1

Il Vino della Pace

Come diceva Madre Teresa di Calcutta, la pace inizia con un sorriso, ed io sorrido sempre…

Qualche giorno fa il mio sorriso si è rivolto a Luigi Soini, Direttore della Cantina Produttori a Cormons. Ma direte… di cosa stiamo parlando? Parliamo del “Vino della Pace”, ebbene sì! Ai più, ancora sconosciuto ahimè!
È nato come simbolo di unione e fratellanza tra i popoli e si è affinato col tempo. Confesso io stessa, che ne sono venuta a conoscenza recentemente, ma ho voluto prontamente rimediare.

Dovete sapere che questa Cantina aggrega duecento viticoltori e ottocento varietà di viti provenienti da ogni continente che convivono in un unico vigneto a Cormons.

Ma ci pensate che magnificenza si ha in quelle terre… Bè, io ho avuto l’onore di visitare tutto questo accompagnata da lui, Maestro Cantiniere promotore di un felice connubio tra vino e arte. Ma voglio raccontarvi meglio, perchè sono iniziative che meritano l’attenzione e la giusta visibilità.

Fissai un incontro, e come dico io… detto fatto, il giorno dell’appuntamento arrivò. Fui accolta da Luigi Soini responsabile del progetto.

Altoatesino di nascita ma ormai friulano di adozione. Nell’accompagnarmi nella visita, mi spiegava sollecitato dalle mie consuete domande le motivazioni che l’avevano spinto in questa direzione: “Unire le forze per formare una cooperativa”. Mi spiegò che la Cantina Produttori Cormons, nacque nel 1968 dando origine alla cosiddetta “Vigna del Mondo”.

La collaborazione dei soci, ha permesso nel 1985 di poter vedere concretizzata la prima vendemmia. Vi parteciparono attivamente cinquecento persone, tra i quali settanta ragazzi del Collegio del Mondo Unito di Duino a Trieste, in rappresentanza di 60 nazioni. E frutto di tutto ciò, fu un vino unico e amabile, il Vino della Pace simbolo di fraternità, dato in dono puntualmente ogni anno a ogni Capo di Stato civile e religioso come messaggio di pace fra i popoli.

Nella mia visita guidata fui condotta alle Cantine, che oserei definire una vera e propria galleria d’arte. Sì perchè dovete sapere che le testate delle grandi botti di rovere sono dipinte da pittori internazionali. Per non parlare poi delle preziose etichette dedicate alle bottiglie… c’è una vera e propria collezione di famosi artisti che si adoperano ogni anno alla loro esecuzione.

Da Enrico Baj che aprì la strada nel 1985 a Fernando Botero nel 2007, e molti molti altri… Il libro del Vino della Pace ne è fedele testimonianza e l’ho qui con me.  Sfogliarlo e leggerlo è un vero piacere, perché sulle etichette, oltre la mano dei pittori, hanno lasciato un segno tangibile i versi dei poeti.

Yoko Ono scrisse: “Un sogno fatto da soli è solo un sogno… un sogno fatto insieme, è una realtà”.

La nostra passeggiata in Cantina continuava, e Luigi mi raccontava dell’onore nel ricevere in visita personalità come Lech Walesa, Carlo Azeglio Ciampi, il principe Carlo d’Inghilterra, Francesco Cossiga, Enzo Bevilacqua, e molti altri. Ma il momento più emozionante fu quando venne consegnato il Vino della Pace a Papa Giovanni Paolo II presso il palazzo arcivescovile di Gorizia. Da quel momento venne concessa alla Cantina Produttori l’autorizzazione a produrre il “Vinum pro Sancta Missa” per il pontefice. Al termine della mia  visita, concludemmo il nostro incontro con un brindisi… un brindisi alla pace, alla gente di passione e alla felice continuità di questo progetto.
Al mio ritorno ho voluto regalare alcune bottiglie del Vino della Pace a degli amici che credo ne abbiano bisogno… perché si soffermino a pensare, perchè la pace innanzitutto va cercata dentro di noi.

“Il vino e la viticoltura sono stile… e non moda”
Luigi Soini

 




Io, Cristian Specogna… e i profumi della memoria!

E’ solito sentir dire che riaffiorano i ricordi guardando le vecchie foto. Sicuramente vero, ma avete mai provato a chiudere gli occhi mentre sentite il profumo  di un vino?  I profumi riportano la mente alla velocità della luce, e rifanno rivivere attimi vissuti…

E oggi vi voglio portare con me… Chiudete gli occhi e immaginate  una distesa verde tra colline e vigneti nel  silenzio della  natura.  Un vento dolce che vi accarezza la pelle, e  persi con lo sguardo  in tale bellezza assaporate la vita… Ebbene io sono li con Cristian Specogna, ricondotta dal  profumo di un vino friulano di sua produzione, che lui volle donarmi dopo il nostro incontro.  Il Picolit, vino antico e famoso che amo molto per la sua particolarità. Vitigno a bacca bianca autoctono dei colli orientali del Friuli. Il suo nome ha origine dai  suoi piccoli acini,  la cui produzione è così esigua a causa del cosiddetto aborto floreale. Ma che sarà mai direte?!  Semplicemente molti fiori della vite non si trasformano in frutti. E questa è la conseguenza di una limitatissima produzione.

