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In cerca di risposte… Val di Mello, Sondrio

“Va dove ti porta il cuore…” Scriveva così Susanna Tamaro. Sarebbe così semplice, eppure, in una società come la nostra, in cui l’apparenza prevale sulla sostanza, solo una frase scritta su un libro, che pochi sanno mettere in pratica.

Un’epoca di poco coraggio, di vite vissute in cerchi imperfetti, di ‘gabbie’ che spengono lentamente, senza voglia di reagire, spesso senza vera felicità. Quella sequenza di istanti che da al tempo una dimensione diversa, molto più ampia, emozionante e intensa.  Realtà con cui mi scontro, e che mi portano a riflettere.

Ancora una volta ho bisogne di risposte. So bene dove trovarle: nei miei rifugi nella natura, dove non esistono forzature… dove regna la spontaneità. Qualche giorno fa, in Val di Mello, davanti a uno scenario incantato rotto solo dal suono dell’acqua, i dubbi si sono chiariti.

Una valle inserita nella Comunità Montana della Valtellina di Morbegno. Qui, secoli fa, un enorme blocco di roccia oggi utilizzato come palestra dagli scalatori, è caduto dalla montagna nella Piana di Val Masino: il sasso Remenno. Il più grande sasso erratico d’Europa, con un volume che supera il mezzo milione di metri cubi.

Un ambiente montano caratterizzato da valloni selvaggi, da specchi d’acqua e piccole cascate, in cui recuperare benessere ed energia. La più vasta area protetta della Lombardia che dal 2009 è stata riconosciuta ufficialmente Riserva Naturale di Val di Mello.

Si raggiunge con la Statale 36 Milano-Lecco. Dopo Colico, seguendo la E38 dello Stelvio in direzione Sondrio, superato Morbegno e Ardenno, si prosegue per la Val Masino fino a giungere al paese di San Martino. Da qui, un facile percorso di circa 2 km, tra pareti rocciose, boschi e sorgenti di acque cristalline, permette alla mente di elevarsi, fornendo responsi e la giusta strada da seguire.

Vi lascio alle immagini, in questo caso molto più utili di mille parole…

Quando un uomo si allontana dalla natura, il suo cuore diventa duro.
Proverbio dei Lakota, indiani nativi d’America

Riserva Naturale della Val di Mello – Via Val di Mello, Val Masino (SO)

Rifugio Mello  www.rifugiomello.it

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello

Val di Mello




Se questa non è la felicità… Pejo, Luglio 2016

Ma che cos’è la felicità?

Uno stato d’essere, un’euforia temporanea, un sogno realizzato? Credo che la felicità sia semplicemente il benessere che ciascuno di noi raggiunge grazie all’intensità delle emozioni vissute in particolari momenti della propria vita. Una sequenza di istanti che ci accompagnano con i ricordi, e che danno una dimensione diversa al nostro tempo. Talvolta il desiderio è che non finiscano mai, ma forse, pensandoci bene, la cosa veramente importante è l’intensità con cui li viviamo. E’ così, che dopo ogni viaggio, si torna più ricchi e consapevoli della bellezza che ci circonda, e che fa di noi le persone che siamo.

Qualche giorno fa, in Val di Pejo, nel Parco Nazionale dello Stelvio (settore trentino), grazie alle splendide passeggiate tra i laghi alpini e le foreste di abeti e larici rinfrescate da ruscelli e piccole cascate, mi sono detta: “Se questa non è la felicità…” In un territorio non ancora preso d’assalto dal turismo di massa, le emozioni sono state tante. Una valle, chiamata anche “La Valéta”, ai piedi dei gruppi montuosi dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello-Presanella con cime che superano i 3.000 metri di altitudine. Pace e benessere a ricordo di una vacanza indimenticabile.

Qui di seguito alcuni momenti dei miei bellissimi giorni passati a Pejo, nell’alta Val di Sole.

Immersa tra le nuvole, a 3.000 metri di altitudine

Da Pejo, con la funivia ‘Pejo3000’, in soli sei minuti si sale a 3.000 metri di altitudine, tra le vette dell’Ortles Cevedale nel Parco Nazionale dello Stelvio. Da qui si scorge il Monte Vioz (3.645 m), Punta Taviela (3.611 m), Punta San Matteo (3.678 m), Cima Presanella (3.556 m) e Monte Adamello (3.539 m). Da questa altezza, ammirando gli splendidi panorami, nel silenzio, i pensieri si fanno più leggeri, e tutto torna ad avere il giusto equilibrio. Rientrando, a piedi, ho ammirato nel piccolo specchio d’acqua del Lago Covel (1839 m) le vette viste poco prima dall’alto.

Escursione alle cascate di Celentino con esperienza di ionizzazione

Ci sono luoghi della nostra bella Italia ancora poco conosciuti. Uno di questi è alle Cascate di Celentino, frazione di Pejo. Seguendo le guide locali, le ho raggiunte dopo aver  percorso uno stretto sentiero sterrato. Nonostante io ne abbia visitate diverse, sia in Italia che all’estero, ogni volta alla loro vista la sensazione è molto piacevole. Il motivo è presto detto: lo scroscio dell’acqua sui sassi diffonde nell’aria ioni negativi, atomi che hanno acquisito una carica elettrica e che, una volta inalati, alleviano gli stati di stress donandoci energia e benessere.

Il bosco, una vera farmacia naturale: estrazione delle resine Trementina e Argà

Durante i miei giorni passati nei boschi di Pejo, ho avuto il piacere di assistere all’estrazione della ‪Trementina tramite incisione alla base dell’albero di Larice, l’unica resinazione legale in Italia. Una volta raccolta e microfiltrata, viene distillata per ottenere l’Argà, un’oleoresina vegetale dal potere disinfettante conosciuta per le sue proprietà terapeutiche. E’ utile nel trattamento delle vie respiratorie, contro i reumatismi, nevralgie, sciatica e molto altro ancora. In Val di Sole questa attività di estrazione praticata dai resinatori, si è particolarmente sviluppata per la grande quantità di larici. Terapie naturali da rivalutare.

Per info: Mauro Iori –  mauro.iori@alice.it

Lago Pian Palù

Non so se ha contribuito la giornata di sole, ma vi assicuro che la vista dei riflessi turchesi di questo stupendo specchio d’acqua a 1.800 metri, mi ha incantato al punto da farmi perdere la cognizione del tempo. Con lo sguardo perso, ho espresso un desiderio che spero di poter realizzare in futuro. Lo si raggiunge da Pejo Fonti, dopo aver superato il Fontanino di Pejo a 1.670 metri. Magnifico.

