marito. Lei, diplomatasi all’Istituto magistrale non avrebbe mai pensato al suo destino nel mondo del vino… ma la vita ci riserva belle sorprese, basta saperle cogliere.

Mi raccontò dell’azienda e dei suoi vini. Orgogliosamente promotrice del vitigno del Raboso e del suoi territori, la Cantina Cecchetto è socia fondatrice della “Confraternita del Raboso del Piave”.

Ad un tratto mi disse che vinificavano delle uve ottenute da ben 35 ettari di vigneto a Lorenzaga di Motta di Livenza.  Non potei che strabiliare gli occhi, spiegandole che ero arrivata proprio da li.

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cristina divenuta sommelier, decise di puntare alla tradizione cercando di mantenere una forma particolare di allevamento della vite, “la  Bellussera” (coltivazione di quattro viti sostenute da un palo, che, una volta raggiunta l’altezza, vengono inclinate dando al vigneto una forma a raggiera). Ideata dai F.lli Bellussi tra il 1850 e il 1900, oggi ormai in disuso perché soppiantata da forme con maggiore densità di piante per ettaro. Tradizione a braccetto con l’innovazione, perché nel contempo guardava al futuro con la sperimentazione. Nel 2002, infatti, vennero piantate le prime 5000 viti provenienti da nuove selezioni clonali di Raboso Piave.

Dovete sapere che io adoro la storia e le tradizioni. Lo so, lo so, ve l’ho già detto in altri miei racconti… Ma questo per farvi capire il mio entusiasmo, quando ad un tratto mi raccontò che dallo studio di un testo del 1600, l’affinamento del Raboso Piave avveniva in legni del territorio… acacia, gelso, castagno e ciliegio! (“I Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di Villa” di Giacomo Agostinetti, nato nel 1597 a Cimadolmo, un paese confinante)

Vigneti Cecchetto

Vigneti Cecchetto

Per questo impegno le venne conferito il “Premio De@ Terra 2010” dal Ministro delle politiche agricole Giancarlo Galan  nell’ambito della celebrazione della Giornata Mondiale della Donna Rurale. Mi raccontò delle sue ricerche, e a un certo punto menzionò un certo Prof. Luigi Manzoni e i suoi famosi incroci. Mi disse che era sepolto proprio a Lorenzaga, nel cimitero dove c’è quasi tutta la mia famiglia, dove quando sarà il tempo ci sarò anch’io. Oh mamma mia direte, ma che discorsi fai… e va be, si fa per dire, ne ho di storie ancora da raccontare!

Ma tornando al Prof. Manzoni, dovete sapere che la cosa mi incuriosì e parecchio! Tanto che la sera stessa, io e il mio caro amico Renzo, con una pila alla mano, vagammo nel cimitero di Lorenzaga alla sua ricerca fino alle ventidue passate! Ve l’ho mai detto che sono parecchio testarda e che se mi metto in testa qualcosa difficilmente non la raggiungo? Bè, è così! Quando finalmente lo trovammo soddisfatta mi soffermai davanti al suo sguardo fiero e orgoglioso.

Fu allora che decisi di raccontare di lui… e lo farò, nella mia prossima storia.




Lino Maga, il vignaiolo poeta

Recentemente mi è stato chiesto che personaggio mi piacerebbe incontrare. Ce ne sono tanti, ma in particolare vorrei conoscere un vignaiolo, Lino Maga, il papà del Barbacarlo, vino rosso prodotto sulle colline nei pressi di Broni, nell’Oltrepò Pavese.

Un uomo che vive nella pace, nei silenzi, e nei ricordi degli amici che non ci sono più, un uomo che potrei ascoltare per ore. Ebbene l’ho incontrato, l’ho ascoltato, e mi ha ascoltata…

Lo chiamai un giorno in cui ero quasi bisognosa di un conforto, si era frantumato un sogno. Al telefono lui capì subito, ascoltò brevemente il mio sfogo e mi disse: “Cinzia, è una battaglia dura, mai fermarsi… le cose vanno dette”.  E così feci, e così farò…

Prendemmo accordi per incontrarci una domenica pomeriggio da li a breve. Ho vissuto l’attesa dei giorni che mi separavano dalla sua conoscenza con trepidante emozione… avrei incontrato una leggenda, una memoria storica.