Ma voglio raccontarvi  meglio…

Arrivai li in mattinata. Tutto era molto tranquillo, e il fatto di essere in anticipo, cosa assai rara per una ritardataria senza speranza come me, mi permise di fare un giretto in esplorazione. L’ambiente circostante era molto piacevole. Un saliscendi di colline mi allietavano lo sguardo facendomi  perdere come al solito nei meandri dei pensieri sulla vita.   Ma era giunta l’ora dell’appuntamento,  e quindi mi avviai verso l’incontro con Cristian. Non c’erano precise indicazioni di uffici di ricevimento,  e quindi alla vista della prima porta aperta chiesi: “C’è  nessuno?”  Spuntò fuori il viso di un ragazzo sorridente che mi accolse… Cristian Specogna.

Insieme uscimmo a passeggiare nei vigneti. Lui, preoccupato dei miei tacchi, e io per nulla.  Anni di esperienza mi permettono di andare dovunque, anche se devo confessare che adoro camminare scalza sull’erba!

Mi raccontò del nonno che, tornato dalla Svizzera, volle investire sui Colli di Rocca Bernarda acquistando un appezzamento di terreno. Graziano e Gianni,  i figli, diedero il primo impulso all’azienda fino a passare le consegne a lui e a suo fratello Michele.

Cristian sta eseguendo un egregio lavoro di marketing,  promuovendo la sua azienda e il territorio di Corno di Rosazzo a livello internazionale. Tale merito gli è stato riconosciuto nell’assegnazione dell’Oscar Green 2010  per la  categoria “Esportare il vino”  della selezione regionale della Coldiretti. E’ promotore insieme ad altri giovani produttori della zona del vino bianco “Blanc di Cuar”, che in dialetto friulano vuol dire Bianco di Corno. Questo vino è ottenuto da uve tocai… ops, che ho detto?!  Si, perchè è ormai risaputo che l’Unione Europea ci ha imposto di non  dire “Tocai”,  ma  “Friulano”.  Non ci va giù, ma è così! Ormai  il Tokaji, e’ ungherese! Noi  italiani però ora abbiamo il Blanc di Cuar,  più che un nome una poesia! Membro della Corte Ducale del Ducato dei Vini Friulani nata nel 1972 a Cividale, promuove e divulga la viticultura friulana.

Il tempo era passato veloce chiacchierando delle mia e della sua vita.  Non ci siamo fatti mancare aneddoti e risate, e neanche due fette di salame con un calice del suo vino. Con piacere  notavo che aveva l’abitudine di annusare il cibo che assaggiava… abitudine che apprezzo molto! Come proclamo sempre l’olfatto è il senso delle emozioni…  e insieme quella mattina, ne abbiamo vissute molte!




Una brianzola a Brindisi… alla scoperta della birra!

Già vi sento dire… eccola che ora si da alla birra! Birra sì, ma artigianale! Devo dire che mi ha sempre interessato – in particolare la rossa – e quale migliore occasione per parlarne…

Ma cominciamo dall’inizio..

Finalmente dopo un anno di avventure più o meno liete, arrivò il momento delle meritate vacanze! Il tour per l’Italia era organizzato, e le  tappe da amici erano motivo per me di grande emozione. Le distanze da percorrere  imponevano l’uso dei mezzi ferroviari, ahimè, nota dolente per i miei  voluminosi bagagli.

Dovete  sapere che sono una donna che porta con se sempre molti accessori… proprio così.  Mi piace abbinare vestiti e cappelli, scarpe  e borsette, collane e orecchini…  Insomma quando mi muovo l’ideale sarebbe un bel baule, e carica come sono, salire  e scendere dai vagoni  non è il  massimo della comodità!

Detto questo vi spiego la mia sorpresa quando arrivando in stazione a Brindisi notai l’assenza di scale mobili!  Eh sì, perché le gradinate non favorivano il trasporto delle mie valigie, quindi in presenza del personale della  sicurezza, feci le mie sentite rimostranze. La guardia perplessa venne gentilmente in mio soccorso, e prontamente si rese disponibile dicendomi con un sorriso ironico: “Signora, qui è tanto che abbiamo i treni!”  Esagerato gli dissi, e scherzando sopra l’accaduto ci congedammo con un sorriso e una stretta di mano.  La mia amica Maria  nel frattempo era giunta a prendermi, e alla vista della scenetta non poté che iniziare a ridere!

Dopo i saluti di rito, si optò per una tappa presso una birreria artigianale. Devo confessare che ho una passione per la birra rossa,  ma quella sera la scelta fu ardua vista l’ampia offerta delle birre proposte dal locale, il GRUIT Questo antico termine è usato per definire il composto di erbe e spezie aromatiche che conferiscono profumi e gusti diversi personalizzando la birra.

degustazione-birre

Mi piacque subito a  prima vista. Si trattava di un sito con soffitti a volta, ex convento degli Agostiniani.  Parte dei locali sono stati destinasti al laboratorio di produzione della birra. Visitarli accompagnata da personale esperto è stato un vero piacere.

Ad un certo punto chiesi: “Ma come mai avete deciso di produrre birra?”  Be’ la risposta fu ovvia: “Ci piace così tanto che abbiamo deciso di produrcela noi!”

La scelta sul tipo di birra da ordinare a questo punto si complicava, e che fare dunque… L’unica era assaggiarle tutte!  Arrivarono  al tavolo brocche degustative che vennero descritte nelle loro caratteristiche.