Dal lago dei caprioli salendo fino alla Malga Alta di Fazzon

Tra i tanti laghetti in Val di Sole, c’è il suggestivo lago dei Caprioli (1.321 m) raggiungibile da Pellizzano. Percorrendo il sentiero con segnavia SAT203, si può salire fino alla Malga Alta di Fazzon, a quota 1.548 metri. Un edificio ecologico ad impatto zero, autosufficiente dal punto di vista del fabbisogno energetico grazie alla turbina idroelettrica. Qui si produce una tipicità della Val di Sole: il Casolèt, formaggio di malga di latte crudo, presidio Slow Food. Una tipicità locale a pasta tenera prodotta in autunno dopo il rientro delle mandrie dagli alpeggi per il fabbisogno invernale.

Madonna di Campiglio, tra le Dolomiti di Brenta

A circa 40 km da Pejo c’è Madonna di Campiglio, nota località turistica in provincia di Trento, a 1.550 metri di altitudine. Se avrete occasione di visitarla, oltre a salire in funivia per godere della splendida vista delle Dolomiti di Brenta, dal 2009 riconosciute dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, immancabile una tappa a “Casa Cozzio”. Per chi ama le antichità, un piccolo museo pieno di tesori e di vero artigianato locale. Dopo una passeggiata per il centro, salendo a 2.104 metri, vi consiglio di pranzare allo Chalet FIAT. Oltre a godervi un magnifico scenario sulle Dolomiti, avrete modo di fare ottimi assaggi proposti da personale gentile e simpatico.

Questi sono solo alcuni spunti di visita della bella e tranquilla Val di Sole, una valle da scoprire e in cui vivere molte emozioni. Nei miei giorni passati in questi luoghi ne ho vissute veramente tante. Merito dei paesaggi di montagna, delle passeggiate, delle cascate e dell’acqua limpida dei ruscelli, ma anche delle belle persone che ho conosciuto e che hanno reso speciale ed indimenticabile questa vacanza a Pejo. Alcune di loro, a ricordo del tempo passato insieme, hanno voluto scrivere delle parole in rima. Ne citerò solo alcuni versi, gli altri li custodirò nel mio libro di pensieri e poesie.

…amiche ed amici, io non so dir di voi,

ma tentare voglio e quindi

mi azzardo a dir perentorio che ognuno di noi

di una bella vacanza ha raggiunto il traguardo.

Domani un po’ lesti ma anche un po’ mesti,

trottando trottando a Trento saremo,

e dei vacanzieri deposte le vesti,

di rivederci un bel dì spereremo.

Alessandro

 

www.visitvaldipejo.it




The Floating Piers: il pontile galleggiante mosso dalle onde, ma soprattutto dalle masse.

Inizierò questa mia riflessione con alcune domande: Com’è possibile che una passerella galleggiante attragga una tale moltitudine di persone? Curiosità per nuove forme d’arte? Accesso gratuito? Brevità dell’evento? Voglia di una passeggiata ‘diversa’ sul lago d’Iseo? Condizionamento mediatico? Di fatto, nessuno può negare che sia stata un’ottima forma di promozione turistica legata all’arte. Un vero successo, vista la grande affluenza di pubblico.

Persone disposte ad affrontare una giornata di caldo afoso, code infinite, traffico e caos, pur di camminare sull’acqua, o meglio, su un’opera d’arte contemporanea, sia pur unica nel suo genere. Un pontile galleggiante sul Lago d’Iseo largo ben sedici metri, dislocato da Sulzano a Montisola, la più grande isola lacustre europea in provincia di Brescia. Un percorso complessivo di quattro chilometri e mezzo ricoperto interamente da un tessuto di nylon arancione: tre chilometri sull’acqua, e uno e mezzo su tratti pedonali.

Forse è per dare una risposta a queste domande che ho deciso di scrivere di un progetto artistico che ho visitato, e che ha movimentato interessi e attività connesse alla conoscenza del territorio.

Com’è possibile che una passerella galleggiante attragga una tale moltitudine di persone?

Credo che la risposta nasca semplicemente dalla voglia di dire a tutti: “Ebbene sThe Floating Piers i, c’ero anch’io!” La realtà è che viviamo in una società che punta più all’apparire che all’essere. Un’epoca, la nostra, in cui i mezzi tecnologici ci connettono con il mondo, ma  spesso ci allontanano da chi ci sta vicino. Nessuna polemica, solo alcune considerazioni che in primis ho fatto con me stessa, riconsiderando alcune abitudini della mia vita.

Curiosità per nuove forme d’arte?

Senza dubbio The Floating Piers è una realizzazione d’arte moderna che ha incuriosito per l’originalità, che ha impegnato molte persone, e che per questo merita tutto il rispetto.

Accesso gratuito?

L’idea che un’opera d’arte sia accessibile a tutti gratuitamente sicuramente è di grande attrattiva. Realizzata con un costo di 15 milioni di euro, sostenuti interamente dall’artista bulgaro Christo Vladimirov Yavachev, è stata concepita nel 1970 insieme a Jeanne Claude, la compagna di vita mancata nel 2009. La vendita degli originali delle opere dell’artista e la visibilità ottenuta ha permesso all’autore di rientrare nei costi.

Brevità dell’evento?

Certamente il breve lasso di tempo per visitare – ma soprattutto per camminare – su un pontile galleggiante i cui materiali impiegati verranno interamente riciclati, ha indotto i più ad affrettarsi per non perdere quest’occasione unica e irripetibile.

Voglia di una passeggiata ‘diversa’ sul lago d’Iseo?

13507186_10209438007778096_1903693347975736321_nA questo proposito, essendo abituata a camminare a lungo su terreni stabili,  posso dire con certezza che non è stata proprio una delle mie solite passeggiate. Talvolta l’equilibrio richiesto per il leggero movimento dovuto alle onde, ha reso questo percorso diverso, e fatemelo dire, leggermente più impegnativo.

Condizionamento mediatico?

Nonostante molto spesso mi sono sentita definire con un pizzico di criticità “diversa”, per la mia tendenza ad andare controcorrente rispetto ai gusti generali, non posso negare che il condizionamento mediatico influenzi più o meno un po’ tutti. Visitare The Floating Piers mi ha dato lo spunto per fare qualche personale riflessione su questi fenomeni mediatici contemporanei.

