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Un progetto per tutelare la ricchezza enologica italiana: The Winefathers

“Che cosa si beve stasera? Per iniziare le propongo un Prosecco.” Questa è la tendenza del momento. Con tutto il rispetto mi sono un po’ stancata. Nonostante le mie origini trevigiane mi rendano orgogliosa per il successo che sta riscuotendo questo vino bianco a Denominazione di Origine Controllata, prodotto tra Friuli e una parte del Veneto, la smorfia in queste circostanze mi viene spontanea.

Vivo in Italia, un paese che vanta oltre 300 vitigni autoctoni da promuovere e valorizzare. Eppure…

Eppure i più ne conoscono solo alcuni, spesso di origine internazionale (alloctoni). Nella ristorazione, e non solo, proporre i soliti vini è molto più facile. Per lo meno questa è la risposta che abitualmente mi sento dare. Un vero peccato per chi si sforza di continuare, con molte difficoltà, la coltivazione di vitigni antichi e rari.

In Toscana c’è un vitigno a bacca rossa quasi scomparso – il Bonamico – chiamato anche “Giacomino” nel pisano, “Tinto” nel pistoiese, “Uva rosa” o “Durace” nel fiorentino. Ebbene, c’è un ingegnere-vignaiolo, Samuele Bianchi, che ha dato vita all’Azienda Il Calamaio acquistando una terra con vigne abbandonate. E’ così che ha scoperto questo antico vitigno che sta tentando di preservare tramite la riproduzione dei singoli cloni.

Samuele Bianchi Azienda Il Calamaio - Toscana

Samuele Bianchi – Azienda Agricola Il Calamaio

Con la collaborazione di “The Winefathers”, un progetto realizzato da un gruppo di amici di Udine, sta cercando supporto per far si che questa ricchezza enologica non scompaia. Ma ora veniamo al punto, cercando di capire concretamente come si sviluppa questa idea a sostegno dei vignaioli artigiani italiani.

  • The Winefathers, o meglio, diventare parente di un vignaiolo italiano. Quando e come è nato questo progetto?

E’  nato un anno e mezzo fa, lavorando ad un progetto imprenditoriale in tutt’altro settore. Sviluppando quel lavoro abbiamo conosciuto un sito americano che metteva in contatto diretto chi produceva piccolissime serie di prodotti artigianali in tutto il mondo, con appassionati alla ricerca di prodotti unici. Ci è nata così un’illuminazione. Perché non farlo nel mondo del vino? Da lì siamo partiti, ci abbiamo lavorato e abbiamo creato The Winefathers.

  • Come è possibile instaurare la parentela con un vignaiolo, e concretamente, in che cosa consiste?

E’ sufficiente andare sul sito www.thewinefathers.com  Si potranno trovare alcuni progetti dei migliori vignaioli artigianali italiani. Si tratta di progetti diversi ma sempre nel campo della sostenibilità, come ad esempio quello del salvataggio del Bonamico dell’Azienda Il Calamaio, di cui parlavi prima. Scelto il progetto che si preferisce, lo si può sostenere, diventando simbolicamente parente del vignaiolo: da cugino a zio, da fratello o sorella a padre o madre. In questo modo si contribuisce alla realizzazione del progetto, si resta aggiornati con foto e video sull’avanzamento dello stesso, e al termine si ricevono le ricompense previste, proporzionali all’offerta effettuata: da bottiglie di vino fino a vere e proprie esperienze di più giorni nelle vigne insieme al vignaiolo. E’ proprio come entrare a far parte di una nuova famiglia.

  • In quanto fondatori del progetto come scegliete gli artigiani del vino da sostenere?

Siamo partiti coinvolgendo un vignaiolo nostro amico, Marco Cecchini di Faedis, e inizialmente ci siamo mossi per segnalazione. A ogni nuovo vignaiolo che entrava chiedevamo di indicarci altri vignaioli che avessero le qualità che cerchiamo:  prodotti artigianali di eccellenza, una storia da raccontare, un progetto interessante da sostenere. Pian piano così abbiamo cominciato a espandere la nostra rete. Con il passare del tempo e grazie alla visibilità ottenuta, abbiamo cominciato ad essere contattati da nuovi vignaioli. Abbiamo messo in piedi una squadra di sommelier e degustatori che assaggia i vini che ci vengono inviati ed esprime i suoi giudizi. Poi, valutiamo il progetto e le persone che ne fanno parte,  importanti quanto l’eccellenza dei vini.

  • Mi raccontate il buon esito di qualche esperienza fatta in questi anni con The Winefathers?