Dovete sapere che la birra ha antiche origini. Non si sa esattamente chi ne fu l’ideatore. Di certo si sa che veniva prodotta laddove venivano coltivati cereali. Con la scoperta della fermentazione attraverso l’uso di  lieviti,  ognuno poi diede un’impronta originale dando impulso alla nascita di tecniche diverse affinate nei secoli. Il cereale per eccellenza usato nel corso della storia era l’orzo. Poi lentamente ne  vennero introdotti altri come segale, frumento, riso, mais…

Nella produzione di  birra di qualità, ha grande rilevanza l’acqua utilizzata che deve avere caratteristiche particolari. Infatti ogni tipo di birra richiede una qualità d’acqua con elementi distintivi. E’ il birrificio a trattarla, in base al prodotto finale voluto. L’introduzione di misture aromatiche, ha poi conferito aromi distintivi alle varie tipologie di birra. E la scelta ormai è diventata ampia dando un vasto ventaglio di possibilità agli amanti di questa magnifica bevanda.

Io quella sera, tradii la rossa per una bionda spettacolare a doppio malto, un prodotto genuino, senza sofisticazioni, realizzato seguendo le fasi tradizionali ereditate da mastri birrai…

 




E fu così che nacque “La Supreme”

La Supreme direte, ma di cosa stiamo parlando? Mi spiego… la Supreme era una sinuosa ed affascinante donna affrescata su un muro di una gelateria, già… ed è così che oggi inizia la mia storia.

la-supreme

La Supreme

Giorni fa spinta dal caldo, ma non solo, andai in una nota gelateria della Brianza. La conoscevo già per la qualità rinomata dei suoi prodotti, ma stavolta mi ero recata li con una missione ben precisa. In missione in gelateria vi chiederete? Certo che si, perché dietro un’eccellenza quale essa sia, c’è passione, e cercare anime di passione è ormai una mia esigenza di vita! Lo dico sempre lo so, ma mi piace così tanto, che divento ripetitiva, altro mio difetto. Detto questo… pronti, via!

Entrai nel piccolo locale che a prima vista mi ricordava la classica gelateria di paese, dove chi entra è ormai cliente abituale, e l’ascolto del ritmico ciao amichevole, è costante e piacevole. Ordinai la mia coppetta di gelato, includendo però la richiesta di quattro chiacchiere con la signora che mi stava servendo, Anna, la titolare. Mi guardò li per li perplessa, ma sorridente, e devo dire che mi piacque subito. Appena la clientela glielo permise si sedette ad un tavolino con me. Dapprima mi presentai, e poi incominciai a chiederle come iniziò questa sua avventura.

Anna era nata in provincia di Taranto, in una famiglia che viveva del lavoro della terra, vigne e coltivazioni varie. Dalla madre aveva preso la vena imprenditoriale. Era lei infatti che si occupava della parte gestionale e della vendita dei prodotti.

Quando l’attività non fu più sufficiente al sostentamento della famiglia, dovettero trasferirsi al nord. Una volta cresciuta, si tuffò nel suo primo progetto. Giovanissima aprì una latteria, che però a breve dovette lasciare per dedicarsi una volta sposata alla famiglia. Un marito e tre figli le occupavano interamente le giornate.

La vita però ci mette spesso a dura prova, e cosi fu per lei. La morte improvvisa del marito la lasciò sola a quarantatré anni con tre ragazzini a cui badare. Doveva ricominciare coraggiosamente… Mentre parlava io la guardavo, e vedevo in lei la forza, la gentilezza, e l’ostinata risoluzione di una donna determinata.

Dopo essersi adattata a vari impieghi, quando ormai i ragazzi erano cresciuti, gli si presentò la possibilità di acquisire una gelateria. A cinquantun anni con l’appoggio di suo figlio Luca allora ventenne, si ributtò nell’impresa che si sarebbe rivelata un successo. Insieme andarono a vedere il locale già avviato. Entrando furono colpiti da una donna affascinante affrescata su un muro. Era lei, La Supreme, e da lei derivava il nome del locale. Gli ci volle non più di un giorno per decidere, neanche un momento di più.

La nuova avventura iniziò… Anna mi raccontò che i primi anni furono duri, si lavorava per coprire le spese. Furono costretti ad ampliare il locale sacrificando la bella vista affrescata della Supreme. L’attività della gelateria non era sufficiente, e per rimediare fu deciso di creare un angolo bar. Nel frattempo anche Paolo, l’altro figlio, si stava cimentando nell’attività con interesse e curiosità quasi maniacale. Paolo mi raccontò che una volta andò fino a Padova in motorino per incontrare un professionista del gelato di cui aveva sentito parlare. Voleva dei consigli per ottenere la combinazione ottimale di ingredienti per un fiordilatte perfetto.

Sia Paolo che Luca avevano indirizzato i loro studi su strade ben diverse, ma poi entrambi proiettati in questo sogno familiare, erano stati indotti a lasciare le loro attività per dedicarsi interamente al gelato e alla pasticceria. Inizialmente avevano acquisito le basi tecniche da un approccio con il franchising adottato per due anni. Ma lo spazio alla fantasia che lasciava loro, era limitato, quindi abbandonarono questa strada per continuare da specialisti indipendenti. La ricerca continua delle combinazioni e degli ingredienti era la loro scuola.

Paolo mi raccontava orgoglioso delle sue specialità. Ad esempio per il gelato alla Cassata Siciliana, utilizzava una ricotta che proveniva direttamente dalla Sicilia, mentre per il gelato tropicale usava i frutti tipici importati dal Brasile. Ma il loro fiore all’occhiello era il gusto che portava il nome del locale “La Supreme”. In pratica si trattava di gelato a base di pasta di mandorle, cioccolato fondente, mandorle caramellate e miele di castagno, una vera bomba! Ovviamente non me lo feci mancare…

In quel pomeriggio in cui ero entrata nel locale solo per fissare un incontro, sono finita per passare tre piacevolissime ore a ridere e a chiacchierare. E ovviamente, a mangiare gelati di tutti i gusti… chi mi conosce non stenterà a crederlo!