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Al mio arrivo vidi una semplice insegna che mi ricordava le botteghe dei tempi passati. A fianco un portone aperto mi spinse timidamente ad entrare in un cortile. I miei occhi si spalancarono, lo scenario sembrava quasi la rappresentazione di una fotografia degli anni ’50. Vecchi attrezzi, anticaglie, tralci secolari di vite appesi, e ad un tratto lui. Mi venne incontro quasi conoscendomi.

E’ ormai risaputo che adoro tutto ciò che ha una storia, e forse per quello, nonostante Lino mi invitasse ad entrare, ero trattenuta da quell’atmosfera. Cercavo di capire ciò che vedevo, come quell’insegna che riportava la scritta “Cameliomagus”. Lino mi spiegò che era l’antico nome di Broni, località dell’Oltrepò Pavese. Ci perdemmo in chiacchiere per una mezz’oretta, poi, soddisfatta dalle risposte che avevo ricevuto, accettai di entrare.

Ero praticamente circondata dalla storia. Dovunque c’erano i suoi scritti, ma non su tele o pergamene, semplicemente su fogli che appoggiava qua e la, tra libri e bottiglie, come pensieri sparsi.  

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Incominciai a leggerli… amo la poesia degli uomini semplici. Vedendomi così attratta mi disse: “Cinzia, io non sono un poeta”.  Io dico di si, lui lo è! 

Ne ebbi la conferma quando, visto il mio interesse, aprì un vecchio mobile e prese un suo scritto del 2011, “Il Vignaiolo”. Vicini in quell’atmosfera sognante me lo lesse. Sfacciatamente gliene chiesi una copia. Mi guardò perplesso, io sorrisi, e dovette arrendersi. L’ho in mano ora mentre scrivo…

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Passammo poi nel salone della rivendita. Un grande tavolo di legno, un lampadario antico in ferro battuto, vecchie foto, e dovunque scritti di poesie… io guardavo, leggevo e chiedevo. Faticò molto a farmi sedere. Prese una bottiglia, del pane, due fette di salame, e incominciammo a raccontarci. Ero così felice ed emozionata che ad un tratto mi commossi.

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Mi raccontò delle sue battaglie, delle sue sconfitte, e delle sue rivalse. Mi riconosco molto in lui, battagliera sempre, a volte ferita, ma orgogliosamente decisa ad andare avanti per la mia strada…  Mi disse: “Cinzia, mai fermarsi, mai arrendersi !”

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Mi descrisse le lotte nei lunghi anni in tribunale, ben ventidue, tra carte bollate e avvocati per garantirsi il diritto dell’esclusività del nome del suo vino.

Dal 1983 infatti, il vino prodotto sulla Val Porrei, la collina del Barbacarlo il cui nome è depositato nella mappa catastale del comune di Broni, è ad uso esclusivo di Lino Maga. Su questa collina dal terreno tufoso ed impervio, crescono i vitigni di Croatina, Uva Rara e Vespolina (chiamata anche Ughetta). Le lavorazioni manuali e l’assenza di diserbanti e prodotti chimici, garantiscono la naturalità del prodotto.

La mia visita continuò nelle cantine poco distanti. Fui piacevolmente accolta dal figlio Giuseppe, schietto e simpatico come Lino. Ma la vera sorpresa fu, che non solo lui mi accolse! Ero circondata da mucche, cavalli, un asino, oche del Campidoglio, cani da caccia, galline… insomma, una vera fattoria! Mi misi a fotografare qui e la tentando di correre dietro a un coniglio, visto che per una volta ero senza tacchi! Dovetti arrendermi… la corsa la vinse lui!

Passammo insieme un intero pomeriggio di emozioni, di ricordi, di poesia, di natura… un pomeriggio diVino!

Il mio vino non segue le regole del mercato ma quelle del tempo e dell’esperienza, è succo d’uva della terra, del luogo che lo ha partorito,  per la gente che ama ancora il sapore della terra…

Lino Maga


                               

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