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Chi aspetta la manna dal cielo è meglio che si metta sotto un frassino!

“Aspetta che piova la manna dal cielo…” Una metafora che ciascuno di noi ha certamente usato – soprattutto di questi tempi – per definire un atteggiamento passivo che non apporta miglioramenti ne’ soluzioni ad un problema. Un’espressione la cui origine risale ad uno scritto della Bibbia, in cui si racconta la caduta miracolosa di cibo dal cielo che ha sfamato gli ebrei durante la marcia nel deserto.

In realtà la manna, presidio Slow Food che pochi conoscono, è una sostanza zuccherina estratta da alcune varietà di frassino. Una secrezione impiegata nell’antichità da greci e romani per le sue proprietà curative, che i medici arabi chiamarono così per le affinità con l’episodio biblico. Ebbene, ho deciso di scriverne dopo aver conosciuto un produttore all’ultima edizione di “Fa la cosa giusta”, la Fiera Nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili.

Valerio Onorato, dell’azienda agricola biologica La Manna di Zabbra di Pollina, in provincia di Palermo, è uno degli agricoltori del Parco delle Madonie che custodisce e valorizza questo prodotto. Un’antica tradizione che si è sviluppata sin dal 1500 in Sicilia, in Campania, in Puglia, in Toscana e in Calabria, zona di maggiore estrazione, che dall’inizio del secolo non è più praticata come un tempo.

Un abbandono conseguente alle produzioni industriali di mannitolo di sintesi, estratto dal melasso di barbabietola, che ha progressivamente fatto diminuire la richiesta di manna sul mercato. Pensate che fino agli anni ’50 la coltura del frassino per la produzione della manna, era portata avanti da alcune migliaia di ‘contadini mannari’.

Ma cos’è la manna?

manna

> La manna è una linfa quasi trasparente che fuoriesce da incisioni sul tronco del frassino fatte da mani esperte.

> Una soluzione dal gusto dolce amaro che a contatto con l’aria si solidifica, fino a formare dei cannoli.

> Il suo sapore varia in base alla tipologia del frassino e del suo ambiente circostante.

> E’ un dolcificante naturale che non altera i valori glicemici, quindi consigliato ai diabetici.

> Utile per le sue proprietà depurative e disintossicanti, è utilizzata in molte preparazioni, tra cui dolci e gelati.

 

Si ringrazia per le immagini  la Pro Loco di Castelbuono – www.prolococastelbuono.it

 




Regione che vai, amaretto che trovi.

Quando si parla di amaretti, il mio primo ricordo va alla Gisella, la mia nonna paterna mantovana. Un’ottima cuoca amante della tradizione e delle materie prime di qualità. Da ragazzina passavo molto tempo con lei, la seguivo durante le sue preparazioni e l’ascoltavo incantata nei suoi racconti. I nonni sono figure speciali, che, con parole semplici, sanno trasmettere ai bambini insegnamenti che difficilmente si dimenticano col passare degli anni. Tra i suoi piatti, in particolare, ricordo i tortelli di zucca mantovana. Un impasto delicato con un ripieno dal sapore dolce piccante dato dagli amaretti e dalla mostarda piccante.

Il dolce amarognolo degli amaretti.

Gli amaretti oltre ad essere apprezzati semplicemente così, come buoni biscotti, sono anche utilizzati in molte ricette. Il loro sapore dolce amarognolo è dato dalle mandorle e dalle armelline, il seme presente nel nocciolo delle albicocche, di cui però si deve limitare il consumo, affinché non diventi tossico. In provincia di Asti, nell’azienda “Le dolcezze del Pep“, durante una visita ho seguito con interesse le fasi della loro lavorazione artigianale. Un semplice impasto ottenuto con la giusta proporzione di mandorle, armelline, zucchero e albume d’uovo. In Italia la coltivazione del mandorlo, tranne che per alcune eccezioni nel settentrione, è diffusa soprattutto nelle regioni meridionali, territori in cui questa pianta trova il suo habitat ideale.

Regione che vai, amaretto che trovi.

Il Piemonte è la regione italiana che vanta, relativamente a questa tipicità, più preparazioni artigianali. Sono noti gli amaretti di Mombaruzzo, quelli di Valenza, di Acqui, di Gavi e di Ovada. In Liguria sono conosciuti quelli di Sassello e in Lombardia quelli di Saronno e di Gallarate. Nel Modenese vantano una lunga tradizione quelli di Spilamberto, mentre in Sardegna, grazie alla diffusa coltivazione del mandorlo, sono noti gli  “amarettos de mendula”. Solo per citarne alcuni.

Normativa a tutela della denominazione “Amaretto” e  “Amaretto Morbido”.

A tutela del consumatore il Ministero delle Attività Produttive e delle Politiche Agricole e Forestali ha elaborato una normativa, che qui di seguito riporto, a garanzia della denominazione dell’Amaretto e dell’Amaretto Morbido. Per entrambi in etichetta deve essere indicata la percentuale di mandorle e armelline presenti.

  • La denominazione “Amaretto” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta secca avente forma caratteristica tondeggiante, con struttura cristallina e alveolata e superiore screpolata, e gusto tipico di mandorla amara, con eventuale aggiunta di granella di zucchero. Il prodotto presenta una percentuale di umidità inferiore al tre per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%,mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 13% di mandorle complessive, albume d’uovo di gallina.
  •  La denominazione “Amaretto Morbido” è riservata al biscotto di pasticceria a pasta morbida avente forma caratteristica tondeggiante, con superficie superiore screpolata. Il prodotto deve presentare una percentuale di umidità almeno dell’otto per cento. Gli ingredienti obbligatori sono: zucchero (saccarosio), mandorle di albicocca (armelline), con contenuto di grasso superiore al 45%, mandorle, singolarmente o in combinazione, in quantità tali da garantire non meno del 35% di mandorle complessive; albume d’uovo di gallina. (Le percentuali dei due tipi di mandorle vanno indicate separatamente).

Non ci resta che leggere con molta attenzione le etichette, oppure, per chi volesse cimentarsi, preparare con buoni ingredienti degli amaretti casalinghi.