Ma la chicca deve ancora arrivare… Paolo, diventato sommelier, si era adoperato per unire le sue due passioni. Si iscrisse nel 2010 al campionato Italiano per il gelato. E indovinate cosa propose… ebbene si, il gelato al Franciacorta. Arrivò secondo su quaranta partecipanti per la Lombardia! Purtroppo quel giorno ne era sprovvisto, ma mi ha promesso che me lo farà trovare alla mia prossima visita…

 




Una storia d’amore e di passione tra una donna e una vigna

E tutto iniziò tra le dolci colline di Champagnole, con il canto delle upupe e le anime della vigna…

Vorrei che mi leggeste, mentre vi accompagnano le dolci canzoni di Charles Aznavour e di Gilbert Bècaud, come è successo a me mentre vivevo questa mia avventura.

Ho pensato molto a come iniziare questa mia storia, una storia d’amore, di passione, di contrasti, ma una storia vera, una storia d’altri tempi, che ti fa credere nella gente, che ti fa sperare che il mondo può cambiare, che ti fa comprendere che il nostro legame con la terra è inscindibile, indissolubile, e solo lei ci può salvare.

La mia vita non è stata semplice, tutt’altro. Continui ostacoli da superare, a volte quasi insormontabili. Ma c’è una luce davanti a me che mi fa andare avanti, che mi fa credere nelle persone, che mi fa vedere quella fiamma che arde nelle anime, che ti trasmette energia ed emozioni, speranza e voglia inesauribile di assaporare la vita in tutti i suoi aspetti.  E io li guardo con la mia luce, e loro te la ritrasmettono. Ed è questa la cosa bella…

Questo mio racconto inizia una domenica come tante altre. Dopo un pomeriggio di chiacchiere con amiche, di ritorno a casa. Fui invitata a commentare un’intervista ad una donna, Anna

Ma non solo Anna, la titolare della cantina, gioca un ruolo importante in questa storia. Ci sono tante anime che intorno a lei fervono di energia, di passioni e di contrasti. Questa vigna, “la vera protagonista”,  ha un cuore che pulsa, e nonostante le continue avversità, tiene in piedi questo amore per la terra e incita tutti ad andare avanti.

Pensate che esagero… nooo! Ero li con Anna a passeggiare tra i filari di questa vite… li scaturiva energia, percepivo quasi una atmosfera magica. Ero avvolta da presenze che continuano a vivere nonostante le sciagure accorse. Sono percezioni che si devono provare. Sappiamo bene quanto siamo scettici quando non tocchiamo con mano. Vi chiederete il senso di questa mia affermazione, difficile a spiegarsi, sensazioni, si sensazioni provate nell’ascoltare Anna nei suoi racconti.

Passeggiando in quella vigna si avvertiva la presenza di Sabrina, compagna del titolare delle vigne, scomparsa dopo un male incurabile, e di Giuliano, amico e grande aiuto nei vigneti e nelle cantine, tragicamente deceduto dopo essere precipitato dal suo elicottero un giorno, poco dopo aver sorvolato quei filari. E che dire di Gianni titolare del vigneto… Con la sua eleganza e il suo fervore mi raccontava le storie della sua terra e delle tipicità Valdostane. E la dolce Nelly’, amica, promotrice e fotografa del vigneto.

E a guardare tutti loro, ero la io, tra le colline di Champagnole, piccola frazione di Villeneuve ad Aosta, deliziata, da tante belle anime.  E le upupe, con il loro piumaggio vistoso e il loro canto che riportava in me i bei ricordi dell’infanzia, in campagna dagli zii a Treviso.

sam_1383

Ma iniziamo la mia storia…

Dopo avere letto l’intervista di Anna, nacque in me la voglia irrefrenabile di conoscerla. La passione che sentivo in quella donna mi apparteneva e mi attirava. Riuscii quindi a procurarmi il suo numero telefonico, e dopo alcuni contatti preliminari via mail, la chiamai.

La sua voce non smentiva le mie impressioni. Era lei la donna che avevo idealizzato. Dopo aver scambiato alcune confidenze reciproche sulle nostre vite, le dissi che avrei avuto piacere d’incontrarla. Lei non esitò, anzi mi disse che sentiva un legame recondito con la mia voce. Sensazioni disse, e insistette perché alla mia venuta mi fermassi direttamente da lei a dormire. La cosa mi procurò una forte emozione… Il fatto che una persona conosciuta così in un attimo,  potesse tendermi la mano, era per me fonte di felicità che esprimevo così. Sono un’inguaribile romantica sensibile, ma mi piaccio cosi, e non mi sforzo di cambiare.

Ci accordammo sulla data, e finalmente il momento arrivò. Disto da lei 200 km, e guidare mi piace, con le mie soste, fotografando qui e la. A volte fermandomi in posti azzardati. Se vedete una testa bionda con una macchina fotografica viola, sono io!