Concludo sottolineando che, nonostante le polemiche dei molti che non hanno condiviso i clamori dell’evento,  dal 18 Giugno al 3 Luglio 2016 sul Lago d’Iseo una serie di pontili galleggianti ha messo in cammino più di mezzo milione di persone provenienti dall’Italia e dall’estero. Comunque la pensiate, un’ottima forma di promozione turistica che certamente riporterà molti visitatori sul Lago d’Iseo per vivere le autentiche atmosfere, quelle dei borghi lacustri tipici e romantici che piacciono tanto a me.

www.iseolake.info/it/   www.christojeanneclaude.net




Il Primitivo di Oreste Tombolini, Contrammiraglio della Marina Militare e “Vitivinicultore” a Carosino (Taranto)

Il mondo del vino, per chi non si occupa prevalentemente di marketing, è fatto di storie, di amici e di sorrisi. Ci si conosce, ci si racconta, e ci si trova ogni qual volta l’occasione, o meglio la manifestazione, lo favorisca. Il passare del tempo agevola così la nascita di amicizie e di quel passaparola che fa conoscere il vino degli amici, rendendo l’assaggio più ricco e meno informale. Parlo di gente allegra, che ama la convivialità e quei rituali antichi che legano il vino all’amicizia.

E’ così che ogni qual volta che posso approfitto dell’occasione per salutare, ed eventualmente consigliare, gli amici di turno che mi accompagnano e che nel vino credono, quale fonte di benessere e di espressione del territorio e dell’esperienza della persona che lo produce. Sono questi gli amici del vino, quelli che rendono speciali gli incontri. Recentemente ne ho potuto salutare alcuni alla terza edizione di “Io bevo così”, la manifestazione enogastronomica svoltasi presso la Villa Sommi Picenardi di Olgiate Molgora a Lecco, dimora storica inserita tra i cento migliori giardini d’Italia.

Villa Sommi Picenardi

Villa Sommi Picenardi

Tra i vari assaggi, molto interessante la degustazione di Primitivo di Oreste Tombolini. L’ho ascoltato durante la sua presentazione e sono intervenuta più volte con delle parentesi, per approfondire temi che mi interessano particolarmente. Si è parlato di solfiti, di quanto siano presenti ovunque, e non solo nel vino come pensano i più. Si è parlato però soprattutto di Primitivo, un vino ‘sensibile’ non valorizzato ancora quanto merita, ovviamente quando fatto bene. Quando poi ho ascoltato la sua scelta nell’adottare la musicoterapia per la produzione del vino, mi è scappato un sorriso, ovviamente con tutto il rispetto. Per certo, la musica non fa male a nessuno.

Stramaturo 2015, vino dolce 100% Primitivo

Stramaturo 2015, vino dolce 100% Primitivo

Ho voluto continuare la nostra chiacchierata ponendogli alcune domande.

  • Durante alcuni viaggi a Taranto ho avuto la netta impressione che il Primitivo non abbia su questo territorio la considerazione che merita. Ovviamente mi riferisco a vini fatti bene. Che cosa ne pensi?

In passato il Primitivo veniva utilizzato, si diceva, come vino da taglio per il suo alto tenore alcolico. La mia opinione è che fosse utilizzato, quando ben fatto, per “migliorare” molti vini provenienti da uve poco mature. Penso che attualmente in Puglia ci sia molta voglia di valorizzare il vino Primitivo che, non solo secondo il mio modesto parere, ha delle potenzialità da “primo della classe”. La condizione però è di non lasciarsi prendere dalla voglia di percorrere delle scorciatoie che consentano di omologarne il gusto per renderlo maggiormente fruibile.

Inoltre, il Primitivo, è un vitigno eclettico e si esprime in vari modi in funzione del metodo di coltivazione, della zona di produzione, e, soprattutto, dell’annata. Ho avuto modo di spiegare e di far degustare vari tipi di Primitivo prodotti da me con lo stesso protocollo in cantina, ma differenti in funzione della quantità di produzione per pianta e annata.

  • Riporto un passaggio del tuo intervento: “Il problema principale del Primitivo deriva dall’alta concentrazione di zucchero.” Lascio a te continuare…

Spiegare bene il problema non è semplice. Proverò a essere breve e chiaro. Per ottenere un buon vino l’uva deve essere matura, sana e provenire da vigne vecchie. L’uva della mia zona di produzione, quella del Primitivo di Manduria, quando è matura ha un’alta concentrazione di zuccheri che producono potenzialmente un’alta concentrazione di alcol. Questo a sua volta rischia di inibire i lieviti durante la fermentazione lasciando così dei residui zuccherini elevati.

Se si vuol produrre un vino secco e non si vogliono utilizzare lieviti selezionati e non autoctoni, bisogna agire correttamente in due momenti diversi. In vigna vendemmiando con il giusto tempismo. Sbagliare di qualche giorno può provocare ricadute negative sul prodotto finale. In cantina si devono utilizzare fermentini dotati di tasche di refrigerazione per il controllo della temperatura. Infine è importante, secondo me, il passaggio in barriques non nuove utilizzate solo per favorirne l’evoluzione attraverso la micro-ossigenazione.

  • Per quarant’anni sei stato ufficiale di marina. Ti sei congedato con il grado di contrammiraglio per poi continuare la tua vita come viticoltore. Chi ti ha dato i primi rudimenti del mestiere e quali sono state le difficoltà principali che hai incontrato?   

Sono vissuto in una famiglia dove mio nonno materno Brandisio (ho dedicato a lui il mio vino di punta), insieme a mia madre, produceva vino da uve provenienti dalle nostre terre. Inoltre, oltre ad essere viticoltore, era anche un commerciante di vini. Devo a loro il mio retaggio culturale e la mia passione per la vitivinicultura. Preferisco quest’ultima dizione che pur avendo lo stesso significato di vitivinicoltura spiega meglio il valore culturale che ha per me questo nuovo mestiere.

Ereditata la cantina di mio nonno è stato naturale per me, una volta lasciato il servizio attivo, riprendere da dove avevo lasciato nel  1969 con l’ingresso nell’Accademia Navale di Livorno. Ho appreso le moderne pratiche di cantina da un caro amico produttore di un eccellente Primitivo. Ho anche studiato per mettere a punto un protocollo basato sull’impiego dei Microrganismi Efficaci di Teruo Higa, che mi consente, tra l’altro, di esaltare le caratteristiche nutraceutiche naturalmente presenti nei vini rossi. Devo qui puntualizzare che il vino contiene alcol e va comunque degustato nelle giuste dosi.

