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TARTUFI & FRIENDS, la nuova truffle lounge di Milano

Il tartufo, il prezioso fungo ipogeo ‘spontaneo’ che il nostro territorio vanta tra le sue eccellenze. Un prodotto della terra dai profumi inebrianti e dalla lunga storia. Come scriveva Aristotele, un frutto consacrato ad Afrodite, decantato fin dai tempi antichi.

Amandone i profumi e i sapori delicati, Mercoledì 17 Settembre ho accolto con piacere l’invito all’inaugurazione di TARTUFI & FRIENDS, la nuova truffle lounge di Milano situata nel prestigioso Palazzo Serbelloni che, dopo un anno e mezzo, ha seguito l’apertura della sede di Roma.

Tra un assaggio e l’altro, ad opera dello chef Marco Fossati, in un ambiente raffinato di 250 mq curato dall’architetto Laura Franco, mi sono immersa nelle atmosfere retrò interamente dedicate al prezioso tubero. Ma non solo, ho apprezzato anche il richiamo alla natura con il giardino verticale, e la visione delle stampe del 1500 nella sala ‘esploratore’ che ne descrivono la storia nel tempo.

Artefici di tutto ciò Alberto e Angelo Sermoneta, già al lavoro per  la prossima apertura nel 2015 di una sede a Londra e a Dubai, per portare questa eccellenza italiana a essere conosciuta nel mondo.

Assaggi ma anche conoscenza, come è giusto che sia per chi come me ama andare oltre la degustazione di un prodotto.

Per valutare la qualità di un tartufo bisogna basarsi su ‘vista, olfatto e tatto’. Deve essere ben pulito affinché i residui di terra non ne coprano i difetti. Al tatto deve essere compatto ma con una nota lievissima di elasticità, mentre al naso il suo odore è percepibile solo nel momento della maturazione. I suoi profumi ricordano l’aglio, il fungo e la terra bagnata.

Esistono molte specie, ma il tartufo bianco bianco d’Alba, il Tuber Magnatum Pico, è quella più pregiata e di maggiori dimensioni. Il Piemonte è la regione in cui è più presente, ma si può trovare anche in Lombardia, sulle colline dell’Oltrepò Pavese, nel mantovano, e sia pur rarissimamente nell’Italia centrale. Senza togliere l’indiscussa corona al tartufo bianco cito ad esempio i tartufi neri pregiati reperibili fino a Marzo, oppure tra Aprile e Maggio i bianchetti, o a Luglio gli scorzoni.

Il cercatore di tartufi, che in Piemonte viene chiamato con il termine dialettale trifolau o trifulé,  ricerca il prezioso fungoIMG_5063 da Settembre a Gennaio. La legislazione italiana prevede che la raccolta sia libera, sia che avvenga nei boschi che nei terreni non coltivati.

Il tartufo bianco si pulisce bene ma non si sbuccia. A differenza di quello nero non va cucinato. Viene utilizzato come condimento crudo, tagliandolo a fettine sottili su piatti poco conditi. Contiene circa l’80% di acqua. È ricco di potassio, di calcio, di sodio, di magnesio, di ferro, di zinco e di rame. Comunque sia, il suo valore non incide in modo rilevante sull’apporto alimentare.

Si consiglia di conservarlo avvolto in carta assorbente e in un ambiente fresco con una temperatura dai 3 ai 6 gradi. A garanzia del prodotto si vende in un sacchetto numerato riconducibile all’origine di provenienza.

TARTUFI & FRIENDS

Corso Venezia, 18 – Milano
www.tartufiandfriends.it




Un po’ di chiarezza nella produzione del riso, ma non solo… Oggi risponde alle mie domande Dino Massignani.

In questo articolo parleremo di fanghi di depurazione usati in agricoltura, di regole comuni nella produzione del riso, del suo essicamento e di antiche varietà. Ma anche di miele e di un prodotto a cui tengo molto: il Farinaccio. Chi vuole essere consumatore consapevole e informato ha gli strumenti per farlo. 

Conosco da tempo Dino Massignani, il Direttore dell’Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo. Nonostante ciò, la molla che mi ha spinto a visitare questa realtà produttiva di riso è scattata quando ho visto alcune immagini della Riserva, ma soprattutto dopo una recente chiacchierata con Dino a proposito di ‘fanghi’. Esattamente così, fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura. Una questione melmosa, o meglio, una questione di riciclo a mio parere poco chiara. A dirla tutta, dopo averlo ascoltato, ho capito che di chiarezza ce né ben poca in molte cose, anche nella produzione del riso.

L’unica cosa certa che vi posso dire è quello che hanno visto i miei occhi: un ambiente naturalmente bello e incontaminato. Un perfetto ecosistema con una vasta superfice boschiva naturale, tra fauna, rogge, paludi, campi agricoli, risaie e alberi da frutta. Un’area del Parco Lombardo della Valle del Ticino che nel 2004 è stata riconosciuta Sito di Interesse Comunitario. Una Riserva di protezione speciale per la salvaguardia di diverse specie animali e vegetali protette dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura delle specie minacciate.

Dino Massignani

Azienda Agricola Faunistica Riserva San Massimo

E’ questo l’ambiente in cui nasce il riso della Riserva San Massimo. Ben 800 ettari di proprietà (e quasi altrettanto in affitto) in cui vengono utilizzate antiche procedure nel rispetto della struttura del terreno e dell’habitat naturale. Per tutto ciò è fondamentale che la mano dell’uomo intervenga in modo saggio e sapiente. L’esperienza è fondamentale, soprattutto in un momento come questo in cui le condizioni climatiche sono particolarmente mutevoli.

Una vita dedicata all’agricoltura che richiede dedizione, amore e rispetto per la natura. Nonostante io prenda un po’ in giro Dino Massignani (lo chiamano il Cracco del riso), ho potuto constatare quanto prenda seriamente il suo lavoro. Nato da una famiglia di agricoltori, non poteva avere altro destino. Come dico spesso… la terra chiama chi ama la terra.

Questa felce è l'Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti. Osmunda ha origine da Osmùnder

Questa felce presente nella riserva è l’Osmunda Regalis. Una specie protetta e anti inquinamento. È infatti capace di assorbire sostanze nocive inquinanti.

Ma ora a lui la parola…

  • Ciao Dino, iniziamo ad approfondire la questione dei fanghi di depurazione. Io stessa non ne ero a conoscenza prima che tu me ne parlassi. Mi spieghi meglio l’origine di questa massa riciclata in agricoltura, ma soprattutto, viene analizzata prima di essere distribuita sui terreni?

Fanghi di depurazione… bel problema. In Italia il nostro parlamento ha legiferato che la massa solida creata dalla lavorazione delle acque degli impianti di depurazione, sia civile che industriale, si possa  distribuire (previa lavorazione e miscela) nei campi agricoli.

Il problema è che chi ne ha fatto uso (stupidamente), si è trovato solo un inquinamento del terreno, soprattutto di metalli pesanti.  La legge prevede che il controllore di questo spandimento sia la medesima azienda che paga l’agricoltore per poter distribuire queste sostanze sui suoi terreni. L’unico obbligo è quello di consegnare le analisi di ogni campo fatte prima e post spandimento.

Puoi capire facilmente che fare il controllore di se stesso è da mondo delle favole. Ti pare che le società se trovano indici di inquinamento nel terreno si autodenuncino? Ti dico solo che in alcuni anni i cereali seminati non sono neanche cresciuti, oppure durante il ciclo vegetativo le piante si ammalavano a tal punto che l’agricoltore doveva intervenire triplicando i trattamenti (chimici) per salvare parte del raccolto.

Ecosistema della Riserva San Massimo

La Riserva San Massimo, un ecosistema perfetto

  • Come ho già scritto, dopo averti ascoltato, ho capito che di chiarezza anche nella produzione del riso ce né ben poca.  Questo spiegherebbe facilmente le differenze nei costi finali del riso che purtroppo il consumatore non riesce a percepire. Sbaglio?

Esatto, il mondo del riso è molto nebuloso, e molti ne beneficiano, anche i più impensabili. Basti pensare che non c’è obbligo di tracciabilità del prodotto. Pensa che da qualsiasi parte del mondo arrivi l’azienda intestataria del confezionamento, non è obbligata a menzionare la provenienza.

Non ci sono controlli sui valori dei fitosanitari (questo avviene anche sui cereali usati per la pasta), ed è ancora concessa l’essicazione a gasolio nonostante rilasci una quantità di metalli pesanti sul chicco. Chiaramente viene privilegiata dalle aziende per gli sgravi fiscali che ne derivano rispetto al prezzo intero che pagano per la fornitura del gas.

La beffa più grande per il consumatore poi, è relativa alla denominazione di vendita siglata sulla scatola. Va chiarito che non è riferita alla varietà confezionata. Mi spiego meglio: ogni denominazione di vendita siglata sulla scatola non garantisce la varietà al suo interno, perché un decreto legge permette di inscatolare altre varietà e spacciarle come tali. Un decreto legge che avvantaggia solo i furbi che vogliono tenere all’oscuro il consumatore.

Riso Baldo Riserva San Massimo, ideale per le minestre

Riso Baldo Superfino Riserva San Massimo, ideale per minestre

  • Mi piace andare all’origine di ogni cosa, mi serve per capire. La stessa cosa vale per le produzioni. Tutto nasce dal seme. Mi hai detto che il vostro è certificato. Che cosa garantisce questa certificazione?

Per poter vendere una varietà di riso ogni azienda, ad inizio stagione, deve dichiarare all’ENTE RISI le superfici seminate con la specifica della varietà. Questo serve solo per far sapere alle riserie, che venderanno il riso, quanta disponibilità c’è nell’arco dell’anno di quella determinata varietà.

Ma soprattutto serve per la volontà, che si prefiggono da anni, di uniformare il cereale riso (hanno molta voce in capitolo all’interno dell’ ENTE RISI).

Noi, proprio per tutelarci, ci autoriproduciamo il seme del Carnaroli Autentico che anni fa acquistammo da un anziano agricoltore e che ci viene certificato dall’E.N.S.E. (Ente Naz. Le Sementi Elette) che ne garantisce l’autenticità.

Risaia

Risaie

  • Ora parliamo di essicazione del riso. Molti non sanno che può avvenire con l’ausilio di impianti a gas metano (il sistema usato da voi) o a gasolio. Certo, comporta una differenza sui costi finali, ma anche sul chicco e sulla nostra salute. Dico bene?

Certo, in agricoltura ci sono delle agevolazioni sull’acquisto del gasolio per l’uso dei mezzi agricoli, e in azienda quando è utilizzato per l’essicazione dei cereali. Purtroppo il gasolio rilascia paraffine e PM 10 (Materia Particolata, cioè in piccole particelle) quindi non è per nulla salutare usarlo per essiccare il riso.

Mi spiego. L’aria riscaldata dal bruciatore va a contatto con i chicchi penetrandoli. Il processo di essicazione avviene per ridurre la percentuale di umidità degli stessi, che per legge deve essere del 11-12 % con sbalzo termico. E’ per offrire una qualità del prodotto di gran lunga superiore che abbiamo deciso di utilizzare esclusivamente l’essicamento con il gas, nonostante il suo costo sia a prezzo pieno senza agevolazioni.

Azienda Agricola Riserva San Massimo

Silos arieggiati con riciclo d’aria in cui il cereale non appoggia a terra

  • Gli italiani conoscono per lo più il riso Carnaroli, la varietà ideale per i risotti. In realtà ce ne sono molte altre. Ad esempio la varietà antica di riso ‘Rosa Marchetti’ di tua produzione, ideale per le minestre. Come mai ci sono pochi coltivatori che ci si dedicano?

 Il ‘Rosa Marchetti’ è una varietà antica abbandonata dagli agricoltori in quanto raggiunta la maturazione, si alletta (intreccia) facilmente. Quest’anno stiamo sperimentando una concimazione con la decomposizione organica delle erbe, escludendo totalmente l’uso di prodotti chimici. Sicuramente produrremo 1/5 di quello che producono le altre aziende, ma sarà un Rosa Marchetti unico per sanita e bontà.

  • Passeggiando ho visto tantissime instancabili lavoratrici operose: le api. Parliamo di miele, intendo il tuo…

 La Riserva San Massimo è una realtà ambientale unica per la sua biodiversità che noi garantiamo giornalmente attivandoci per tutelarla. Questo ha fatto si che negli ultimi anni sia diventata meta, oltre che di visitatori e professori di Università, di apicultori che vivono problemi di sopravvivenza delle api locate in altri luoghi. Per questo motivo abbiamo deciso di cercare persone serie che abbiano la nostra stessa filosofia sul rispetto per le forme viventi, per produrre del miele.

La scelta è ricaduta sulle dottoresse Marianna Paulis e Tui Anna Neri, le quali da subito hanno spostato tutte le loro arnie a San Massimo, intraprendendo un lavoro scrupoloso e di qualità, ed escludendo ogni trattamento chimico sulle api (questo non è scontato, anzi…)

Alimentando le api a miele, e non con panetti con prodotti chimici o con acqua e zucchero, ha portato nel tempo oltre che ad avere un prodotto naturale al 100 %, una risposta positiva della forza lavorativa delle api che ha sorpreso anche loro. Qualsiasi essere vivente che viva e si alimenta in un luogo sano, può solo stare bene.

La produzione del miele di acacia, vista la pioggia, si è un po’ ridotta, ma comunque rimane di altissima qualità. Sicuramente non sarà sufficiente per la richiesta. La certezza è che accettiamo questi rischi perché vendiamo solo il nostro prodotto (non ne compriamo sicuramente da altri, per rivenderli come nostri).

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

Le api. le lavoratrici instancabili della Riserva

  • Un’ultima domanda Dino. C’è un sottoprodotto (così lo chiamano i più anche se per me non lo è affatto), che mi piace molto perché ricco di sostanze nutritive. Amando molto  la medicina naturale e pochissimo i farmaci (ove non necessario) è presto spiegato il motivo. Un ottimo integratore naturale dal sapore di nocciola. C’è chi lo chiama farinaccio e chi gemma di riso. Tu come lo chiami, e soprattutto, lo utilizzi?

Si Cinzia, in gergo tecnico da riseria prende il nome di farinaccio. C’è chi lo spaccia per gemma di riso, anche se solo parzialmente può vantare questa definizione. Infatti una parte è composta dal 1° e 2° pericarpo, cioè la pellicola che ricopre il riso bianco, da non confondere con la lolla, che è la buccia esterna del riso.

Il farinaccio è molto nutriente e sano (ovviamente dipende sempre da chi produce il riso, se non trattato chimicamente, e come viene essiccato). Attenzione alla parola ‘sano’ ormai sulla bocca di tutti. Questa definizione va garantita da analisi. Per rispondere alla tua domanda sull’uso che ne facciamo, ti dico solo che negli ultimi tempi lo abbiamo inviato ad alcuni chef indirizzandoli sulle modalità di utilizzo. Abbiamo altre idee a proposito, che però è ancora presto per rivelare…

Queste sono le risposte di un produttore che ho conosciuto prima ad eventi e poi, come piace a me, di persona sul campo, nella realtà che vive. Con Dino è rimasta in sospeso una promessa. Appena possibile voglio fare un ‘safari nella riserva’. Esattamente così, ho visto una natura incontaminata di tale bellezza che ho bisogno di viverla nuovamente, ma a modo mio: nel silenzio, usando i miei sensi… armata solo della mia macchina fotografica.

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Farinaccio Riserva San Massimo: 1/2 pericarpo più gemma di riso

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele

Omelette di Farinaccio di Riso e Miele




Lo sapete come si mangia la frutta a tavola? Si…? E allora perché non la ordinate?!

Oggi parto da questa provocazione visto che, più di un amico cuoco, mi ha rivelato che gli italiani tendono a non ordinare la frutta al ristorante per evitare i possibili  imbarazzi nel mangiarla. Li per li questa affermazione mi ha lasciata un po’ perplessa, poi, pensandoci bene, la cosa mi ha portato a riflettere. Che sia possibile che uno dei motivi possa essere questo? Mah, non ci credo, anche perché personalmente non vedo il problema. Galateo o non galateo trovo bellissimo toccare il cibo con le mani. E’ un modo più completo di gustarlo.

La frutta… bella, colorata, buona, piena di vitamine! Un’importantissima risorsa che ci offre la nostra agricoltura. La vorrei vedere sempre nell’offerta delle prime colazioni, dovunque, in città e in campagna, nei ristoranti e nei bar. Ultimamente ho incominciato a chiederla a fine pasto nei ristoranti. Ebbene, un dramma, e non scherzo! Alcuni ne sono addirittura sprovvisti. Sarebbe proprio ora di cambiare le cose! Un cestino a fine pasto senza doverlo chiedere, è più che doveroso!

Già sento i fischi… E’ inutile che fate quelle facce, lo so bene che è consigliabile mangiarla fuori pasto! Dovete ammettere però che comunque è una valida alternativa a dolci spesso ultra calorici che ci appesantiscono e affaticano la digestione. Alcuni diranno – ma come, un’affermazione come questa da una donna golosa come te? – Certo, non l’ho mai nascosto, ma per non rinunciare ai dolci so limitarmi nei pasti principali. La frutta però è la frutta, io l’adoro, e non ne posso fare a meno! 😉

Detto questo, per i fanatici del bon ton e per evitare di fare gaffe, facciamo un ripassino sui modi corretti di mangiarla a tavola.

Il Galateo e la FruttaInnanzitutto va servita pulita e accompagnata da un piattino, un coltello e una forchetta (tranne per alcune eccezioni).

  • Agrumi: Dopo aver tagliato le due sezioni ai poli, si incide la scorza con il coltello, e con lo stesso si sbuccia. Gli spicchi si mangiano con le mani trattenendo i semi nella stessa posta ad imbuto vicino alla bocca.
  • Anguria: Dopo aver tolto i semi con il coltello, si mangia tagliata a fettine con la forchetta.
  • Banana: Il Galateo dice che per mangiarla non si dovrebbe usare il coltello. Comunque sia è consigliabile fare un taglio longitudinale aiutandosi poi con la forchetta per ridurla a pezzetti.
  • Cachi: Si tagliano a metà e si mangiano con il cucchiaio.
  • Ciliegie: Si mangiano tenendole per il picciolo. Il nocciolo va trattenuto nella mano posta ad imbuto vicino alla bocca.
  • Fichi: Una volta tagliati in quattro parti, si mangiano con la forchetta.
  • Fragole: Si mangiano portandole con le mani alla bocca.
  • Kiwi: Si taglia a spicchi con il coltello e si mangia con la forchetta.
  • Mela/Pera: Prima di sbucciarla si taglia a spicchi, quindi si mangia con la forchetta.
  • Melone: Si taglia a fette e si mangia con la forchetta.
  • Pesca: Se la si mangia sbucciata si procede come per la mela.
  • Uva: Si mangia tenendo il grappolo in mano e staccando gli acini con le dita. I semi si trattengono con la mano posta ad imbuto vicino alla bocca.

Che dire… liberi tutti. Per quanto mi riguarda sappiate che se venite a cena con me, dovete essere pronti alle mie gaffe spontanee e innocenti! A tavola, e non solo, ne faccio parecchie! 😉




Lo sapevate che i latticini sono buoni… ma non per tutti ?

I latticini… io li adoro! Parlo del latte e dei suoi derivati. Alimenti ricchi di calcio, di proteine e di vitamine del gruppo B. Ma attenzione, non a tutti fanno bene.

Lo sapevate che nel caso di patologie a livello osseo la scelta migliore è quella di non assumere latticini o derivati? Ebbene si! Nonostante siamo cresciuti con la convinzione che assumere latte faccia bene alle ossa prevenendo l’osteoporosi, le cose sono un po’ diverse.

Per chiarire la questione ho chiesto l’intervento di Sara Cordara, nutrizionista e specialista in scienza dell’alimentazione.

Ciao Cinzia, allora,  inizio con il dire che sembra proprio che aumentare l’introito di calcio con integratori o con latticini e derivati non migliori lo stato di salute delle ossa e che finisca invece per creare problemi di vario tipo, a volte anche gravi. Io lo definirei quasi il “paradigma del calcio nel latte”.

Quando assumiamo nella dieta troppo calcio, questo implica una ridotta capacità di assorbimento di magnesio. È il magnesio che regola gli ormoni responsabili di una buona salute ossea. Ed è la carenza di magnesio che compromette gli enzimi che assicurano una buona salute ossea.

L’eccesso di calcio provoca carenza di magnesio, che a sua volta riduce l’attività dell’enzima fosfatasi, essenziale per l’assorbimento del calcio nelle ossa. L’enzima fosfatasi contenuto nel latte è stato completamente distrutto dalla pastorizzazione.

Per questo la salute ossea si riduce consumando il latte commerciale invece di quello crudo o materno. Per questo motivo il commercio del latte ha portato in tutte le nazioni un incremento del fenomeno delle fratture ossee!




Dov’è finito il buon latte italiano?

C’è eccome, state tranquilli! E’ solo che la questione qui è complicata, o meglio, come dice Matteo Scibilia, la questione qui è soprattutto politica. Vediamo di capirci qualcosa, noi consumatori intendo.

Ricordo che tempo fa, visitando un’azienda agricola qui in Brianza, fui colpita dalla rabbia con cui mi parlava la titolare. Troppi cavilli burocratici… troppe le difficoltà nella conduzione. Mi disse: “Cinzia, sapessi quante volte ho la tentazione di vendere! E’ diventato tutto così difficile in Italia!”

Il latte in Lombardia

Continuo a dire che c’è una parola chiave in tutto questo: ‘sburocratizzare’. Ma non solo, qui c’è un’altra parola che complica le cose: ‘quote latte’.

Direi a questo punto di fare un brevissimo ripasso dalla loro introduzione.

  • Le ‘quote latte’ sono state introdotte nel 1984 dalla Comunità Europea per controllare le eccedenze nella produzione e fissare dei tetti massimi annuali ai paesi membri.
  • I tetti massimi dei singoli paesi si riferiscono alle quantità commercializzate. Il superamento di questi limiti genera una penale.
  • Il metodo di assegnazione dei tetti delle quote ha scaturito da subito forte polemiche. Alcuni paesi comunitari ebbero quote superiori al loro fabbisogno, mentre ad altri tra cui l’Italia, venne assegnata una quota pari alla metà del consumo interno. Qualcosa non quadra…
  • Le infrazioni da parte degli allevatori furono inevitabili, con conseguenti condanne della Corte di Giustizia Europea.
  • Successivamente, nel 1994, vennero modificati i tetti di riferimento rapportandoli alle produzioni 1988/89 e 1991/92 dei singoli allevamenti.
  • I tetti però venivano ancora superati nonostante un ulteriore successivo innalzamento.
  • Tra il 1995 e il 2001 si sono così accumulate multe per un totale di 924 milioni di euro, di cui 276 esclusi dalla sanatoria, 486 a carico dello stato e 162 a carico degli allevatori. (fonte Confagricoltura)
  • Nel frattempo, a causa di questa situazione, il numero delle aziende è scesa da 150 mila a 66 mila.

A questo spunto sorge spontanea la domanda: “Ma perché gli allevatori sapendo di andare incontro a sanzioni così pesanti hanno continuato a superare il loro tetto produttivo?

Mi ha risposto il nutrizionista e zootecnico Paolo Barberio.

– Cinzia, gli allevatori se producessero di meno non avrebbero altra scelta che chiudere le proprie aziende. Purtroppo i costi fissi, oltre che a incidere in maniera rilevante, sono aumentati negli anni in maniera vertiginosa.

Paolo, tu sei un olivicoltore, ma segui gli allevatori come zootecnico per l’aspetto nutrizionale degli animali. Cosa ti senti di consigliare ai produttori?

– Di stare uniti. Le aziende vicine tra loro dovrebbero unirsi per utilizzare strumentazioni in comune, o anche per mettere insieme le mandrie. Questo vale per aziende di 60/100 capi in un unico impianto. Purtroppo i costi che incidono nelle attività sono lievitati, come ad esempio quello del gasolio agricolo, che in dieci anni è più che raddoppiato. I tempi purtroppo sono cambiati. Fino a vent’anni fa con trenta vacche ogni allevatore comprava ogni anno tre ettari di terra… adesso per tenerne trenta, devi vendere tre ettari di terra…

Un grazie particolare a Paolo Barberio per avermi aiutato a capire. La questione in realtà è molto più complicata. Autodichiarazioni e calcoli errati, hanno portato a una non-corrispondenza del calcolo dei tetti. Forse sarebbe il caso di riprendere in mano la questione ricalcolando quote più parallele. Forse, molto di più…

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Fonte: Confagricoltura       




Lo sapevate che l’insalata…

  • L’insalata, anche se costituita dal 90% di acqua, è una buona fonte di fibre, vitamine e sali minerali.
  • Apporta carotenoidi, sostanze antiossidanti che prevengono le malattie degenerative.
  • Di per se ha poche calorie, condizionate però dalla quantità del condimento che viene usato.

Personalmente adoro le insalate, soprattutto quelle miste! Peccato che spesso, quando le ordino al ristorante, mi arrivano due foglie verdi e qualche pomodoro! 🙁

Ebbene, sapete cosa intendo io per insalata mista? Di tutto di più, o meglio, un’insalata a foglie verdi, ortaggi, frutta fresca e secca… ovviamente il tutto nel rispetto della stagionalità.

Detto questo ve ne segnalo una veramente buona, un’insalat…ona che una sera mi ha preparato un amico. 🙂

L’Insalat…ona di Agostino

 Ingredienti:

  • Insalata Chioggia
  • Carote grattugiate
  • Pomodori ramati pachino
  • Noci
  • Mela golden tagliate a fettine sottili
  • Olive taggiasche
  • Pinoli
  • Semi di sesamo e semi di finocchio tostati in pentola

Unire tutti gli ingredienti e condire con un olio extra vergine di oliva, un buon aceto e sale q.b.

Una vera bontà ! 

 




Lo sapevate che il cioccolato…

In questi giorni ho mangiato troppo cioccolato… uff, ho la faccia piena di brufoli!

Ricordo ancora quando… fatemi pensare, ecco si, avrò avuto sedici anni, in un pomeriggio di noia totale (neanche allora riuscivo a star ferma) ho fatto un intruglio potentissimo a base di cioccolato. Ne avevo usato così tanto, ma così tanto, da fare una cioccolata veramente esplosiva! Ebbene, dopo qualche giorno l’esplosione si è manifestata, si, ma con un brufolo gigantesco! 🙁

Mio padre mi portò dal medico, che, appena lo vide, mi spedì diretta in ospedale per l’incisione. Situazione alquanto imbarazzante, si, perchè la posizione non era certo tra le più simpatiche. Non posso dimenticarmi dell’episodio, anche perché, grazie alla cicatrice che mi è rimasta (fortunatamente non visibile ai più) non mi è possibile.

Chi mi conosce lo sa… sono golosa! Non riesco ne a iniziare ne a chiudere la giornata, senza aver mangiato un dolce! Detto questo, per tornare al cioccolato, mi raccomando, non fate come me, non esagerate!

Poco ma buono e di tutto, è il segreto per stare bene! 🙂

Lo sapevate che…

  • Il cioccolato è fatto con i frutti dell’albero del cacao, una pianta originaria dell’America meridionale il cui nome scientifico è Theobroma cacao, in greco, cibo degli dei. Gli Aztechi 3000 anni fa, usavano questi semi come monete.
  • C’è cioccolato e cioccolato! Privilegiare una qualità che contenga almeno il 70 per cento di cacao.
  • E’ ricco di antiossidanti, sostanze che rallentano i processi di invecchiamento.
  • Essendo molto energetico, è un ottimo alimento per ricaricarsi. E’ compreso persino nella dieta degli astronauti durante le missioni spaziali.
  • E’ ricco di grassi: fornisce 500 calorie ogni 100 grammi
  • Il cioccolato contiene caffeina: 125 grammi di cioccolato fondente contengono una quantità di caffeina uguale a quella contenuta in una tazzina di caffè.
  • Grazie alla feniletilamina, una sostanza chimica presente nel cacao, il cioccolato ha delle  proprietà antidepressive, quindi migliora l’umore.

Fonte: ‘Cibi che fanno bene, cibi che fanno male’  – Tom Sanders docente di nutrizione e dietetica King’s College University of London




Lo sapevate che il vino si mette anche nel brodo…

Ebbene si! Me lo ha insegnato mio nonno Giuseppe, un mantovano Doc!

Di lui, oltre alle mitiche carte da gioco che mi ha regalato da bambina, mi rimangono alcuni insegnamenti, come l’abitudine di usare il cucchiaio per arrotolare le tagliatelle, o quella di mettere un pizzico di sale sul melone per renderlo più dolce, o infine, quella di mettere un po’ di vino nel brodo.

Ricordo tanti anni fa, quando, una mattina alzandomi per fare colazione, l’ho visto per la prima volta bere del brodo in cui aveva messo un goccio di vino. Figuratevi la mia faccia…: “Nonno, ma che fai?! Metti il vino nel brodo, e per giunta lo bevi a colazione?!  

Molti sapranno che questa usanza è praticata in alcune province della Lombardia, Emilia e Piemonte. Aggiungere del vino al brodo, intendo quello buono, quello fatto non sicuramente con il dado, per i mantovani e non solo è una vera e propria tradizione! 😉

Detto questo, partendo dal presupposto che il brodo debba essere buono, direi di seguire la ricetta che ci consiglia un caro amico, lo Chef Massimo Dellavedova.

Il Brodo di carne di Massimo Dellavedova

Ingredienti:

  • 1 kg di bovino adulto (reale, punta di petto, polpa di spalla, scamone)
  • 500 gr. cappone (va bene anche il pollo)
  • 1 cipolla grossa
  • 2 gambi di sedano
  • 1 carota media
  • 2 chiodi di garofano
  • 3 foglie di alloro
  • 4 grani di pepe nero
  • Poco sale grosso
  • 4,5 l. di acqua

Preparazione:

  • Mondare verdure e cappone (pollo)
  • Steccare la cipolla con i chiodi di garofano
  • Mettere tutto in una capiente pentola
  • Fate sobbollire per almeno 3 ore schiumando con il mestolo forato ogni volta che si forma la schiuma. Raccomando di non fare bollire.
  • A cottura finita, filtrarlo, aggiustarlo di sale e raffreddarlo. Una volta freddo sgrassarlo. Questa operazione risulta semplice perché la parte grassa si è solidificata in superfice.

In questo modo si otterranno tre litri di brodo.




Lo sapevate che il Panettone è nato da una storia d’amore?

Ebbene sì, il dolce natalizio tipico di Milano è nato da una storia d’amore, per lo meno così narrano le leggende. Un dolce che adoro, e non solo a Natale…

Ieri sera al Ristorante Il Fauno di Cesano Maderno, il protagonista è stato proprio il Panettone.

Insieme a Franco Cappello della Pasticceria Elisa di Seveso, si è parlato dei suoi ingredienti, delle sue tecniche di preparazione, e della sua storia.

Detto questo, lo sapevate che il Panettone è nato da una storia d’amore?

Ebbene si! Ora vi racconto… 

Si narra che Ugo degli Antellari, il nobile falconiere di Ludovico il Moro, fosse innamorato di Adalgisa, la bella figlia di Toni, un fornaio di Milano.

Un amore vissuto in segreto, osteggiato dalla famiglia nobile di lui, che non vedeva di buon occhio la ragazza, a causa delle umili origini.

Adalgisa, tra l’altro, dovendo aiutare il padre in bottega per l’assenza del garzone malato, era spesso troppo stanca per incontrarsi con il suo innamorato.

Per ovviare a ciò, Ugo, indossati abiti umili, si presentò dal padre fingendosi un garzone in cerca di lavoro. Le cose però continuavano a non andare bene: una nuova bottega aveva aperto a poca distanza causando una perdita di clienti.

Fu allora che Ugo capì che, per aumentare le vendite, la qualità del pane andava migliorata. Cedette di nascosto due falchi della corte, e con il ricavato comprò del burro introducendolo nell’impasto. Fu un successo!

Non contento, sotto le feste di Natale, decise di aggiungere all’impasto anche delle uova, dell’uvetta sultanina e dei pezzi di cedro candito. Il risultato fu uno specialissimo “pan del Toni” da cui ebbe origine il nome Panettone.

Anche se ormai viene proposto in molte varianti, io amo quello classico, quello fatto seguendo la ricetta tradizionale di un tempo.




Lo sapevate che i cachi…

Da ragazzina vivevo in una  casa con molti alberi da frutta. Un giorno mio padre, dovendo ampliare un’autorimessa, era in procinto di sacrificarne uno: un albero di cachi.

Mi piacevano tantissimo! Ricordo che li tiravamo giù dall’albero a Novembre, per poi farli maturare lentamente adagiandoli su lunghe assi di legno.

Nel mangiarli cercavo i noccioli che poi riponevo accuratamente da parte. Ero ansiosa di farmeli aprire da mio padre per vedere la forma della piccola posata che abitualmente trovavo. Se devo dirla tutta… questa cosa la faccio ancora! 😉

Ebbene direte, come finì la storia… l’albero poi è stato sacrificato?

Mio padre trovò il modo di non farlo rendendomi, come potrete immaginare, molto felice! La costruzione venne ampliata, ma con un albero di cachi che spuntava dal tetto. Ebbene si! Mio padre era un grande! 🙂

Oltre a farvi partecipi di un mio ricordo d’infanzia, lo sapevate che i cachi…

  • I cachi sono originari della Cina e del Giappone. Sono giunti in Europa sono alla fine del XIX secolo.
  • Sono un’eccellente fonte di beta-carotene, di vitamina C e di potassio.
  • Sono ricchi di zuccheri, quindi una buona fonte di energia. Apportano  circa 60 Kcal per ogni 100 grammi.
  • I cachi sono un frutto biologico in quanto la sua pianta non ha bisogno di trattamenti antiparassitari.
  • La parola cachi indica il frutto sia al plurale che al singolare. Comunque sia, anche se erroneamente, nel gergo comune è ormai consuetudine utilizzare la parola caco per indicare il frutto al singolare.

A proposito, i cachi vaniglia o cachi mela, dalla polpa assai più soda, sono anch’essi buoni, ma di una varietà diversa.


Fonte: ‘Cibi che fanno bene, cibi che fanno male’  – Tom Sanders docente di nutrizione e dietetica King’s College University of London

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