Amaretti fatti in casa

> Dosi :

  • 200 grammi di mandorle dolci
  • 50 grammi di mandorle amare (o armelline)
  • 180 grammi di zucchero
  • 4 albumi d’uovo

> Preparazione :

  • Sgusciare le mandorle e porle in acqua bollente per un paio di minuti.
  • Pelarle, farle tostare in forno caldo per dieci minuti, e, dopo avere unito lo zucchero, pestarle bene in un mortaio.
  • Aggiungere gli albumi e impastare fino ad ottenere un composto omogeneo da cui si ricaveranno piccoli biscotti rotondi.
  • Porli su una teglia da forno imburrata (o carta da forno), e cuocere a 160 gradi per circa 20 minuti.
  • Gli amaretti, una volta raffreddati, vanno conservati in ambiente asciutto.

Le Dolcezze del Pep – Regione Prata, 95 – Incisa Spatacino (AT)

info@ledolcezzedelpep.com




Bresaola… A Chiavenna la chiamano Brisaola.

Un tour per la Valchiavenna: La Brisaola di Stefano MasantiPalazzo Vertemate Franchi – Mamete Prevostini

L’importanza della Tracciabilità degli Alimenti.

Partiamo da qui, da questo prodotto tipico che, se fatto artigianalmente, utilizza carne di bovino e non di zebù, come solitamente avviene nell’industria. Carne stagionata con sale, aromi e spezie, la cui lavorazione è fondamentale quanto l’ambiente. In Valchiavenna la presenza dei crotti, grotte naturali utilizzate dalle comunità locali per conservare salumi e formaggi, è determinante per la giusta stagionatura di questi prodotti. La particolarità di queste cavità naturali formate da massi di rocce è il ‘sorel’ (dalla forma dialettale “sorà”, ventilare). Una corrente d’aria che fuoriesce dagli spiragli e che permette di mantenere una temperatura ideale senza grosse variazioni, fresca e umida in base alla stagione.

Prodotti tradizionali che gli artigiani seguono con cura e che per questo vanno difesi. Questo per sottolineare l’importanza di un controllo cheQR garantisca il percorso di un prodotto, dal produttore fino al consumatore: la Tracciabilità degli Alimenti. A questo proposito Stefano Masanti, cuoco, artigiano e patron del Ristorante “Il Cantinonea Madesimo, con la sua “Ma! Officina Gastronomica” (Ma come Masanti, Madesimo e Maglio, suo collaboratore), ha avviato un progetto in tal senso attraverso un’etichettatura che utilizza il codice QR. Un codice a barre che attraverso l’apposita applicazione, permette di risalire con la lettura dal cellulare ad informazioni utili per conoscere l’origine dei prodotti. La sua, una Brisaola senza nitriti aggiunti, prodotta artigianalmente a quota 1.550 metri,  dove l’aria di montagna è più asciutta.

Una giornata passata insieme ad un gruppo di persone legate al mondo della comunicazione enogastronomica, che mi ha permesso di assaggiare le sue creazioni e di degustare eccellenti vini valtellinesi raccontati dai vignaioli presenti con noi durante il pranzo. Stefano Masanti, cuoco e artigiano, una vita molto intensa ed impegnata, che spesso non da spazio ad altro. Si è parlato anche di questo. A breve, con sua moglie, partirà per la California per qualche mese, per lavoro, ma con ritmi diversi. Prendersi il proprio tempo è essenziale per continuare a fare bene.

Ristorante Il Cantinone – Via De Giacomi, 39 Madesimo (SO) www.ristorantecantinone.com

Palazzo Vertemate Franchi

Nel pomeriggio, con un piccolo gruppo, ci siamo spostati a Prosto di Piuro per visitare Palazzo Vertemate Franchi. Una bellissima dimora lombarda cinquecentesca, capolavoro rinascimentale, dalla facciata sobria ma dagli interni ricchi di affreschi e di arredi dell’epoca. Una tenuta in cui è ben visibile l’attività agricola che in passato sosteneva la famiglia Vertemate Franchi. Un vigneto, un frutteto, una cantina e una ghiacciata. Non manca nemmeno un fantasma, ben conosciuto dalle signore per i ‘noti’ scherzi notturni…

Palazzo Vertemate Franchi, aperto da Marzo a Novembre. www.palazzovertemate.it Piazza Caduti della Libertà –  Chiavenna (SO)

Mamete Prevostini

Non si può finire una giornata in Valchiavenna senza aver mangiato dei buoni pizzoccheri con verze e patate. A dirla tutta stavolta ho fatto il bis, o meglio, ho assaggiato anche dei gnocchetti bianchi di Mese preparati con farina bianca e mollica di pane, che da queste parti chiamano pizzoccheri bianchi. Buoni e delicati. Il Ristorante Crostasc a Mese, in provincia di Sondrio, è stato il primo crotto in Valchiavenna ad aprire al pubblico nel 1928. Da ormai tre generazioni la famiglia Prevostini conduce questo locale, ora ristorante, con una cucina tipica che richiama la tradizione enogastronomica di queste valli.

A tavola a fianco a me Mamete Prevostini, viticoltore di Valtellina. In quest’area vitivinicola nota per i suoi terrazzamenti coltiva il suo Nebbiolo. La nuova cantina con sede a Postalesio, sempre in provincia di Sondrio, ha ottenuto recentemente la certificazione CasaClima Wine. Un marchio di qualità dell’Agenzia CasaClima di Bolzano a tutela dell’ambiente, che garantisce l’ecocompatibilità, l’efficienza energetica dell’edificio, e l’ottimizzazione dei consumi delle risorse dell’intera filiera produttiva del vino.

Ristorante Crotasc Via Don Primo Lucchinetti, 63  Mese (SO) www.ristorantecrotasc.com www.mameteprevostini.com

Al prossimo tour…




La creatività artigianale e il valore della lentezza: la granita siciliana di Antonio Cappadonia.