Le difficoltà incontrate soprattutto all’inizio, hanno riguardato l’atteggiamento a volte ostico sia dei contadini sia degli addetti alla trasformazione dell’uva, poco inclini alla sperimentazione di nuove metodologie sia in vigna che in cantina. Nel primo anno di raccolta di uve non trattate nemmeno con zolfo e rame, un contadino confinante mi disse: “Ma come, hai anche vendemmiato?” Con questo voleva dire che era meravigliato del fatto che le piante nonostante non avessi usato prodotti chimici, erano uscite indenni da qualunque tipo di malattie.

  • Parliamo di musicoterapia, o meglio, di risonanza acustica con brani selezionati di Mozart e di Canto Gregoriano. Onde elettromagnetiche conferite nella produzione del tuo vino in particolari momenti. Di chi è stata l’idea e quali i risultati scientificamente provati?      

Ho la fortuna di avere un caro amico scienziato laureato in fisica negli USA, Ph.D in ingegneria elettronica, che nel corso di una sua visita in cantina mi suggerì di applicare in bottaia, durante l’affinamento del vino, quella che forse impropriamente definisco “musicoterapia”. Non è semplice da ottenere perché la bottaia deve entrare in risonanza acustica in modo che ci siano le condizioni perché la musica, quella giusta, possa avere effetti positivi sul vino. Ora sto utilizzando esclusivamente Canto Gregoriano.

I risultati fin qui ottenuti non sono ascrivibili a un protocollo scientifico certificato perché per questo è necessario procedere con metodo, e …avere molti soldi a disposizione.  Appena potrò affrontare economicamente la spesa sarà la prima cosa che farò. Ci sono indicatori positivi ottenuti analizzando chimicamente e organoletticamente i miei vini sottoposti a “musicoterapia” e non. In questo mi supporta un’altra mia amica laureata in chimica, che studia il potere anti-ossidante dei vini, ricercatrice presso un noto centro di ricerca.

Questo mio secondo mestiere si sta rivelando molto gratificante per me. Scopro continuamente delle novità che, tra l’altro, mi forniscono gli incentivi per proseguire con il mio protocollo. L’ultima scoperta riguarda la bassissima concentrazione di alcune tossine, le istamine, responsabili secondo uno studio americano, delle emicranie e dei mal di testa provocati dal vino. Non esiste in Italia una legge che ponga un limite alla loro concentrazione. La Svizzera raccomanda un livello massimo di 10 mg/l, la Germania 2 mg/l, Belgio e Francia 5 mg/l e 8 mg/l rispettivamente. Le ultime analisi che riguardano i miei vini ne hanno rivelato una concentrazione da 0,40 a 0,45 mg/l. Ma non sono queste le uniche novità!

Oreste Tombolini Vitivinicultore www.brandisioilprimitivo.it




Un progetto per tutelare la ricchezza enologica italiana: The Winefathers

“Che cosa si beve stasera? Per iniziare le propongo un Prosecco.” Questa è la tendenza del momento. Con tutto il rispetto mi sono un po’ stancata. Nonostante le mie origini trevigiane mi rendano orgogliosa per il successo che sta riscuotendo questo vino bianco a Denominazione di Origine Controllata, prodotto tra Friuli e una parte del Veneto, la smorfia in queste circostanze mi viene spontanea.

Vivo in Italia, un paese che vanta oltre 300 vitigni autoctoni da promuovere e valorizzare. Eppure…

Eppure i più ne conoscono solo alcuni, spesso di origine internazionale (alloctoni). Nella ristorazione, e non solo, proporre i soliti vini è molto più facile. Per lo meno questa è la risposta che abitualmente mi sento dare. Un vero peccato per chi si sforza di continuare, con molte difficoltà, la coltivazione di vitigni antichi e rari.

In Toscana c’è un vitigno a bacca rossa quasi scomparso – il Bonamico – chiamato anche “Giacomino” nel pisano, “Tinto” nel pistoiese, “Uva rosa” o “Durace” nel fiorentino. Ebbene, c’è un ingegnere-vignaiolo, Samuele Bianchi, che ha dato vita all’Azienda Il Calamaio acquistando una terra con vigne abbandonate. E’ così che ha scoperto questo antico vitigno che sta tentando di preservare tramite la riproduzione dei singoli cloni.

Samuele Bianchi Azienda Il Calamaio - Toscana

Samuele Bianchi – Azienda Agricola Il Calamaio

Con la collaborazione di “The Winefathers”, un progetto realizzato da un gruppo di amici di Udine, sta cercando supporto per far si che questa ricchezza enologica non scompaia. Ma ora veniamo al punto, cercando di capire concretamente come si sviluppa questa idea a sostegno dei vignaioli artigiani italiani.

  • The Winefathers, o meglio, diventare parente di un vignaiolo italiano. Quando e come è nato questo progetto?

E’  nato un anno e mezzo fa, lavorando ad un progetto imprenditoriale in tutt’altro settore. Sviluppando quel lavoro abbiamo conosciuto un sito americano che metteva in contatto diretto chi produceva piccolissime serie di prodotti artigianali in tutto il mondo, con appassionati alla ricerca di prodotti unici. Ci è nata così un’illuminazione. Perché non farlo nel mondo del vino? Da lì siamo partiti, ci abbiamo lavorato e abbiamo creato The Winefathers.

  • Come è possibile instaurare la parentela con un vignaiolo, e concretamente, in che cosa consiste?

E’ sufficiente andare sul sito www.thewinefathers.com  Si potranno trovare alcuni progetti dei migliori vignaioli artigianali italiani. Si tratta di progetti diversi ma sempre nel campo della sostenibilità, come ad esempio quello del salvataggio del Bonamico dell’Azienda Il Calamaio, di cui parlavi prima. Scelto il progetto che si preferisce, lo si può sostenere, diventando simbolicamente parente del vignaiolo: da cugino a zio, da fratello o sorella a padre o madre. In questo modo si contribuisce alla realizzazione del progetto, si resta aggiornati con foto e video sull’avanzamento dello stesso, e al termine si ricevono le ricompense previste, proporzionali all’offerta effettuata: da bottiglie di vino fino a vere e proprie esperienze di più giorni nelle vigne insieme al vignaiolo. E’ proprio come entrare a far parte di una nuova famiglia.

  • In quanto fondatori del progetto come scegliete gli artigiani del vino da sostenere?

Siamo partiti coinvolgendo un vignaiolo nostro amico, Marco Cecchini di Faedis, e inizialmente ci siamo mossi per segnalazione. A ogni nuovo vignaiolo che entrava chiedevamo di indicarci altri vignaioli che avessero le qualità che cerchiamo:  prodotti artigianali di eccellenza, una storia da raccontare, un progetto interessante da sostenere. Pian piano così abbiamo cominciato a espandere la nostra rete. Con il passare del tempo e grazie alla visibilità ottenuta, abbiamo cominciato ad essere contattati da nuovi vignaioli. Abbiamo messo in piedi una squadra di sommelier e degustatori che assaggia i vini che ci vengono inviati ed esprime i suoi giudizi. Poi, valutiamo il progetto e le persone che ne fanno parte,  importanti quanto l’eccellenza dei vini.

