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E fu così che arrivai a Gianni Capovilla, un distillatore col cuore ‘meccanico’

Ormai ci sono ricercatori di ogni sorta… ricercatori scientifici, universitari, farmaceutici Bè, vi voglio svelare un segreto, sono anch’io una ricercatrice, ma di anime di passione! E quando nei miei viaggi di conoscenza, le persone ascoltandomi vedono quella reale sincera voglia di scoprire e d’imparare, li scatta la frase fatidica: Cinzia, devi assolutamente conoscere…

E fu così che una sera a cena col caro Josko Gravner parlando di grappe e distillati venne menzionato il nome di Gianni Vittorio Capovilla, un meccanico che nel mentre della sua vita spinto dalla passione decise di diventare un distillatore.  Dave Broom collaboratore di Whisky Magazine, e assaggiatore di fama mondiale,  lo definisce il più grande distillatore al mondo, ma io come dico sempre ho bisogno di guardare negli occhi le persone chiacchierando a tu per tu.  Adoro farlo, è la mia passione di vita e il mio maggior arricchimento, una ricchezza interiore che non s’inflaziona e che ti porta a conoscere grandi persone.  Detto questo come dico io, “pronti…via!”  Direzione Rosà in provincia di Vicenza.

Distilleria Capovilla

Distilleria Capovilla

Ma incominciamo dall’inizio…

Preparai i bagagli la sera precedente, e la mattina bella pimpante era pronta ed entusiasta per partire per la mia vacanza.  Si, perché per me questi tour lo sono veramente!  E’ come una caccia al tesoro… e il lieto fine c’è sempre! Ma ahimè successe una cosa terribile, chiave inserita la macchina non partì!  Nooo… ero disperata… ma come le dicevo: “Hai sei mesi di vita, come fai a non partire… e poi proprio oggi!”  Dovete sapere che ho una vera passione per le auto tanto che arrivo a parlargli!  Avevo proprio bisogno di Gianni, si Gianni Capovilla.  E  mi direte ora: “Ma scusa Cinzia, ma non dicevi che faceva il distillatore?”  Certo che si, ma anni fa era un meccanico… e che meccanico!  Lui aveva la passione che ho anch’io per le macchine sportive. Ma ci pensate, di Treviso come me, appassionato d’auto, e pure distillatore!  Una favola!

Gianni nacque a Crespano del Grappa in provincia di Treviso. La sua infanzia come in parte la mia, trascorse nel verde dei campi e dei boschi, dove nacque il suo amore per i frutti spontanei. A volte mettiamo nei cassetti della memoria alcune nostre passioni, ma statene certi che prima o poi li riapriamo!  Per me e per Gianni è stato così. La sua avventura di meccanico iniziò a Bassano del Grappa dove il Signor Tosin, un severo ma ottimo insegnante gli diede i primi rudimenti del mestiere.  Ma la svolta decisiva arrivò quando grazie ad un offerta dell’Alfa Romeo ebbe un contratto in Svizzera.  Qui un cliente dell’officina con la stessa passione, lo coinvolse portandolo con se a gareggiare e a carburare macchine di serie, e di formula Tre.  Il suo entusiasmo era alle stelle visto che alle gare partecipavano veri piloti, tra cui un certo Clay Ragazzoni… Conobbe Jurg Dubler, un campione Svizzero di formula Tre che correva nel campionato europeo su pista.  Dubler propose a Gianni di seguirlo come suo meccanico personale. Lo stipendio offerto era inferiore a quello che percepiva al momento, ma la cosa era troppo allettante, quindi accettò.  L’avventura che durò tre stagioni fu interrotta solo dalla chiusura dell’officina della squadra. Una volta tornato a Crespano, Gianni affittò un capannone in cui nacque “l’Officina meccanica sport auto Capovilla”.  Qualche anno dopo, essendo uomo creativo e bisognoso di stimoli sentì l’esigenza di voltar pagina. L’occasione gli fu propizia quando un suo cliente produttore di pigiadiraspatrici gli propose una collaborazione nel mondo enologico. Si era avvicinato al  vino anni prima, costituendo con tre soci una piccola azienda vinicola.  La passione per la distillazione nacque in quel periodo, quando di nascosto come solitamente avveniva, con un alambicco  iniziò a sperimentare nella preparazione della grappa e dei distillati.

Visse di provvigioni di vendita girando per l’Europa fino al 1985, ma intuendo soprattutto quanto mancasse in Italia la cultura della distillazione.  L’Austria e la Germania erano nettamente avanti sia come numero di distillerie, sia nelle tecniche artigianali per la produzione degli alambicchi.

Alambicchi

Alambicchi

Essendo la meccanica e la tecnica la sua passione, decise lui stesso di progettarne uno. E l’avventura che continua tutt’oggi finalmente partì nel 1986.  Nacque l’azienda agricola nella quale investì la sua passione e il suo amore per la distillazione.