“Ci siamo dimenticati il valore della lentezza. La creatività dell’artigiano ha bisogno di tempo. Il prodotto ha bisogno di studio.” Antonio Cappadonia

Identità Golose 2016, il congresso internazionale di cucina svoltosi a Milano dal 6 all’8 marzo, che, come ogni anno, ha visto alcuni protagonisti della ristorazione italiana raccontare se stessi attraverso le proprie creazioni. In questa edizione ho avuto il piacere di conoscere Antonio Cappadonia, maestro gelatiere palermitano doc, vincitore di numerosi concorsi. Ascoltandolo nella semplicità delle sue parole, ho avvertito la concezione del gelato inteso come prodotto della natura e della tradizione, la cui giusta preparazione esclude componenti ed elaborazioni chimiche. Un’esperienza che Antonio ha maturato negli anni grazie agli insegnamenti ricevuti e all’attività svolta nella gelateria omonima situata a Cerda, sua cittadina nativa sui monti delle Madonie.

Un incontro che ho vissuto intensamente ascoltando l’appassionante racconto di Antonio sull’origine storica della granita. Ricordo ancora quando mio figlio, qualche anno fa dopo una vacanza passata in Sicilia, entusiasta mi parlava della colazione tipica di quelle parti a cui non era abituato, e di cui, tornato a casa, aveva molta nostalgia. Mi riferisco alla granita al caffè con panna e brioche. Una tipicità che, citando le parole di Antonio, passa attraverso la storia e la cultura del territorio della Sicilia.  Quando la moderna tecnologia non c’era, la neve, dopo essere stata raccolta sull’Etna durante l’inverno, veniva conservata in ‘neviere’, apposite cavità naturali o costruzioni in pietra adatte a contenere il ghiaccio, poi venduto e utilizzato per la preparazione di gelati e granite. I ‘nivaroli’ dell’Etna, coloro che svolgevano questa attività di conservazione prettamente invernale, venivano considerati veri e propri professionisti del ghiaccio. Neve e sale appositamente mischiati e inseriti in un pozzetto, per ottenere quell’effetto freddo che permetteva la preparazione della granita siciliana.

Antonio Cappadonia a Identità Golose 2016

Antonio Cappadonia a Identità Golose – Fotografia di Brambilla/Serrani

Dallo sherbeth e dalle neviere. Il Medio Oriente e la Sicilia si sono fusi e confusi in una storia senza confini, che è diventata abitudine, che si è ridefinita con lo sviluppo delle tecnologie adatte, che ha preso la neve prima trasformandola in ghiaccio e sale e poi nei moderni congelatori/pozzetti, e che ha simboleggiato nel mondo una fioritura siciliana senza nessun compromesso. La granita sta alla Sicilia come l’anima all’immortalità, è insondabile e inscindibile. La granita è la forma siciliana più rituale della territorialità senza tempo. La territorialità la ritroviamo nella sublimazione della materia prima, nei limoni del territorio cerdese, nel mandarino di Ciaculli, nelle fragoline di Ribera, nel pistacchio di Bronte e nella mandorla di Noto, il senza tempo attiene ad un atto profondamente culturale, quasi politico, di partecipazione ad un’usanza sempre uguale a se stessa, pubblica e assolutamente contestuale alle varie ore della giornata.

Chi avrà occasione di andare in Sicilia, assaggiandola, constaterà come da provincia a provincia subisca alcunegranita al caffè variazioni. A Messina, ad esempio, la granita è piu’ morbida per inzuppare meglio la brioche, mentre nel catanese, e in alcune aree del sud Sicilia e nel palermitano, è piu’ compatta, al punto da poter essere messa anche dentro le brioches. Qualche giorno fa ho avuto modo di parlare a lungo con Antonio, per conoscere la persona e per capire meglio l’arte del suo mestiere. Leggendo le sue parole in un primo scambio di contatti, ho avvertito la gentilezza e lo stile garbato di un tempo, quasi a ricordare la scrittura di una lettera più che una sintetica mail di circostanza. Mi ha sorpreso però la sua decisione di chiudere la nota gelateria di Cerda. D’altronde, come mi ha spiegato, ci sono momenti in cui l’esigenza di fermarsi e di riflettere è essenziale per continuare a dare il meglio di se stessi. Un pensiero che condivido, anche perché, spesso, la vita ci sorprende con incontri fortuiti da cui nascono nuovi progetti. Così è stato per Antonio Cappadonia.

Cominciando dalla mattina, da quella brioscia intinta dentro una granita al caffè “mezza con panna”, fino ad arrivare al dopo cena, a qualcosa di digestivo e dissetante insieme, un agrume del territorio senza concessioni e senza sofisticazioni. Per completare la gamma di possibilità, rendendo l’esperienza un gesto cromatico, esperienziale e assolutamente gastronomico. E così da Principessa, l’innovativa mantecatrice diretta in carapina messa a punto insieme a Stefano Grandi, al tino di legno con all’interno un “pozzetto”, in cui sale/ghiaccio servono da refrigerante e non più da ingrediente, la “mantecazione” viene vista attraverso gli occhi del nevaiolo, attraverso quelli dello sperimentatore ma soprattutto attraverso quelli dell’artigiano. Il futuro e il passato che continuano a fondersi e a confondersi in un discorso che mantiene al centro il fine/il gusto, facendo ruotare i mezzi per raggiungerlo, corroborando senza sosta l’idea che la migliore delle evasioni è quella che si fa in una giornata qualunque di una piazza qualunque, stupendosi delle possibilità di uno straordinario territorio prima mai mostratosi così.”

Fare colazione in Sicilia richiede tempi lenti. Chi ha fretta, certamente non potrà godere appieno di questa specialità antica giunta a noi dopo la dominazione araba.

Ringraziamenti ad Annelies Somers per la fototografia della coppa di granita e a Brambilla-Serrani per le fotografie di Antonio Cappadonia.




Parliamo di tartufi? O meglio, li coltiviamo?

Il tartufo, un fungo ipogeo che evoca profumi e sapori, per chi li apprezza, che evoca piante e boschi, per chi ama la natura, che evoca un rapporto di fiducia e di rispetto con il migliore amico dell’uomo… e della donna: il cane da tartufi.

Durante i miei giorni trascorsi a Savigno, al seguito di Remo Guidotti, tartufaio per eccellenza e Presidente dell’Associazione Tartufai Savigno-Valsamoggia, ho conosciuto direttamente “sul campo” le difficoltà e le esigenze che scaturiscono dalla sua raccolta. La salvaguardia dell’ambiente, come sempre, è un fattore determinate.

Ma come si forma un tartufo?