  • Mi raccontate il buon esito di qualche esperienza fatta in questi anni con The Winefathers?

Ti possiamo dire che in Basilicata, nel territorio di Melfi, non c’erano più alberi. A tanto possono arrivare gli interessi economici. Luca e Sara Carbone, vignaioli artigianali che producono un ottimo Aglianico del Vulture, hanno voluto tramite il nostro sito ripopolare le aree intorno ai loro vigneti con alberi da frutta in via di abbandono. Il successo del progetto è stato notevole, tanto che diversi nuovi “parenti” sono arrivati dagli Stati Uniti per incontrare i vignaioli e vedere con i loro occhi quello che stava nascendo. Ora Luca e Sara vedono crescere meli, mele cotogne, mele zitelle e limoncelle, melograni, nespoli, amarene, fichi, albicocchi e peschi. Sono risultati semplici raggiunti con la convinzione che  ciascuno di noi, nel nostro piccolo, possa fare la differenza.

Una giornata con un vignaiolo e i suoi 'parenti'

Una giornata con un vignaiolo e i suoi “parenti”

THE WINEFATHERS
Via Santa Giustina 8
33100 Udine (UD)
+39 3275618717
info@thewinefathers.com




L’eco-pianta dalle foglie a sette punte: la canapa.

La ricetta: Pesce spada con semi di canapa, mandorle e ciliegie, accompagnato da spaghetti di zucchina.

Sette, numero che esprime globalità, universalità ed equilibrio, legato fin dall’antichità al compiersi del ciclo lunare. Nell’antico Egitto simbolo della vita. Di fatto, la canapa, pianta ecologica per eccellenza, ha foglie a sette punte. Un’amica dell’ambiente che meriterebbe di essere più valorizzata.

Un’eco-pianta

Ne ho già scritto, ma insisto, perché più mi informo e più la voglia di approfondire la mia conoscenza sugli impieghi di questa pianta cresce. La canapa, una pianta vista con sospetto, che i sospetti suscita su chi li crea. Sto leggendo “Il filo di canapa”, un libro scritto da Chiara Spadaro che ho conosciuto durante l’ultima edizione di Fa la cosa giusta!, la più grande fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili che si è svolta a fine Marzo a Milano. Parlo di una pianta ecologica in grado di assorbire C02 (biossido di carbonio), e conseguentemente grazie a questa capacità, di depurare i terreni.

Una pianta di cui non si butta nulla

Con i suoi fiori ci si può curare, con i suoi semi ci si alimenta, con la sua fibra si producono biotessuti, biocarta, bioplastica, bioenergia, case ecologiche in cui vivere, e molto altro ancora. Mi chiedo quando le persone finiranno di sogghignare pensando ad usi impropri, piuttosto che aprire gli occhi, ma soprattutto la mente, informandosi sugli impieghi e sulle grandi potenzialità di questa pianta amica della nostra salute e dell’ambiente. Meritevole l’impegno di AssoCanapa, l’associazione che coordina a livello nazionale la canapicoltura, e che promuove tutela e diffonde la coltivazione della canapa e il suo impiego nei vari settori produttivi.

Proibita la coltivazione dalle Nazioni Unite nel 1961. Decisione poi revocata nel 1990 dall’Unione Europea. Cosa resta da fare? La risposta è semplice: tornare a coltivarla e ripristinare la filiera produttiva persa in questi anni.

Usi alimentari

A proposito di usi alimentari di canapa sativa (varietà priva di THC-tetraidrocannabinolo che causa effetti psicoattivi), oltre alla farina e all’olio si possono utilizzare facilmente i suoi semi interi o decorticati (senza buccia). Il loro sapore di nocciola li rende gradevoli e di facile impiego in molte ricette.

Semi di canapa

Grazie alle molte proprietà rappresentano un valido aiuto per la nostra salute e un buon ingrediente negli impasti, nelle insalate e nello yogurt.

  • Sono un’ottima fonte di acidi grassi polinsaturi Omega3 e Omega6 in rapporto 3/1, indice raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS
  • Sono ricchi di lecitina, utile per favorire le funzioni cerebrali.
  • Rinforzano il sistema immunitario.
  • Hanno un alto contenuto di fibre e di proteine che comprendono tutti gli aminoacidi essenziali.
  • Sono ricchi di sali minerali e di vitamine B1 e B2.
  • Inoltre, dalla spremitura a freddo, se ne ricava un olio dalle proprietà antiossidanti utilizzato anche in cosmesi.

semi di canapa

Semi di canapa sativa

Ma ora al lavoro, anzi, in cucina!

Pesce spada con semi di canapa, mandorle e ciliegie, accompagnato da spaghetti di zucchina

Premetto, come già più volte scritto, che non sono una cuoca eccelsa ne un’espertissima food blogger, ma solo una donna che ama sperimentare, ma soprattutto conoscere le origini e le proprietà delle materie prime. Con un pizzico di creatività e fantasia, in cucina mi piace elaborare piatti semplici ma originali, creando preparazioni senza sprechi che mi riportino ai territori.

Ebbene, visto che mi hanno regalato delle ciliegie, ho pensato di impanare dei piccoli tranci di pesce spada con un composto di semi di canapa, mandorle tritate, pezzetti di ciliegia e zenzero grattugiato.

Una volta preparati li ho adagiati su un foglio di carta forno posto  in una tegame caldo, e li ho cotti per una decina di minuti. Un filo di buon olio extra vergine di oliva e degli spaghetti di zucchina conditi con una parte del composto, hanno ben completato il piatto.

Questi ultimi si ottengono con l’apposito temperino, o meglio, con l’affetta verdure a spirale. Dopo averli cosparsi con del sale fino per circa cinque minuti, li ho sciacquati e li ho scolati bene. Una preparazione buona, nutriente e veloce.

Concludo con un consiglio: non abbiate paura della canapa, è una pianta buona. Se utilizzata bene, può rendere migliore la nostra vita.

Buon appetito!

Buon appetito!