Ti possiamo dire che in Basilicata, nel territorio di Melfi, non c’erano più alberi. A tanto possono arrivare gli interessi economici. Luca e Sara Carbone, vignaioli artigianali che producono un ottimo Aglianico del Vulture, hanno voluto tramite il nostro sito ripopolare le aree intorno ai loro vigneti con alberi da frutta in via di abbandono. Il successo del progetto è stato notevole, tanto che diversi nuovi “parenti” sono arrivati dagli Stati Uniti per incontrare i vignaioli e vedere con i loro occhi quello che stava nascendo. Ora Luca e Sara vedono crescere meli, mele cotogne, mele zitelle e limoncelle, melograni, nespoli, amarene, fichi, albicocchi e peschi. Sono risultati semplici raggiunti con la convinzione che  ciascuno di noi, nel nostro piccolo, possa fare la differenza.

Una giornata con un vignaiolo e i suoi 'parenti'

Una giornata con un vignaiolo e i suoi “parenti”

THE WINEFATHERS
Via Santa Giustina 8
33100 Udine (UD)
+39 3275618717
info@thewinefathers.com




A lezione da Attilio Scienza

Attilio Scienza, nato nel 1945 a Serra Riccò, in provincia di Genova. Si è laureato nel 1969 presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Professore associato di fitormoni e fitoregolatori in arboricoltura e Professore ordinario di Viticoltura presso l’Università di Milano. Dal 1985 al 1991 Direttore generale dell’Istituto Agrario San Michele dell’Adige. Ricercatore e autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche inerenti alla genetica della vite e alla viticoltura. Una presentazione di tutto rispetto per un uomo dall’estrema semplicità e saggezza che ho avuto il piacere di conoscere durante una degustazione di vini della Valcalepio al Castello di Grumello, in provincia di Bergamo. Dopo averlo ascoltato ho scambiato con lui qualche parola.

La sostanza del suo pensiero, che condivido pienamente, si basa sull’importanza della tutela della bValcalepioiodiversità, sulla valorizzazione dei vitigni antichi e autoctoni, e sul racconto emozionale della loro storia. Viviamo in un’epoca in cui alcuni vini sono considerati quasi di moda (definizione in uso che non mi piace affatto quando è riferita alle produzioni), di cui i più poco conoscono, se non i nomi, o meglio i nomignoli che fanno tendenza. Scelte di produzione certamente legate alla domanda del consumatore, che potrebbero però andare di pari passo con la promozione di vini quasi dimenticati, e di vitigni antichi e autoctoni da salvare legati alla storia del territorio. Scelte coraggiose che possono fare solo bene alla viticoltura, adottate da chi ama sul serio questo importante comparto dell’economia italiana.

A lui la parola…

Perché è importante raccontare la storia di un vitigno, di un vino e di un territorio? Tutto nasce da un meccanismo del nostro cervello denominato sinestesia: il collegamento con alcune sensazioni gustative, musicali e visive, e il ricordo.  Si cita spesso l’esempio di Marcel Proust che, sentendo il profumo delle madeleine, i biscotti che gli preparava sua madre, evoca i suoi ricordi di infanzia. E’ così che va raccontato il vino. Bisogna fare in modo che il consumatore ricordi e associ l’atmosfera, le emozioni  e le sensazioni vissute durante la degustazione. Il modo più efficace per dare continuità al rapporto con il vino.

Qui di seguito un momento del suo intervento.

Un vero piacere e un onore ascoltarlo.

La serata al castello è continuata con l’assaggio di vini  “en primeur” vendemmia 2015 di dodici cantine della Valcalepio, terra vitivinicola di Bergamo la cui zona di produzione è situata nella fascia collinare che va dal lago di Como al lago di Iseo.

Le varietà principali coltivate sono:

  • Vitigni a bacca bianca :  Pinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Manzoni bianco e Moscato giallo.
  • Vitigni a bacca nera : Merlot, Cabernet Sauvignon, Barbera, Incrocio Terzi n.1, Franconia, Marzemino, Schiava lombarda, Schiava meranese e Moscato di Scanzo.
  • Varietà autoctone : Merera, Altulina e Gafforella.

Il Valcalepio, un ‘vino in rinascita’ che dal 1976 si è visto riconoscere la denominazione di origine controllata.




Pojer e Sandri: una storia di amicizia e di vino. Ma non solo…

La prima volta che ho sentito nominare Mario Pojer, è stato parlando di aceto, o meglio, di produttori di aceto: gli amici acidi.