Il tartufo è un fungo sotterraneo che si forma in terreni freschi e umidi a circa 15-20 cm. diTipologie tartufi profondità. Ha un corpo fruttifero le cui dimensioni variano a seconda della specie, delle condizioni climatiche, e del terreno. Formandosi sottoterra, non acquisisce le sostanze organiche attraverso la fotosintesi clorofilliana, ma dalle radici di piante con cui istaura un rapporto di simbiosi e da cui assorbe sostanze vitali.

Le piante tartufigene sono prevalentemente la Roverella, il Pioppo, il Salice bianco, il Tiglio, il Carpino nero e il Nocciolo. Detto da esperti, da quest’ultimo si forma un tartufo bianco davvero speciale. A Savigno, in collaborazione  con  l’Università di Bologna, utilizzando delle piante micorizzate, cioè con radici in cui sono presenti le spore da cui hanno origine i tartufi, si sta creando un bosco per la loro coltivazione. Sperimentazione molto interessante.

Esistono differenti tipologie. Secondo il nostro ordinamento, ad uso alimentare, se ne possono raccogliere e commercializzare otto varietà. Nei colli bolognesi, oltre al tartufo bianco pregiato che matura in autunno fino all’inizio dell’inverno, da Gennaio ad Aprile si può trovare il tartufo nero e il bianchetto, chiamato anche Marzuolo. Da Giugno a Novembre, si può trovare il tartufo estivo, chiamato anche Scorzone.

Modalità di ricerca e raccolta.

L’attività del tartufaio, oltre a richiedere un corso e il rilascio di un patentino, è regolamentata da alcune norme. Ad esempio: la ricerca e la raccolta è vietata durante le ore notturne. Inoltre, nelle zone istituite a parco o riserva naturale, è regolamentata da normativa specifica locale per garantire il rispetto del territorio.

Il cane da tartufi.

Il Lagotto romagnoloIn passato per la ricerca dei tartufi venivano impiegati i maiali, o meglio ancora le scrofe, che, grazie al loro fiuto finissimo, facilitavano particolarmente la ricerca. Oggi questo compito viene assolto dal cane da tartufo, le cui doti olfattive vengono migliorate con un addestramento che inizia sin dalla nascita.

Con piccoli accorgimenti dettati dall’esperienza, si completa la sua preparazione all’anno di età. Ad esempio, durante l’allattamento dei cuccioli, viene utilizzato dell’olio al tartufo spalmato sui capezzoli della mamma. Si passa poi ai biscotti aromatizzati, e cosi via. Alla fine dell’addestramento, il cane ne risulterà così ghiotto da rendere necessario un attento controllo durante la ricerca, affinché lo stesso non divori il pregiato bottino.

E’ possibile preparare qualsiasi cane, il Lagotto romagnolo però, cane di taglia media da riporto in acqua, è la razza ufficiale per la ricerca del tartufo. Si distingue per l’ottimo fiuto, per la fedeltà, e per il carattere dolce e affettuoso. La sua tutela e valorizzazione è garantita dal Club Italiano Lagotto di Bagnara di Romagna, in provincia di Ravenna.
Una curiosità. Il comune di Savigno, nel suo centro storico, ha dedicato al rapporto speciale che si instaura tra cane e tartufaio una scultura tematica del maestro maceratese Francesco Roviello.

Dalla raccolta alla tavola. Ecco una preparazione che ho avuto il piacere di assaggiare nella “Vecchia osteria” di Ponzano a Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Deliziosi gnocchetti di patate al tartufo bianco pregiato di Savigno, preparati dalla signora Luisa, cuoca e titolare.

Legge del tartufo: 10 grammi per un primo piatto – 5 grammi per un antipasto o per un contorno.

Gocchetti al tartufo bianco

Vecchia Osteria di Ponzano – Via Valle del Samoggia Ponzano Castello di Serravalle (BO) Tel. 051 6703009

 

Fonti: “Conoscere i tartufi” di Gilberto Govi, Alessandra Zambonelli e Marco Morara. – Associazione Tartufai Savigno Valsamoggia – U.M.I Centro di Micologia dell’Università degli Studi di Bologna




Savigno, terra di tartufo e di persone unite dalla voglia di fare.

32’ edizione del Festival Internazionale del tartufo bianco di Savigno, Valsamoggia (BO)

Si è appena concluso il secondo week-end della 32’ edizione del Festival Internazionale del tartufo bianco di Savigno. Chi non ha avuto modo di partecipare, può farlo durante l’ultimo appuntamento che si svolgerà il 14 e il 15 Novembre 2015. Savéggn, Savigno in dialetto bolognese, una piccola cittadina che dal 1’ Gennaio 2014 è entrata a far parte del Comune di Valsamoggia, in provincia di Bologna. Ho passato qui il mio ultimo fine settimana, avvolta dai magnifici colori autunnali dei colli bolognesi, e inebriata dai profumi di tartufo.

La voglia di fare delle persone fa la differenza nella promozione dei territori.

Una manifestazione di lunga data che, grazie alla voglia di fare dei suoi cittadini, ha permesso l’offerta di numerose proposte culturali e gastronomiche. Con il patrocinio della Valsamoggia, molti volontari insieme alla ProLoco e alle Associazioni locali, cito in particolare l’Associazione Tartufai della Valsamoggia e l’Ascom, hanno reso possibile il successo di una fiera che ha visto protagonista il tartufo e il suo territorio.

Il protagonista: il tartufo.

Il tartufo evoca profumi e sapori… per chi li ama. Evoca natura, piante e boschi. Evoca persone, che con il migliore amico dell’uomo, e aggiungo della donna, instaurano un rapporto di fiducia e di rispetto. Il tartufo, un fungo ipogeo (che vive sottoterra), ricercato e amato da molti. Durante i miei giorni trascorsi a Savigno, al seguito di Stefano Barbieri, guida ambientale, e di Remo Guidotti, tartufaio per eccellenza e Presidente dell’Associazione Tartufai Savigno-Valsamoggia, ho conosciuto direttamente “sul campo” le difficoltà e le esigenze che scaturiscono dalla sua raccolta. La salvaguardia dell’ambiente, come sempre, è un fattore determinate. Di questo però ve ne parlerò più avanti.

Un aiuto alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica FFC.