Bene, con questa premessa ho voluto presentarvi Gianni, e quindi torniamo a me… oh meglio alla mia visita! Dov’eravamo…? Ah si, eravamo anzi ero, in una macchina di appena sei mesi che non partiva! Bè, vista l’emergenza fui costretta a chiamare a raccolta gli amici… e grazie a una spintarella e ai giusti scongiuri, magicamente si accese. Mi misi alla guida senza spegnere il motore fino a destinazione, e tutto andò per il meglio.

Arrivata a Rosà, il navigatore mi mise in direzione indicandomi l’ingresso verso una stradina sterrata. La percorsi fino a raggiungere un ampio spazio in cui vidi un cartello con una semplice scritta: “Parcheggio della Distilleria”.  Entrando timidamente fui accolta da una gentile signora che mi accompagnò da Gianni. Iniziammo con sorrisi e presentazioni seduti a tavola tra chiacchiere e degustazioni! Come abitualmente capita si finì a parlare di me e delle mie avventure. Devo dire che vivo talmente tanto in questa fase della mia vita che non mi mancano mai gli argomenti.  Continuammo poi con una passeggiata nella distilleria in cui onorata dalla sua guida, ho potuto ascoltare le varie fasi della lavorazione.  Gli alambicchi, vere opere d’arte, vengono realizzati da un artigiano di Oberkirch nella Foresta Nera, il Signor Muller.  Ma la vera forza trainante di questa sua passione, è la materia prima proveniente per lo più dai suoi frutteti coltivati secondo il metodo dell’agricoltura biologica certificata.  Pensate che occorrono 30/35 kg. di frutta per ottenere un litro di distillato puro. Ovviamente senza nulla togliere alle vinacce italiane per la produzione di grappa.  E qui vorrei fare una precisazione. “Si parla di grappa quando si ha un distillato prodotto da vinacce ricavate da uve raccolte e vinificate nel  territorio Italiano o nella Svizzera Italiana”,  quindi parliamo di una tipicità esclusiva Italiana.

Distilleria Capovilla – Interni

Ma non solo la frutta e le vinacce hanno un ruolo di protagonista, perché altro grande ingrediente amato da Gianni sono le bacche. Un caso ad esempio è il Sorbo dell’Uccellatore. Incominciammo con l’assaggio di un fantastico distillato alle prugne, e di seguito non mancarono gli altri. Ecco pronti che penserete: “Cinzia è uscita storta…”  Ma io vi dico di no, e lo sapete perché?  Perché Gianni mi ha fatto assaggiare i suoi distillati a modo suo, e cioè: “Dito imbevuto nel contenitore in acciaio e poi in bocca e… voilà!”

Devo dire che ero entusiasta dai profumi e sapori… dal distillato alle mele cotogne, a  quello ai lamponi selvatici, o alle bacche di sambuco, e alle altre tante tipologie che la creatività di Gianni sperimenta, perché mi disse testualmente: “Ogni giorno scopro di avere un futuro,  perché ogni giorno ho qualcosa di nuovo da scoprire”.

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Talloncini scritti a mano

A conclusione della mia bella visita, davanti a un distillato di albicocche del Vesuvio,  volli raccontare a Gianni alcuni miei progetti… E di colpo scattò la fatidica frase: “Cinzia, devi conoscere un enologo che crede nel territorio, lui ti ascolterà… si chiama Mattia Vezzola”. Io l’ho ascoltato e ve ne racconterò, perché la mia ricerca continua…

Sono entrato nel mondo della distillazione dalla porta di servizio ma è stato subito amore vero, perché la passione fa si che il lavoro non sia pena ma gioia”

         Gianni Vittorio Capovilla

 




Il Barolo di Beppe Rinaldi

Ve l’ho mai detto che adoro i cappelli?  Più son strani e più mi piacciono! Quando decisi di andare a Barolo con l’amica Alessia Bianchi, ne misi uno rosa, forse un pochino vistoso, per lo meno suppongo visti gli sguardi incuriositi dei passanti. Ovvia… che male c’è a dare un po’ di colore e brio alla vita, è già tutto così grigio!  Lo stesso Beppe Rinaldi alla mia vista, quando mi presentai entrando nella sua cantina,  perplesso mi disse: “Ma che sole c’è fuori!?

L’occasione di andare a Barolo si era presentata con una “Wine Tasting  Experience” organizzata dalla Strada del Barolo in collaborazione con il Consorzio di tutela Barolo e Barbaresco presso il Museo del Vino–WiMu.

La degustazione condotta da Mauro Daniele dell’Azienda Agricola Le Strette di Cuneo, ci ha permesso di conoscere cinque ottime etichette dell’annata 2007.  Ma non solo, si è parlato di storia, di territorio e di tradizioni.  Con Mauro ho dibattuto di vini naturali, discorso a me molto caro.  Anche tra i produttori la tendenza è quella di allontanarsi sempre più dalle sofisticazioni chimiche sia pur ancora permesse,  puntando ad un prodotto sempre più pulito e di qualità.

Era giunta l’ora del pranzo. Una bella passeggiata ci permise di trovare un delizioso ristorantino vicino a un angolo fiorito.  Certo non potevamo farci mancare la classica bagna càuda.  Alessia tentò di chiederla senza aglio, ma giustamente il proprietario si rifiutò contestando l’impossibilità della cosa!  Non potevo che concordare…  Dopo il dolce e il caffè, via…  eravamo pronte per la seconda parte del pomeriggio.