AgricoltoPojer e Sandriri uniti dalla passione e dalla voglia di promuovere un prodotto, ahimè, non valorizzato quanto merita. Era il 1′ Giugno del 2012. Guidata da Josko Sirk, stavo visitando la sua acetaia situata a Cormons, tra le belle colline del Collio, in provincia di Gorizia. Come passa veloce il tempo…

Da allora ho avuto modo di incontrare Mario Pojer ad eventi e fiere, salutandolo con la promessa che prima o poi sarei andata a trovarlo. Qualche settimana fa, passando da Trento, ho fatto una breve deviazione e sono andata a visitare l’azienda agricola che ha fondato nel 1975 con Fiorentino Sandri.

Due giovani amici che hanno iniziato a produrre vino grazie ai due ettari di vigneto di Fiorentino, e agli studi di enologia di Mario conclusi presso la scuola di San Michele all’Adige. Pojer e Sandri, un’azienda agricola con una superficie vitata, non sempre facile, di 32 ettari suddivisi su sei comuni: San Michele e Faedo più quattro comuni della Val di Cembra. I vigneti collocati sulla collina di San Michele, con un altitudine tra i 250 e i 750 metri, danno l’idea della viticoltura montana a cui mi riferisco. Uve rosse nella parte più bassa e bianche in quota. Merlot e Lagrein, salendo la collina Nosiola, Traminer, Chardonnay, Sauvignon e Pinot Nero. Infine, a 700 metri,  Müller-Thurgau.

Collina di San Michele e Faedo

Una Cantina, una Distilleria e un’Acetaia.

Tra i vini assaggiati prodotti con uve lavate per ridurre i contaminanti esterni, ho apprezzato in particolare il Rosso Faye Dolomiti 2010. Colore rosso granato, profumo intenso, carattere e corpo. Un vino di struttura come piace a me. Prodotto per il 50% da uve di Cabernet Sauvignon, e per il rimanente 50% da Cabernet Franc, Merlot e Lagrein. Tenore alcolico 13,5%

Per quanto riguarda i distillati, ho apprezzato molto la loro grappa ‘Zero Infinito’ Dolomiti. Piacevoli i profumi2 fruttati, fine ed elegante. Vinacce di uva Solaris (varietà resistente nata in Germania) prodotte a Grumes, in Val di Cembra, in un vigneto  di montagna di 50 ettari, a circa 900 metri s.l.m. Zero trattamenti sia in vigna che durante la vinificazione.

Una precisazione. La grappa è un distillato prodotto da vinacce ricavate da uve prodotte e vinificate in Italia e nella Svizzera italiana. La ‘cosiddetta grappa’ prodotta in Sud Africa, di cui ho sentito recentemente parlare, è un caso di agro-pirateria.

Tra un assaggio e l’altro, Fiorentino Sandri mi ha parlato della loro produzione di brandy. Un progetto che si è sviluppato nel 1986 dopo alcuni viaggi nelle zone del Cognac e dell’Armagnac. Acquavite Divino, ottenuto dalla distillazione di un vino di due vigneti locali: la Schiava della zona alta della collina di Faedo, e il Lagarino dell’alta Val di Cembra.

La mia ultima degustazione, ma non per importanza, è stata con l’aceto. L’acetaia Pojer e Sandri si trova a Maso Besleri, in Val di Cembra, alla giusta distanza dalla cantina per evitare rischi di contaminazioni. Aceto di vino bianco e rosso, e aceto di succo fermentato da frutta dell’azienda o di provenienza regionale: ciliegie, pere, mele cotogne, ribes nero, sambuco, lamponi, sorbo dell’uccellatore e mora. Insomma, Aceto per tutti i gusti, ma di qualità!

Azienda Agricola & Distilleria Pojer e Sandri
Loc. Molini, 4 – 38010 Faedo (Tn)




Una domenica in vigna sui colli piacentini. “Tenuta Villa Tavernago”

Tenuta Villa Tavernago, un’azienda agricola biologica situata a Pianello Val Tidone, voluta da Pierfranco Pirovano, costruttore e titolare dell’azienda dal 1978. Una proprietà di 400 ettari, di cui 32 vitati, che ho visitato in occasione dell’inaugurazione della nuova cantina. Una Tenuta il cui nome ha origine dalla dimora storica di proprietà della famiglia: Villa Tavernago.