Unire l’utile al dilettevole. Fare del bene promuovendo il territorio senza mai dimenticare chi vive difficoltà che solo la ricerca può aiutare. Per questo motivo il ricavato della cena al tartufo del 7 Novembre a cura dello chef Igles Corelli, a cui hanno partecipato gli umoristi ZAP&IDA con le loro simpatiche vignette e calembour (giochi di parole illustrati), verrà devoluto alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica FFC. www.fibrosicisticaricerca.it

Le botteghe storiche di Savigno.

Amando la storia e le botteghe di paese, che spesso definisco quasi delle proloco permanenti rappresentative delle tipicità del territorio, non ho potuto che apprezzare le classiche insegne dei negozi nel centro storico di Savigno. Una più bella dell’altra. Entrando nella “Bottega del macellaio”, tipico locale di un tempo risalente al 1898, ho conosciuto così Guido Mongiorgi. Dal 1969 da continuità all’attività di macelleria-salumeria avviata dai nonni con la collaborazione della moglie. Una gentile signora siciliana che ha apportato qualche ritocco alla cucina bolognese di famiglia, dandogli maggiore leggerezza grazie all’uso di buon olio extra vergine di oliva.

Durante la visita, oltre ad apprezzare la qualità delle materie prime e la presenza di molte tipicità locali, ho visitato un piccolo museo. In effetti Guido ha trasformato lo scantinato in un’accogliente sala degustazione in pietra con numerosi oggetti e utensili di famiglia di un tempo, raccolti e ben conservati negli anni.  Un luogo ideale per fare balotta, la merenda bolognese tra amici il cui nome ha origine dal rumore delle castagne sul fuoco. E’ cosi che, davanti ad un tagliere di salame e ad un bicchiere di vino, insieme a qualche amico, mi ha raccontato della maialata annuale. Tranquilli, niente di piccante, solo l’appuntamento di Gennaio durante il quale viene lavorato il maiale con il rispetto contadino di una volta. A proposito… le donne non sono ammesse, così vuole la tradizione.

Aziende del territorio che reinvestono sul territorio.

Appennino Food, una nota azienda locale di prodotti a base di funghi e tartufi, principale sponsor dell’evento. Il sostegno di Luigi e Angelo Dattilo, i titolari, ha contribuito alla riuscita della manifestazione. Ho avuto modo di conoscere e chiacchierare con Luigi davanti ad un caffè.

Grazie alla sua passione per i tartufi sviluppata con una femmina di Bracco Pointer, nel 1994 a 26 anni, ha deciso di trasformare un piacere in una realtà commerciale. Lasciata la divisa da carabiniere, con Angelo, il fratello geometra, ha avviato un’attività di trasformazione dei tartufi. Un’azienda del territorio che promuove il territorio.

 Potrete vivere tutto questo il prossimo week-end. Savigno vi aspetta!

Tartufo Savigno www.tartufosavigno.com Hashtag della manifestazione: #LiveSavignoTruffle

Ufficio Stampa: Laura Rangoni – E mail laura.rangoni@gmail.com




Il “Traghetto di Leonardo” e la “Borroeula”. Assaggi di territorio lombardo.

Novel food o cibo della tradizione?

Da giorni, chi più chi meno, dibatte sul report dell’OMS e sui rischi per la salute legati all’abuso del consumo di carne rossa. Nulla di nuovo, se non l’ennesima e giusta raccomandazione fatta da sempre dai medici, che ora l’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficializzato. Per certo, fattori di rischio come fumo, obesità, sedentarietà, hanno un’influenza determinante nel perseguire uno stile di vita salutare. Se poi vogliamo parlare di eccesso d’industrializzazione degli alimenti, o di discutibili metodi di allevamento, il discorso si fa lungo. Si aggiunge poi la recente delibera del Parlamento Europeo che permette l’introduzione del “novel food” (nuovi alimenti).

Ma ne vogliamo parlare?! Insetti, cibo costruito in laboratorio, nuovi coloranti… mah! Io più che novel food sono per il cibo della tradizione fatto con buone materie prime. Detto questo, punto e a capo. Ora vi racconterò il mio breve tour fatto tra la provincia di Lecco e quella di Bergamo che mi ha portato a fare un appetitoso spuntino con la borroeula, una pasta di salame aromatizzata made in Brianza.

Sulle sponde dell’Adda, e più precisamente su una grossa zattera di legno senza motore, qualche giorno fa mi sono goduta le belle atmosfere autunnali tra i moli di Imbersago e di Villa d’Adda. Chiamare zattera un traghetto che per secoli ha permesso di trasportare merci e persone sfruttando solo la corrente di un fiume, senza dubbio è riduttivo.

In realtà mi riferisco ad un progetto che si ispira a disegni eseguiti da Leonardo da Vinci nei primi anni del 1500. Un battello che si muove lentamente da una riva all’altra, e che agevola il passaggio di auto e quant’altro grazie alla forza della corrente e ad un cavo che scorre su di un rullo. Ritmi lenti e paesaggi lacustri. Pace e benessere.

Traghetto di Leonardo - Imbersago

Dopo la traversata, una volta raggiunta Merate, cittadina di Lecco un tempo luogo di villeggiatura della nobiltà milanese, deviando verso la frazione di Sartirana, insieme ad alcuni amici ho proseguito verso una bottega tipica del luogo: “Da Pinuccio.” Carlo Casati, titolare e quarta generazione di salumieri, ci aspettava per una degustazione dei suoi prodotti.

Un uomo gentile dalla parlantina sciolta che mi ha fatto conoscere la borroeula, termine dialettale brianzolo con cui si indica la sua pasta di salame pazientemente snervata, morbida e saporita. Ottima spalmata su una fetta di pane tostato, ma anche come vuole la tradizione, avvolta nell’apposita carta e cotta sotto la cenere con le patate.

Si fornisce di suini nazionali provenienti da un allevamento di Fossano, in provincia di Cuneo. Oltre alla borroeula produce salame con l’utilizzo di solo coscia, lardo aromatizzato, e la bresaola della Brianza da vacche di razza limousine allevate nella bergamasca.

