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Angelica Lodi, una cuoca che non si china… se non sui piatti!

Angelica Lodi, classe 1996. Il suo motto: “Mai china, se non sui piatti!”

Una giovane cuoca del ristorante La Chiocciola di Portomaggiore, in provincia di Ferrara, che ho avuto il piacere di conoscere a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano – il format ideato da Luigi Cremona e Lorenza Vitali – durante il quale si sono sfidati ragazzi under 30 per la selezione del ‘Miglior Chef Emergente 2019 del Nord’.

Dalla giuria ho potuto osservare la loro attenzione nella preparazione dei piatti, che, all’assaggio, hanno evidenziato l’impegno con cui si sono presentati. Giovani talentuosi con un ruolo importante per il futuro del Sistema Italia. Saranno infatti anche le loro scelte a contribuire alla valorizzazione della filiera agroalimentare. Una responsabilità che ogni cuoco esercita ogni qualvolta si appresti a preparare un piatto.

Luigi Cremona e Angelica Lodi a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano

Vi presento Angelica Lodi…

  • Angelica, partiamo dal Festival della Gastronomia. Durante la gara alla quale hai preso parte mi ha colpito la tua tenerezza, non oscurata dalla determinazione necessaria al ruolo che hai scelto per il futuro. L’assaggio del tuo piatto, poi, mi ha confermato la tua preparazione. Come e quando è iniziata questa tua passione per la cucina?

Alle scuole elementari.  Non so esattamente il motivo… questa passione non l’ho presa da nessuno. Per certo veder cucinare e poter aiutare mi ha sempre appassionata e incuriosita fin da piccola.

“Come fosse un cappellaccio…” un piatto che nasce dalla creazione di un assoluto di zucca.

  • Hai scelto un mestiere impegnativo, che per una donna lo è ancora di più. Le difficoltà non sono certo da imputare alle capacità personali, ma alle esigenze familiari che sorgono col tempo. Conseguentemente a ciò, affermarsi in questo settore prettamente maschile comporta molti sacrifici, sempre che questo sia il tuo desiderio?

Certo, quando avrò una famiglia sicuramente medierò gli impegni professionali con le esigenze familiari. Tra le mie ambizioni ho quella di aprirmi una gastronomia di qualità, che mi permetta alla sera di passare un po’ di tempo a casa.

  • Mi capita spesso di sentire gli chef lamentarsi a proposito della scarsa formazione che riscontrano – a livello pratico – nei cuochi neodiplomati. Cosa ti senti di rispondere a tal proposito?

Hanno ragione. Purtroppo le scuole si focalizzano sempre di più sulla teoria piuttosto che sulla pratica. Nonostante ciò, in quelle poche ore, con il massimo impegno, si cerca di apprendere il più possibile degli insegnamenti.

  • Nonostante la tua giovane età, ti senti di dare un consiglio ai giovani che scelgono questo percorso professionale?

Questo lavoro è tanto bello quanto difficile. Ecco il mio consiglio: “Ragazzi, se non mettete determinazione, passione, costanza e tanto sacrificio, fate a meno di intraprendere questo percorso, perché senza tutto questo durereste meno di un mese.

  • Un’ultima domanda: a chi ti ispiri per il tuo futuro?

Sinceramente, a me.

Riprendo la parola…

Che dire… be’, senza dubbio dalle risposte secche di Angelica si evince che è una ragazza molto decisa. Ciò che mi auguro è che si impegni nel custodire e salvaguardare la tradizione culinaria italiana. Una conoscenza da divulgare che permette ai cuochi, col tempo e l’esperienza, di dare forma alla propria identità.

 

Trattoria La Chiocciola  www.locandalachiocciola.it
Via Runco, 94/F Portomaggiore (FE)

Fotografia in testata di Nicola Boi – Nikoboi photographer




Siena, un concentrato di capolavori!

Cor magis tibi Sena pandit«Siena ti apre un cuore più grande» (della porta che stai attraversando).

Un’iscrizione presente sull’arco esterno dell’antica Porta Camollia, che dà il senso dell’accoglienza che questa città storica tra le più belle d’Italia, offre a chi ha la fortuna di visitarla. Un luogo in cui vivere con i tempi giusti, che mi ha permesso di capire quanta ricchezza d’arte possa concentrare una città. Una conoscenza da fare passeggiando nei vicoli del suo centro storico – patrimonio dell’Unesco – godendosi la bellezza dei palazzi e delle botteghe artigianali, fino a giungere nel suo cuore a forma di conchiglia: la splendida Piazza del Campo.

Sedersi a terra ad ammirarla è quasi un rito, che agevola la vista e che permette di godere della sua magnificenza a 360 gradi.

Piazza del Campo

Passeggiando per Siena

Cattedrale dell’Assunta

Cattedrale dell’Assunta – interni

Libreria Piccolomini

Siena, un concentrato di capolavori!

L’ho visitata camminando a piedi tra le sue diciassette Contrade. Realtà storiche che dal 1729 tracciano un territorio e rappresentano una comunità basata sul volontariato, con un’identità e con tradizioni che a differenza di altrove non scemano, anzi, col passare degli anni si rafforzano. Diciassette istituzioni democratiche e indipendenti con statuti, battesimi laici e con una propria chiesa, il cui più alto rappresentante è il Priore. Intorno a lui, a supporto, molte altre cariche tra cui il Vicario (vice del Priore), il Cancelliere (segretario), il Camerlengo (tesoriere), il Bilanciere (contabile), l’Economo (curatore del patrimonio), l’Archivista (custode storico), il Correttore (capo spirituale della Contrada), e… Insomma, un’organizzazione serissima basata sulla solidarietà e sulla passione, che ho conosciuto attraverso l’ascolto dei racconti di una contradaiola che mi ha guidato alla visita del Museo ‘Contrada della Civetta’.

Museo Contrada della Civetta

A questo proposito riporto un pensiero del grande Federico Fellini.

“Voi a Siena avete questa cosa preziosa, ed è singolare come nel conflitto delle Contrade vi sia la vostra unione. Tutto il mondo si sfalda e voi siete qui con la vivezza di questi riti e con la fedeltà dei secoli. Credo sia l’unico esempio in Italia. C’è una sorta di cordone misterioso tra voi e i senesi di tutte le epoche. È bello, molto bello!”

Non mi soffermerò sul Palio, una corsa di cavalli condotta da fantini mercenari, che sia pur di secolare tradizione, ogni anno scalda l’atmosfera al punto da creare eccessi e talvolta incidenti, per tutti gli esseri coinvolti, umani e animali.