A un’ora da Milano, lontani dal traffico e dalla frenesia, le dolci colline e i paesaggi tra la Val LuVigneti Tenuta Villa Tavernagoretta e la Val Tidone, ci permettono di vivere un luogo in cui la rigogliosa natura accoglie antichi castelli e terre tradizionalmente vocate alla viticoltura. Fare biologico, oltre che una scelta rispettosa della natura, necessita di un ambiente incontaminato.

Un realtà agricola dei colli piacentini, che in base all’annata, con uve sanissime, non aggiunge solfiti ai propri vini. Nel 2010, l’acquisto di impianti per l’imbottigliamento protetto dall’ossigeno senza l’ausilio di antiossidanti chimici (anidride solforosa), ha agevolato questo percorso.

Durante la visita, con l’agronomo Roberto Miravalle e l’enologo Enzo Galetti, consulenti dell’azienda, ho visitato i vigneti suddivisi nei tre appezzamenti di Frassinetto, Valorosa e Vidiano. I vitigni interessati legati al territorio sono: Ortrugo, Malvasia, Barbera, Croatina, Bonarda, ma anche Pinot nero, Pinot grigio, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Non sono mancati gli approfondimenti ne le degustazioni. Tra l’altro, se fatti in vigna, sono molto più interessanti. Discutendo sulla longevità della vite, ad esempio, ho particolarmente apprezzato la presenza del piccolo vigneto denominato “Misto Colonna”, che accoglie piante di 50/60 anni di età. Sicuramente meno produttivo, ma con una migliore qualità di uve.

Oggi la longevità media delle piante di viti è di circa 20/25 anni. Causa, oltre le eventuali malattie, la meccanizzazione che per certo, a differenza della mano dell’uomo, o meglio ancora della donna, non salvaguardia come dovrebbe la vigna. Opzioni che permettono di valutare le scelte di qualità rispetto alle scelte di quantità delle aziende, che ovviamente influenzano i costi finali, e che richiedono attente valutazioni di marketing.

Fra i vini che ho assaggiato vi propongo un calice di Frassineto Rosé, Spumante Metodo Classico 30 mesi. Pinot nero, Pinot grigio e Chardonnay da coltivazione biologica in percentuale diversa secondo l’annata. Uva raccolta a mano. Dal colore rosa tenue e dal perlage fine e persistente. Una piacevole alternativa alle solite proposte.

Tenuta Villa Tavernago – www.tenutavillatavernago.it

Frassinetto, 1 – Pianello Val Tidone (PC)




Un inno al vino per veri appassionati. Bottiglie Aperte 2015

  • Il vino è istinto.
  • Il vino non è moda.
  • Si beve per emozionarsi.
  • Il vino non è fatto di teoria.
  • Gli egoismi non aiutano il vino.
  • Il vino va bevuto, va goduto e va condiviso.
  • Il vino viene comunicato bene dalle persone sensibili.
  • Bevete quello che vi piace, il vostro termometro è il vostro palato.
  • La supponenza del giornalismo nel mondo del vino fa male al vino.

Sono parole di Luca Gardini dette a Bottiglie Aperte durante la verticale di Valpolicella Superiore Doc Dal Forno Romano, che ha condotto e a cui ho partecipato. Un evento che si è svolto in un luogo ricco di storia tra i più belli di Milano: il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci. Una manifestazione che ha visto la partecipazione di cento aziende vitivinicole del territorio.

Nonostante le ‘uscite colorite’ di Luca Gardini, che a mio parere a volte sono inopportune rispetto ai contesti in cui si presenta, apprezzo il suo pensiero, un inno al vino che, da vera appassionata, condivido pienamente. Per questo, ho partecipato con piacere alla Masterclass da lui guidata svoltasi nella splendida ‘Sala del Cenacolo’. Per un’amante dell’arte e della storia come me, un’ambiente dalle atmosfere molto speciali interamente affrescato, la cui costruzione risale al 1709.

Sala del Cenacolo

Dal Forno Romano, un’azienda agricola situata a Cellore d’Illasi in provincia di Verona, di cui ho sentito parlare la prima volta da Alberto Malesani durante una visita nella sua cantina. Non ho ancora avuto modo di andare a trovarlo, per questo, ho colto volentieri l’invito per l’assaggio dei suoi vini. In degustazione: Valpolicella Superiore DOC Monte Lodoletta 2006 – 2005 – 2004 – 2003 – 2002 – 2001 – 2000

Non mi soffermerò come fanno i tecnici su ogni annata, lascio a loro il compito. Vi dirò solo che ho ascoltato con attenzione le descrizioni dei vini, e, a conclusione dell’assaggio, ho scelto come mie annate preferite quella del 2003 e del 2001. Una questione di gusti del tutto personale, come è giusto che sia. Un vino impetuoso e di grande carattere, un Valpolicella che si impone e che consiglio di assaggiare a chi ama vini di particolare struttura.