Prima di congedarmi avevo chiesto a Mauro un suo consiglio per la visita di una cantina li vicino.  Gli  dissi: “Mi raccomando, vorrei visitare una cantina condotta da un personaggio di quelli che piacciono a me, combattivi e di carattere, che credono nel territorio e che battagliano contro chi lo maltratta”.  La risposta fu immediata, Beppe Rinaldi.

Bastarono due passi a piedi per trovarci davanti all’insegna della Cantina Rinaldi. Incontrammo all’ingresso Carlotta, una delle due figlie di Beppe. Mi spiegò che era già in corso una visita di un gruppo di marchigiani. Per mettermi in pari mi feci raccontare da lei un po’ della loro storia.

Dovete sapere che quest’azienda è tramandata ormai da generazioni.  Iniziò il trisnonno di Carlotta, che insieme al cugino Barale, produsse vino fino al momento in cui diviso da quest’ultimo, passò le redini al figlio Battista Rinaldi, il padre di Beppe. Fu lui a costruire l’attuale cantina i cui lavori terminarono nel 1916.  Diplomatosi alla scuola Enologica di Alba, si distinse per la vivacità di carattere,  per la dirittura morale, e per l’equilibrio e la coerenza nella conduzione della sua vita e dei suoi vigneti.

Doti trasmesse al figlio Beppe, che a detta di molti risulta personaggio scomodo per le sue battaglie a difesa del territorio, spesso maltrattato da persone che ne danneggiano l’immagine con strutture che poco si amalgamano con l’ambiente circostante. La mia natura è molto simile alla sua, nulla ci potrà mai cambiare, combattivi fino alla fine… perché crediamo nel territorio, e nella sua salvaguardia. Beppe Rinaldi insieme alla figlia Marta e Carlotta, indirizzate rispettivamente verso enologia ed agraria, conduce oggi 6 ettari di vigneti seguendo la tradizione e l’esperienza tramandatagli.

Finita la visita ci riunimmo in cantina. Con questo gruppo di simpatici marchigiani  degustammo, parlammo di territorio, di tradizioni e tra mille risate, immortalammo con una foto ricordo quei momenti di vera e semplice vita genuina.

Il Barolo è un vino che ha bisogno di essere prodotto in una zona particolarmente evocata…  ma soprattutto, che ha bisogno d’interpreti…

Beppe Rinaldi




Come il destino mi portò ad una Conferenza sul vino a Zagabria

Dico spesso che questa mia “seconda vita” è piena di conoscenze e di felici coincidenze, come se tutto fosse predestinato, come per un puzzle che prende forma. Ma non pongo limiti, e aspetto paziente facendomi trasportare dai venti… venti caldi e tranquilli da cui mi faccio guidare, come se ci fosse un disegno predefinito che si sta componendo… come se qualcuno mi indicasse la strada…

Questa mia storia inizia un giorno di Marzo del 2011,  mentre assistevo in ospedale una cara amica nei suoi ultimi momenti di vita, a Oderzo, nella mia terra trevigiana.  Nella stessa stanza a  fianco a lei una donna croata era seguita da sua figlia, Svjetlana.  E’ ben risaputo come il dolore tocca le corde più intime dell’anima…  in questi frangenti l’intensità dei rapporti aumenta e unisce come non mai.

Fu così che conobbi Svjetlana… Passammo in quei giorni ore a raccontarci, fino a salutarci con la promessa di non perderci più, perché come dico sempre, nei rapporti conta la qualità e non la quantità. Ci sono delle persone con le quali ho instaurato un legame così profondo, che nulla potrà mai cambiarlo, ne la lontananza, ne la frequenza dei nostri incontri… Quando sento la loro voce, e come se il tempo non fosse mai passato.

Improvvisamente qualche mese fa,  una sera arrivò una chiamata. Sentii Svjetlana molto eccitata…  Sua figlia Lana stava organizzando una Conferenza Educativa sul vino a Zagabria, la L.O.B.I.,  e indovinate… voleva che partecipassi come ospite! Wow dissi!  Risposi di si entusiasta, e grazie a Orjana, l’altra figlia che venne con me e che mi fece da interprete, partii tranquilla.  In questa mia avventura, erano presenti in qualità di esperti del settore, l’americano Mark Norman, l’inglese Martin Ward, e i croati Rene Bakalovic e Aleksandar  Norsic.  Parteciparono una decina di produttori provenienti dalla Croazia e dal Montenegro, mentre per l’Italia c’era l’Azienda Agricola Allegrini di Fumane (VR) rappresentata da Christian Pisetta.