Museo Contrada della Civetta

Museo Contrada della Civetta

Museo Contrada della Civetta

Siena, un capolavoro dopo l’altro… Questa volta mi riferisco alla Ribollita. Un piatto tipico che si può assaggiare in una delle tante trattorie storiche della città. Una zuppa di origine contadina a base di cavolo verza, cavolo nero, fagioli, patate, pomodori… da far cuocere a fuoco lento e da gustare con pane raffermo. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un buon calice di vino rosso del territorio. Una delle mie pause gastronomiche senesi, che si è conclusa con l’assaggio di un ottimo Moscadello di Montalcino Vendemmia tardiva, e di una ‘chicca liquoristica’ che vi consiglio: l’Elisir di Santa Caterina. Un liquore a base di erbe prodotto seguendo i dettami di un’antica ricetta dalle origini misteriose. Per certo, la sua produzione iniziata in passato in una distilleria di un convento di Siena, oggi continua a cura della Distilleria Deta di Barberino Val d’Elsa.  

Ribollita

Moscadello di Montalcino

Elisir di Santa Caterina

Siena, una città ricca di leggende, di arte e di storia, che ancora una volta mi ha portato a pensare a quanto sia bella l’Italia!

Mi guarda Siena,
mi guarda sempre
dalla sua lontana altura
o da quella del ricordo –
come naufrago? –
come transfuga?
mi lancia incontro
la corsa
delle sue colline,
mi sferra in petto quel vento,
lo incrocia con il tempo –
il mio dirottamente
che le si avventa ai fianchi
dal profondo dell’infanzia
e quello dei miei morti
e l’altro d’ogni appena
memorabile esistenza…
Siamo ancora
Io e lei, lei e io
soli, deserti.
Per un più estremo amore? Certo.

Mario Luzi

Piazza del Campo di sera

Terre di Siena  www.terredisiena.it




Non buttare quel cibo… non è scaduto!

Data di scadenza e Termine Minimo di Conservazione: due indicazioni ben diverse.

Non buttare quel cibo… non è scaduto! Una frase che mi ritrovo a ripetere spesso. Sì, perché la facilità con la quale si butta il cibo è purtroppo un’abitudine assai diffusa. La causa è spesso imputabile ad un’errata interpretazione del significato della data di scadenza, ben diversa dal Termine Minimo di Conservazione, detto anche TMC.

Iniziamo col chiarire il significato di queste due indicazioni.

  • TMC – Termine Minimo di Conservazione

Il TMC indica fino a quando un prodotto – in condizioni adeguate di conservazione – mantiene inalterate le proprietà organolettiche che lo contraddistinguono. Sui cibi viene indicato con la dicitura: ‘da consumarsi preferibilmente entro il…’  Superata tale data, l’alimento è ancora commestibile, infatti può essere consumato senza alcun rischio per la salute.

  • Data di scadenza

La data di scadenza, a differenza, indica il giorno esatto entro il quale un alimento può essere inderogabilmente consumato. Sui cibi viene indicata con la dicitura: ‘da consumarsi entro il…’ 

Due indicazioni ben differenti, che se mal interpretate, portano ad un inevitabile spreco di cibo.  Ovviamente, se si preferisce per motivi propri non consumare un alimento con una data di TMC superata, se integro, si può tranquillamente donarlo per fini sociali. Sul nostro territorio ci sono organizzazioni che coordinano il recupero e la redistribuzione delle eccedenze alimentari. Una di queste è il Banco Alimentare (presente in ogni regione d’Italia).

La sezione di Como, ad esempio, con circa quaranta volontari e qualche furgoncino, raccoglie e distribuisce oltre trecento tonnellate di cibo all’anno, aiutando più di duemilasettecento persone attraverso ventisei strutture di carità. Quotidianamente recupera eccedenze dai panifici, dalle mense aziendali, dai supermercati e dalle scuole. Un’attività che richiede logiche e coordinamento.

Legge Gadda

In tema di spreco di cibo, ma non solo, il 14 settembre 2016 è entrata in vigore la Legge Gadda 166/2016. Una legge autonoma (che non dipende da altre leggi) che ridà valore ai prodotti in eccedenza e che ha a cuore la fiscalità, riferita alle agevolazioni fiscali spettanti a chi dona. Uno dei suoi obiettivi primari punta a “favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociale, destinandole in via prioritaria all’utilizzo umano e a contribuire alla limitazione degli impatti negativi sull’ambiente e sulle risorse naturali, mediante azioni volte a ridurre la produzione di rifiuti e a promuovere il riuso e il riciclo al fine di estendere il ciclo di vita dei prodotti.” Art. 1 Legge Gadda.

Come dice Marco Lucchini – Segretario Generale Fondazione Banco Alimentare Onlus – il bene va fatto bene.

Per info > Legge Gadda

Ph credit www.bancoalimentare.it




La ‘Barbera del Sannio’ che non ti aspetti!

Sembra quasi strano parlare del Sannio riferendosi alla Barbera. Un territorio riconosciuto ‘Città Europea del Vino 2019’ da Recevin, la Rete Comunitaria delle ottocento Città del Vino. Un conferimento ricevuto grazie al successo della sua Falanghina che inorgoglisce, e che per questa terra nel cuore dell’Appennino sannita, rappresenta una grande opportunità.

Premesso ciò, visto che di Falanghina se ne parla già abbastanza, mi concentrerò su un vino che ho assaggiato durante il mio percorso enoturistico a Benevento: la Barbera del Sannio! Si, ho messo il punto esclamativo. Abituata all’impetuosa Barbera piemontese, non mi aspettavo di assaggiare un vino dai tratti così diversi: una Barbera del Sannio 2016 in purezza passata solo in acciaio. Al naso profumi di rosa e ciliegia, in bocca carattere, freschezza e morbidezza. Davvero buona!

Un vitigno dal grappolo a forma conico piramidale che ho conosciuto a Castelvenere, nella valle del Basso Calore, in provincia di Benevento. Un territorio ricco di biodiversità in cui un giovane vignaiolo, Giacomo Simone, ha scelto di investire il suo futuro nell’attività vitivinicola. Seguendo la tradizione delle antiche cantine ipogee di Castelvenere, ha fatto costruire la sua cantina in un costone tufaceo alto circa nove metri, con uno sviluppo di tre piani teso a favorire la movimentazione per caduta del mosto. Una realtà ecosostenibile che si avvale di un sistema di raccolta di acqua piovana per la riduzione dei consumi idrici ed energetici, e di pannelli fotovoltaici su ‘alberi sculture’.

Ma ora a lui la parola…

  • Giacomo, l’attività di viticoltore non è stata la tua prima scelta di vita professionale. Sei un ingegnere. Che cosa ti ha portato a questo cambio di rotta?