Verticale Dal Forno Romano

Per concludere, il mio consiglio è sempre lo stesso: oltre a partecipare alle degustazioni, visitate le aziende agricole e ascoltate i produttori. Imparerete assaggiando, e, grazie alle vostre papille gustative, arricchirete il vostro bagaglio di esperienze sensoriali.

Per capire veramente il vino bisogna conoscere i territori e le persone protagoniste. E’ la terra, insieme al loro cuore e alla loro testa, a dagli forma e sostanza. Questo è semplicemente il pensiero di una donna che ama il vino per ciò che rappresenta: emozioni, storia, tradizioni e territorio.

 




I miei rifugi estivi: boschi, spiagge, cantine e… vini d’estate.

Tenute Tomasella – Mansuè (TV)

È un inizio di Giugno molto caldo questo del 2015, lo è stato talmente da farmi scapEraclea Marepare qualche giorno al mare in cerca di un po’ di refrigerio. Come d’abitudine, quando posso, torno nelle terre in cui ho passato l’infanzia, a Treviso. La spiaggia più vicina che prediligo è quella di Eraclea Mare, in provincia di Venezia. Vado la mattina presto, quando ancora i più dormono, quando il mare lo si vive in tranquillità… facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia e nella pineta.

Oltre a rinfrescarmi recupero così energia e benessere, ma poi il caldo torna… e allora che si fa? Be’, direi che l’ambiente ideale in cui spostarsi per continuare a godere di un po’ di fresco è una cantina. Se poi visitandola si assaggiano buoni vini, il benessere si completa. La scelta questa volta è caduta sulle Tenute Tomasella di Mansuè, in provincia di Treviso. Un’azienda agricola fondata nel 1965, situata tra il Friuli e il Veneto. Una cantina di confine come la chiama Paolo Tomasella, titolare e mia gentile guida.

Vigneti Tenuta TomasellaTrenta gli ettari vitati, ventitré in Veneto e sette in Friuli, divisi dalla DOC delle Grave del Friuli e dalla DOC del Piave. Ho scelto di visitarle dopo avere assaggiato il loro Merlot in una nota enoteca di Motta di Livenza, dopo essere entrata in altre, con vini che differenza ne facevano ben poca, oltretutto serviti a temperature sbagliate, e senza alcuna presentazione. Una mancanza che in una terra di vino come questa, ahimè, ogni volta mi lascia perplessa. Come dico spesso, c’è chi si accontenta di bere vino, e chi a differenza il vino lo degusta, traendo da esso piacere, esperienza e conoscenza.

Paolo Tomasella, come molti, vive due vite: una nel settore del mobile, e l’altra, per passione e per tradizione familiare, nell’agricoltura. Accompagnato dall’enologo Angelo Solci, attraverso i viaggi nei territori e nelle produzioni, negli anni ha acquisito quella consapevolezza ed esperienza che ora lo porta a scelte e a percorsi meno facili, ma senza dubbio più stimolanti. Nel 2013 l’azienda è entrata a far parte del Progetto Tergeo dell’Unione Italiana Vini. Finalizzato al sostegno delle pratiche sostenibili in viticoltura, aderisce alle linee di difesa previste dal disciplinare di produzione integrata delle regioni Veneto e Friuli.

Paolo Tomasella

Ma torniamo al caldo torrido di questi giorni… vogliamo parlare di vini d’estate? Con Paolo, nella scelta per la degustazione, si è optato proprio in questa direzione. Ora vi descriverò cosa ho avuto il piacere di assaggiare. Certo, in questa terra sarebbe stato più facile parlarvi di Prosecco, sia pur di qualità, DOC o DOCG, ma io non lo farò, semplicemente perché amo parlare di produzioni senza dubbio meno conosciute.

In un caldo pomeriggio di ‘quasi estate’ mi è stato proposto uno spumante rosato demi-sec, Osè, Refosco e Verduzzo appassito in pianta. Un vino fresco dal color rosa corallo e dai profumi di melograno e lampone. In bocca un perlage fine, sapori delicati e persistenti. Paolo, osando, l’ha definito un vino da bordo piscina; per quanto mi riguarda lo ritengo una valida alternativa alle solite proposte, gradevole e non impegnativa.