Fonte: “Il Filo di Canapa” di C. Spadaro – AssoCanapa www.assocanapa.org

Canapa Industriale www.canapaindustriale.it

Fotografia foglia di canapa: www.publicdomainpictures.net




A lezione da Attilio Scienza

Attilio Scienza, nato nel 1945 a Serra Riccò, in provincia di Genova. Si è laureato nel 1969 presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Professore associato di fitormoni e fitoregolatori in arboricoltura e Professore ordinario di Viticoltura presso l’Università di Milano. Dal 1985 al 1991 Direttore generale dell’Istituto Agrario San Michele dell’Adige. Ricercatore e autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche inerenti alla genetica della vite e alla viticoltura. Una presentazione di tutto rispetto per un uomo dall’estrema semplicità e saggezza che ho avuto il piacere di conoscere durante una degustazione di vini della Valcalepio al Castello di Grumello, in provincia di Bergamo. Dopo averlo ascoltato ho scambiato con lui qualche parola.

La sostanza del suo pensiero, che condivido pienamente, si basa sull’importanza della tutela della bValcalepioiodiversità, sulla valorizzazione dei vitigni antichi e autoctoni, e sul racconto emozionale della loro storia. Viviamo in un’epoca in cui alcuni vini sono considerati quasi di moda (definizione in uso che non mi piace affatto quando è riferita alle produzioni), di cui i più poco conoscono, se non i nomi, o meglio i nomignoli che fanno tendenza. Scelte di produzione certamente legate alla domanda del consumatore, che potrebbero però andare di pari passo con la promozione di vini quasi dimenticati, e di vitigni antichi e autoctoni da salvare legati alla storia del territorio. Scelte coraggiose che possono fare solo bene alla viticoltura, adottate da chi ama sul serio questo importante comparto dell’economia italiana.

A lui la parola…

Perché è importante raccontare la storia di un vitigno, di un vino e di un territorio? Tutto nasce da un meccanismo del nostro cervello denominato sinestesia: il collegamento con alcune sensazioni gustative, musicali e visive, e il ricordo.  Si cita spesso l’esempio di Marcel Proust che, sentendo il profumo delle madeleine, i biscotti che gli preparava sua madre, evoca i suoi ricordi di infanzia. E’ così che va raccontato il vino. Bisogna fare in modo che il consumatore ricordi e associ l’atmosfera, le emozioni  e le sensazioni vissute durante la degustazione. Il modo più efficace per dare continuità al rapporto con il vino.

Qui di seguito un momento del suo intervento.

Un vero piacere e un onore ascoltarlo.

La serata al castello è continuata con l’assaggio di vini  “en primeur” vendemmia 2015 di dodici cantine della Valcalepio, terra vitivinicola di Bergamo la cui zona di produzione è situata nella fascia collinare che va dal lago di Como al lago di Iseo.

Le varietà principali coltivate sono:

  • Vitigni a bacca bianca :  Pinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Manzoni bianco e Moscato giallo.
  • Vitigni a bacca nera : Merlot, Cabernet Sauvignon, Barbera, Incrocio Terzi n.1, Franconia, Marzemino, Schiava lombarda, Schiava meranese e Moscato di Scanzo.
  • Varietà autoctone : Merera, Altulina e Gafforella.

Il Valcalepio, un ‘vino in rinascita’ che dal 1976 si è visto riconoscere la denominazione di origine controllata.




Lubiana, capitale verde d’Europa 2016.

Quando si programma un viaggio è giusta consuetudine informarsi, un modo per prepararsi agli usi e alle abitudini locali. Per questo prima di partire amo fare qualche ricerca che oltre a rendere piacevole l’attesa, mi permette una prima conoscenza del luogo che andrò a visitare. Il mio ultimo tour è stato in Slovenia, una terra che avevo conosciuto anni fa, e che mi aveva colpito per l’ordine, per la natura rigogliosa e per gli antichi borghi costieri. Non conoscevo però Lubiana, la sua capitale, una città che dopo aver visitato mi è rimasta nel cuore.

La Slovenia, una nazione coinvolta sia pur brevemente da una guerra che tutti, anche  se non direttamente coinvolti, ricordiamo per la ferocia. Una nazione che ha saputo velocemente prendere le distanze da un conflitto che ha flagellato le terre dell’ex-Jugoslavia. Se avrete occasione di visitarla non vedrete tracce sul territorio, ma solo nei cuori della gente. Una delle tante guerre vicino a noi che ci rende increduli delle barbarie che il genere umano sa mettere in atto per il proprio egoismo.

Un paese ordinato e ricco di storia con una capitale, Lubiana, dominata dal castello sulla collina di Grajski. Una città nominata “capitale verde d’Europa 2016” che mi ha coinvolto emotivamente grazie alle sue peculiarità.

Trecentomila abitanti.  Ognuno di loro ha cinquecento metri quadri di verde pubblico a disposizione.

Ogni giorno, tranne la domenica, lungo il fiume Ljubljanica è presente il mercato centrale all’aperto con frutta, verdura, pane, formaggi e altri generi alimentari freschi provenienti dalle fattorie slovene. Una città attenta ai bisogni della gente, con un’ampia offerta culturale e percorsi per chi ama passeggiare e vivere a contatto con la natura.

La posizione geografica e la presenza di un fiume navigabile ha favorito nei secoli il suo sviluppo. Nel 1895 fu devastata da un forte terremoto. Fu il noto architetto sloveno Jože Plečnik che gli ridiede vita arricchendola di obelischi, colonne e architetture dallo stile barocco, fino a farla diventare una tra le più belle capitali europee. Il drago, presente sullo stemma e sulla bandiera, è il simbolo della città.

Lubiana di notte

Le città vanno vissute di giorno e di notte, il miglior modo per conoscerle in tutti i loro aspetti. Nonostante il freddo pungente nei miei giorni passati a Lubiana, non potevo perdermi le luci notturne del suo centro storico meravigliosamente illuminato. Sia pur infreddolita, ho passeggiato per le sue vie accompagnata dal suono di un violino in lontananza. Momenti indimenticabili che danno un senso speciale alla vita.

Conoscere un luogo richiede cammino e contemplazione. Solo così si possono scoprire scorci suggestivi e meno conosciuti. Il mio tempo passato a Lubiana è stato breve, per questo salutandola mi sono ripromessa di tornare.

Lubiana e la sua regione  www.visitljubljana.com

In zona consiglio una sosta di ristoro al Ristorante Domačija Šajna, tra le belle colline di Sezana. Ottimi i loro gnocchetti con formaggio di capra.

Ristorante Domačija Šajna – Šepulje 4, Sežana, Slovenia Tel. +386 5 764 10 96

Prima di rientrare in Italia, due tappe imperdibili.

Grotte di Postumia

Ventisei km, di cui quattro visitabili, tra grotte e gallerie in compagnia del ‘proteo’, un animale cieco e albino di circa quindici centimetri che vive fino a cento anni solo in questi habitat.  Dal 1819 oltre trentasei milioni di visitatori sono passati da qui. All’interno la temperatura, tra gli 8 e i 10 gradi, è costante tutto l’anno. Visitandole una sola raccomandazione: non toccare con le mani le stalattiti (gocciolante dall’alto) e le stalagmiti (goccia dal basso). Il grasso naturale presente sulle nostre dita le farebbe morire.

Parco delle grotte di Postumia  www.postojnska-jama.eu

Castello di Predjama

In Slovenia una sosta d’obbligo per chi ama le dimore storiche è al Castello di Predjama. Una costruzione spettacolare incastonata tra le rocce che incanta i visitatori. La leggenda racconta che nel 1400 il cavaliere Erasmo, ricercato e condannato a morte, trovò rifugio in questo luogo inespugnabile.

Castello di Predjama  www.slovenia.info/it/I-castelli

Castello di Predjama

La Slovenia, una terra verde e silenziosa, ricca di bellezze artistiche e naturalistiche. 

Arrivederci…

Slovenia – Informazioni Turistiche  www.slovenia.info




Regione che vai, amaretto che trovi.

Quando si parla di amaretti, il mio primo ricordo va alla Gisella, la mia nonna paterna mantovana. Un’ottima cuoca amante della tradizione e delle materie prime di qualità. Da ragazzina passavo molto tempo con lei, la seguivo durante le sue preparazioni e l’ascoltavo incantata nei suoi racconti. I nonni sono figure speciali, che, con parole semplici, sanno trasmettere ai bambini insegnamenti che difficilmente si dimenticano col passare degli anni. Tra i suoi piatti, in particolare, ricordo i tortelli di zucca mantovana. Un impasto delicato con un ripieno dal sapore dolce piccante dato dagli amaretti e dalla mostarda piccante.

Il dolce amarognolo degli amaretti.

Gli amaretti oltre ad essere apprezzati semplicemente così, come buoni biscotti, sono anche utilizzati in molte ricette. Il loro sapore dolce amarognolo è dato dalle mandorle e dalle armelline, il seme presente nel nocciolo delle albicocche, di cui però si deve limitare il consumo, affinché non diventi tossico. In provincia di Asti, nell’azienda “Le dolcezze del Pep“, durante una visita ho seguito con interesse le fasi della loro lavorazione artigianale. Un semplice impasto ottenuto con la giusta proporzione di mandorle, armelline, zucchero e albume d’uovo. In Italia la coltivazione del mandorlo, tranne che per alcune eccezioni nel settentrione, è diffusa soprattutto nelle regioni meridionali, territori in cui questa pianta trova il suo habitat ideale.

Regione che vai, amaretto che trovi.

Il Piemonte è la regione italiana che vanta, relativamente a questa tipicità, più preparazioni artigianali. Sono noti gli amaretti di Mombaruzzo, quelli di Valenza, di Acqui, di Gavi e di Ovada. In Liguria sono conosciuti quelli di Sassello e in Lombardia quelli di Saronno e di Gallarate. Nel Modenese vantano una lunga tradizione quelli di Spilamberto, mentre in Sardegna, grazie alla diffusa coltivazione del mandorlo, sono noti gli  “amarettos de mendula”. Solo per citarne alcuni.

Normativa a tutela della denominazione “Amaretto” e  “Amaretto Morbido”.

A tutela del consumatore il Ministero delle Attività Produttive e delle Politiche Agricole e Forestali ha elaborato una normativa, che qui di seguito riporto, a garanzia della denominazione dell’Amaretto e dell’Amaretto Morbido. Per entrambi in etichetta deve essere indicata la percentuale di mandorle e armelline presenti.

  • La denominazione “Amaretto” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta secca avente forma caratteristica tondeggiante, con struttura cristallina e alveolata e superiore screpolata, e gusto tipico di mandorla amara, con eventuale aggiunta di granella di zucchero. Il prodotto presenta una percentuale di umidità inferiore al tre per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%,mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 13% di mandorle complessive, albume d’uovo di gallina.
  •  La denominazione “Amaretto Morbido” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta morbida avente forma caratteristica tondeggiante, con superficie superiore screpolata. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidità almeno dell’otto per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%, mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 35% di mandorle complessive; albume d’uovo di gallina. (Le percentuali dei due tipi di mandorle vanno indicate separatamente).

Non ci resta che leggere con molta attenzione le etichette, oppure, per chi volesse cimentarsi, preparare con buoni ingredienti degli amaretti casalinghi.

Amaretti fatti in casa

> Dosi :

  • 200 grammi di mandorle dolci
  • 50 grammi di mandorle amare (o armelline)
  • 180 grammi di zucchero
  • 4 albumi d’uovo

> Preparazione :

  • Sgusciare le mandorle e porle in acqua bollente per un paio di minuti.
  • Pelarle, farle tostare in forno caldo per dieci minuti, e, dopo avere unito lo zucchero, pestarle bene in un mortaio.
  • Aggiungere gli albumi e impastare fino ad ottenere un composto omogeneo da cui si ricaveranno piccoli biscotti rotondi.
  • Porli su una teglia da forno imburrata (o carta da forno), e cuocere a 160 gradi per circa 20 minuti.
  • Gli amaretti, una volta raffreddati, vanno conservati in ambiente asciutto.

Le Dolcezze del Pep – Regione Prata, 95 – Incisa Spatacino (AT)

info@ledolcezzedelpep.com




Cartoline dal Lago di Garda. Paradisi italiani…

Luoghi e Sapori Gardesani.

Qualche settimana fa, dopo aver scelto la destinazione e aver messo due cose in valigia, sono partita verso Malcesine. Una bella località sulla sponda orientale del Lago di Garda in provincia di Verona. Basta poco per recuperare energia, quella buona, quella di cui tutti abbiamo bisogno per superare le difficoltà quotidiane. Ognuno di noi, intorno a se, ha posti bellissimi da visitare. Luoghi, sapori, persone che valgono la pena di essere vissuti, e che rendono speciali i momenti della nostra vita.

Grazie al cielo, o meglio al bel tempo, durante questa mia fuga mi sono goduta due giorni di sole, fermandomi di tanto in tanto quando gli occhi catturavano un’immagine su cui valeva la pena di meditare. Vere e proprie cartoline, quelle che una volta si spedivano alle persone care. Oggi, nonostante le parole corrano veloci attraverso i mezzi digitali, c’è chi ancora non vuole perdere i pensieri che la mente elabora davanti a tali bellezze artistiche e paesaggistiche.