Ho avviato il percorso di studi in ingegneria informatica a Siena, ma dopo due anni ho deciso di abbandonare gli studi. Poi, ho vissuto per quattro mesi a Londra, dove ho lavorato in un laboratorio di informatica. Forse è proprio lì che ho capito che non avrei mai potuto trovare la mia “casa” altrove.  “Amo il mio maledetto paese”, ed è qui che ho deciso di stare, per valorizzare ciò che c’è di buono. La passione per la natura e per la vigna mi ha aiutato… il resto è venuto da solo.

Non dobbiamo abbandonare i nostri territori… luoghi in cui hanno vissuto e “faticato” le nostre famiglie. Ciò che dobbiamo fare è conservare le memorie e il sapere contadino. Questo è il motivo che mi ha convinto a costruire il mio futuro qui, e per questo ringrazio la mia mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto.

  • Ritengo che lo sviluppo sostenibile del territorio e la salvaguardia del patrimonio viticolo siano obiettivi primari per il futuro della viticoltura. Premesso ciò, cosa pensi dell’accelerazione nella coltivazione della Falanghina? Credi si possa rischiare un fenomeno analogo alla zona del Prosecco?

Cinzia, posso dirti solo che qualche anno fa, i vignaioli vicino a me, mi raccontavano che in queste terre per tutto il mese di settembre si sentiva il profumo dell’uva bianca Malvasia. Da quando è “arrivata la Falanghina” non si sente più nulla. Dopo aver ascoltato tanti anziani del luogo, ho dedotto che la Falanghina è stata introdotta di recente a livello così intensivo puramente per soddisfare la forte richiesta sul mercato. Purtroppo, si stanno via via abbandonando tutte quelle varietà di uve che ogni contadino in passato aveva impiantato nei vigneti, e che una volta vinificate, davano vini corposi, saporiti, profumati, unici… Un vero peccato.

Ora tocca a noi vignaioli saper cogliere – senza farci sopraffare – l’occasione che questo “successo chiamato Falanghina” ci ha offerto. Dobbiamo mostrare al mondo cosa c’è nel Sannio oltre alla Falanghina. Il nostro territorio è ricco di biodiversità, conoscenze, potenzialità. Ci sono tante storie di vini e di uve, da scoprire e non da mettere da parte.

  • Nella tua cantina ho avuto il piacere di assaggiare l’Ancestrale, un metodo classico ottenuto da una base di Aglianico Rosato con raccolta anticipata e blocco della fermentazione. Una tua sperimentazione?

L’Ancestrale è stato un caso. Dopo averne letto, l’idea di lavorare in cantina “senza aggiungere nulla di estraneo al vino” mi prese molto. A breve, in collaborazione con il mio enologo, sperimenterò altre varietà a bacca rossa tipo la Camaiola.

In passato veniva utilizzato esclusivamente il vino bianco. Con lo zucchero in alcune cantine private si azzardava la rifermentazione in bottiglia, purtroppo senza strumenti e conoscenze valide… con risultati non sempre positivi. Fare spumante comunque non era una novità, come giustamente evidenzia il libro di Pasquale Carlo, nel capitolo sulla spumantizzazione con le uve Trebbiano a Cerreto Sannita.

  • Il Sannio, Città Europea del vino 2019. Una grande opportunità per la valorizzazione della viticoltura e per la promozione del patrimonio storico e artistico di Benevento. A questo proposito, da persona che vive il territorio, quali sono a tuo parere le priorità che gli enti predisposti dovrebbero sviluppare per favorire l’enoturismo nel Sannio?

L’accoglienza! Nel territorio del Sannio ci sono tanti piccoli borghi potenzialmente turistici ma non collegati tra loro… senza rete. La scommessa più grande è riuscire a creare la giusta sinergia tra questi paesi, evitando la fuga dei giovani all’estero, dando loro le giuste opportunità, affinché si possano creare un lavoro con le risorse del posto. La cooperazione è la chiave. Non abbiamo bisogno di costruire alberghi, né casinò, né parchi… abbiamo già tutto. Dobbiamo solo migliorare i servizi di accoglienza. Non vogliamo puntare sul turismo di massa, ma sul turismo interessato e attento. I cittadini devono tornare a innamorarsi del Sannio… rispettandolo come merita!

Riprendo la parola…

Non posso che condividere le riflessioni fatte da Giacomo, e che io stessa, nei giorni passati nel Sannio, ho più volte sottolineato. Ciò che mi auguro, è che questa opportunità per il 2019 venga colta, con la messa in atto di strategie a sostegno della visibilità e della valorizzazione del territorio. Cosa resta da dire…  forse solo che i giovani viticoltori italiani stanno crescendo, e molto bene per fortuna!

Az. Agr. Simone Giacomo – Via Curtole Castelvenere (BN)  www.simonegiacomo.it

 

 




Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste!

Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste che ho conosciuto a Imperia, in una giornata di prima estate in cui splendeva il sole. Dopo giorni vissuti nella quiete di Apricale – borgo medievale tra i più belli d’Italia situato nell’entroterra di Bordighera – avevo bisogno del mare, dei suoi colori e della sua gente. 

Un incontro con un cuoco viaggiatore che ha appreso l’arte della cucina dalla nonna Tecla, nella vecchia osteria di famiglia situata in un angiporto, uno dei tanti vicoli nel centro storico di Genova. Col passar del tempo, le frequentazioni della gente del porto, lo hanno portato ad imbarcarsi come marinaio della Marina Militare italiana sulla nave scuola Amerigo Vespucci.

Era il 1984. La passione per la cucina non tardò a farsi sentire.

Dopo le tante esperienze – non solo culinarie – fatte in giro per il mondo (Edoardo è anche un batterista di rock blues), è tornato nella sua Liguria, dove gestisce il ristorante ‘Il Refettorio Cenacolo del tempo sospeso”. Un luogo in cui celebrare il gusto dimenticandosi del tempo. 

Edoardo, un uomo gentile e ospitale, ma schietto e di carattere.  A lui la parola.

  • Cuoco e aspirante oste, partiamo da qui. Raccontami di questo tuo percorso. A che punto sei arrivato?

Arrivato? Cara Cinzia, se mai partito! È un percorso metamorfico credo naturale, per chi come me di Mestiere di Bottega vive. Un cuoco ha una visione perimetrale al governo del fuoco e dello spazio dove ripone il suo fare, l’oste invece deve avere una visione periferica e più completa. Questo mi affascina e mi fa vivere il mio Spazio con visione e modus operandi diverso. Mi dà l’obbligo che una Bottega impone… Presenza, costanza, gestionalità integrata all’economia domestica, fino ad amministrarne accoglienza e promozione globale del proprio fare.