Finalmente arrivai a Champagnole. Vidi l’insegna stradale, e mi diressi verso una stradina di campagna sterrata tra due vigneti. Mi ritrovai in un cortile ghiaioso circondata da costruzioni tipiche. Non c’erano insegne relative al vigneto, quindi dopo aver parcheggiato la macchina, un po’ timorosa, incominciai a guardarmi attorno. Dovete sapere che sono molto curiosa, ovviamente nel senso positivo del termine. Mi piace godere con gli occhi di ogni angolo sperduto. Guardando qui e la, finalmente vidi una scritta a pennello tra grappoli d’uva su un muro bianco.

Capii di essere giunta finalmente a destinazione. Mi guardai attorno come in esplorazione.  Ero immersa nel verde di un giardino semi selvatico sotto un  vecchio tiglio. Poco distante vidi un pergolato in legno con a fianco un forno bianco in muratura, e una fontana dalla quale gorgogliava uno zampillo d’acqua che si riversava in un tronco di legno chiaro dipinto con maestria e richiami a tema. Mi adoperai subito con la macchina fotografica entusiasta di ciò che vedevo, scattando velocemente ogni angolo suggestivo. Un venticello delicato sembrava accompagnarmi, dandomi la sensazione di avvolgermi piacevolmente in un benvenuto abbraccio.

sam_1423

In realtà mi sentivo osservata, io con il mio giacchino rosso, mi sentivo circondata da occhi curiosi. Tutto ciò fino all’arrivo di una macchina che parcheggiò a fianco alla mia, e che mi permise di uscire da quell’atmosfera sognante in cui mi ero immersa. Dall’auto scesero due persone di mezza età, che mi guardarono distrattamente.

Mi sentii in dovere di presentarmi anche se non mi fu richiesto, dissi loro che ero un’amica di Anna, e che la stavo aspettando. La signora bionda mi guardò curiosa, era accompagnata da un uomo che non mi rivolse la parola, alzò per un istante gli occhi senza darmi molta importanza. Non avendo ancora scorto nessuno dal momento in cui ero arrivata, mi permisi di chiedere loro informazioni, ma mi fu subito risposto che non sapevamo aiutarmi in alcun modo. Decisi allora di chiamarla al telefono. Mi rispose pronta, con tono vispo, dandomi precise indicazioni per raggiungerla in una trattoria poco distante dove stava pranzando con degli amici. Giunsi a destinazione in pochi  minuti.

Ad accogliermi sul ciglio della strada lei…

Dopo un abbraccio e i saluti preliminari le spiegai il mio arrivo, e seppi allora che alla vigna avevo incrociato i suoi genitori. Mi condusse al tavolo dove fui immediatamente accolta da visi sorridenti che con calore mi strinsero la mano bramosi di sapere cosa mi aveva condotta fin li. L’atmosfera si scaldò subito, e tra sorrisi e battute scherzose fui sommersa da domande. Gianni in particolar modo mi poneva continui quesiti, trovandomi pronta alle risposte. Notavo che mi ascoltava attentamente, curioso di capire quale forza mi avesse spinto tanto, da giungere a loro. La risposta io la sapevo bene: “Vedere la passione nelle persone ormai tanta rara, quella passione che per me è il motore della vita…”

Mentre il tempo passava velocemente,  mi rendevo conto di essere li fra persone sconosciute che pian piano non lo erano più. E io parlavo e parlavo, col mio fiume abituale di chiacchiere. Si, sono un’irriducibile chiacchierona, mi piace raccontarmi, convintissima che aprendosi sinceramente alle persone dai esperienza di vita e ne ricevi altrettanta. E’ come un viaggio virtuale, e mi piace, mi piace moltissimo ascoltare quanto le vite possano essere avventurose e a volte tragiche.

A farci capire che si era fatto tardi fu il cameriere che un pochino imbarazzato ci disse che erano prossimi a chiudere. Ci guardammo quasi sorpresi e ci rendemmo conto dell’ora. Decidemmo quindi di avviarci al vigneto per immergerci in quell’atmosfera che fortemente mi aveva calamitato li.

Appena arrivate alla vigna, Anna mi presentò i suoi genitori. La coppia mi guardava con occhio diverso, scusandosi per la fredda accoglienza al mio precedente arrivo. Poi, dopo le varie presentazioni di rito, decidemmo di fare una passeggiata tra i filari, io e lei.

Mi spiegò come giunse fin li la prima volta quando un giorno nella primavera del 2008 raggiunse i suoi genitori in un piccolo appezzamento di terreno della vigna preso in affitto ed adibito ad orto.  Vide un uomo, Gianni, che potava filari con un grosso forbicione. Osservandolo in quel rituale di movimenti,  pian piano gli fece capire il suo interesse, la sua curiosità, e decise di imitarlo.  Senza rendersene conto s’innamorò della vigna, di quell’atmosfera, e di quella pace che le dava il contatto con la terra.

In quel periodo Anna all’ora trentanovenne, aveva avuto problemi sul lavoro, grosse difficoltà con il suo diretto responsabile, grosse ingiustizie e accuse nei suoi confronti poi rivelatesi infondate. Le conseguenze furono drastiche e dovette suo malgrado andarsene.  Dopo una causa vinta rimaneva solo la soddisfazione di aver dimostrato la sua buona fede. Doveva ricominciare, ripartire, e si chiedeva come… Ma il destino spesso ci porta sulla strada giusta, sta solo a noi vederla…  E cosi fu… L’incontro con Gianni  e la sua proposta di gestire la vigna diede una nuova decisiva direzione alla sua vita.