Partimmo di buon’ora e raggiungemmo Zagabria per tempo. Durante il viaggio con Orjana parlammo molto affrontando i discorsi tra i più disparati, a volte, toccando momenti d’intensa emozione. Le cose lette della guerra che ha travolto questi popoli mi hanno sempre sconvolta. Non capirò mai come il genere umano può arrivare a raggiungere soglie di tale crudeltà. Quando ne parlai ad Orjana, lei mi raccontò alcuni suoi ricordi… Il giorno che vide tornare il padre dalla guerra… la sua lunga barba, i suoi occhi tristi e stravolti da immagini indimenticabili.  Aveva otto anni all’epoca, e la memoria dei racconti che lui fece alla famiglia, quasi senza rendersi conto della presenza di una bambina, che forse pensava non capisse l’addolorava ancora. Finimmo per emozionarci entrambe, e volli fermarmi, riemergeva troppo dolore… Le immagini della bella Zagabria ci distolsero da quei pensieri.

Arrivate all’ Hypo Centar fummo accolte con tutti gli onori. Tutto era pronto, e toccò a me con il taglio del nastro, aprire la Conferenza.  Dopo le varie foto di rito, ebbi il piacere di parlare con Mark Norman Professore di Internet Marketing, sull’importanza dei social network per la promozione e la vendita nel settore vinicolo.  Nonostante sia conscia di quanto incidono sul mercato queste nuove tecniche di vendita, rimane sempre in me la convinzione ove sia possibile, dell’esigenza di un contatto umano con il produttore.

Un vino è molto di più di una bevanda… il vino è storia, è pensiero… è filosofia di vita. Quando mi approccio ad esso,  chiedo che mi venga raccontato.  L’uomo che lo produce con la sua esperienza e con il suo vissuto,  lo personalizza, dando a questo nettare note singolari e inimitabili.   E’ per questo che la conoscenza dei produttori per me è insostituibile esperienza di vita che mi è indispensabile per conoscere il loro vino… per lo meno,  per come lo concepisco io.  E in questo mio pensiero, chiamatelo pure romantico, avevo il supporto di Martin Ward,  gentleman inglese appassionato educatore alla degustazione dei vini. Un vero piacere conoscerlo ed ascoltarlo, un caro amico ormai.

Passeggiando tra  i vari stand incontrai i gentili signori della Vinarija Rupice di Podgorica, nel Montenegro. Mi raccontarono delle loro scelte nel portare avanti la tradizione vinicola di famiglia con una produzione limitatissima per veri amatori.  Ottima la degustazione del loro vino rosso  “DI VINE”,  che ho potuto apprezzare ascoltando la loro storia.

Ma non solo il vino mi attrae… eh si, io sono un’appassionata di tutte le tipicità.  E proprio li  ne trovai una… “il maraschino, liquore dolce di ciliege marasche”. Il liquore deve il suo nome all’ingrediente originario della Dalmazia. I primi a realizzarlo furono i monaci domenicani di Zara, attorno al XVI secolo. L’azienda storica Maraska, è ormai la prima produttrice di maraschino di tutta la Croazia.

Le giornate passarono velocemente tra le tante degustazioni, cene e conferenze. Orjana da scettica qual era, è tornata appassionata più che mai a questo settore. Credo che le sia servita questa esperienza per la sua vita e per il suo futuro. Le esperienze servono sempre, arricchiscono il nostro bagaglio di conoscenza e ci fanno crescere.  Mai privarsene,  perché non si può mai sapere dove ci portano… infatti,  il mio viaggio continua.

Bisogna andare dal vino, senza aspettare che sia il vino a venire da noi, diceva così Filiberto Lodi all’amico Mario Soldati




“Gli Amaretti della mia bisnonna Maria…”

La ricetta : “Gli Amaretti Abruzzesi”

di Claudia Marcucci

…le persone e i loro racconti di cucina popolare

Era la vigilia di Natale del  1998, e come tutti gli anni quella sera i miei genitori con i miei nonni andavano alla Santa messa nella chiesa di San Rocco ad Atessa. Io come al solito rimanevo con i miei bisnonni Maria e Nicola.

Come tutti i bambini attendevo impaziente  la mezzanotte per l’arrivo di Babbo Natale. Nell’attesa aiutavo la mia bisnonna Maria nella preparazione di un dolcetto che di tradizione nella nostra famiglia veniva preparato la notte della vigilia.  L’avremmo poi  mangiato durante l’apertura dei regali accompagnandolo per noi bimbi ad un buon bicchiere di latte, e per i più grandi ad un buon bicchiere di vino.

La nonna iniziò a tirare fuori dal frigorifero  il preparato fatto con le mandorle, lo zucchero ben amalgamato con le chiare del uovo,  tenuto poi a riposare per tre ore. Con l’impasto la nonna mi diceva di fare delle palline di media dimensione, che successivamente lei posava su una teglia imburrata infornandole a 150° per 30 minuti.