  • Insisto spesso affinché il racconto del piatto sia fatto a dovere. Una presentazione che va oltre al semplice nome. Conoscere l’origine delle materie prime, il legame con i territori e le alleanze che si creano con i produttori, fa la vera differenza. Un modo per fare cultura del cibo. È per questo motivo che ora ti chiederò di raccontarmi un piatto che ho apprezzato particolarmente: le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate. Una preparazione conosciuta dai più, che impone ricerca e ingredienti di qualità. 

Le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate per noi genovesi è un fattore cromosomico, un rigoroso rito da osservare almeno una volta alla settimana. Il Pesto è in qualche modo  GENOVA, rappresentandone in maniera iconografica semplice la sua Superba magnificenza. Genova, “superba per gli uomini e per le mura”, come la definì il Petrarca, è lo splendido capoluogo dell’assolata Liguria. Sai Cinzia, si potrebbe camminare all’infinito nel suo centro storico tra gli incantevoli “caruggi”, gli stretti vicoli fiancheggiati da case altissime, senza mai stancarsi. Ogni muro, ogni casa, viuzza e palazzo, ogni villa, parco e fortificazione, conserva intatto il fascino dell’antica Repubblica marinara genovese. “Città d’arme e di commerci”, le sue bellezze artistiche sono conservate all’interno dei palazzi nobiliari detti rolli, e nei molti musei cittadini. Genova appunto, capitale del “pesto” e del buon cibo, come potrei tralasciarne traccia nei miei menù? Da sempre e per sempre ci saranno!

Edoardo Ferrera: “Trenetta, pesto, fagiolini e patate. Concepita a Lucera per essere accompagnata con il vero Pesto alla Genovese. Prodotta da due varietà di grano con caratteristiche diverse e complementari, il Saragolla e l’Hathor, sperimentate a lungo in azienda e coltivate in agricoltura biologica. Il Saragolla ha proteine e glutine e dà alla pasta corpo e sapore; l’Hathor è un incrocio tra Korasan e Senatore Cappelli e ha un profumo molto intenso.”

  • Giornalismo enogastronomico. A volte garbato e a volte impertinente. A volte persino saccente. Qual è la tua esperienza a proposito?

Esistono “regole del gioco”, le devi conoscere, tutto qui.  A volte incontri penne garbate dall’animo gentile, a volte penne che stanno per finire l’inchiostro, e che pertanto cercano in qualche modo di lasciare il loro segno… Ma anche questo fa parte del gioco delle parti, nessuno ti obbliga a farne parte.

  • Filippo, tuo figlio, e la sua passione per le ostriche. Un giovane attivamente coinvolto nella brigata di cucina del tuo locale. Mi spieghi com’è nato in lui l’interesse per questo mollusco? E, vista la sua conoscenza, quali i consigli per l’assaggio in sicurezza?

Nasce dalla dote innata che Filippo ha… l’essere curioso. Dote per altro fondamentale del nostro mestiere, che ti permette di andare sempre e comunque alla ricerca anche dell’ovvio. Grazie all’amico romano Corrado Tenace – che oltre ad essere un grande selezionatore è un profondo conoscitore dell’Ostricoltura – Filippo, letteralmente preso per mano, ha potuto conoscere sul campo questa pratica. Un mondo fatto di genti di Terra, Mare, Fiumi e Lagune. Oggi è lui stesso che ha firmato la nostra carta delle ostriche ricercando con grande sensibilità cognitiva tutte le nostre proposte, creando un percorso davvero intenso e prezioso.

L’assaggio in sicurezza…?! Credo che si debba sempre saper valutare il professionista che si ha di fronte. L’ostrica, come tutto il pesce crudo, a livello di sicurezza alimentare è cosa delicata, pertanto, già il locale stesso (pulizia e ordine) danno segnali importanti su come possano essere mantenute.

Edoardo Ferrera: “Una personale interpretazione di uno dei primi piatti di quella Italia Verace che amo: la Puttanesca alla romana. Volendo giocare con le materie prime abbiamo anteposto alle uova e farina, una verace seppia lavorata e trafilata come una tagliatella. Il rimando organolettico viene poi dato da un’infusione di pomodoro cotto sottovuoto con colatura di alici e capperi per trentasei ore, è servito alla brocca al commensale. L’effetto a mio giudizio è coinvolgente ed al contempo sensuale.”

  • Negli anni scorsi ho avuto modo di conoscere Wainer Molteni e di scriverne a proposito del suo libro: “Io sono nessuno – Storia di un clochard alla riscossa”. Un racconto a cui ti sei ispirato e che ti ha permesso di realizzare un menù: “A Pane e Acqua”. Un’idea nata con lo scopo di aiutare il Centro Ascolto Caritas di Imperia, e i senzatetto che sostiene. Me ne vuoi parlare?

Wainer è una persona speciale, la sua storia mi ha colpito parecchio. Il suo libro – “Io sono nessuno” – me ne ha ribadito il suo essere persona vera, genuina e profonda.

Così nasce il progetto “A pane e Acqua”, una degustazione scritta da ciò che semplicemente ho visto per strada; ciò che gli invisibili raccolgono e pescano dal nostro scarto. Come ben sai, però, queste operazioni di chiarity viaggiano sul sottile confine tra il filantropismo e il divenire portatori sani d’italico paraculismo.  È per questo motivo che proponiamo il menu solo a quei tavoli che in qualche modo sono anch’essi “invisibili”. Quelli con cui nasce un contatto al tavolo, una garbata e temporale confidenza. Tavoli che scelgo solo io. Pensi che forse è un salire in cattedra troppo arrogante? Può essere, ma sono o non sono lo Chef!

  • Dopo aver letto il tuo pellegrinare per il mondo (a dire la verità un po’ ti invidio), mi chiedo se il tuo sbarco a Imperia sarà duraturo…

Sono un Marinaio nell’animo, è vero. Per natura la mia prua non chiede mai sosta alla banchina guardando terra, ma solo sempre verso il mare aperto. Tanto per dire che il mio motto è: “La meta è la Partenza”. In questo caso però è diverso. C’è un progetto chiamato Filippo Ferrera, c’è una nuova rotta da tracciare. Non chiedermi però di darti tempi. In questo momento qui al Cenacolo di Oneglia il Tempo l’ho Sospeso! In futuro chissà… finché c’è da fare io non mi annoio mai.

Cinzia, voglio salutarti con un vecchio proverbio milanese che il buon Gualtiero citava spesso: “Quand l’ost l’è su la porta, el gh’ha de fa nient in cà.” 