Ma torniamo al suo racconto…

Mentre ci incamminammo, mi raccontava orgogliosa dei quattro appezzamenti delle sue vigne, dislocati in quattro diverse frazioni. Un totale di tre ettari di viticoltura eroica,  per le pendenze impervie del terreno che non sempre rendeva facile la sua cura. Anna mi disse che aveva dato ad ognuna un nome, ma che la sua preferita era “Tess”, quella più vecchia. Qui in particolare l’atmosfera che si respirava era carica di sensazioni magiche, io ero li, e riuscivo a percepirle insieme a lei.

Non saprei definire esattamente ciò che provavo. Eravamo li a parlare, così, come amiche da sempre, ma in realtà conosciute da poco, e tutto era molto spirituale. Le percezioni empiriche che provavo mi elevavano ad uno stadio quasi irreale, e dovetti risvegliarmi da un torpore ipnotico. La passionalità con cui Anna mi raccontava le vicende delle anime della vigna mi incantava. Ascoltandola avevo quasi l’impressione che quelle terre erano pervase da forze contrarie, negative e positive che si scontravano, ma che insistentemente predominasse l’amore e la passione, che vince contro tutto, permettendo di tenere in vita un sogno che io ormai sentivo fortemente appartenere anche a me. La vigna era la continuità della vita. Ero stata rapita da quella terra. La sua energia mi aveva conquistato e ormai non potevo più esimermi dall’impegno che pian piano senza rendermi conto andavo ad assumere.

Ma torniamo alla vera protagonista di questa mia storia…

Anna mi raccontò della vigna dello Chardonnay nella frazione di Verne, a Villeneuve. Sorgeva a 750 metri sul livello del mare e aveva un dislivello importante con conseguenti difficoltà nella sua gestione. Il secondo appezzamento era situato a Tessey vicino a Villeneuve, a 650 metri d’altitudine. Questa vigna la più vecchia risaliva al 1930, qui nasceva il Petit Rouge. La terza a San Pierre, era tutta terrazzata con muri in pietra a secco. E infine la quarta, del Pinot Nero e del Muller Thurgau si trovava a Champagnole. Qui c’era anche la cantina, il regno della vigna.

Mi raccontò quanto era difficile seguire i quattro appezzamenti, con i piccoli e grandi problemi di ogni giorno, ma le soddisfazioni erano tali che tutto passava facilmente in secondo piano. La gioia che le dava accudire la vigna, la ripagava della fatica. Poi grazie all’aiuto di Gianni e degli amici meravigliosi e costanti nel tempo, le giornate trascorrevano felicemente.

Mi raccontava come passava piacevolmente il tempo a legare i filari, facendo attenzione a non spezzarli. Durante il periodo della potatura quasi sentendo il “tak” nel taglio e nel cuore, nasceva quasi l’esigenza di scusarsi con la Signora Vite… così la chiamava lei. Poi, l’emozione di vedere sbocciare le gemme, i fiori, i pampini che si aggrappano con tenacia… sensazioni che ci regala la natura.

E che bello parlare con lei… si, parlare con la vigna…  perché  mi diceva “lei ti da lezioni di vita”.  E io ascoltavo Anna parlare, quasi in uno stato sognante e quanto la capivo.  Rivivevo la  mia infanzia, una bambina triste salvata dalla terra. Da ragazzina a Treviso avevo provato le medesime sensazioni nelle vigne dei nonni, e quanto mi avevano salvata,  e quanto volevo riviverle…

Il piacere di passare giornate all’aria aperta, i raggi del sole sul viso, camminare a piedi scalzi sul terreno, erano sensazioni impagabili. La vigna era insegnamento di vita, vederla cambiare col passare delle stagioni, vedere i coraggiosi filari che si aggrappano ai fili, come noi alla vita, le dava pace e  serenità interiore.  Il suo sogno era regalarla al mondo, producendo il vino della Pace. Utopia dite, forse si, forse no. Mi raccontava di come le facevano compagnia le upupe con il loro canto, quei bellissimi uccelli dai colori sgargianti, che nidificavano li nei campi.

E mi diceva che il suo sogno sarebbe stato quello di mettere musica classica nelle vigne. Ma ci pensate, estasi pura per chi può capirla. E tutte queste cure portavano alla tanta attesa vendemmia. Alla prossima parteciperò anch’io, e sinceramente non vedo l’ora. Per me rappresenta la celebrazione della vita, con musica e tanti amici, un ritorno alle belle tradizioni del passato, all’amore e alla passione per le cose semplici, per le cose vere. Un ritorno alla mia infanzia in campagna, i più bei ricordi della mia vita.

E con noi tutti ci sarà anche Sabrina, compagna di Gianni per tanti anni nella vita e nelle passioni. Lei aveva dato il primo vitale impulso alla vigna. Le strade del destino però avevano indotto li un’altra donna, Anna, anch’essa trentanovenne. Ecco le rose di Sabrina nel giardino che ogni anno continuavano a sbocciare, e che ricordavano a tutti come la vita continua… E ci sarà anche Giuliano, amico comune di Gianni e di Anna, persona dall’animo speciale, e grande collaboratore delle vigne.

E ritorneremo al passato con la pigiatura fatta a piedi scalzi danzando nei tini… e festeggeremo la vita…




Cinzia & Cinzia… nelle “Vigne di Alice”

Una persona tempo fa mi chiamava ‘Alice nel paese delle meraviglie’… Bè, ormai le nostre strade si sono divise, ma io continuo a vivere li… tra i miei sogni, le mie speranze… come dicono altri, nelle favole. Sarà,  ma io ci sto cosi bene che a traslocare non ci penso proprio! E oggi incredibile… ho trovato un’altra Alice, ma delle vigne! Ebbene si, “Le vigne di Alice”!