Quel giorno mi sono assicurata la cena con un pacco di farina di polenta taragna e una confezione di borroeula. Nonostante siano sempre meno le persone che fanno i propri acquisti in bottega, la mia speranza è che questa tendenza possa cambiare per favorire le realtà artigianali e i prodotti di qualità. Acquistiamo meno, meglio, e con meno sprechi.

Carlo Cadsati - Da Pinuccio

Traghetto di Leonardo  Via Adda – Imbersago E-mail: info@comune.imbersago.lc.it

“Da Pinuccio” Via Cavour 7 – Merate fraz. Sartirana (LC) Tel. 039 9902798




La storia della “zuppa inglese”, un dolce Tosco-Emiliano, che inglese non è.

Il 21 Settembre alla Casa degli Atellani – dimora storica nel centro di Milano sede della Vigna di Leonardo – si è svolta una serata all’insegna della biodiversità dedicata alla regione Emilia Romagna. Uno degli “Appuntamenti sulla sostenibilità” promosso da Confagricoltura. Agricoltori, produttori e cuochi, insieme, per rappresentare al meglio le tipicità di questa regione italiana.

Durante la serata, alla quale ho partecipato con piacere, ho avuto modo di ascoltare storie e di conoscere persone protagoniste di una terra che vanta grandi tradizioni. In particolare mi ha colpito il racconto di Cristina Cerbi, chef dell’Osteria di Fornio, in provincia di Parma. Un locale storico situato nella campagna di Fidenza, che da ben tre generazioni porta avanti la tradizione di famiglia. Citando le parole di Cristina – osti più che ristoratori – garanti di una cucina fatta di ricette familiari.

“Cinzia, questa è l’Emilia, una regione che nel raggio di dieci chilometri cambia la sua cucina tipCristina Cerbiica. Ogni ristoratore segue le ricette di famiglia e la propria tradizione, esattamente come per la zuppa inglese che hai assaggiato quando ci siamo conosciute.”

Credo che molti non sappiano la storia di questo dolce il cui nome apparentemente richiama ad origini diverse. Cristina, quella sera, mi ha raccontato ciò che la sua famiglia tramanda di generazione in generazione, orgogliosa di questa preparazione.

Tutto ebbe inizio quando un emiliano, dopo essere rientrato a casa da un viaggio di lavoro a Londra, realizzò un dolce di pan di spagna a strati, guarnito con abbondante crema pasticcera. Prendendo spunto da una preparazione simile vista durante il viaggio, venne consigliato dalla sua brava cuoca emiliana che non sprecava nulla. Utilizzò la ciambella e i biscotti avanzati dei giorni precedenti, secchi al punto giusto da dover essere ammorbiditi con del Rosolio, poi sostituito con dell’Alchermes.

Questa è una delle tante storie familiari legate all’origine di questo dolce che molti rivendicano come Toscano. Per non fare torto a nessuno, io definirò la zuppa inglese semplicemente come un dolce Tosco-Emiliano, una preparazione tipica nata dalla creatività italiana.

Osteria di Fornio – Via Fornio, 78
Loc. Fornio Fidenza (PR)  Tel. 0524.60118
info@osteriafornio.it




La ‘Pizza’ può aiutare l’agricoltura? Rispondono i pizzaioli.

La pizza a sostegno dell’agricoltura.

Chi mi conosce sa che spesso scrivo o pubblico foto partendo da piccole provocazioni. Per questo, solo pochi giorni fa, accettando l’invito ad un evento organizzato da Confagricoltura ho scritto: La ‘Pizza’ può aiutare l’agricoltura? Ovviamente si, ma come sempre tutto dipende dalle persone, in questo caso dai pizzaioli e dalla loro ricerca delle materie prime.

Utilizzare i prodotti di realtà agricole selezionate e rispettose dell’ambiente, significa promuovere il territorio italiano. Non per niente la pizza per eccellenza è la Margherita, chiamata così in onore della Regina Margherita di Savoia che, con il verde bianco e rosso, i colori del tricolore, è simbolo del made in Italy.

Il 1’ Settembre, alla “Vigna di Leonardo” di Milano, prestigiosa location dove Leonardo da Vinci coltivava la sua vigna, si è festeggiato la pizza. Una preparazione a base di prodotti semplici nata a Napoli alla fine dell’800 dal genio italiano. Farina, lievito, pomodoro, mozzarella e olio extravergine di oliva, sono gli ingredienti principali di un alimento completo conosciuto in tutto il mondo, simbolo dell’italianità e della convivialità.

La Pizza, "Capolavoro Universale"

Non c’è ‪‎pizza‬‬ senza buone ‪materie prime‬‬. Non ci sono buone materie prime senza sostegno all’‪‎agricoltura‬‬. Ognuno di noi può fare qualcosa in tal senso attraverso i propri acquisti. Per questo, ho rivolto la domanda ad alcuni dei pizzaioli presenti alla manifestazione: “La Pizza Capolavoro Universale”.

  • Risponde Stefano Callegari, Romano Doc. Nei suoi locali a Roma, oltre alle pizze tradizionali, potete trovare il “Trapizzino”, un triangolo di pizza farcito con i piatti tipici della cucina romana.

Cinzia, in realtà la maggior parte delle materie prime che utilizzo per gli ingredienti delle mie pizze vengono da fornitori romani che, a loro volta, hanno contatti diretti con gli agricoltori.
Posso dirti che per le patate, che è un ingrediente fondamentale che utilizzo non solo per condire la pizza ma anche nella preparazione – ad esempio – delle crocchette di patate, mi fornisco da un coltivatore diretto dell’alto fucino, precisamente da Luco dei Marsi.

  • Risponde Johnny Di Francesco, originario di Napoli. Pizzaiolo fin dalla tenera età, ha vinto i Campionati mondiali a Parma. Lavora e vive a Victoria, in Australia.

Like any quality food, how good a pizza tastes is a direct result of the produce used. I insist on using top quality produce at all of my restaurants to ensure the quality of my pizza is also the best it can possibly be. I have built a reputation for quality food, and part of the reason for this is because I have long standing relationships with my suppliers. Fresh ingredients are important to me, and due to the volume of pizza we make at my restaurants, we have direct relationships with some farmers such as basil growers. Indirectly we also support dairy farming, wheat farmers, and tomato growers who supply the raw products to our suppliers. My supplier relationships are important, and I recognise the importance of farmers in Australia, which is why I will always support them.