Edoardo Ferrera: “Un piatto che è nato pensando a Montale e la sua Raccolta Ossi di Seppia. Ardesia, Sassi di Battigia fanno da anfiteatro e contenitore per il nostro Polpo, a cui vengono estratti i succhi naturali, e poi ristrettì in gelatina albuminica naturale ricavata da lische di Nasello. Il piatto è molto semplice, perché accompagnato con patate e fagiolini all’olio extra vergine d’oliva Taggiasca 190 del Frantoio Sant’Agata e dei fiocchi di Sale affumicato.”

“Il Refettorio Cenacolo del Tempo Sospeso”  Via Des Geneys, 34 – Imperia  www.ilrefettorio.it

 




Sannio Falanghina, città europea del Vino 2019. Orgoglio italiano.

Siamo nel Sannio, nel cuore dell’Appennino sannita. Un territorio che negli ultimi anni – grazie alla sua Falanghina – ha avuto una notevole visibilità. Un successo che gli ha conferito il riconoscimento di Città Europea del Vino 2019 da parte di Recevin, Rete Comunitaria delle ottocento Città del Vino. Un trend che nel 2017 ha portato gli ettari dedicati alla Falanghina a superare sia pur di poco quelli dedicati all’Aglianico. Una crescita che mi auspico venga tenuta sotto controllo, per garantire e salvaguardare la ricchezza ampelografica campana. Aglianico, Sommarello, Piedirosso, Sciascinoso, Agostinella, Falanghina, Cerreto, Coda di volpe, Grieco, Malvasia, Fiano, Passolara di San Bartolomeo, Olivella, Carminiello, Palombina, Moscato di Baselice… solo una parte del patrimonio della biodiversità sannita.

Riflessioni che prendono spunto da un altro successo chiamato ‘Prosecco’, che ahimè, sta modificando l’equilibrio delle varietà dei vitigni coltivati nei suoi territori.

Qualche dato. Il Sannio Beneventano è la provincia con il comparto vitivinicolo più redditizio della Campania. Una regione che dal 1912 al 1932 fu la prima produttrice di vino in Italia. Qui la fillossera, grazie ai terreni vulcanici, arrivò in ritardo rispetto ad altre zone. Un primato che perse dopo la seconda guerra mondiale per il parziale abbandono delle pratiche agricole. Una situazione che col passare degli anni ha avuto una graduale controtendenza, spesso, dopo uno o due salti generazionali. Non sono pochi i casi di giovani agricoltori che si dedicano alla viticoltura seguendo le orme dei nonni. La consapevolezza raggiunta sul legame sempre più stretto tra vino e promozione del territorio, e la crescita dell’appeal del vino italiano sui mercati internazionali, ha portato giovani e meno giovani a cambi di rotta professionale, a volte, anche tra i più inaspettati.

Una terra – il Sannio Beneventano – da sempre vocata ad una viticoltura caratterizzata per lo più da suoli di tipo argillosi calcarei, con una componente vulcanica. Diecimila ettari vitati, settemilanovecento vignaioli, circa cento aziende imbottigliatrici per oltre un milione di ettolitri di vino prodotto, tre denominazioni di origine e un’indicazione geografica per più di sessanta tipologie di vini. La vite – sottolinea Nicola Matarazzo, Direttore del Consorzio Tutela Vini Sannio DOP – è il segno che consente di leggere l’identità culturale e sociale dell’intera comunità sannita.

Vigneto Sannio. Nei miei giorni passati nel Sannio, ho visitato alcuni vigneti di grande fascino storico e paesaggistico. Emozionante la loro vista. Mi riferisco a viti plurisecolari di Aglianico allevate a raggiera libera in località Pantanella, nel comune di Monte Taburno. La capacità di conservare nei secoli un patrimonio viticolo come questo, merita una riflessione. “A sostegno di chi si impegna nella conservazione dei paesaggi viticoli – commenta Lorenzo Nifo Sarrapochiello, agronomo e Presidente della Commissione tutela del Sannio Consorzio Tutela Vini – tengo a sottolineare l’importanza della gestione ottimale del vigneto, in particolar modo della corretta potatura della vite. Un fattore essenziale per la sua longevità.”

Tutto il mio apprezzamento per chi ne ha davvero le capacità… un sapere antico che si dovrebbe recuperare.

Benevento, una città a misura d’uomo. Una costatazione che ho fatto dopo aver osservato la sua gente passeggiare senza fretta, nella quotidianità, lungo i viali del suo centro storico fino all’Arco Traiano (117 d.C.), uno tra i più antichi archi onorari della romanità. Una città ricca di miti e leggende un tempo chiamata Maleventum. Fu l’esito positivo di una delle guerre sannitiche delle Legioni Romane sull’esercito di Pirro, a mutarne il nome in Beneventum.

Chiamata anche città delle streghe, per i riti pagani che in un lontano passato venivano praticati dai longobardi intorno all’antico Noce di Benevento. Per certo, a proposito di streghe, molto meglio ricordarla per il noto liquore a base di erbe prodotto fin dal 1860, e per il famoso premio letterario istituito nel 1947 dai proprietari dell’azienda liquoristica beneventana, da cui il Premio Strega prende il nome.

Alle falde del Monte Taburno Sant’Agata de’ Goti, uno dei più suggestivi borghi storici di Benevento. Sorge su un unico roccione tufaceo la cui vista spettacolare rapisce lo sguardo.

Passeggiando nel suo centro storico, tra le strette stradine lastricate, si possono ammirare edifici medioevali, barocchi e rinascimentali, a testimonianza delle sue antichissime origini. Tra questi, il Palazzo Mustilli, con le sue cantine scavate nel tufo a quindici metri di profondità. In questo luogo ricco di storia e di atmosfera, oltre alla Falanghina, viene affinato in legno l’Aglianico, uno dei miei vini del cuore. 

Il Sannio Beneventano – la provincia più agricola della Campania – che nel 2019, se saprà cogliere l’occasione, sarà al centro del settore vitivinicolo dell’Unione europea.

“Il Sannio, una terra appartata, ma ricca di autentiche sorprese per i viaggiatori veri.” Luciano Pignataro

 

Sannio Consorzio Tutela Vini www.sanniodop.it




Pane al pane, vino al vino… Assaggi in Tenuta Quvestra

Pane al pane, vino al vino… tanto per dire che non ho alcun dubbio sul pane e sul vino che ho assaggiato alla Tenuta Quvestra. Un’azienda agricola di circa dodici ettari situata a Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia. La mano di Miriam e Simone – giovani gestori e sommelier – nella preparazione del pane, e la saggia guida enologica del caro amico Mario Maffi – memoria storica ed enologica dell’Oltrepò Pavese – mi hanno portato a pensare ancora una volta a quanto sia bello tornare in questa terra.