Osè, Rosato

Ho continuato la degustazione con una produzione particolare: Chinomoro, Merlot chinato. Un vino da meditazione dai profumi e sapori speciali grazie all’aggiunta di essenze digestive: Aloe, Artemisia, Colombo, Coriandolo, Rabarbaro, China, Arancio, Sambuco e altre indicate da antiche ricette popolari tramandate da generazioni. Accompagnato da cioccolato fondente, ha reso piacevole il mio fresco pomeriggio di  ‘quasi estate’ in cantina.

Chinomoro, Merlot Chinato

Tenute Tomasella – www.tenute-tomasella.it

Via Rigole, 103 – Mansue’ (Treviso)




“I francesi sono più bravi nel dire che nel fare, gli italiani sono più bravi nel fare che nel dire.” Tommaso Bucci

Era il 1981… inizia così la storia nel mondo del vino di Tommaso Bucci, un ingegnere chimico approdato a Montalcino grazie al progetto originale di Castello Banfi, la prima cantina al mondo ad ottenere la certificazione di responsabilità etica, sociale ed ambientale, e di qualità della produzione. Direttore tecnico di questa realtà vitivinicola per molti anni, ormai fa parte della sua storia. Un uomo semplice dalla grande cultura, che, oltre a guidarmi nella visita all’azienda, ha catturato la mia attenzione per la simpatia e per alcune sue affermazioni.

In realtà Tommaso quel giorno era li per caso…

Basta poco per capire che cosa cerco durante le mie visite, per questo, la persona che mi ha accompagnata, ha pensato bene di presentarmelo. La mia curiosità spesso va oltre le normali domande, perché cerca ‘quel qualcosa’ che per me fa la differenza, e che mi spinge a custodire ciò che vivo, oltre che attraverso le immagini, con le parole. Mi è bastato scambiare con lui poche battute per capire che aveva vissuto tempi e modi di un tempo che fu, e che rimpiango per la passione e l’entusiasmo con la quale gli uomini e le donne affrontavano le sfide. Per questo l’ho letteralmente rapito, e costretto ad avvisare a casa che non sarebbe tornato, perché una donna che aveva appena conosciuto l’aveva invitato a pranzo.

Castello Banfi

Che cosa c’è di più affascinante che conoscere le persone… Le loro produzioni, non necessariamente materiali, sono la naturale conseguenza della loro creatività che, unita all’esperienza, distingue gli italiani nel mondo per la loro genialità. Siamo un popolo strano… riusciamo a far emergere i nostri lati più critici, e molto meno le nostre potenzialità. Proprio per questo inizierò con un pensiero di Tommaso che certamente lascerà qualcuno perplesso: “I francesi sono più bravi nel dire che nel fare, gli italiani sono più bravi nel fare che nel dire.” Rifletteteci sopra un attimo. Mentre lo fate lascio a lui la parola…

Cinzia, le cose stanno così. Noi italiani siamo bravi nel “savoir faire”, mente i nostri cugini sono bravissimi nel “faire savoir”. Nel mondo del vino ciò è profondamente vero. Pensiamo per un attimo al fatto che laddove noi diciamo: -fermentazione in bianco-, loro dicono -fermentation liquide- ; la nostra -fermentazione delle uve rosse- diventa -fermentation solide- ; il nostro invecchiamento diventa -elevage- i profumi -bouquet- etc. Pensa ancora ai menu (bellissima edizione dell’Accademia italiana della cucina “150 anni di menu per 15 capi di Stato”).

Il francese la faceva da padrone, non solo per spocchia, ma soprattutto perchè loro sull’enogastronomia hanno cominciato con almeno un secolo d’anticipo… ma stiamo rapidamente recuperando. Pensa che le loro AOC nacquero nel lontano 1855 con NAP III, noi per le DOC abbiamo dovuto aspettare il 1963. Loro giustamente parlano di terroir (origine), noi stranamente di vitigni, etc etc…

Montalcino

  • Tommaso, era il 1981, e tu eri il direttore tecnico di Villa Banfi. Mi racconti il mondo del vino che hai vissuto in quegli anni?

Era un mondo, quello italiano, di consumatori robusti (quasi 100 lt/pro capite anno) soprattutto di vini sfusi prodotti in proprio o da amici. Consumatori che raramente erano interessati a storie, denominazioni, a viticultura e cantine…

  • “La Banfi non ha inventato niente, semplicemente si è messa su una polveriera e ha accesso la miccia.” Sono parole tue. Io mi permetto solo di aggiungere che bisogna avere la capacità di accenderla, ma soprattutto di tenerla accesa.