Mentre gli amaretti cuocendosi  nel fornetto sprigionavano un profumo intenso che ci inebriava,  la nonna mi raccontava che preparare questa ricetta era essenziale per lei, perché la riportava alla sua giovinezza.  Quando le chiesi con stupore il perché di questa tradizione, lei con le lacrime agli occhi guardando il mio bisnonno mi  rispose :

E’ diventata una tradizione perché la vigilia di Natale del 1944 mentre facevo questo dolce per tua nonna Etta, sentii bussare al portone di casa e andai ad aprire…  In quel momento dopo un anno e mezzo ho potuto riabbracciare l’uomo della mia vita che era partito per la guerra ed era tornato a casa sano e salvo dalla sua famiglia. E’ stata l’emozione più bella della mia vita… E’ lì nella mia mente, come una foto ricordo.  Ogni volta che sento l’odore di questo dolce,  la memoria mi riporta a quell’emozione…”

Questo è l’ultimo ricordo che ho della mia bisnonna che ci ha lasciato per sempre pochi mesi dopo…

 

Gli Amaretti della mia bisnonna Maria        

Ingredienti:

● 1 kg di mandorle dolci sbucciate e tritate finemente

● 1 kg di zucchero,

● 10 chiare di uova montate a neve

Preparazione:

Unire le mandorle con lo zucchero  amalgamando bene il tutto con le chiare.

Lasciare riposare per tre ore

Spolverizzare la spianatoia di farina e zucchero in quantità uguale  appoggiando l’impasto

Formare gli amaretti disponendoli su una teglia imburrata  ed infornare a 150° per una trentina di minuti circa

Abbinare vini passiti di grandi profumi  come l’Erbaluce di Caluso Passito, Loazzolo Passito piemontese, il Vino Santo trentino, il Vin Santo toscano, il Passito di Pantelleria o delle Lipari.

 




Arben, dall’Albania all’Italia per realizzare un sogno…

Qualche tempo fa, in occasione dell’evento “ Cantine Aperte” ebbi  il piacere di  imbattermi in una bella storia di vita che oggi vi voglio raccontare.

.Avevo scelto un’azienda  vitivinicola  poco distante, La Brugherata a Scanzorosciate (BG). Al mio arrivo rimasi colpita dalla bellezza del luogo, ma in particolar modo fui attratta dai racconti della nostra guida, Arben, l’anima della vigna. E fu proprio qualche giorno fa, che ricordandomi di lui, decisi di rincontrarlo. Dovete sapere che ho poca memoria, e non sono fisionomista, ma se qualcuno o qualcosa mi colpisce, di sicuro non lo dimentico, e cosi fu. In effetti appena lo vidi mi rammentai subito del suo volto, e non mancai di diglielo.

Decidemmo di recarci nelle cantine e qui iniziammo con la nostra chiacchierata. Dapprima gli spiegai ciò che mi aveva condotto fin li, e cioè quella forza gravitazionale che mi attrae verso le belle storie di vita.  E la sua lo era… eccome. Iniziò a raccontarmi come era giunto in Italia dall’Albania vent’anni prima. Nel suo paese mancava il lavoro, e l’Italia rappresentava la speranza per un’occupazione. Figlio di un agronomo, ma non conoscitore del settore, aveva trovato collocazione in un’azienda meccanica. E fu proprio riparando macchine agricole, che ebbe i suoi primi contatti con il vigneto. Recandosi spesso li per le consegne, conobbe pian piano le persone che ne facevano parte. E un fatidico giorno arrivò la prima proposta di collaborazione.

Senza rendersene conto pian piano si trovò piroettato dentro quel sogno che ora rappresenta il suo orgoglio di vita. Gli venne proposta infatti una collaborazione nell’attività dell’ azienda agricola. Arben accettò con entusiasmo… iniziava la sua nuova avventura. Conseguì dei corsi che gli fecero apprendere le nozioni sul ciclo produttivo e le forme dell’allevamento della vite… Eh si, si dice proprio allevamento. Fui stupita un po’ anch’io la prima volta che lo sentii ad un corso che frequentai.

Dalla cantina ci spostammo all’esterno… Passeggiando tra i filari Arben mi parlava del titolare del vigneto con parole di stima e di rispetto.  Il proprietario mi diceva,  un avvocato nato a Bergamo con autentica passione per il mondo vitivinicolo, aveva ricreato qui un angolo di toscana, sua terra d’origine.  Ma non solo, aveva creato un giardino in un vigneto arricchendolo di essenze mediterranee, ben quindicimila piante di rose, che nel periodo di fioritura ne facevano un angolo di paradiso.

Si leggeva nei suoi occhi una vera ammirazione verso quell’ uomo che riponeva in lui totale fiducia, che faceva del suoi prodotti eccellenze di qualità senza mai arrivare a compromessi.  E io stessa nell’ascoltarlo ero ammirata dalla personalità che ne scaturiva. Orgogliosamente mi descriveva le fasi nella produzione del vino che lui seguiva personalmente quasi in modo maniacale. Il vitigno chiedeva cure continue e attenzioni costanti, che lui voleva prestare in prima persona. Le difficoltà nell’acquisizione di personale in suo aiuto, scaturivano dalla mancanza di un orario lavorativo stabile. Cosa spesso mal sopportata dalle persone che si avvicinano a questa realtà.  Sono convinta che se non c’è passione,  questo non è il mestiere giusto!

Oggi lui è responsabile di 7 ettari di vigneto. Il risultato è un’ottima produzione di eccellenti vini bianchi e rossi e un brut di grande carattere. Ma il fiore all’occhiello è il Moscato di Scanzo DOCG, vino prodotto esclusivamente nel comune di Scanzorosciate.  Al titolare va riconosciuto il merito della costituzione del Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo oltreché dell’attribuzione della DOCG.