La verità è che lontano dalle vigne e dagli amici non so stare…

Già… soprattutto quando si tratta di rivivere nella quiete paesaggi collinari ricoperti da vigneti. Ritrovarsi con gli amici davanti a un bicchiere di buon vino, poi, rende questi momenti unici e speciali. È stato così anche questa volta, durante la visita a questa realtà vitivinicola situata nel cuore della Valle Versa, dove la vite è coltivata nel rispetto dell’ambiente circostante. Sei i vitigni: Pinot nero, Croatina, Chardonnay, Riesling Renano, Barbera e Merlot.

E come sempre, dopo aver passeggiato in vigna, si va in cantina.

Già… perché l’uva nasce in vigna e il vino in cantina. È qui, in questo luogo ricco di storia e di vita, che si completa sul serio la conoscenza del vino. Il vitigno, il clima e il territorio, sono elementi che il viticoltore con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio, soprattutto in questi anni di evidenti cambiamenti climatici. Un percorso che ancora una volta ho vissuto accompagnata da chi il vino lo produce e lo personalizza.

Come scriveva il grande Mario Soldati…

“Perché, fare sul serio la conoscenza di un vino non significa affatto, come forse si crede, assaggiarne due o tre sorsi, o anche un bicchierotto. Significa innanzi tutto, sulla località precisa e ben delimitata dove si pigia il vino che vogliamo conoscere, procurarsi alcune fondamentali notizie geologiche, geografiche, storiche, socio-economiche. Significa, poi, andare sul posto, e riuscire a farsi condurre esattamente in mezzo a quei vigneti da cui si ricava quel vino. Passeggiarvi, allora, in lungo e in largo. E studiare, intanto, la fisionomia del paesaggio intorno, e la direzione e la qualità del vento; spiare sulla collina l’ora e il progredire dell’ombra; capire la forma delle nuvole e l’architettura delle case coloniche; ancor di più, significa conversare con la persona che presiede alla vinificazione, proprietario, enologo, fattore… Significa passeggiare a lungo anche nelle cantine, sottoterra, o nei capannoni, fra le vasche di cemento: scrutare le connessure delle botti, fiutare l’odore del vino che ancora fermenta, individuare la presenza, talvolta dissimulata, di apparecchi refrigeranti o, peggio, pastorizzanti. Infine assaggiando, in paziente, lenta alternativa, o con frequenti intervalli, paragonare l’uno all’altro i sapori delle annate.Da ‘Vino al vino’

E così si assaggia, con poesia e rispetto, come abitualmente io vivo il vino.

Dopo alcune degustazioni – ma non troppe – mi sono soffermata a discutere con Mario su una mia perplessità inerente alla valutazione dei vini fatte dai degustatori delle guide enologiche. Mi spiego… Mi sono sempre chiesta come sia possibile che le commissioni tecniche d’assaggio possano degustare, e conseguentemente valutare, centinaia di vini – e a volte oltre – senza rischiare una stanchezza sensoriale e una conseguente assuefazione. Ebbene, Mario grazie alla sua lunga esperienza, non ha potuto che confermare questo mio dubbio, garantendomi che dopo l’assaggio di circa una ventina di vini, si può ‘solo’ escludere la presenza di difetti.

Be’, che dire… forse solo che personalmente non amo andare oltre una decina di assaggi. Per certo, durante questa discussione, mi sono dedicata in particolare a un buon Merlot dai profumi intensi e dal color rosso rubino.

Perché il vino (per me) è rosso, e il rosso fatto bene è salute!

A proposito… tornando al pane, oltre che al vino, non vi ho detto che durante le varie degustazioni Simone mi ha fatto assaggiare il ‘suo pane’ a base di croste di parmigiano. Si, avete capito bene! Croste ammorbidite in un liquido di ammollo che viene impiegato per l’impasto del pane. Un’idea nata per recuperare la grande quantità di residuo di forme di formaggio che regolarmente, in occasione degli eventi, avanzavano. Davvero bravo!

Tenuta Quvestra
Wine & Hospitality – www.quvestra.it
Località Case Nuove, 9 – Santa Maria della Versa (Pavia)




“C’erano una volta gli italiani”. Si intitola così il mio libro.

> Formato cartaceo e/o ebook : clicca QUI – ebook in inglese : clicca QUI

C’erano una volta gli italiani… Iniziano così le storie che raccontano di un tempo passato, che forse, in questo caso, del tutto passato non è.

Incomincia così il mio libro, una raccolta di storie di persone, di territori e di passioni, che custodisco, e che ho voluto fermare con parole semplici scritte col cuore. Storie che raccontano di italiani, vissute durante un viaggio lungo cinque anni. Un cammino ancora lungo, iniziato nell’aprile del 2011.

Nella vita bisogna fare un figlio, piantare un albero e scrivere un libro.

Un detto zen che sottolinea l’importanza delle radici, della conoscenza e della continuità. Elementi fondamentali, soprattutto in un’epoca come questa, fatta di apparenze e di superficialità, nei rapporti e nei contenuti che ci vengono proposti. Un’epoca in cui regna l’individualismo e la competizione.

Io ho deciso di rallentare. Amo i tempi lenti e il piacere dato dalla consapevolezza di sé.

Negli ultimi mesi mi sono presa una pausa per pensare, per rallentare i tempi che forse avevo accelerato troppo, per lo meno in quei cinque anni della mia vita. Anni emozionanti vissuti vorticosamente, quasi una terapia – di cui mi sono resa conto più tardi – che mi ha portato su e giù per l’Italia.

Vivo d’istinto, convinta che nel bene e nel male tutto abbia un senso.

In questi ultimi mesi di silenzi fatti di ‘presenze e di assenze’, ho avuto modo di ripristinare i giusti equilibri. Mesi durante i quali ho continuato a conoscere persone che combattono per i propri ideali, ma soprattutto, che ho dedicato alla preparazione di un racconto di viaggio e di persone.

La voglia di vivere va a pari passo con la voglia di fare e di porsi obiettivi.

La capacità di dare un senso positivo agli eventi negativi, mi ha portato a pensare che nel bene e nel male tutto abbia un senso. Come spesso accade, quasi senza rendercene conto, accantoniamo nei cassetti della memoria le esperienze fatte nei primi anni della nostra vita. Ricordi che nel tempo riaffiorano, facendoci riconoscere le nostre vere passioni. Così è stato anche per me.

C’erano una volta gli italiani, si chiama così il mio libro. Solo una parte di ciò che ho vissuto… perché questa non è la fine, ma solo l’inizio!




Vacanze condivise. Un’esperienza per chi ama l’avventura e la natura.