Tempo fa, durante una cena a Milano, raccontavo ad una persona seduta a fianco a me il mio entusiasmo nel conoscere e scrivere storie di persone appassionate. Ad un tratto il mio interlocutore s’interruppe, e mi disse che aveva una storia per me, una storia di donne che producevano vino a Treviso. Figuratevi io, praticamente con gli occhi sgranati! In primis, donne che producevano vino… e poi vuoi mettere, a Treviso, la mia terra d’origine.

Dopo aver programmato la visita finalmente il momento arrivò. Mi misi in direzione di Carpesica, frazione di Vittorio Veneto. Li mi aspettava Cinzia Canzian, tra un viale di rose e le ‘vigne di Alice’.

66132_4045831697210_903099849_n

Le Vigne di Alice

Nel raccontarmi la sua storia notai il moltiplicarsi delle similitudini con la mia infanzia. Anche lei cresciuta in campagna tra le vigne del nonno e l’osteria della nonna. Educata all’importanza del profumo del vino, e ormai grande esperta.

‘Educare al profumo del vino’:  un concetto che condivido pienamente. Siamo talmente ‘viziati dalle immagini’ che perdiamo molto dal nostro senso olfattivo.

Con l’odorato possiamo riconoscere mille diversi aromi, mentre col senso del gusto possiamo distinguere solo quattro sapori. La verità è che l’olfatto è il senso delle emozioni…

Ecco che mi sono persa… Dov’ero…? Ah si, raccontavo di Cinzia, non io, lei, la Cinzia delle vigne, una donna riservata che mi ha raccontato l’evolversi del suo progetto “Le Vigne di Alice”,   dedicate alla nonna di suo marito.

Con lei Francesca, sua preziosa collaboratrice ed enologa della vigna. Un sogno realizzato che ha portato a vini d’eccellenza e a felici intuizioni come per ALICE EXTRA DRY in bottiglia trasparente.

Cinzia & Cinzia… che si guardavano con occhi luminosi e brillanti davanti ad un meraviglioso scenario di bellezza naturale…




Io e Massimo Dellavedova… lo “chef in love”!

In love direte… ma “in love” di chi? Ma di me ovvio! Tranquillo Massimo vedo già che sgrani gli occhi… o noo?! Bè, a parte gli scherzi vi voglio presentare Massimo Dellavedova, il mio caro amico chef… e uomo che adoro!

Lo conobbi ormai tempo indietro tramite Antonella Varese, altra chef protagonista di una mia storia. Lui mi dice spesso che Antonella è la sua versione al femminile, mentre io vi posso solo dire, che ho il vanto di annoverarli entrambi tra la mia cerchia di amici. E non ci accomuna certo l’arte del cucinare… Vedo già la faccia “alienata” di mio figlio Andrea, che mi dice che spesso amici notando il mio interesse in questo mondo pensano a quanto lui sia fortunato e gli dicono: “Chissà che manicaretti mangi a casa tua! E lui: “Ehh…!” Devo confessare che amo molto la buona cucina, ma quanto a cucinare passiamo oltre che è meglio. E… va bè! Mica posso essere brava in tutto!

Ops… mi son persa… Cosa dicevo?! Ah sì, che adoro Massimo, e come non potrei. Uomo sensibile e appassionato, ma un po’ pazzerello come me. Con lui la mia chiave ironica emerge al massimo e quando ci si trova, mi diverto troppo a prenderlo un po’ in giro, e il tempo scorre a suon di risate. Quando poi mi racconta certi aneddoti, “tipo una sua ospite che gli chiese del pesce, ma che non sapesse troppo di pesce…” dico che non ci resta che ridere! Massimo in un evento gastronomico ha avuto l’ardire di creare dei finger in palline di plastica che venivano erogate da un distributore. Per i non espertissimi come me, il finger food è cibo mangiato con le mani. Pensate che divertente e originale servirsi da se estraendolo da palline come quando da bambini le estraevamo bramosi di scoprire la sorpresa! Bè Massimo è così, ama giocare sulla fantasia della gente… Non per niente è uno “chef smile!”

Ma come dico sempre, io punto sulla semplicità… e infatti un giorno trovandomi ad ascoltare i discorsi di alta cucina tra lui e un altro suo grande collega stellato, non riuscii a trattenermi. Pensate che dibattevano sull’uso di foglie dal sapore di ostrica, la foglia Oyster Leaves nota anche come ostrica vegetariana. Be’ intervenni così: “Ma scusate dissi, ma utilizzare direttamente delle ostriche… noo?!” Mi guardarono quasi risentiti della mia mancanza d’apprezzamento per la loro ricerca, che definirei a volte morbosa! Ormai si vedono piatti talmente elaborati che spesso la genuina cucina casalinga è oggetto di desiderio! Ultimamente mi è capitato di trovarmi davanti a presentazioni quasi maniacali. Bellissime certo, ma a volte più adatte a set fotografici per libri di cucina! E’ vero però che la creatività fa parte della loro professione… E quindi dico che forse rivisitare i piatti classici della nostra tradizione, è quello che si aspettano persone come me, che amano approcciarsi ad una cucina semplice e di qualità.