 

 




Fu così che nacquero “Le donne di Maggio”

Dico spesso che questa mia seconda vita è davvero fantastica, e non solo per le cose che sto facendo. I grandi incontri che ho la fortuna di avere, sono vere emozioni che nessuno riuscirà più a portarmi via…

Ma ora voglio raccontarvi come nacquero Le Donne di Maggio…  

Durante la cena di un evento che avevo organizzato a Pavia, mi era seduta a fianco una donna che per diletto organizzava sfilate.  E’ risaputo ormai da molti che adoro i vestiti, sono donna di fiocchi e cappelli… pizzi e merletti… sete ed organze! Adoro l’eleganza dei bei tempi! Se inventassero la macchina del tempo mi fionderei negli anni ‘60, quando la femminilità veniva esaltata dagli abiti e dagli accessori.  Direte… e quindi? Quindi vi dico che anche se a volte mi sento dire: “ Cinzia, ma dove devi andare vestita così ?!”, mi piace così tanto che lo faccio lo stesso! 

Ma torniamo alla famosa sera della cena… 

Appena sentii parlare di sfilata, proposi subito di organizzarla abbinandola ad una degustazione di vini. Ci sentimmo con gli interessati giorni dopo, e fissammo una data.  Fu deciso che la serata avrebbe avuto luogo a Maggio.  Maggio, il mese in cui le rose sbocciano come le donne che riprendendo in mano la loro vita… che rinascono. E fu proprio questo pensiero, che mi fece scattare una molla!

Esattamente così… avrei organizzato una festa per le donne in rinascita, le donne come me, che si rimettono in gioco con coraggio dopo aver superato gli eventi a cui ti sottopone la vita. Gli eventi che ti piegano, e che ti cambiano la prospettiva delle cose rendendo tutto più profondo e denso di significato.

Donne che rialzandosi investono nelle loro passioni. Donne che si prendono per mano come in un cerchio al cui interno si sviluppa quell’energia che da loro forza e coraggio, ma che soprattutto permette loro di aiutarsi reciprocamente per non sentirsi più sole.

Fu allora che decisi che in quella serata le protagoniste erano le donne: Le  Donne di Maggio.




“Halloween… nell’antica barricaia della Cantina Pietrasanta”

Halloween festa stregata! Ci spaventa la nottata! Tutti fuori a notte fonda festeggiam con baraonda. Streghe, maghi e fantasmini… Dolci, frittelle, cioccolatini! Che ricetta eccezionale! Che nottata micidiale! Tante maschere stregate; tante facce spaventate; tanti dolci nei pancini; tante zucche in lumicini. E’ una festa un po’ paurosa, con fantasmi e streghe a iosa! E con maghi e mostri a frotte trascorriamo questa notte!

di Jolanda Restano

E’ già… è proprio vero che per me ogni scusa è buona per stare con gli amici! E quando qualche giorno fa Lucilla e Carlo della Cantina Pietrasanta mi hanno invitato al loro evento nell’antica barricaia, non ho esitato un attimo.

Mi organizzai subito scegliendo il vestito da indossare. Come dico io ad ogni occasione c’è  il vestito giusto, e a ‘sto giro pure… la parrucca! Ma l’occasione era ghiotta non solo per festeggiare Halloween “a modo nostro”,  ma per degustare i loro vini e le specialità che avevano provveduto a prepararci.

Diversi sono stati i protagonisti della giornata…

Iniziammo con la degustazione dei vini… i vini di San Colombano, l’unica Doc della provincia di Milano.  L’Azienda Agricola Pietrasanta trova sua collocazione nell’antica residenza di famiglia risalente alla metà del ‘700. I sei ettari di vigneto si ergono in una collina nel bel mezzo della pianura padana, e accolgono nove vitigni (barbera, croatina, merlot, cabernet, sauvignon, pinot nero, verdea, sauvignon blanc e riesling renano). In abbinamento fu servita della “raspadura”,   formaggio grana detto “Tipico Lodigiano”, servito a sfoglie leggere raschiate dalla superfice della forma giovane con un apposito coltello.

Non mancarono gli affettati tipici, la crema di zucca, la polenta con i formaggi lodigiani, i ceci con porcini e chicchi d’uva e la crostata con marmellata di noci e cioccolato.  A degna cornice ci venne presentato il libro di  Alessandra  Germogli  “Il  tesoro del Conte Notaio”,  e  le  preziose ceramiche che hanno fatto la storia di casa Pietrasanta.

A termine della bella giornata,  tolti “gli abiti di scena” concludemmo con la promessa di rivederci presto.  Si perché Carlo e Lucilla sono rispettivamente Coordinatrice e Presidente del Movimento Turismo del Vino Lombardo (MTV). Questa Associazione Regionale senza fini di lucro riunisce attualmente 89 cantine accomunate dalla volontà d’incentivare l’enoturismo con la promozione d’iniziative dedite all’accoglienza e al ristoro.

    “Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia e una scintilla all’amore…”

E. de Amicis




Un’eterna romantica all’Osteria senz’Oste

Sono un’eterna romantica, lo sarò sempre e nessun evento potrà mai cambiare il mio modo d’essere, ormai l’ho capito. Per alcuni vivo sulle nuvole, per altri vivo nel mondo dei sogni. Io sono così…

Ho fatto questa premessa per farvi capire il mio entusiasmo quando una sera con una persona andai a trovare Simone Toninato, uno chef ormai diventato un caro amico. Dovete sapere che da  un anno in qua il mio modo di pormi alle persone è molto cambiato.

La vita ci presenta ostacoli a volte insormontabili, ma se si riesce a scavalcarli si incomincia a vedere le cose con occhi diversi, ci si toglie quella patina che ci offusca la mente e che non ci permette di dare  il giusto peso alle nostre scelte.  Tutto diventa più leggero, e il solo parlare a cuore aperto con le persone diventa una vera e propria scoperta di vita. Io ora vivo così.

Treviso

Valdobbiadene

Con Simone incominciammo a chiacchierare raccontandoci le nostre storie. Dopo avere ascoltato alcuni stralci della mia vita mi disse che dovevo assolutamente andare in un’osteria: l’Osteria senz’Oste.

Già vi sento dire: “Simone avrà pensato che avevi bisogno di bere !” Ma noo vi dico io!  Quest’Osteria nel cuore della meravigliosa Valdobbiadene è un posto per romantici come me, il posto ideale per sognare ad occhi aperti!

Ma ora vi voglio raccontare… perché io ci sono andata sul serio!

Con il mio confetto bianco, la mia macchinina, una mattina poco tempo dopo partii in quella direzione. Giunta finalmente a Valdobbiadene non fu facile trovarla.  Dopo aver vagato su e giù per stradine impervie, godendomi però panorami mozzafiato, vidi un cartello con l’indicazione. Sospirando emozionata parcheggiai l’auto in appositi spazi, posti tra i filari dei vigneti.

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Il parcheggio tra i filari all’Osteria senz’Oste

Mentre passeggiavo scattavo qui e la foto per fermare le belle immagini che riempivano i miei occhi. Poi, vidi una piccola stradina che mi indicava la direzione, e pian piano salii.  Quando arrivai in cima rimasi a bocca aperta.

Ero sola davanti ad una tipica casa di campagna, con mazzi di pannocchie appese ai muri, erbe aromatiche nelle aiuole, e una vecchia porta di legno che dopo aver contemplato spalancai.

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L’Osteria senz’Oste

Entrando, la mia espressione era incantata davanti a un tipico focolare domestico contadino dei bei tempi. Tutto era perfettamente in ordine: il vasellame posto sulle mensole, i taglieri di legno appositamente predisposti per l’uso, e quant’altro servisse per rifocillarsi autonomamente.

Dopo essermi guardata un po’ in giro trovai le opportune indicazioni ben segnalate sul tavolo. Quindi, non avendo ancora pranzato, mi organizzai uno spuntino servendomi da sola come se fossi a casa.  Su ogni prodotto accuratamente conservato c’era l’indicazione del costo. Ovviamente, essendo nel cuore di Valdobbiadene, mi versai un calice di Prosecco.

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Ero in pace col mondo…

In quell’atmosfera d’altri tempi ero in pace col mondo. Ad un tratto entrò deciso un uomo dall’aspetto possente. Lo seguii con lo sguardo mentre lui, brontolando fra se e se sulla quotidianità delle faccende da sbrigare, era intento nell’accendere il fuoco del camino.

Non mi aveva degnato di uno sguardo,  forse per rispettare la mia intimità con quel luogo. Io lo guardai e gli dissi: “Bè, meno male che ha il suo da fare…” Attirai la sua attenzione, e  di scatto si girò guardandomi un po’ stranito. Non ricordo esattamente come avvenne, ma incominciò a raccontarmi un po’ della sua vita.

Era un circense nato a Berlino che, dopo la perdita della famiglia,  incontrò fortuitamente la persona ideatrice di questo progetto. Lo ascoltò, e accettò la proposta di seguirlo in Italia. Nonostante lo sguardo un po’ triste, mi disse che era felice di quella scelta. La pace di quel luogo gli aveva permesso di trovare la sua pace.

Così come arrivò se ne andò.  Lo seguii fino a quando lo vidi sparire all’esterno. Pensierosa mi scossi dai miei pensieri rendendomi conto che era giunto il momento di dover andare. Riposi tutto perfettamente in ordine come l’avevo trovato, e mi feci il conto da sola, mettendo i soldi in un piccolo salvadanaio predisposto appositamente per l’uso.

dedica-agli-italiani

Prima di uscire vidi  il  libro delle dediche e decisi di farne una anch’io. Questa mia venuta era la riprova del mio pensiero,  fermamente convinta che la gente Italiana, quella vera, è gente d’onore e di passione. Lo scrissi a chiare lettere, perché l’Osteria senz’Oste ne è orgogliosa testimonianza.




La Svizzera che c’è in me… e la viticoltura Ticinese!

Svizzera direte?  E ora che c’entra la Svizzera? Un attimo che vi spiego! Dovete sapere che sono conosciuta per la mia precisione organizzativa, è  da sempre  la mia dote innata e appunto per questo qualcuno diceva: Attenti che arriva la Svizzera!

Non per niente quando c’è da organizzare qualcosa mi vedo il dito puntato, e devo dire che mi piace, è la mia creatività che trova la sua giusta applicazione. Ma sono tanto precisa quanto a volte  pasticciona! E va bè mica dicono che i geni si perdono nelle piccole cose! Già sento i fischi… ma dai che scherzo!

Dunque dicevo che mi sento un po’ Svizzera,  quindi oggi indovinate dove si va? A Lugano, alla scoperta della viticoltura del Canton Ticino.

Come d’abitudine,  mi sono documentata un po’ prima di recarmi sul posto. Dovete sapere che  la viticoltura in Ticino si è sviluppata nei primi anni  del novecento, dopo il passaggio devastante della fillossera. A Mendrisio infatti nel 1906 vennero impiantati  i primi ceppi di Merlot che, grazie alle condizioni climatiche  ideali, si sono sviluppati  per la maggiore coprendo l’80%  dei 1.000 ettari della superfice vitata. Nei restanti 20%  sono presenti per le uve rosse la Bondola unico vitigno autoctono,  il Pinot Nero, il Cabernet Franc e il Sauvignon. Per le uve bianche lo Chardonnay,  il Sauvignon Bianco e il Kerner.  Dal 1997  i vini ticinesi vantano il riconoscimento della denominazione di origine controllata.

Proprio lo scorso Settembre  a Lugano  c’è  stata  la presentazione dell’annata 2009 organizzata da Francesco Tettamanti,  enologo e Direttore di Ticinowine,  “L’Arte di coltivare il vino”.  Francesco è stato mio gentile accompagnatore. Nel condurmi mi ha spiegato che la vendemmia del 2009 è coincisa con il venticinquesimo anniversario dell’Associazione vinificatori ticinesi,  l’AVVT .

Si é voluto celebrare l’evento con una collezione di vini a tiratura numerata, accompagnata dalla Guida alla degustazione a cura di Paolo Basso, il vice campione mondiale dei sommelier nel 2010. Apprezzabili  le originali etichette delle bottiglie con i ritratti dei produttori realizzate dal pittore ticinese  Gianluigi Susinno.

La serata poi  è  proseguita pressola Cantina Moncucchettodi Lisetta e Niccolò Lucchini. Visitando la moderna struttura firmata dall’architetto Mario Botta, ho apprezzato le scelte di Niccolò nel mantenere integro l’ambiente in pietra da cui è stata ricavata. Qui Paolo Basso ci ha guidato sapientemente  nella degustazione dei 6 vini che aveva selezionato per noi.

Seduta a fianco  a Lisetta ho passato la serata a chiacchierare come al mio solito sulla bella storia di vita percorsa con il marito Niccolò. Raccontandole alcuni miei sogni, lei mi disse: “Solo le grandi passioni riescono a trasformare le utopie in realtà.  E io ci credo pienamente, perché la passione è il motore della mia vita!




I miei tour Vinosi… ad Aosta. “La Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle”

L’impulso alla creazione della cooperativa tra i piccoli produttori di Morgex e de la Salle  fu data  dallo stesso parroco,  Don Alessandro Bougeat.  Nacque cosi’ l’Association des Viticulteurs  che diede seguito nel 1983  all’attuale  “Cave du Vin Blanc de Morgex e de la Salle”, che ormai annovera  un centinaio di soci attivamente presenti nella conduzione dell’ azienda.

Il vigneto ai piedi del Monte Bianco,  raggiunge  un’altitudine di 1200 metri.  Per salvaguardarlo dai  danni del  gelo e del vento si usa l’allevamento a pergole basse, sorrette talvolta da sostegni  in legno o da caratteristiche pietre tipiche  della zona.

Grazie  alle condizioni di temperatura e di secchezza nell’aria,  sono sfavorite  le malattie crittogamiche (malattie parassitarie causate da funghi),  con conseguente  minore necessita’ di trattamenti. Qui il  protagonista è il Prié  Blanc, vitigno autoctono selezionato  per  il suo  perfetto adattamento.

Durante la visita in cantina mi ha colpito sentire da Nelly Dainé la mia personale guida nonchè amica,  il motto della Cave: “In vigna come 2000 anni fa..  in cantina come fra 2000 anni”.  Bè, questo per far capire quanto tradizione e tecnologia debbano andare a braccetto.

Oltre a raccontarmi dei nove vini in produzione di cui sette DOC, si è soffermata in particolare sul loro figlio prediletto,  il  vin  de  glace denominato “Chaudelune”.  Eh sì,  perché questo vino da meditazione ha una  vendemmia invernale eseguita tra i  -5 e i  -10 gradi,   solitamente di notte.  Le uve vengono pigiate ghiacciate, e fermentate in botti di sette legni tipici valdostani piu due barrique di rovere.

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