Sì, i tempi stavano cambiando. Mancavano alcuni ingredienti. Ricordo che stimolava molta ironia, a fine anni 70 inizio 80, il fatto che la progettanda cantina Banfi prevedesse un percorso di visita. All’epoca la cosa era considerata perlomeno stravagante: “un’americanata”. Fino all’86, “scandalo del metanolo dell’indimenticato Ciravegna di Narzole”, gli sparuti italiani in visita alla cantina erano distratti e insofferenti a ogni notizia, visto che il vino si faceva da millenni, e tutti o quasi l’avevano fatto, così come i loro padri e i loro nonni, e i nonni dei nonni.

Dopo l’86 abbiamo scoperto il vino. Le università italiane, da nord a sud, da economia a medicina, registrano il vino come argomento maggiormente ricorrente nelle tesi di laurea. Il settore vitivinicolo è l’unico che negli ultimi decenni è cresciuto, mentre tutto il resto: moda, tessile, chimica siderurgia automotive etc, ha perso drammaticamente peso e importanza. Secondo Angelo Gaja, un grande vino ha successo quando esiste una bandiera storica (Biondi Santi) ed una locomotiva commerciale (Banfi) ed ovviamente un contesto territoriale (umano e materiale) di grande fascino storico e contemporaneo. Più che mettere la miccia, abbiamo acceso il locomotore comunicando il territorio quando gli altri ancora non lo facevano.

  • Montalcino, città del Brunello. Sicuramente un grande vino, ma non l’unico di queste terre. Io per mia natura tendo a sostenere i vitigni meno conosciuti meritevoli per la qualità, perché amo la nostra storia vitivinicola, e  mai vorrei che andasse persa.

Qui il vino è stato sempre fatto, diciamo però che a partire dal 500 il vino principe è stato indubbiamente il MOSCADELLO. Come non ricordare i versi di Francesco Redi del suo Ditirambo di Bacco in Toscana del 1685. “…ma Tommaso Buccipremiato coronato sia l’eroe, che nelle vigne di Pietraia e di Castello piantò pria il Moscadello. Il legiadretto, il sì divino Moscadelletto di Montalcino…

Un tal vino lo destinò alle dame di Parigi e a quelle che sì belle, rallegrano il Tamigi.” Il Brunello è una scoperta recente, la prima citazione del supposto vitigno la fa: Giovanni Pieri (§) presidente dell’Accademia senese dei Fisiocritici, dopo aver visitato il Sud Africa ed avervi trovato alcune uve toscane come il Gorgottesco; tiene una sua disquisizione nel 1843 (edita da Pandolfo Rossi “8”). Racconta dei suoi esperimenti fatti nella tenuta di Presciano, in un suo latifondo collinare sopra Taverne D’Arbia, che aveva messo a disposizione dell’Accademia “…a sue spese …per giovare all’agricoltura senese” tramite  “ …tutti quegli esperimenti che all’Accademia parrà si faccino sull’agricoltura…”

Secondo quello che allora veniva definito lo stile moderno, aveva piantato nello stesso filare più varietà di uve, con viti maritate a testucchi di Gorgottesco, di Canajolo di Procanico, di Sangiovese, di Malvagia, di Marrugà e di Brunello.  Il Procanico era una varietà del Trebbiano, mentre è chiaro che il Brunello fosse allora distinto dal Sangiovese anche fuori dal territorio del comune di Montalcino. Presciano è infatti (ora, non allora) nel comune di Siena.

  • Tommaso, quando ti ho espresso la mia ammirazione per la bellezza dei paesaggi dell’Oltrepò Pavese, mi hai risposto dicendomi che quei territori soffrono la ‘sindrome dei castelli romani’. Per certo, quando ne parlo, mi rammarico del fatto che non vengano valorizzati come dovrebbe essere, e nel contempo, non venga supportato chi tenta di farlo. Come si suol dire: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso.” Tornando a noi, mi spieghi meglio il significato della tua affermazione?

L’essere al centro del triangolo industriale Milano Torino Genova, quindi al centro di un mercato ricco e numericamente consistente, ha reso facile lo smercio dei vini, senza doversi ingegnare più di tanto per la relativa promozione, che, come al solito, richiede anche qualche cosa di buono da promuovere. Il vino si vendeva facilmente senza fare tanti sforzi. Ciò ha fatto dormire sugli allori produttori e sistema, che ora scontano pesanti ritardi nel rimettersi in marcia.

  • Ezio Rivella, un uomo che hai citato molte volte nei nostri discorsi con parole di stima e rispetto. Mi racconti qualche aneddoto del periodo passato insieme?