Arezzo, agosto 2017

Coincidenze, si, continue coincidenze nella mia vita. Anche solo quando, dopo la lettura di un articolo, mi sono confrontata per una scelta di viaggio che – guarda caso – mi ha riportato all’argomento appena letto. Mi riferisco ad un progetto di comunità aperto in cui la parola chiave è  “condivisione“. Un’esperienza che da tempo avevo in mente di provare, salvaguardando però una parte del mio tempo per pensare e per recuperare energia.

Ebbene, è stato così che avendo a disposizione una settimana in pieno agosto – periodo critico per chi ama vivere le vacanze in tranquillità – ho deciso di partire. Destinazione Arezzo, più precisamente Ceciliano. Nell’entroterra toscano – in una villa del ‘700 immersa in trentaquattro ettari tra oliveto, bosco e vigneto –  ho condiviso il mio tempo con un gruppo di persone appena conosciute. In un luogo ricco di storia che ospita seminari incentrati sulla comunicazione, l’incontro e la comunità, abbiamo cucinato e mangiato insieme, collaborando e condividendo pensieri e capacità maturate. Persone accomunate da interessi legati ai viaggi culturali e all’agricoltura rispettosa della natura, che per giorni si sono sedute intorno ad un tavolo confrontandosi e scambiandosi opinioni. Un’ennesima sfida con me stessa che ha trasformato i miei giorni ad Arezzo in una vera e positiva esperienza di vita.

Ovviamente non sono mancate né le passeggiate nei borghi storici, né quelle nella natura. Non è mancato neanche un corso di conoscenza sull’uso di preparazioni naturali a base di erbe spontanee, argomento a me particolarmente caro da sempre. Sono tante le cose che ho visto e sperimentato. Qui di seguito ve ne citerò alcune che a mio parere meritano un approfondimento, o meglio ancora, un’esperienza diretta e personale.

Ceciliano

Come di consueto, appena giungo in un luogo, ho la necessità di ambientarmi esplorando e conoscendo ciò che mi circonda. E’ così che dopo una prima occhiata generale, insieme ai miei compagni di viaggio, ho passeggiato nella campagna circostante. Anche qui, come in molte altre terre d’Italia, la forte siccità degli ultimi mesi ha danneggiato l’agricoltura. Nonostante ciò ho notato la presenza di una pianta molto diffusa dalle foglie verde brillante: la inula viscosa. Dopo qualche ricerca, ho scoperto che è un’alleata naturale dell’ulivo, in quanto accoglie favorevolmente un insetto che ha il merito di contrastare la mosca olearia, un parassita tra i più dannosi per l’olivicoltura. Molto interessante!

inula-viscosa

Imparare a riconoscere erbe e piante utili al nostro benessere è un’esperienza bellissima. Utilizzarle in cucina ancora di più. Una fra le tante raccolte è la nepetella. Mentuccia selvatica dal profumo delicato che ha conferito alla nostra acqua da tavola un sapore balsamico. Non è mancata nemmeno l’acetosella, chiamata anche erba brusca, facilmente riconoscibile dalle foglie cuoriformi. Tritandola con l’aggiunta di semi di girasole, ci ha permesso di ottenere un ottimo pesto ‘dalle proprietà depurative’ per condire la pasta. Soddisfazioni e piaceri naturali che ci hanno uniti e divertiti allietando la nostra tavola.

in-cucina

Intorno a noi tanta natura, ma anche moltissimi borghi storici. In primo luogo Arezzo. Bellissima cittadina nell’entroterra toscana che riporta indietro nel tempo. Il susseguirsi dei caratteristici scorci medievali ricchi di preziose testimonianze d’arte, di palazzi e di musei, mi ha fatto comprendere meglio perché Roberto Benigni l’ha scelta per girare alcune scene del film “La vita è bella”. Cuore della città Piazza Grande, un’area caratteristica per la sua forma trapezoidale e per la forte inclinazione, in cui ogni anno si svolge un suggestivo torneo cavalleresco: la Giostra del Saracino.

arezzo-piazza-grande

A poca distanza Anghiari, un altro bellissimo borgo medievale, uno tra i più belli d’Italia. Un comune noto per una famosa battaglia avvenuta nel 1440 in cui le truppe fiorentine si scontrarono con quelle milanesi. Casomai vi trovaste da queste parti vi consiglio di visitarlo. Passeggiando tra le sue vie e ammirando gli ingressi delle case fiorite, sarete avvolti da un’atmosfera unica che dà il senso della vacanza come la intendo io.

Anghiari

Anghiari

Raccolte d’erbe, visite a borghi storici ma anche momenti di confronto e conoscenza sulle problematiche legate all’ambiente e all’agricoltura. In un caldo pomeriggio, tra le antiche mura della casa, ho avuto il piacere di conoscere Raúl Alvarez, regista di “Rinascere Nella Terra”, documentario girato in Spagna, Francia, Italia, Grecia e Canada. Un progetto nato dopo la frequentazione attiva nel movimento WWOOF. Un’associazione di persone – i wwoofers – che credono in un’agricoltura e in un mondo sostenibile e naturale, che viaggiano e collaborano con realtà produttive che li accolgono e che in cambio forniscono loro vitto e alloggio.

Nonostante il caldo non sono mancati i cammini, come quello fatto sull’Appennino Toscano all’ombra di una foresta monumentale di faggi e abeti. Ci sono molti percorsi in Italia che permettono di scoprire luoghi d’arte e di storia. Noi, insieme, ne abbiamo scelto uno che ci ha portato fino al complesso architettonico del Santuario Francescano della Verna. Un luogo di pellegrinaggio e di accoglienza ricco di opere d’arte che meritano un’attenta visione.

Santuario La Verna

La mia permanenza ad Arezzo mi ha dato un’altra opportunità che da tempo desideravo e che ho colto con entusiasmo: visitare un villaggio ecologico. Una comunità in cui i membri sentono di appartenere, vivendo in armonia con la natura, sostenendosi a vicenda, e condividendo le risorse comuni. Insieme ai miei compagni di viaggio ho visitato quello situato ad Upacchi, a pochi km da Anghiari. Un borgo abbandonato che un gruppo di persone ha provveduto a ristrutturare seguendo i principi della bioarchitettura. Guidati da Eva Lotz, comunicatrice ecologica residente in una delle unità abitative di Upacchi da oltre quindici anni, abbiamo conosciuto questo centro sostenibile associato alla RIVE Rete Italiana dei Villaggi Ecologici.

Upacchi

Credo che sia facile intuire quanto la mia prima volta ad Arezzo sia stata intensa ed emozionante. Giorni in cui ho avuto modo di condividere ma anche di pensare che è giunto il momento di una pausa, prima di un nuovo inizio e di una nuova partenza.

 




Brianza, bella ma non sempre facile. Due chiacchiere con gli amici della ratta.