Come per ogni cibo di qualità, il sapore della pizza è il risultato diretto dei prodotti utilizzati. Personalmente scelgo buoni prodotti per tutti i miei ristoranti, al fine di garantire la qualità della mia pizza nel miglior modo possibile. Ho costruito una reputazione proprio sul cibo di qualità, mantenendo rapporti di lunga data con i miei fornitori. Gli ingredienti freschi sono fondamentali, per me, e per il volume della pizza preparata nei miei ristoranti. Abbiamo rapporti diretti con alcuni agricoltori, come con i coltivatori di basilico. Indirettamente, inoltre, sosteniamo la produzione lattiera, i coltivatori di grano, e i coltivatori di pomodori che conferiscono le materie prime ai nostri fornitori. Le relazioni che instauro con loro sono importanti, perché sono consapevole dell’importanza degli agricoltori in Australia. E’ per questo motivo che li sosterrò sempre.

  • Risponde Giorgio Sabbatini, veronese. E’ il referente della Scuola Italiana dei Pizzaioli ad Expo Milano 2015. Gestisce e svolge la sua attività a Verona, nel locale di famiglia. Campione Europeo nel 2011 e mondiale nel 2012 nella categoria Pizza a due.

Cinzia, rispondo alla tua domanda come consumatore prima che pizzaiolo. Non dimentichiamo che la pizza è un piatto che all’origine nasce come economico. Per questo, i miei prodotti devono seguire lo stesso principio. Collaboro con il giardino botanico del Baldo per le verdure. Oltre all’attenzione per la stagionalità, tendo a rivalorizzare piante mai utilizzate sulla pizza, abbinandole a ricotta e stracchini: un mix di dolce e salato.
Per i formaggi mi affido all’azienda agricola Fenilazzo di Desenzano del Garda, che produce latte e formaggio di qualità che utilizzo nelle competizioni. Facendo un giro nelle nostre campagne si scoprono un mondo di sapori e di profumi che ci possono aiutare e migliorare.

  • Risponde Graziano Bertuzzo. Campione Italiano di Pizza, maestro istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli di Caorle, e giudice ai più importanti Campionati del mondo.

Per chi fa il nostro mestiere, le materie prime sono molto importanti, così come è molto importante la fiducia che si crea con i fornitori. Per noi pizzaioli una delle materie prime fondamentali per ottenere ottimi impasti è la farina. Conoscendo le giuste specifiche tecniche della farina che utilizziamo possiamo scegliere il tipo di impasto da proporre alla nostra clientela. Quindi, il primo rapporto di fiducia va creato con il molino per avere sempre la stessa qualità di farina e con sempre le stesse caratteristiche per poter dare ai clienti omogeneità nel prodotto.

Anche l’essere istruttore della Scuola Italiana Pizzaioli mi è servito a sperimentare e utilizzare nuovi grani e nuove farine come kamut, farro, segale, le biologiche ecc. e tecniche e impasti innovativi. Superato lo scoglio dell’impasto possiamo parlare di materie prime che riguardano la farcitura, importanti anch’esse per avere un ottima pizza. Nel mio locale, assieme ai miei collaboratori, offriamo alla clientela una varietà di prodotti che segue la stagionalità, con ingredienti che prendiamo freschi e elaboriamo a nostro piacimento. Quindi accanto ai prodotti tradizionali da pizzeria, inseriamo nel nostro menù delle valide alternative fresche che utilizziamo preparandole a volte seguendo la tradizione del nostro territorio e altre usando un po’ di innovazione culinaria.

Vicino al mio locale ci sono molte aziende agricole e collaboriamo con molte di loro in base alla stagione e alle materie prime che offrono, non abbiamo nessun legame ma conosciamo i proprietari tanto da fidarci della loro produzione. Nell’ultimo periodo, visto anche le molte intolleranze che nascono, stiamo collaborando con una nuova azienda la “Artigiana Vegana s.r.l.” per avere in menù una piccola selezione di prodotti vegani che oltre a richiamare quella fascia di clientela che non mangia prodotti animali, che però sappiamo essere ancora troppo esigua, può aiutare chi ha problemi di intolleranza a passare una serata in compagnia degli amici senza dover rinunciare a gustarsi una buona pizza e che non gli crei problemi.

La mia pizzeria compie 40 anni quest’anno e come io ho creato un rapporto di fiducia con i miei fornitori, allo stesso modo sono riuscito a creare un legame con i miei clienti che continuano a scegliere noi dandoci così la conferma che stiamo lavorando nel modo migliore.

La Pizza, Capolavoro Universale

Concludo con un pensiero di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura: “Il nostro è un paese che spesso nega le sue capacità. Eppure abbiamo tante eccellenze fatte anche da piccole aziende agricole. Noi italiani creiamo capolavori. Siamo invidiati nel mondo per il nostro saper fare.” Condivido pienamente. Aggiungo solo che la cosa importante che  dovremmo imparare, è comunicare meglio ciò che sappiamo fare e che ci invidiano nel mondo: il genio italiano.

Un po’ di dati :

  • I pizzaioli in Italia sono 2.000, considerando gli impieghi stagionali il numero arriva fino a 4.000.
  • In Italia si vendono 5 milioni di pizze al giorno, 56 milioni alla settimana, 1,6 miliardi all’anno.
  • Gli italiani mangiano circa 7, 6 kg di pizza pro capite. Negli USA il consumo è di 13 kg a persona.

Materie Prime

Frumento tenero

  • Numero aziende agricole con produzione abituale di grano tenero: 150.000
  • Superficie media coltivata: 600.000 ettari.
  • Produzione media: 2.900.000 tonnellate.
  • Valore totale medio della produzione: 550 milioni di Euro.
  • Prime quattro regioni produttrici: Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto.
  • Numero e fatturato imprese del settore molitorio: 230 molini con 2.500 milioni di Euro.
  • Numero e fatturato imprese del settore prodotti da forno: 1.200 con 5.000 milioni di euro.