Parco Baia delle Sirene

A Punta San Vigilio, località nel comune di Garda,  in un parco di ulivi c’è una baia visibile dall’alto della strada che porta a Malcesine. Una tappa obbligatoria per chi ama la fotografia, e per chi ha tempo, una sosta per una piacevole passeggiata fino a riva. Io l’ho fatto. Sono scesa lentamente, e, seduta sulla spiaggia ancora semi vuota, ho goduto del silenzio e del benessere che questi paradisi italiani sanno naturalmente trasmettere.

www.parcobaiadellesirene.it

Baia delle sirene

Baia delle sirene

Ulivi del Garda

“Ulivi del Garda tanto umani! Magri, svelti, con il tronco diviso, senza mole, tutti respiro e attenzione, ariosi e ingegnosi, non superano di troppo la statura dell’uomo. Si lasciano cogliere una parte dei frutti dal braccio alzato. Portano ramoscelli più pieghevoli che le vermene dei salci, atti a essere chiusi in perfette corone e a muovere il primo fuoco sotto la catasta.” Gabriele d’Annunzio

Ulivi Parco Baia delle Sirene

Ulivi del Parco Baia delle Sirene

Ci sono ulivi ovunque lungo le strade del Garda. Una terra di olio d’oliva garantito dal 1997 con la DOP “Garda” a tutela della provenienza e delle caratteristiche organolettiche. A Malcesine, grazie alla cultivar Casaliva, al tipo di terreno e al clima fresco, si produce un olio a bassissima acidità. Merito di ben 550 piccoli produttori uniti nel Consorzio Olivicoltori Malcesine, una società nata nel 1946. Circa 7-8.000 quintali di olio extra vergine di oliva prodotto per l’autoconsumo e per i punti vendita del Consorzio. Un olio delicato dai profumi fruttati.

www.oliomalcesine.it

Olio extra vergine di oliva del Consorzio Olivicoltori di Malcesine

Olio Extra Vergine di Oliva del Consorzio Olivicoltori di Malcesine

Malcesine

Arrivata a Malcesine ho visto ovunque tantissima gente, in particolar modo persone straniere. L’Italia è un paese molto amato, si sa, per questo è importante che i nostri ospiti trovino la giusta accoglienza e gli opportuni servizi, soprattutto in tema di accessibilità.

Lungo le vie del centro, passeggiando, ho conosciuto una cittadina raccolta in un borgo antico legato alla storia del Castello Scaligero, sede dei musei di Scienze Naturali, Storia Locale e delle Galee Veneziane (navi del passato spinte solo dalla forza dei remi).

Castello Scaligero di Malcesine

Castello Scaligero di Malcesine

Monte Baldo

Malcesine, una località tra le più caratteristiche del Lago di Garda anche per la presenza della Funivia del Baldo. In pochi minuti, grazie alle sue speciali cabine rotanti, si pùo salire fino a quota 1.800 metri godendo di viste spettacolari.

La funiva è aperta dal 20 Marzo al 9 Ottobre 2016 tutti i giorni, con inizio alle 8,00 fino alle ore 18.45 (ultima corsa dal Monte Baldo).

Funivia Malcesine - Monte Baldo

Funivia Malcesine – Monte Baldo

Il piacere di cogliere un istante, di condividerlo, e di riviverlo nel tempo. Le immagini, sia pur belle, se non vissute personalmente trasmettono parzialmente le emozioni. Per certo, anche così, guardando questa fotografia, è facile comprendere il senso di pace e di benessere che tale bellezza naturale può trasmettere. Il respiro si fa lento, e i pensieri diventano più leggeri. Se ne avrete l’occasione, vi consiglio di non perdervi questa vista.

Via Navene Vecchia, 12 – Malcesine (VR)  www.funiviedelbaldo.it

Monte Baldo

Monte Baldo a quota 1.800 metri

Paese che vai, sapori del territorio che trovi.

Entrando al Ristorante Al Gondoliere, un caratteristico locale nel centro storico di Malcesine, non ho potuto fare a meno di ordinare un piatto di bigoli (o bigoi) con le sarde: pasta fresca preparata con grano tenero, acqua e sale. Un piatto tipico della tradizione veneta.

Ristorante Al Gondoliere – Piazza Vittorio Emanuele, 6 Malcesine Tel. 045 – 7400046

Bigoli con le sarde

Bigoli con le sarde

Quella sera, con piacere, ho assaggiato un calice di Garganega ‘Romeo & Juliet’ 2014 della Famiglia Pasqua vigneti e cantine. Un antico vitigno a bacca bianca molto diffuso nel Veneto. Un vino con un’etichetta dedicata ad una storia d’amore. Uno scatto di Giò Martorana, premio Unesco per la fotografia, che ripropone i messaggi che ogni giorno gli innamorati scrivono sulle pareti del cortile della casa di Giulietta a Verona.

Pasqua Vigneti e Cantine www.pasqua.it

Garganega ‬'Romeo & Juliet' 2014 della Famiglia Pasqua vigneti e cantine

Garganega ‘Romeo & Juliet’ 2014 – Pasqua vigneti e cantine

Arco (TN)

Il mio percorso è continuato la mattina successiva con una breve deviazione ad Arco. Mi sono fermata nel centro per visitare la bellissima Chiesa Evangelica della Trinità, costruita nel 1897 in stile neogotico. Entrando, mi si è avvicinato un pastore con un sorriso e con un classico “Good morning!” Ormai sono abituata ad essere scambiata per una turista inglese, mi succede spesso, soprattutto quando passeggio a Venezia. Finita la mia visita in quel bel luogo di pace, ci siamo salutati con un sorriso, e con un immancabile “Buongiorno!”

Chiesa Evangelica della Trinità - Arco

Chiesa Evangelica della Trinità – Arco

Arco, una cittadina in provincia di Trento che ho apprezzato per l’ordine, per la storia, e per le sue belle aiuole fiorite. In lontananza, ben visibile l’imponente Castello, la cui epoca di costruzione risale all’anno Mille.

Arco

Arco (TN)

Riva del Garda

Dopo aver visitato Arco, passando da Riva del Garda, mi sono fermata nuovamente per seguire la 34° Lake Garda Meeting Optimist Class. Un evento annuale Guinness World a cui hanno partecipato giovani timonieri provenienti da trenta paesi.

Soddisfatta, dopo un caffè nel centro storico di Gardone Riviera, serenamente ho preso la strada di casa pensando al prossimo tour.

www.lagodigarda.it  www.visitgarda.com

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