Bella ma non sempre facile. Si, parlo della Brianza, terra verde alle porte di Milano conosciuta per la bellezza dei suoi territori e per la sua gente operosa. Un’area produttiva che nell’immediato evoca imprenditori di successo. Terra di tradizioni ma anche di chiusure. Io stessa avvicinandomi a realtà produttive, ho trovato diffidenze raramente incontrate in altre parti d’Italia. Eppure, come dice Maurizio Alberti, un pubblicitario di Milano che si è trasferito in Brianza, volendo c’è posto per tutti.

Insieme alla moglie e cuoca Cinzia Degani, ha dato una nuova svolta alla sua vita trasformando la casa in cui vive in un’azienda agricola, un agriturismo e una libera associazione di idee. Una casa con “cucina di casa”, con un menù fisso che varia in base ai prodotti di stagione propri e/o di aziende agricole locali, associate al Consorzio Agricolo e Agrituristico Lecchese Terrealte.

Amici della Ratta

“Amici della Ratta” a La Valletta Brianza in provincia di Lecco, la casa in cui vivono e lavorano Cinzia e Maurizio. Situata nel Parco di Montevecchia e nella Valle del Curone, ha sede nell’antica strada della ‘rata’, voce dialettale che significa colle erto e boscoso.

Un ottimo punto di partenza, o di arrivo, per percorsi di conoscenza nel cuore verde della Brianza a poca distanza da Milano. Un’associazione culturale senza fine di lucro che promuove gli impulsi creativi e artistici delle persone. Sede di mostre, incontri a tema e di sviluppo d’idee all’aria aperta, permette di vivere un’esperienza formativa e un momento di benessere tra suggestioni naturali, stando insieme, sviluppando energia ed emozioni.  Un’esperienza che ho vissuto personalmente passeggiando a piedi scalzi sull’erba, come amo fare quando sono a contatto stretto con la natura, chiacchierando con Maurizio e assaggiando le preparazioni casalinghe di Cinzia.

Amici della Ratta

  • Come ho scritto poc’anzi… Brianza bella ma diffidente. Tu sei di Milano e tua moglie di Legnano. Eppure, come molti mi hanno detto, iniziare una nuova vita in Brianza e guadagnarsi la fiducia della sua gente non è sempre facile. Qual è la tua esperienza?

Devo dire che dopo quindici anni le persone cominciano ad avere fiducia perché possono vedere con i loro occhi che la nostra non è stata una scelta solo di business, ma soprattutto una scelta di vita. Abbiamo dimostrato di amare questo territorio, rispettandolo.

I soci, aziende agricole della provincia di Lecco, sono una trentina di cui circa diciotto sono anche agriturismi (ristorazione e pernottamento o, come noi, solo ristorazione). Le iniziative del Consorzio sono varie: organizzazione dei mercati agricoli di Osnago e di Ballabio (fino all’anno scorso anche di Valmadrera), serate di degustazione di vino, formaggi e salumi presso gli agriturismi e, come la settimana scorsa, iniziative di solidarietà con i produttori agricoli di Norcia che sono stati ospitati nei nostri mercati e hanno organizzato una cena da noi, il cui ricavato è stato devoluto a loro.

  • Come mi hai raccontato la sera che ci siamo incontrati, nel 2000 è nata l’idea di vivere in Brianza, che poi, a distanza di qualche anno, si è concretizzata con la realizzazione di un agriturismo. Quali sono le maggiori difficoltà  che avete incontrato o che incontrate tutt’ora?

Le maggiori difficoltà sono state ottenere i permessi dalla Provincia, le regole cambiavano di anno in anno, e i rapporti con il Parco Regionale di Montevecchia che, soprattutto all’inizio, vedeva la nostra attività come invasiva di un’area naturale e non propositiva per la formazione di un turismo sempre più consapevole. Ora le difficoltà  sono rappresentate soprattutto dalla crisi economica, ma credo sia così un po’ in tutti i settori.

  • Da pubblicitario ad agricoltore. Segui i lavori in vigna e conferisci l’uva per la produzione del tuo vino, il Ratin Russ. Com’è avvenuta questa trasformazione e chi ti ha insegnato a lavorare la terra?

La trasformazione non è ancora avvenuta del tutto. Soprattutto siamo diventati imprenditori agricoli e,  prima della terra, abbiamo imparato le regole imposte dalla burocrazia e i giusti modi per rapportarci con le istituzioni. Poi collaboriamo con chi ne sa più di noi: l’azienda La Costa, che fa parte del nostro Consorzio, oltre a darci una mano nel vigneto, ci vinifica l’uva (loro, come ben sai, hanno la cantina e, soprattutto, un bravo enologo). Per l’orto è stato relativamente più semplice, anche se le nostre balze sono argillose e ‘sassaiole’ e dure da lavorare, con il tempo abbiamo imparato quali sono le colture che meglio si adattano sia al clima sia al terreno.

  • Cinzia, tua moglie, cura e segue la cucina. Anche lei proviene da un’altra esperienza lavorativa. Una seconda vita nata dalla passione o da un’esigenza?

E’ la passione per la cucina di Cinzia che ci ha spinto ad affrontare questa scelta. Cinzia ha vissuto per molto tempo in Africa (dal Sud Africa alla Tanzania) per molti anni e si è trovata a dover cucinare in diverse situazioni dove non si reperiva sempre la materia prima o non era di qualità, ma non si è mai persa d’animo e ha sempre risolto tutte le situazioni.  E’ venuta così anche in contatto con culture e tradizioni diverse che hanno molto influenzato il suo modo di cucinare. Così nel nostro agriturismo proponiamo piatti della tradizione ma sempre con un pizzico di creatività in più.

  • Non solo agriturismo ma anche una libera associazione di idee. Come concretizzate questo progetto?

Lasciamo spazio ad iniziative culturali come la presentazione di libri, letture di poesie, Organizziamo mostre di pittura, fotografia e scultura oltre a, naturalmente, degustazioni di prodotti locali. Le proposte arrivano dai nostri clienti e noi li assecondiamo volentieri in tutta libertà. Tanto da dare così oltre al cibo per il corpo, una buona dose di cibo per la mente, che di questi tempi fa molto bene.

Riprendo la parola per concludere con un consiglio rivolto a chi ha la fortuna di vivere vicino a questa terra verde, la Brianza: impariamo a rivolgere uno sguardo più attento a ciò che ci circonda, potremmo scoprire bellissime realtà che spesso cerchiamo lontano da noi.

Buona estate, anche in Lombardia!

Parco di Montevecchia

Amici della Ratta – www. amicidellaratta.it

Via Curone, 7 – La Valletta Brianza LC – Tel 039 5312150

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