Una volta chiesi a Massimo: “Cosa prepareresti per me se ti chiedessi un antipasto fresco per l’estate?”  Lui accettò la sfida e mi propose: “Grissini all’amaretto avvolti in prosciutto di San Daniele a bassa salinità con tempesta di melone bicolore alla menta, accompagnati da finger food di coulisse di melone cantalupo, e melone giallo con prosciutto disidratato. Il tutto accompagnato da un Donna Fugata e un Torbato”. Wow dissi!
Lui non si ritiene un grande esperto di vini… Quando una volta gli chiesi cosa prediligesse mi rispose : “Sai ce ne sono diversi, dipende dal luogo e dal mio stato d’animo… la scelta del vino per me segue l’umore”. Avete mai pensato a questa cosa? Lui, un inguaribile romantico dolce e passionale come me. Il suo sogno è realizzare il locale in cui investire i suoi progetti, la sua esperienza e la sua grande creatività. E come dico io, bisogna lasciare sempre le porte aperte alle speranze, perché le persone piene di risorse vanno sostenute e incoraggiate… sono il futuro e la forza motrice di questo nostro bel paese!

Come dice un mio collega: “La terra non è ancora pronta per gli extra terrestri” e io aggiungo… “come le donne per i romantici”. Massimo Dellavedova




Io e Antonella Varese tra le ‘Dalie e i Fagioli’

Oh acciperbolina direte! Pure tra le dalie e i fagioli si trova adesso Cinzia, ma che c’azzeccano?! Un po’ di pazienza e ci arriviamo, tutto ha un senso, o quasi!

Oggi stavo guardando delle foto e mi sono soffermata su questa con me e Antonella Varese in un giorno di Marzo… e mi è venuta voglia di raccontarvi.

Sono entrata in contatto con Antonella ormai da tempo. Il suo sorriso aperto e schietto mi piacque subito. Commentavamo spesso alcuni post che pubblicava su facebook. Dai toni in cui scriveva avevo capito che si trattava di una persona grintosa e simpatica, e raramente mi sbaglio.
Mi divertiva quando commentava alcune stranezze nelle richieste dei suoi clienti. Ah si non ve l’ho detto… Come al solito penso che le persone siano in telepatia con me, e infatti mi sento rimproverare spesso: “Ma pensi che sia nella tua testa”!

Dunque vi spiego… Antonella ha un delizioso Agriturismo sul lago di Garda, Dalie e Fagioli. Commenta che commenta, un giorno le promisi che al mio primo passaggio da quelle parti mi sarei fermata da lei a mangiare. Ebbi l’occasione il 17 Marzo del 2011 e qui mi fermo un istante… Ci ricordiamo che grande ricorrenza si celebrava in quella data? Ma certo che sì! Si festeggiava il 150’ anniversario dell’Unità della mia amata Italia, e quale migliore occasione che fermarsi a celebrarlo da Antonella!!
Io adoro l’Italia tutta, lo dico sempre… paese unico per le tradizioni… ricco di storia, di arte, di grandi uomini e donne, di gente di passione… poi vuoi mettere, ci sono anch’io!! Daiii che scherzo! 🙂 Tra l’altro, il mio grande amico giornalista romano Giorgio Ferrari, con la sua passione per il Risorgimento di cui è narratore in Rai, me ne ha fatto ancor più innamorare. Lui dice che gli ricordo la bella Gigogin… e qui faccio l’inchino per un tale paragone.

Dunque, dicevamo per l’appunto che l’occasione era speciale, e a tal proposito mi ero munita di ben due bandiere italiane. Una l’avevo lasciata nella mia prima tappa a Padova dalla mia amica Emanuela che ne era rimasta sprovvista. E l’altra l’avevo in macchina con me. Spero che non mi direte a fare cosa?! Ma in bella vista ovviamente, e aggiungo “orgogliosamente”!
Quel giorno arrivavo da Treviso, dopo aver salutato una cara dolce amica, la mia Wanda, che non avrei più visto. Con lei avevo passato gli ultimi suoi momenti in ospedale, con quella bandiera Italiana che noi sentivamo.
Ma torniamo ad Antonella… Circa alle tredici giunsi a destinazione, e mi accorsi con stupore che all’ingresso non c’erano segni celebrativi. Entrai quindi, e dopo i consueti saluti le dissi: “Ma se io ti metto fuori la mia bandiera… tu cosa ne dici?”  Lei accettò di buon grado, e quindi pronti via… Bene, mi sentivo meglio!

Esausta mi scelsi un tavolo e decisi di “spiazzarla con l’ordinazione”! Infatti quando mi chiese cosa volessi mangiare, io le risposi: “Fai tu, io mangio tutto tranne la trippa!” E lei…: “Come fai tu?” E si le dissi, dici o non dici che i tuoi clienti spesso ti mettono in difficoltà. Bè sto giro ti metto io alla prova. Altro che prova… Arrivarono piatti deliziosi, e dovetti arrendermi alla sua bravura.

In realtà non avevo nessun dubbio. Tra l’altro anche le etichette dei vini non smentivano la qualità. Quel giorno mi fece degustare La Ribolla Gialla La Tunella, di un grande vitigno autoctono friulano.
Lei, ottima chef e regina della sua cucina, appena poté, sedette con me al tavolo. E li eravamo due donne, due nuove amiche che si raccontavano della propria vita… delle delusioni, dei figli e dei nuovi amori. Antonella ha fatto delle scelte coraggiose che l’hanno ripagata. Ha ancora tanti sogni che con impegno sono convinta realizzerà. La vena della sua famiglia è la ristorazione di qualità, e lei ne è degna testimone.

 

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: