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Angelica Lodi, una cuoca che non si china… se non sui piatti!

Angelica Lodi, classe 1996. Il suo motto: “Mai china, se non sui piatti!”

Una giovane cuoca del ristorante La Chiocciola di Portomaggiore, in provincia di Ferrara, che ho avuto il piacere di conoscere a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano – il format ideato da Luigi Cremona e Lorenza Vitali – durante il quale si sono sfidati ragazzi under 30 per la selezione del ‘Miglior Chef Emergente 2019 del Nord’.

Dalla giuria ho potuto osservare la loro attenzione nella preparazione dei piatti, che, all’assaggio, hanno evidenziato l’impegno con cui si sono presentati. Giovani talentuosi con un ruolo importante per il futuro del Sistema Italia. Saranno infatti anche le loro scelte a contribuire alla valorizzazione della filiera agroalimentare. Una responsabilità che ogni cuoco esercita ogni qualvolta si appresti a preparare un piatto.

Luigi Cremona e Angelica Lodi a ‘Il Festival della Gastronomia’ di Milano

Vi presento Angelica Lodi…

  • Angelica, partiamo dal Festival della Gastronomia. Durante la gara alla quale hai preso parte mi ha colpito la tua tenerezza, non oscurata dalla determinazione necessaria al ruolo che hai scelto per il futuro. L’assaggio del tuo piatto, poi, mi ha confermato la tua preparazione. Come e quando è iniziata questa tua passione per la cucina?

Alle scuole elementari.  Non so esattamente il motivo… questa passione non l’ho presa da nessuno. Per certo veder cucinare e poter aiutare mi ha sempre appassionata e incuriosita fin da piccola.

“Come fosse un cappellaccio…” un piatto che nasce dalla creazione di un assoluto di zucca.

  • Hai scelto un mestiere impegnativo, che per una donna lo è ancora di più. Le difficoltà non sono certo da imputare alle capacità personali, ma alle esigenze familiari che sorgono col tempo. Conseguentemente a ciò, affermarsi in questo settore prettamente maschile comporta molti sacrifici, sempre che questo sia il tuo desiderio?

Certo, quando avrò una famiglia sicuramente medierò gli impegni professionali con le esigenze familiari. Tra le mie ambizioni ho quella di aprirmi una gastronomia di qualità, che mi permetta alla sera di passare un po’ di tempo a casa.

  • Mi capita spesso di sentire gli chef lamentarsi a proposito della scarsa formazione che riscontrano – a livello pratico – nei cuochi neodiplomati. Cosa ti senti di rispondere a tal proposito?

Hanno ragione. Purtroppo le scuole si focalizzano sempre di più sulla teoria piuttosto che sulla pratica. Nonostante ciò, in quelle poche ore, con il massimo impegno, si cerca di apprendere il più possibile degli insegnamenti.

  • Nonostante la tua giovane età, ti senti di dare un consiglio ai giovani che scelgono questo percorso professionale?

Questo lavoro è tanto bello quanto difficile. Ecco il mio consiglio: “Ragazzi, se non mettete determinazione, passione, costanza e tanto sacrificio, fate a meno di intraprendere questo percorso, perché senza tutto questo durereste meno di un mese.

  • Un’ultima domanda: a chi ti ispiri per il tuo futuro?

Sinceramente, a me.

Riprendo la parola…

Che dire… be’, senza dubbio dalle risposte secche di Angelica si evince che è una ragazza molto decisa. Ciò che mi auguro è che si impegni nel custodire e salvaguardare la tradizione culinaria italiana. Una conoscenza da divulgare che permette ai cuochi, col tempo e l’esperienza, di dare forma alla propria identità.

 

Trattoria La Chiocciola  www.locandalachiocciola.it
Via Runco, 94/F Portomaggiore (FE)

Fotografia in testata di Nicola Boi – Nikoboi photographer




Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste!

Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste che ho conosciuto a Imperia, in una giornata di prima estate in cui splendeva il sole. Dopo giorni vissuti nella quiete di Apricale – borgo medievale tra i più belli d’Italia situato nell’entroterra di Bordighera – avevo bisogno del mare, dei suoi colori e della sua gente. 

Un incontro con un cuoco viaggiatore che ha appreso l’arte della cucina dalla nonna Tecla, nella vecchia osteria di famiglia situata in un angiporto, uno dei tanti vicoli nel centro storico di Genova. Col passar del tempo, le frequentazioni della gente del porto, lo hanno portato ad imbarcarsi come marinaio della Marina Militare italiana sulla nave scuola Amerigo Vespucci.

Era il 1984. La passione per la cucina non tardò a farsi sentire.

Dopo le tante esperienze – non solo culinarie – fatte in giro per il mondo (Edoardo è anche un batterista di rock blues), è tornato nella sua Liguria, dove gestisce il ristorante ‘Il Refettorio Cenacolo del tempo sospeso”. Un luogo in cui celebrare il gusto dimenticandosi del tempo. 

Edoardo, un uomo gentile e ospitale, ma schietto e di carattere.  A lui la parola.

  • Cuoco e aspirante oste, partiamo da qui. Raccontami di questo tuo percorso. A che punto sei arrivato?

Arrivato? Cara Cinzia, se mai partito! È un percorso metamorfico credo naturale, per chi come me di Mestiere di Bottega vive. Un cuoco ha una visione perimetrale al governo del fuoco e dello spazio dove ripone il suo fare, l’oste invece deve avere una visione periferica e più completa. Questo mi affascina e mi fa vivere il mio Spazio con visione e modus operandi diverso. Mi dà l’obbligo che una Bottega impone… Presenza, costanza, gestionalità integrata all’economia domestica, fino ad amministrarne accoglienza e promozione globale del proprio fare.

  • Insisto spesso affinché il racconto del piatto sia fatto a dovere. Una presentazione che va oltre al semplice nome. Conoscere l’origine delle materie prime, il legame con i territori e le alleanze che si creano con i produttori, fa la vera differenza. Un modo per fare cultura del cibo. È per questo motivo che ora ti chiederò di raccontarmi un piatto che ho apprezzato particolarmente: le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate. Una preparazione conosciuta dai più, che impone ricerca e ingredienti di qualità. 

Le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate per noi genovesi è un fattore cromosomico, un rigoroso rito da osservare almeno una volta alla settimana. Il Pesto è in qualche modo  GENOVA, rappresentandone in maniera iconografica semplice la sua Superba magnificenza. Genova, “superba per gli uomini e per le mura”, come la definì il Petrarca, è lo splendido capoluogo dell’assolata Liguria. Sai Cinzia, si potrebbe camminare all’infinito nel suo centro storico tra gli incantevoli “caruggi”, gli stretti vicoli fiancheggiati da case altissime, senza mai stancarsi. Ogni muro, ogni casa, viuzza e palazzo, ogni villa, parco e fortificazione, conserva intatto il fascino dell’antica Repubblica marinara genovese. “Città d’arme e di commerci”, le sue bellezze artistiche sono conservate all’interno dei palazzi nobiliari detti rolli, e nei molti musei cittadini. Genova appunto, capitale del “pesto” e del buon cibo, come potrei tralasciarne traccia nei miei menù? Da sempre e per sempre ci saranno!

Edoardo Ferrera: “Trenetta, pesto, fagiolini e patate. Concepita a Lucera per essere accompagnata con il vero Pesto alla Genovese. Prodotta da due varietà di grano con caratteristiche diverse e complementari, il Saragolla e l’Hathor, sperimentate a lungo in azienda e coltivate in agricoltura biologica. Il Saragolla ha proteine e glutine e dà alla pasta corpo e sapore; l’Hathor è un incrocio tra Korasan e Senatore Cappelli e ha un profumo molto intenso.”

  • Giornalismo enogastronomico. A volte garbato e a volte impertinente. A volte persino saccente. Qual è la tua esperienza a proposito?

Esistono “regole del gioco”, le devi conoscere, tutto qui.  A volte incontri penne garbate dall’animo gentile, a volte penne che stanno per finire l’inchiostro, e che pertanto cercano in qualche modo di lasciare il loro segno… Ma anche questo fa parte del gioco delle parti, nessuno ti obbliga a farne parte.

  • Filippo, tuo figlio, e la sua passione per le ostriche. Un giovane attivamente coinvolto nella brigata di cucina del tuo locale. Mi spieghi com’è nato in lui l’interesse per questo mollusco? E, vista la sua conoscenza, quali i consigli per l’assaggio in sicurezza?

Nasce dalla dote innata che Filippo ha… l’essere curioso. Dote per altro fondamentale del nostro mestiere, che ti permette di andare sempre e comunque alla ricerca anche dell’ovvio. Grazie all’amico romano Corrado Tenace – che oltre ad essere un grande selezionatore è un profondo conoscitore dell’Ostricoltura – Filippo, letteralmente preso per mano, ha potuto conoscere sul campo questa pratica. Un mondo fatto di genti di Terra, Mare, Fiumi e Lagune. Oggi è lui stesso che ha firmato la nostra carta delle ostriche ricercando con grande sensibilità cognitiva tutte le nostre proposte, creando un percorso davvero intenso e prezioso.

L’assaggio in sicurezza…?! Credo che si debba sempre saper valutare il professionista che si ha di fronte. L’ostrica, come tutto il pesce crudo, a livello di sicurezza alimentare è cosa delicata, pertanto, già il locale stesso (pulizia e ordine) danno segnali importanti su come possano essere mantenute.

Edoardo Ferrera: “Una personale interpretazione di uno dei primi piatti di quella Italia Verace che amo: la Puttanesca alla romana. Volendo giocare con le materie prime abbiamo anteposto alle uova e farina, una verace seppia lavorata e trafilata come una tagliatella. Il rimando organolettico viene poi dato da un’infusione di pomodoro cotto sottovuoto con colatura di alici e capperi per trentasei ore, è servito alla brocca al commensale. L’effetto a mio giudizio è coinvolgente ed al contempo sensuale.”

  • Negli anni scorsi ho avuto modo di conoscere Wainer Molteni e di scriverne a proposito del suo libro: “Io sono nessuno – Storia di un clochard alla riscossa”. Un racconto a cui ti sei ispirato e che ti ha permesso di realizzare un menù: “A Pane e Acqua”. Un’idea nata con lo scopo di aiutare il Centro Ascolto Caritas di Imperia, e i senzatetto che sostiene. Me ne vuoi parlare?

Wainer è una persona speciale, la sua storia mi ha colpito parecchio. Il suo libro – “Io sono nessuno” – me ne ha ribadito il suo essere persona vera, genuina e profonda.

Così nasce il progetto “A pane e Acqua”, una degustazione scritta da ciò che semplicemente ho visto per strada; ciò che gli invisibili raccolgono e pescano dal nostro scarto. Come ben sai, però, queste operazioni di chiarity viaggiano sul sottile confine tra il filantropismo e il divenire portatori sani d’italico paraculismo.  È per questo motivo che proponiamo il menu solo a quei tavoli che in qualche modo sono anch’essi “invisibili”. Quelli con cui nasce un contatto al tavolo, una garbata e temporale confidenza. Tavoli che scelgo solo io. Pensi che forse è un salire in cattedra troppo arrogante? Può essere, ma sono o non sono lo Chef!

  • Dopo aver letto il tuo pellegrinare per il mondo (a dire la verità un po’ ti invidio), mi chiedo se il tuo sbarco a Imperia sarà duraturo…

Sono un Marinaio nell’animo, è vero. Per natura la mia prua non chiede mai sosta alla banchina guardando terra, ma solo sempre verso il mare aperto. Tanto per dire che il mio motto è: “La meta è la Partenza”. In questo caso però è diverso. C’è un progetto chiamato Filippo Ferrera, c’è una nuova rotta da tracciare. Non chiedermi però di darti tempi. In questo momento qui al Cenacolo di Oneglia il Tempo l’ho Sospeso! In futuro chissà… finché c’è da fare io non mi annoio mai.

Cinzia, voglio salutarti con un vecchio proverbio milanese che il buon Gualtiero citava spesso: “Quand l’ost l’è su la porta, el gh’ha de fa nient in cà.” 

Edoardo Ferrera: “Un piatto che è nato pensando a Montale e la sua Raccolta Ossi di Seppia. Ardesia, Sassi di Battigia fanno da anfiteatro e contenitore per il nostro Polpo, a cui vengono estratti i succhi naturali, e poi ristrettì in gelatina albuminica naturale ricavata da lische di Nasello. Il piatto è molto semplice, perché accompagnato con patate e fagiolini all’olio extra vergine d’oliva Taggiasca 190 del Frantoio Sant’Agata e dei fiocchi di Sale affumicato.”

“Il Refettorio Cenacolo del Tempo Sospeso”  Via Des Geneys, 34 – Imperia  www.ilrefettorio.it

 




“Chi cucina ha in mano il futuro del Paese.” Giancarlo Morelli.

Un’affermazione forte che condivido, e che ovviamente si rifà ai protagonisti della cucina in senso lato, sia a livello casalingo che professionale. Una responsabilità che va ben oltre la necessità e il piacere. Cucinare implica conoscenza e rispetto della materia prima, selezionata in base al territorio e alla stagionalità. Inoltre, saper conservare il cibo, ci rende consapevoli del valore che esso rappresenta. Così facendo, oltre a guadagnare in salute, si fa bene all’ambiente, alla propria economia e a quella globale.

“Mangiare inteso come un atto culturale ed etico, teso al benessere dell’individuo e al rispetto del pianeta.” Giancarlo Morelli

Il 5 febbraio scorso si è celebrata la Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare. Secondo i dati del Food Sustainability Index (FSI), il nostro paese si colloca al 9′ posto nella classifica tra i 25 paesi considerati. In positivo per la legge approvata nell’agosto del 2016, in negativo per il cibo che finisce nella spazzatura a livello domestico: una media pro capite di circa 110,5 kg all’anno. Comportamenti che impattano sull’ambiente più di quanto si creda, visto che “il gas metano prodotto dal cibo che finisce in discarica è 21 volte più dannoso della Co2.” (Fonte: Fondazione BCFN)

“Va recuperata la cultura del cibo del nostro territorio. Un compito che spetta anche a chi ci governa.”

Un ulteriore pensiero di Giancarlo Morelli che riconduce al ruolo prioritario che l’educazione alimentare – in ogni sua forma – occupa nella società, in primo luogo a partire dalla scuola, ma non solo. Visto il successo della cucina italiana nel mondo, anche i suoi protagonisti possono molto in questo senso. Se consideriamo che #Italianfood è il primo hashtag per le cucine occidentali con oltre 3.400.000 post su Instagram, i conti sono presto fatti.

Ho citato più volte le affermazioni di uno dei più noti chef italiani con cui recentemente ho avuto il piacere di chiacchierare. Giancarlo Morelli, nativo di Bergamo, dopo gli studi e le esperienze all’estero nell’alta cucina, ha trasformato una tipica corte lombarda nel centro storico di Seregno in un luogo in cui sperimentare le conoscenze acquisite. È nato così nel 1993 il suo primo ristorante: “Il Pomiroeu”. Un nome la cui evidente componente dialettale riporta alla zona poco distante un tempo dedita alla coltivazione delle mele.

Un cuoco in movimento il cui estro porta a sviluppare nuovi progetti nell’ambito della ristorazione. Un uomo dalle molte sfaccettature e dalla personalità estrosa, conosciuto anche per la stravaganza dei suoi occhiali. Gli ultimi hanno catturato la mia attenzione per la forma delle sue lenti: una quadrata e una tonda. Due figure perfette che in uno dei più noti disegni di Leonardo Da Vinci – l’uomo Vitruviano – uniscono arte e scienza. Dettati dalla necessità, ma applicati al meglio, sono diventati più che un’esigenza un segno distintivo e un brand identificativo per il suo nuovo progetto: il Ristorante dell’Hotel Viu Milan.

Ne sentiremo parlare…

Giancarlo Morelli

        

In testata: Risotto Carnaroli del Pavese mantecato alla ricotta di bufala con tartare di gamberi rossi, tartufo nero e colatura di alici. 

Chef Giancarlo Morelli  www.pomiroeu.com




Ristorante Materia, il sogno di Davide Caranchini, Chef di cucina a Cernobbio.

In primo piano: Sorbetto al Pelargonio (geraneo odoroso) con spuma al fieno.

Ristorante Materia, essenziale nel nome come negli arredi. Un sogno che Davide Caranchini,  giovane e talentuoso chef di cucina di Como, ha realizzato a soli ventisei anni. Un luogo di ristorazione nella bella Cernobbio, situato in una piccola via del centro. La vista qui non si rivolge al lago, ma ai piatti intriganti dalle interessanti combinazioni e dai sapori armoniosi. Una promessa della ristorazione italiana che ha maturato, nonostante la giovane età, esperienze diLa brigata del Ristorante Materia tutto rispetto. Dopo aver concluso gli studi presso l’Istituto Alberghiero “Giovanni Brera” di Como, il suo percorso è continuato in ristoranti dai nomi ben noti:  il Maze di Gordon Ramsay, Le Gavroche e l’Apsleys di Heinz Beck a Londra, il Nona a Copenaghen, l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, e infine, Casa Santo Stefano a Cernobbio. Nel 2014 è stato inserito nella cerchia dei migliori chef under 35 d’Italia.

Materia prima e lavoro di squadra.

Nel 2016 è nato il suo ristorante: “Materia”, intesa come filosofia di ristorazione e base da cui partire per promuovere il territorio. La creatività e l’interpretazione del cuoco, senza eccessivi stravolgimenti, e con rispetto per la varietà dei gusti e delle diverse tipologie dei clienti, fanno il resto. Piatti che Davide progetta su carta, e, una volta realizzati, testa insieme alla giovane brigata. Un armonico lavoro di squadra che nel rispetto dei ruoli determina il successo di un ristorante.

Lo chef di cucina, una professione deformata dai media.

Molte le ore di lavoro, non meno di quindici al giorno, spesso sottovalutate da chi si orienta verso gli studi alberghieri attratto dalla spinta mediatica dei molti, forse troppi, programmi sui cuochi. Una realtà alterata che Davide Caranchini non ama. Chi vuole intraprendere questa professione, deve essere consapevole che solo l’impegno e il sincero piacere della cucina può far superare la gavetta e il duro lavoro che ne consegue.

La ristorazione di Davide Caranchini.

Piatti che sorprendono, sia nell’aspetto gustativo che in quello visivo. Prodotti della natura ma anche dalla fantasia di un cuoco che elabora le sue esperienze quotidiane. Particolare la sua trota salmonata marinata, a cui viene bruciata la pelle per dare l’effetto croccante. Viene servita con una panna infusa al rafano, delle ciliegie sott’aceto, delle foglie di acetosella e un brodo dashi di mela.

Trota salmonata marinata, rafano, ciliegie in conserva e brodo freddo di mela

Delicati i ravioli ripieni di formaggio caprino e mostarda. Serviti con l’estratto e la polvere di cavolo nero, sopra ognuno, una volta nel piatto, viene messa una goccia di estratto di pepe nero di Sarawak.

Ravioli di formaggio caprino e mostarda, estratto di cavolo nero e succo di pepe di Sarawak

I miei assaggi si sono conclusi con un dessert autunnale chiamato “Zucca”: cubetti di zucca fermentata uniti ad un gelato ai semi di zucca tostati, il tutto ricoperto da una spuma di zucca, decorata con delle fette di zucca disidratata e una foglia di nasturzio.

Zucca

Cosa resta da dire… forse semplicemente che ho conosciuto un ragazzo con le idee chiare, una promessa della ristorazione italiana di cui sentiremo molto parlare.

 

Ristorante Materia – Via 5 Giornate, 32 Cernobbio (CO)

Tel. 031 2075548  www.ristorantemateria.it




Massimo Dellavedova, uno chef di cucina che vuole tornare indietro nel tempo.

Massimo Dellavedova, un amico, un cuoco, ma soprattutto una persona semplice e sincera. Uno degli ultimi romantici,OLYMPUS DIGITAL CAMERA come me: uno chef in love. Lo scorso Aprile, con mia felicità, finalmente ha realizzato il suo sogno: Cascina Malingamba. Un luogo storico nato originariamente come posteria per soddisfare le soste dei viandanti, che poi, nel 1960, è diventato un vero e proprio luogo di ristorazione. Una cascina lombarda chiamata Malingamba per il ‘passo claudicante’ del suo primo proprietario. Curiosa la sua ubicazione: è situata per metà nel comune di Lainate in provincia di Milano, e per la restante parte nel comune di Origgio,  in provincia di Varese.

Massimo DellavedovaQualche giorno fa, in una fredda serata autunnale, sono andata a trovarlo per una chiacchierata tra amici. Discorsi seri e meno seri che scaldano il cuore, tra racconti, confidenze e consigli. Ascoltandolo nel resoconto dei suoi tanti impegni lavorativi, di tanto in tanto gli consigliavo di respirare, ben consapevole del ritmo che i cuochi oggigiorno devono sostenere per stare al passo con i tempi. Classica la risposta alle mie preoccupazioni: “Fanciulla, tranquilla, è tutto sotto controllo”.  Massimo è così, un cuoco in corsa, ma sempre dolce e col sorriso: uno chef smile.

Oltre agli scambi reciproci di esperienze, si è parlato di progetti e del tipo di ristorazione che ha intenzione di proporre a Cascina Malingamba. Nell’ascoltarlo, mi hanno particolarmente interessato alcune sue affermazioni che condivido, e che qui di seguito ho riportato per approfondimenti e riflessioni.

  • Penso che nella ristorazione di oggi sia giusto che la tecnica vada avanti. A differenza, nell’ideologia, si deve fare lunghi passi indietro, fino ad arrivare alla ristorazione di trent’anni fa. E’ importante riscoprire le vecchie usanze e le lavorazioni delle materie prime, aggiungendo le tecniche moderne di cucina per conservare sapore e qualità.
  • Purtroppo nella ristorazione di oggi manca la professionalità nella brigata di sala, intensa come gruppo di Servizio al guéridonfigure professionali per l’accoglienza. Con la scusa del servizio all’italiana, si è pensato che tutti siano capaci di fare i camerieri e i chef de rang. “Tanto devono portare solo i piatti”, non corrisponde al vero. Si è persa l’eleganza e la capacità del servizio di sala. Tra le nuove generazioni di camerieri, pochi sanno sporzionare davanti a un cliente.
  • Ritengo che ci siano troppi programmi di cuochi. Un format sugli di addetti di sala, sottoposti quotidianamente agli umori dei clienti, potrebbe essere utile per capire alcuni reali bisogni degli stessi. Non posso essere che d’accordo con lui. Proprio per questo motivo, circa un anno fa, ho cercato di sottolineare la stessa cosa facendo un’intervista a Lukasz Komperda, un giovane e brillante cameriere.
  • I piatti di oggi sono legati troppo all’estetica e meno alle proporzioni. A volte sono persino paragonabili a menù degustativi. La proporzionalità del piatto, in generale, deve essere adeguata alle basi insegnate nelle scuole secondo le tabelle ufficiali.
  • Quando dico che nella ristorazione bisogna tornare indietro negli anni, mi riferisco anche al servizio al guéridon. Per i non addetti significa impiattare in sala direttamente dal cameriere, come si usava fare un tempo. L’effetto scenico è sempre molto gradito.

Cascina MalingambaRiprendo la parola per un apprezzamento, precisando che, come Massimo ben sa, non ho alcuna remora a fare critiche costruttive anche agli amici ristoratori più cari. Fatta questa premessa, ho molto gradito che, oltre alla carta dell’acqua, della birra e del vino, alla Cascina Malingamba sia possibile scegliere, e volendo anche acquistare, ciò che si desidera bere direttamente nella cantina del ristorante. Una ‘carta visiva’ che fa brillare gli occhi a chi come me, ama osservare e leggere le etichette dei vini.

Alla fine della serata, Massimo, salutandomi, mi ha rivelato un sogno che fra non molto realizzerà: un’Accademia di cucina. Studio e pratica con vitto e alloggio. Un approfondimento pratico per gli studenti della scuola alberghiera. Ne vedremo delle belle, anzi, ne assaggeremo delle buone!

Cascina Malingamba www.cascinamalingamba.com

Via per Lainate, 33 Origgio (VA) Tel. 02 94383789




La ‘Pizza’ può aiutare l’agricoltura? Rispondono i pizzaioli.

La pizza a sostegno dell’agricoltura.

Chi mi conosce sa che spesso scrivo o pubblico foto partendo da piccole provocazioni. Per questo, solo pochi giorni fa, accettando l’invito ad un evento organizzato da Confagricoltura ho scritto: La ‘Pizza’ può aiutare l’agricoltura? Ovviamente si, ma come sempre tutto dipende dalle persone, in questo caso dai pizzaioli e dalla loro ricerca delle materie prime.

Utilizzare i prodotti di realtà agricole selezionate e rispettose dell’ambiente, significa promuovere il territorio italiano. Non per niente la pizza per eccellenza è la Margherita, chiamata così in onore della Regina Margherita di Savoia che, con il verde bianco e rosso, i colori del tricolore, è simbolo del made in Italy.

Il 1’ Settembre, alla “Vigna di Leonardo” di Milano, prestigiosa location dove Leonardo da Vinci coltivava la sua vigna, si è festeggiato la pizza. Una preparazione a base di prodotti semplici nata a Napoli alla fine dell’800 dal genio italiano. Farina, lievito, pomodoro, mozzarella e olio extravergine di oliva, sono gli ingredienti principali di un alimento completo conosciuto in tutto il mondo, simbolo dell’italianità e della convivialità.

La Pizza, "Capolavoro Universale"

Non c’è ‪‎pizza‬‬ senza buone ‪materie prime‬‬. Non ci sono buone materie prime senza sostegno all’‪‎agricoltura‬‬. Ognuno di noi può fare qualcosa in tal senso attraverso i propri acquisti. Per questo, ho rivolto la domanda ad alcuni dei pizzaioli presenti alla manifestazione: “La Pizza Capolavoro Universale”.

  • Risponde Stefano Callegari, Romano Doc. Nei suoi locali a Roma, oltre alle pizze tradizionali, potete trovare il “Trapizzino”, un triangolo di pizza farcito con i piatti tipici della cucina romana.

Cinzia, in realtà la maggior parte delle materie prime che utilizzo per gli ingredienti delle mie pizze vengono da fornitori romani che, a loro volta, hanno contatti diretti con gli agricoltori.
Posso dirti che per le patate, che è un ingrediente fondamentale che utilizzo non solo per condire la pizza ma anche nella preparazione – ad esempio – delle crocchette di patate, mi fornisco da un coltivatore diretto dell’alto fucino, precisamente da Luco dei Marsi.

  • Risponde Johnny Di Francesco, originario di Napoli. Pizzaiolo fin dalla tenera età, ha vinto i Campionati mondiali a Parma. Lavora e vive a Victoria, in Australia.

Like any quality food, how good a pizza tastes is a direct result of the produce used. I insist on using top quality produce at all of my restaurants to ensure the quality of my pizza is also the best it can possibly be. I have built a reputation for quality food, and part of the reason for this is because I have long standing relationships with my suppliers. Fresh ingredients are important to me, and due to the volume of pizza we make at my restaurants, we have direct relationships with some farmers such as basil growers. Indirectly we also support dairy farming, wheat farmers, and tomato growers who supply the raw products to our suppliers. My supplier relationships are important, and I recognise the importance of farmers in Australia, which is why I will always support them.

Come per ogni cibo di qualità, il sapore della pizza è il risultato diretto dei prodotti utilizzati. Personalmente scelgo buoni prodotti per tutti i miei ristoranti, al fine di garantire la qualità della mia pizza nel miglior modo possibile. Ho costruito una reputazione proprio sul cibo di qualità, mantenendo rapporti di lunga data con i miei fornitori. Gli ingredienti freschi sono fondamentali, per me, e per il volume della pizza preparata nei miei ristoranti. Abbiamo rapporti diretti con alcuni agricoltori, come con i coltivatori di basilico. Indirettamente, inoltre, sosteniamo la produzione lattiera, i coltivatori di grano, e i coltivatori di pomodori che conferiscono le materie prime ai nostri fornitori. Le relazioni che instauro con loro sono importanti, perché sono consapevole dell’importanza degli agricoltori in Australia. E’ per questo motivo che li sosterrò sempre.

  • Risponde Giorgio Sabbatini, veronese. E’ il referente della Scuola Italiana dei Pizzaioli ad Expo Milano 2015. Gestisce e svolge la sua attività a Verona, nel locale di famiglia. Campione Europeo nel 2011 e mondiale nel 2012 nella categoria Pizza a due.

Cinzia, rispondo alla tua domanda come consumatore prima che pizzaiolo. Non dimentichiamo che la pizza è un piatto che all’origine nasce come economico. Per questo, i miei prodotti devono seguire lo stesso principio. Collaboro con il giardino botanico del Baldo per le verdure. Oltre all’attenzione per la stagionalità, tendo a rivalorizzare piante mai utilizzate sulla pizza, abbinandole a ricotta e stracchini: un mix di dolce e salato.
Per i formaggi mi affido all’azienda agricola Fenilazzo di Desenzano del Garda, che produce latte e formaggio di qualità che utilizzo nelle competizioni. Facendo un giro nelle nostre campagne si scoprono un mondo di sapori e di profumi che ci possono aiutare e migliorare.

  • Risponde Graziano Bertuzzo. Campione Italiano di Pizza, maestro istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli di Caorle, e giudice ai più importanti Campionati del mondo.

Per chi fa il nostro mestiere, le materie prime sono molto importanti, così come è molto importante la fiducia che si crea con i fornitori. Per noi pizzaioli una delle materie prime fondamentali per ottenere ottimi impasti è la farina. Conoscendo le giuste specifiche tecniche della farina che utilizziamo possiamo scegliere il tipo di impasto da proporre alla nostra clientela. Quindi, il primo rapporto di fiducia va creato con il molino per avere sempre la stessa qualità di farina e con sempre le stesse caratteristiche per poter dare ai clienti omogeneità nel prodotto.

Anche l’essere istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli mi è servito a sperimentare e utilizzare nuovi grani e nuove farine come kamut, farro, segale, le biologiche ecc. e tecniche e impasti innovativi. Superato lo scoglio dell’impasto possiamo parlare di materie prime che riguardano la farcitura, importanti anch’esse per avere un ottima pizza. Nel mio locale, assieme ai miei collaboratori, offriamo alla clientela una varietà di prodotti che segue la stagionalità, con ingredienti che prendiamo freschi e elaboriamo a nostro piacimento. Quindi accanto ai prodotti tradizionali da pizzeria, inseriamo nel nostro menù delle valide alternative fresche che utilizziamo preparandole a volte seguendo la tradizione del nostro territorio e altre usando un po’ di innovazione culinaria.

Vicino al mio locale ci sono molte aziende agricole e collaboriamo con molte di loro in base alla stagione e alle materie prime che offrono, non abbiamo nessun legame ma conosciamo i proprietari tanto da fidarci della loro produzione. Nell’ultimo periodo, visto anche le molte intolleranze che nascono, stiamo collaborando con una nuova azienda la “Artigiana Vegana s.r.l.” per avere in menù una piccola selezione di prodotti vegani che oltre a richiamare quella fascia di clientela che non mangia prodotti animali, che però sappiamo essere ancora troppo esigua, può aiutare chi ha problemi di intolleranza a passare una serata in compagnia degli amici senza dover rinunciare a gustarsi una buona pizza e che non gli crei problemi.

La mia pizzeria compie 40 anni quest’anno e come io ho creato un rapporto di fiducia con i miei fornitori, allo stesso modo sono riuscito a creare un legame con i miei clienti che continuano a scegliere noi dandoci così la conferma che stiamo lavorando nel modo migliore.

La Pizza, Capolavoro Universale

Concludo con un pensiero di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura: “Il nostro è un paese che spesso nega le sue capacità. Eppure abbiamo tante eccellenze fatte anche da piccole aziende agricole. Noi italiani creiamo capolavori. Siamo invidiati nel mondo per il nostro saper fare.” Condivido pienamente. Aggiungo solo che la cosa importante che  dovremmo imparare, è comunicare meglio ciò che sappiamo fare e che ci invidiano nel mondo: il genio italiano.

Un po’ di dati :

  • I pizzaioli in Italia sono 2.000, considerando gli impieghi stagionali il numero arriva fino a 4.000.
  • In Italia si vendono 5 milioni di pizze al giorno, 56 milioni alla settimana, 1,6 miliardi all’anno.
  • Gli italiani mangiano circa 7, 6 kg di pizza pro capite. Negli USA il consumo è di 13 kg a persona.

Materie Prime

Frumento tenero

  • Numero aziende agricole con produzione abituale di grano tenero: 150.000
  • Superficie media coltivata: 600.000 ettari.
  • Produzione media: 2.900.000 tonnellate.
  • Valore totale medio della produzione: 550 milioni di Euro.
  • Prime quattro regioni produttrici: Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto.
  • Numero e fatturato imprese del settore molitorio: 230 molini con 2.500 milioni di Euro.
  • Numero e fatturato imprese del settore prodotti da forno: 1.200 con 5.000 milioni di euro.

La Mozzarella

  •  Allevamenti Bovini: oltre 32.000
  • Allevamenti Bufalini: circa 2.500
  • N’ Vacche da latte: 1,8 milioni.
  • N’ Bufale: 238.000 circa.
  • Produzione di latte vaccino: 11 milioni di tonnellate.
  • Produzione di latte bufalino: 194 mila tonnellate.
  • Mercato della Mozzarella di Vacca: 155,1 mila tonnellate, di cui per pizza 94,2 mila tonnellate.
  • Mercato della Mozzarella di Bufala: 38,8 mila tonnellate.
  • Valore di mercato della Mozzarella: 1,6 miliardi di Euro.

Pomodoro  da industria

  • Superficie media coltivata: 77.465 ettari.
  • Produzione media: 461.417,94 tonnellate.
  • Prime quattro regioni produttrici: Emilia Romagna, Puglia, Lombardia, Veneto.
  • Valore dell’export: 1.493 milioni di Euro.

Olio Extra Vergine di Oliva

  • Numero aziende agricole con produzione di olive: 775.783
  • Superficie coltivata: 1.141282 ettari.
  • Produzione olive: 217.162,44 tonnellate
  • Produzione olio 2013: 4.637.007
  • Valore dell’export: 1045 milioni di Euro.
  • Prime quattro regioni produttrici: Puglia, Calabria Sicilia e Campania.

Fonte: Dati Centro Studi Confagricoltura

La Pizza, "Capolavoro Universale"




Nadia Moscardi, ristoratrice abruzzese: “Dopo il terremoto non mi spaventa più nulla…”

In testata legumi adagiati su crema di buccia di patate con verdure croccanti, rapa rossa, cavolo viola, verza, spinacino e scaglie di tartufo.

Imparare a superare le difficoltà tempra il carattere e permette di scindere il superfluo dall’essenziale. Un terremoto come quello de L’Aquila, che a molti ha raso al suolo ogni certezza costruita negli anni, cambia la prospettiva delle cose. Così è stato per Nadia Moscardi, cuoca di ‘Elodia, il ristorante di famiglia a Camardia frazione de L’Aquila, raso al suolo dalle scosse e poi ricostruito. “Cinzia, noi siamo una famiglia unita, questa è la forza che ci ha permesso di andare avanti.” Condivido in pieno il suo suo pensiero. La famiglia è il vero punto fermo da cui trarre energia. Non è necessariamente una questione parentale, per me è soprattutto una questione di verità e di affetti sinceri, su cui contare nei momenti difficili.

Elodia, il nome di sua madre. Quarant’anni di attività che oggi continuano con un percorso legato ad una tradizione familiare Nadia Moscardigastronomica, portata avanti nel segno della Natura. Ho incontrato Nadia e la sua cucina, fatta di radici ed erbe spontanee, all’undicesima edizione di Identità golose 2015. Conclusa la sua presentazione, ho avuto modo di conoscerla attraverso scambi di vita e di esperienze, come è mia consuetudine fare, per capire meglio le persone e conseguentemente il loro operato.

A lei la parola…

  • Nadia, nel tuo intervento a Identità Golose hai citato diverse piante spontanee che raccogli personalmente nei campi. Mi riferisco al rosolaccio, alla piantaggine, al sedano d’acqua, ai semi di panace o ancora ai semi di lunaria. Da appassionata di erbe e di radici devo ammettere che alcune non le conoscevo. Perché non mettere a frutto questo tuo sapere insegnando alle persone a riconoscere queste piante, e soprattutto ad utilizzarle?

Questa è una bellissima idea! Sarebbe molto bello organizzare una giornata sul Gran Sasso con una bella passeggiata tra i boschi e i prati per raccogliere erbe, radici e fiori, e poi tornare nel mio ristorante per cucinarli. 

  • Sono convinta che il segreto per stare in salute sia nella natura. Se ti dico che ‘ci si cura mangiando’ cosa mi rispondi?

Credo fortemente in questa tua affermazione. La nostra salute dipende molto da quello che mangiamo. Siamo purtroppo presi da una vita troppo frenetica per curare al meglio la nostra alimentazione. Le erbe spontanee sono ottime per la nostra salute, specialmente mangiate crude. In questi giorni sono in elaborazione altre ricette con questi vegetali miracolosi.

  • Dopo alcune ricerche, come ti dicevo di persona, ho incominciato ad apprezzare sempre di più i semi, gli oli e le farine ottenute dalla canapa, una pianta che contribuisce a sanare i terreni inquinati, dai molti impieghi e dalle tante virtù terapeutiche. Sono certa che ho stuzzicato il tuo interesse.  Mi prepari un piatto con i suoi derivati quando verrò a trovarti?

Hai decisamente stuzzicato il mio interesse, infatti mi sto documentando molto sulla canapa e vedremo cosa succederà…

  • La pastinaca, un’antica radice bianca tipica aquilana che coltivi nel tuo orto. Mi dai qualche consiglio per cucinarla?

Cinzia, si può realizzare una crema di pastinaca facendo un frullato della radice e patate lessate, condita semplicemente con sale, pepe e olio extravergine di oliva. Oppure si possono fare del cips di pastinaca facendo delle sfoglie sottili della radice fritte.

  • A proposito della tua ‘amatriciana bianca’… mi spieghi di che cosa si tratta?

L’amatriciana bianca è un piatto della tradizione aquilana; sono spaghetti o maccheroni alla chitarra fatti con un condimento di guanciale e pecorino, con l’aggiunta di pepe o peperoncino. È una ricetta originaria della città di Amatrice che oggi si trova nel Lazio, ma che fino al 1927 è stata in provincia de L’Aquila. Una preparazione semplice in cui sono  fondamentali ingredienti di altissima qualità: il pecorino e il guanciale dei monti abruzzesi.

Si rosola in una padella di ferro il guanciale tagliato a striscioline, con un pizzico di pepe o peperoncino; si aggiunge la pasta e poi abbondante pecorino abruzzese. Il mio consiglio, per avere un risultato più cremoso, è quello di unire il pecorino e poca acqua di cottura in padella prima di versare la pasta.

Amatriciana bianca

Amatriciana bianca di Nadia Moscardi

www.elodia.it




Let’s Meast again, un evento speciale con gente speciale

Il mio incontro con lo chef Kotaro Noda

Il 10 Novembre scorso a Milano, presso la Fondazione Bertini, si è svolta “Let’s Meast again!” Un evento organizzato da ItaliaSquisita per far conoscere questa realtà, e per fare incontrare produttori e chef in occasione della presentazione del “Libro di Festa a Vico 2014”.

Gisella BertariniUna Fondazione voluta da Gaetano Bertini Malgarini, uomo impegnato ed editore che, vivendo il disagio del fratello Andrea, ha voluto dare un senso a questa sua esperienza. Un percorso di recupero sociale rivolto a persone con disagio psichico, minori in condizioni di difficoltà, rifugiati politici e ex detenuti, oggi portato avanti dalla moglie Gisella con la collaborazione della sorella Fiorella.

Per gli ospiti un’occasione unica per assaggiare le molte prelibatezze di noti chef che, in un’unica serata, difficilmente si ha l’occasione di trovare. Un invito speciale che ho accettato con piacere, dopo aver letto gli ‘ottimi ingredienti’ della serata. Come sempre non solo assaggi, ma incontri e conoscenza.

Sottolineo spesso quanto io ammiri la filosofia di vita giapponese. Riti antichi, ricerca della perfezione, armonia con la natura, rispetto per i tempi e per la persona. Ebbene, proprio per questo motivo, quando ho l’occasione d’incontrare persone di questo paese, con piacere scambio due chiacchiere. Così è stato anche in questa serata con l’incontro di Kotaro Noda, un giovane cuoco giapponese laureato in marketing e approdato in Italia ben quindici anni fa.

Dopo essermi presentata abbiamo incominciato a parlare delle cose più svariate, come è mia abitudine fare per capire le persone qualunque sia l’attività che svolgono. Intorno a noi c’era un gran fermento e un continuo passaggio di suoi colleghi che notavo non conosceva. Una cosa che mi piace fare è mettere in contatto fra loro le persone, ovviamente quando ritengo che insieme possano fare bene.

Incuriosita gli ho chiesto come è arrivato a lavorare in Italia. In realtà la passione per la cucina che nel tempo lo ha portato a diventare cuoco, è nata e si è sviluppata a Kobe, in Giappone, nel ristorante di Gualtiero Marchesi. Dopo la chiusura, seguendo lo chef Enrico Crippa, ha continuato la sua formazione in Italia fino al raggiungimento della stella Michelin, guadagnata durante l’esperienza all’Enoteca “La Torre  di Viterbo”.

Mentre parlavamo di abitudini e tradizioni dei nostri paesi una cosa l’abbiamo capita entrambi. L’Italia e il Giappone, nonostante le culture diverse, un punto in comune ce l’hanno. Come mi ha detto Kotaro Noda: “Siamo due paesi golosi del cibo che vogliono mangiare bene!”  Non ho avuto modo di assaggiare nulla di suo, ma mi sono ripromessa di farlo durante la mia prossima visita a Roma. Lo andrò a trovare al Bistrot64, il ristorante in cui sperimenta la sua cucina insieme allo chef Emanuele Cozzo, proprietario del locale.

Una serata di assaggi, di incontri ma anche di emozioni vissute ascoltando le esperienze dei ragazzi formati al lavoro attraverso i corsi di questa Fondazione. In particolare ho parlato a lungo con Michel Bravi, un giovane che ha frequentato un corso di grafica e uno di cucina.

Vi riporto le sue parole: “Qui ci siamo divertiti! Abbiamo imparato a cucinare, a mischiare gli ingredienti, colori, culture. Abbiamo imparato a volerci bene!




L’Oltrepò Pavese e San Gimignano a Milano. Mani esperte, buona accoglienza e… le mie gaffes!

Nella foto Stefano Forzoni [sTen]*, Giorgio Trovato ed Enrico Fiorentini fotografati durante una divertente gaffe di cui mi sono resa colpevole.

Giovedì 26 Giugno ho partecipato ad una serata di degustazione dedicata all’Oltrepò Pavese Cruasé e alla Vernaccia di San Gimignano. Assaggi di vini, di cibi e cuochi in scena. Protagonisti dello show cooking: Enrico Fiorentini, Executive Chef del Ristorante Il Canneto Sheraton Milan Malpensa, e Giorgio Trovato, Executive Chef dell’Hotel Villa Curina Resort di Castelnuovo Berardenga a Siena.

Fatte le doverose presentazioni, be’, c’ero anch’io, come sempre piacevolmente accolta allo Sheraton Milan Malpensa. Qui mi fermo un attimo per una doverosa premessa, che a voce ripeto spesso, ma che non ho mai scritto.

Ricordo la prima volta in cui sono stata in questo hotel. La mia prima impressione dall’esterno, vista la sua posizione davanti all’aeroporto, fu di un’ambiente adatto ad una sosta di passaggio, dove la gente, frettolosamente, entra ed esce. Ebbene, non è così.

L’atmosfera che si vive, e che ho sempre vissuto ogni qualvolta io mi sia fermata li, è di cortesia, di buone maniere, ma soprattutto di tranquillità. L’ambiente elegante, accessibile e dai grandi spazi, non fa avvertire per nulla il ritmo frenetico che ci si aspetterebbe da un hotel in questa posizione. Sono requisiti, per me, tra i più importanti. Significano buona accoglienza e un sicuro ‘passaparola’, il metodo più amato dagli italiani.

Non dimentichiamo che le aziende sono fatte dalle persone, e le persone come sempre fanno la differenza in qualsiasi realtà. Avere un rapporto sano e corretto con il proprio personale, influisce positivamente sul lavoro e conseguentemente sulla soddisfazione finale dell’utenza. Un vero investimento sulla qualità dell’accoglienza, che incide in modo rilevante sui risultati.

Scuserete la mia lunga premessa, ma oltre a raccontare di eventi, amo dare un senso a ciò che scrivo. Tornando alla serata coordinata da Carlo Vischi  del ciclo “Il vino è il viaggio… il bicchiere è il suo mezzo”, alla quale ho partecipato accettando con piacere l’invito dell’amica Micaela Scapin, bè, che dire… che ho assaggiato vini e ho assaporato cibi interpretati da mani esperte che ora vi presento.

  • Enrico Fiorentini

Dal 2010 Executive Chef del Ristorante Il Canneto Sheraton Milan Malpensa. La sua, una formazione multiculturale grazie alle esperienze fatte in Italia e in svariati paesi all’estero.

Con Enrico ci si conosce da tempo. Come sempre bravo, simpatico e un po’ pazzo. Ci sta anche quello… Diffido di chi non si lascia andare di tanto in tanto. Se volete conoscere l’uomo oltreché il professionista, vi consiglio la lettura di una nostra ‘chiacchierata’ di qualche tempo fa nata dalla fotografia di un suo piatto. Ne riporto un passaggio.

“Enrico Fiorentini, lo chef, ma soprattutto l’uomo”

“Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti.  Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata. Al pensiero sorrido ancora… Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro…”

(Per continuare a leggere clicca qui)

  • Giorgio Trovato

Executive Chef dell’Hotel Villa Curina Resort di Castelnuovo Berardenga a Siena. E’ fondatore della ‘Trovato Food Project’, società di consulenza nella ristorazione. Inoltre è presidente e docente della Federazione Italiana Professional Personal Chef (Fippc) che, attraverso corsi di aggiornamento, si pone come obiettivo la formazione e l’aggiornamento dei cuochi.

Il mio incontro con Giorgio è avvenuto in modo divertente. Diciamo che, per un’incomprensione iniziale, mi era sembrato un tipo un po’ altezzoso. Proprio per questo mi ero ripromessa, appena mi si presentava l’occasione, di dargli una ‘sistemata scherzosa delle mie’. Peccato che, facendo una clamorosa gaffe, ho sistemato la persona sbagliata!  😉

Mi spiego… Non essendo molto fisionomista ho scambiato Giorgio con il povero Stefano Forzoni, più conosciuto come [sTen]* (stenblog.com). Il poverino, perplesso, ascoltava senza riuscire a capire… e nemmeno a parlare! Volete sapere com’è finita? Be’, mi è toccato ripetere la manfrina al vero colpevole, che poi colpevole non lo era affatto! Una volta chiarito l’equivoco, dopo un’inevitabile sonora risata, ho rapito lo chef per conoscerlo meglio, raccontandoci come piace a me, con uno scambio alla pari di esperienze di vita.

Calabrese di nascita, ma senese di adozione, nonostante aver conseguito la laurea in giurisprudenza, ha trasformato l’amore per la cucina che gli ha trasmesso la nonna, nella sua professione. La sua, una cucina intesa soprattutto come seduzione, convinto che, l’attesa primaria di chi si esprime attraverso la preparazione dei piatti, si realizzi appagando i sensi e dando piacere e ricordo nel tempo.

Cosa mi è piaciuto più di Giorgio? La semplicità e la simpatia con cui ha reagito alle mie piccole provocazioni, ma soprattutto mi è piaciuta la sua attenzione all’agricoltura, alle tradizioni e ai prodotti autentici della terra. Dico spesso che i ristoratori, con le loro scelte verso le produzioni, possono molto sia per i territori che per le loro economie. Cucinare è molto più che preparare un piatto.

Alessia Bianchi e Stefano Forzoni, alias Sten

Con Alessia Bianchi e Stefano Forzoni [sTen]*

 

 




Social Veg, la Cucina di Antonio Marchello in chiave Social


Social Veg, un progetto di Antonio Marchello per far conoscere, interagire e preparare un piatto vegano o vegetariano attraverso il web. Antonio, il Robin Food del web, è chiamato così dai suoi allievi per la determinazione con cui si impegna, nel portare nelle case degli italiani, le tecniche della cucina. I vantaggi sono presto detti.

Innanzitutto i costi contenuti rispetto ai corsi tradizionali, poi la possibilità di interagire in chat con la community e lo staff in diretta streaming, e infine, per chi non ha modo di spostarsi fisicamente, l’opportunità di poter accedere da casa propria, ad una vera lezione di cucina.

E’ sufficiente registrarsi su www.socialveg.it. Dopo aver ricevuto una mail con gli ingredienti e il materiale necessario, seguire l’appuntamento su www.socialveg.it/diretta-video. Guidati dalle mani esperte di Antonio in meno di un’ora insieme, verrà realizzato il piatto del giorno.

Quando mi è stata segnalata questa iniziativa, ho voluto conoscere come mi è consueto fare, la persona protagonista del progetto: Vi presento Antonio Marchello. 🙂

Antonio Marchello - Fotografia di Monica Placanica

Antonio Marchello

Antonio ha vissuto sin da piccolo la cucina grazie alla passione che gli ha trasmesso sua madre. Un’ottima cuoca che lo ha educato alla cucina come luogo ideale per riunire tutta la famiglia. Un ambiente che da allora, in un certo senso, non lo ha mai abbandonato.

Già dai tempi scolastici, durante le vacanze estive, ha cominciato a formarsi lavorando in diversi ristoranti fino a quando, a ventiquattro anni, la decisione di aprirne uno tutto suo. Le successive esperienze all’estero sono state poi determinanti nelle scelte e nei cambiamenti di rotta.

Tornato in Italia, dopo un periodo lavorativo passato a New York, la decisione di lasciare il ristorante per diventare un personal chef  ha dato una nuova svolta alla sua vita. L’idea di essere a casa delle persone per poter cucinare su misura, entrando in qualche modo più direttamente nelle loro vite, lo attirava molto. La verità è che le persone creative hanno bisogno di continui stimoli. Una necessità che capisco molto bene, e di cui io stessa non riesco a fare a meno.

Da poco, oltre alla nuova avventura di social kitchen e social veg, ha soddisfatto un’altra sua grande passione: il teatro. Insieme a MaxPisu, per la produzione Bananas-Zelig, sta portando in tour lo spettacolo teatrale “Max ter Chef” che lo vede protagonista sul palco in uno showcooking in salsa comica.

Per Antonio la chiave giusta è tutta qui: divertirsi lavorando. Ora che lo conoscete un po’ meglio direi che è proprio il caso di passare a lui la parola.

  • Antonio, vogliamo parlare di Social Veg?

Certo Cinzia! Come per social kitchen, anche Social Veg offre ad ognuno la possibilità di cucinare in diretta con noi, da casa propria, senza trucco e senza inganno. Stessi ingredienti, stessa attrezzatura, stessi tempi e stessa voglia di passare insieme un po’ di tempo in cucina. Alla fine avremo preparato tutti un buon piatto da portare a tavola e da degustare da soli o in compagnia.

Social Veg

  • Social Veg è nato dopo Social Kitchen. Com’è andata la tua prima esperienza con la cucina social sul web?

Gli inizi non sono stati semplici. Quando raccontavo la mia idea spesso mi sentivo dire che non avrebbe funzionato e che nessuno si sarebbe messo ai fornelli insieme a me seguendomi sul web. Ma io non  ho desistito, finché un giorno ho incontrato un altro “folle” come me che ha creduto in questo progetto. Da allora Alessandro Lucianò, con la sua Excogitanet, è l’anima tecnologica di Social kitchen e di Social Veg. Credo di aver trovato finalmente un compagno di giochi con cui divertirmi nel creare e progettare sempre qualcosa di nuovo. Le persone a casa lo percepiscono e gli ascolti delle trasmissioni ne sono conferma.

  • Cucinare solo per se stessi porta spesso a non incentivare la voglia di mettersi ai fornelli. Hai suggerimenti per superare questo freno?

Anche in questo caso suggerisco di utilizzare un po’ di fantasia, un ingrediente essenziale per me. Dimenticate di essere soli. Piuttosto mandatevi un bell’invito, sia sms, via mail, con un bigliettino, un post it, come preferite. Ma fatelo davvero. Invitatevi a cena! Poi preparatevi qualcosa di buono, apparecchiate per bene e presentatevi al vostro appuntamento ben vestiti e magari con una buona bottiglia di vino. Sono certo che tra tutti gli ospiti che avete potuto ricevere in vita vostra, passare un po’ di tempo con voi stessi vi riserverà delle piacevoli sorprese!

  • Dalle tue parole credo di aver capito che la possibilità di offrire a tutti coloro che si vogliono cimentare in cucina, con un confronto e una condivisione, sia stata la molla che ti ha spinto a sperimentare i canali social di cui tra l’altro io stessa sono un’accanita sostenitrice. E’ così?

Io credo molto nella tecnologia e nel progresso, specie se vengono associati a quell’imprescindibile aspetto umano. La cucina di per sé , è sempre stata in qualche modo condivisione, esattamente come per i social. E’ da questo concetto che è nata l’idea di creare, anche solo virtualmente, la cucina più grande e la tavola più lunga d’Italia, ma non solo, visto che abbiamo un seguito anche dall’estero. Una  vera e propria grande famiglia che mi piace molto!

  • Secondo te c’è speranza per chi come me in cucina è come dire… un pochino una frana?

Certo che c’è speranza, e non solo!  Come diciamo noi a social kitchen e a social veg “la cucina deve essere alla portata di tutti”. Cucinare per credere… Anzi, sei ufficialmente invitata a cucinare con me in diretta!

Caspita, sono stata sfidata! A questo punto non mi rimane che accettare! State pronti, ma soprattutto, state collegati su Social Veg! 😉

Fotografie di Monica Placanica

 

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