La Mozzarella

  •  Allevamenti Bovini: oltre 32.000
  • Allevamenti Bufalini: circa 2.500
  • N’ Vacche da latte: 1,8 milioni.
  • N’ Bufale: 238.000 circa.
  • Produzione di latte vaccino: 11 milioni di tonnellate.
  • Produzione di latte bufalino: 194 mila tonnellate.
  • Mercato della Mozzarella di Vacca: 155,1 mila tonnellate, di cui per pizza 94,2 mila tonnellate.
  • Mercato della Mozzarella di Bufala: 38,8 mila tonnellate.
  • Valore di mercato della Mozzarella: 1,6 miliardi di Euro.

Pomodoro  da industria

  • Superficie media coltivata: 77.465 ettari.
  • Produzione media: 461.417,94 tonnellate.
  • Prime quattro regioni produttrici: Emilia Romagna, Puglia, Lombardia, Veneto.
  • Valore dell’export: 1.493 milioni di Euro.

Olio Extra Vergine di Oliva

  • Numero aziende agricole con produzione di olive: 775.783
  • Superficie coltivata: 1.141282 ettari.
  • Produzione olive: 217.162,44 tonnellate
  • Produzione olio 2013: 4.637.007
  • Valore dell’export: 1045 milioni di Euro.
  • Prime quattro regioni produttrici: Puglia, Calabria Sicilia e Campania.

Fonte: Dati Centro Studi Confagricoltura

La Pizza, "Capolavoro Universale"




Ritmi lenti, natura e cucina del territorio: gli ingredienti delle mie vacanze

Le ricette delle mie vacanze a Ponza: Fusilli alla maniera di Ponza,  Acciughe marinate di Agostino (in copertina), Patate al finocchietto selvatico, Criscito: lievito madre naturale, Liquore al finocchietto selvatico. 

Chi è appassionato di storia come me, tendenzialmente è attratto da tutto ciò che ne consegue. Amo visitare gli antiquari, curiosare tra gli oggetti antichi e indossare vestiti vintage. Tra l’altro, da sempre, ho un’ammirazione particolare per le auto d’epoca sportive. Questo mio trasporto è rivolto anche ai libri e ai vecchi giornali. Poco tempo fa, a Roma, ho passato ore e ore su delle edizioni della Domenica del Corriere di oltre cinquant’anni fa, leggendo vecchie barzellette e gli articoli settimanali di enogastronomia di Luigi Veronelli. Non saprei esattamente spiegare il perché, ma tutto ciò che ha una storia mi affascina da sempre. La stessa cosa vale per le tradizioni, e, nella cucina, per le ricette della memoria legate al territorio.

Nelle mie ultime vacanze, a Ponza, passeggiando lungo il viale del porto, mi ha colpito un vecchio libro di cucina aperto in bella vista all’ingresso di un negozio. Incantata mi sono immersa nella lettura, sfogliando pagina dopo pagina… Il mio tempo libero, dovunque io mi trovi, ma in particolare quando viaggio, è scandito da elementi essenziali: ritmi lenti, natura e cucina del territorio. Per questo, qui di seguito, riporterò alcune ricette tipiche del posto che ho letto, sperimentato e assaggiato. Oltre a condividerle, ne farò memoria e soprattutto buon uso.

Fusilli alla maniera di Ponza

In olio d’oliva soffriggere 600 grammi di peperoncini verdi mondati di gambi e semi. Aggiungere 600 grammi di pomodorini ciliegino interi con un pizzico di pepe nero, salare e, a fuoco lento, portare a cottura fin quando i pomodorini si saranno sfaldati.
Condire i fusilli cotti al dente aggiungendo qualche fogliolina di basilico.

Acciughe marinate di Agostino, un pescatore di Ponza

Le acciughe o le alici (i pescatori le chiamano in un modo o nell’altro in base alla dimensione), sono ricche di calcio, ferro, zinco, proteine, vitamina A e omega-3. Un pesce azzurro salutare ed economico che si può preparare i molti modi e che fa bene alle nostre ossa.

Pulire delle acciughe togliendo loro la testa e le interiora. Una volta sciacquate passarle in un tegame in cui, precedentemente, è stato fatto soffriggere uno spicchio d’aglio. Unire qualche pomodorino, un cucchiaio di aceto bianco, sale e origano. Far cuocere per cinque minuti a fuoco vivo e servire.

Patate al finocchietto selvatico

Tritare due cipolle e farle imbiondire in una padella con olio. Aggiungere quattro patate tagliate a tocchetti. Cuocere per dieci minuti in poca acqua bollente salata due mazzetti di finocchietto selvatico tritato grossolanamente, e unirlo con la sua acqua alle patate fin quasi a coprirle. Stufare a fuoco medio per circa venti minuti fino a quando il liquido si sarà asciugato quasi del tutto. Aggiustare di sale e peperoncino secondo i gusti.
Stufato più a lungo, finché il tutto diventa quasi una crema, ci si può condire la pasta.

Liquore al finocchietto selvaticoCapolini di finocchietto selvatico

Raccogliere venti capolini freschi di finocchietto selvatico, lavarli e asciugarli. Quindi immergerli nell’alcool in un contenitore di vetro a chiusura, e lasciare macerare per circa venti giorni. Una volta passato questo tempo filtrare e imbottigliare.

Criscito, lievito madre naturale

Impastare 200 grammi di farina, 90 grammi di acqua, 1 cucchiaio di olio e 1 cucchiaio di miele fino a formare un panetto. Quindi togliere 100 grammi dell’impatto ed aggiungervi 100 grammi di farina e 45 grammi di acqua a temperatura ambiente. Mescolare bene e, richiuso nel contenitore, lasciare riposare altri due giorni; ripetere l’operazione e riporlo in frigo. Dopo 5 giorni ripetere nello stesso modo, e ancora per altre due volte, (in pratica per una durata di 15 giorni).

Quando si utilizza il lievito per fare il pane, brioche ecc., se ne prende una parte, mentre quella rimanente si integra per ugual peso con farina e acqua fino a… quando volete. Per panificare va utilizzato circa 1/3 di lievito rispetto alla farina da utilizzare, quantità che aumenta lievemente se si usano farine integrali, perché lievitano meno facilmente.

 Ponza

Fonte ricette: “Ponza, cucina tradizionale e nuove tendenze” di Pina Di Meglio, Silverio Mazzella e Gennaro Mazzella

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