Ezio Rivella è stato ed è, una figura di grandissimo livello, assommando su se stesso le qualità del tecnico e quelle del manager imprenditore. Io lo conobbi nel lontano 1974, quando ancora studente d’ingegneria gli chiesi se era possibile fare un tirocinio nel suo studio romano di consulenza e progettazione nel campo enologico. Mi rispose: “Ovviamente si, ma a gratis”. La cosa si concretizzò nella primavera del 1976, e poi con l’assunzione nel 1979, dopo il mio servizio militare ed un paio d’anni di Cartiere Burgo (Torino, Corsico-Milano, Lugo di Vicenza, Ferrara).  All’assunzione mi disse: “Ti pagherò poco, perché i soldi te li rubano, ma ti farò fare molta esperienza, e quella nessuno potrà togliertela”.  Per anni mi sono complimentato con lui per aver mantenuto la promessa.

Castello Banfi - Montalcino




Vinitaly 2015, ora do i numeri !

Tranquilli, non sto dando nessun numero, tranne quelli che arrivano direttamente da Vinitaly, il 49° Salone Internazionale del Vino e dei Distillati che si è appena concluso. Si riferiscono ai quattro giorni dell’evento clou che muove l’Italia del vino, delle passioni e degli affari. Leggete un po’qui…

•  576.000 bottiglie stappate
•  200.000 tonnellate di vetro
•  8 tonnellate di tappi di sughero
•  130.000 bicchieri utilizzati
•  11.100 follower di @VinitalyTasting su Twitter
•  116.000 like della pagina ufficiale di Vinitaly su Facebook

Non c’è dubbio, Vinitaly è Vinitaly, una grande vetrina del business nel settore enologico che, per gli appassionati, rappresenta un’occasione speciale per viaggiare nei territori assaggiando vini. Lo confermano i numeri della viticoltura italiana elaborati dai dati di Veronafiere/Vinitaly.

•  380.000 circa le aziende vitivinicole italiane
•  665.000 ettari vitati
•  40 milioni hl di vino,  produzione 2014 stimata da Assoenologi (- 17% rispetto al 2013)
•  73 DOCG, 332 DOC e 118 IGT
•  10-12 miliardi di euro il fatturato del vino (5,1 derivanti dall’export)

Cifre che fanno girare la testa, e non per l’assaggio dei vini, ma per la grande risorsa che questo comparto rappresenta per il futuro dell’economia italiana. Le semplificazioni burocratiche e le politiche agricole per il sostegno della viticoltura sono essenziali e prioritarie. A questo proposito si auspica che il Testo Unico delle norme sul Vino, e il piano straordinario che prevede lo stanziamento di 48 milioni di euro per la tutela del made in Italy, abbia presto completa attuazione.

“Il vino nel suo complesso è un settore che vale oltre 10 miliardi di euro, dei quali più di 5,1 generati dall’export.” Ettore Riello, Presidente di Verona fiere.

E’ indispensabile investire nello sviluppo di strategie a garanzia della qualità e dell’innovazione in agricoltura, nell’enoturismo e nella giusta comunicazione per la diffusione della cultura del vino, della conoscenza dei territori e delle persone protagoniste. Tutto ciò per far si che una bottiglia di vino sappia trasmettere, oltre che piacere, emozioni, storia e territorio.

Inoltre, un pizzico di entusiasmo in più degli addetti alla ristorazione nelle proposte di produzioni meno conosciute, farebbe bene al vino, e salverebbe vitigni che fanno della viticoltura italiana una ricchezza che ci distingue nel mondo. Lo dico ovunque e lo continuerò a dire, per la passione che ho per la viticoltura e per il mondo agricolo.

Qui di seguito alcune immagini della mia giornata a Vinitaly 2015. Nessun accredito e nessun impegno, solo un lunedì passato in compagnia di persone con la mia stessa passione per il vino. Cosa mi è piaciuto? Be’, sicuramente salutare produttori già conosciuti in questi ultimi anni durante le mie visite, e conoscerne altri che andrò a trovare direttamente in vigna. Oltre a ciò, ho avuto il piacere di fare ottimi assaggi ampliando così le esperienze sensoriali che nel tempo contribuiscono a formare il ‘bagaglio’ necessario per chi vive questo settore.

Cosa non mi è piaciuto? Sicuramente il traffico e la confusione che conosce bene solo chi è stato più volte a Vinitaly, una fiera dai grandi numeri, che per quanto mi riguarda, non sostituirà mai la passione per quelli piccoli.




Live Wine 2015, comunque la mettiate, si parla sempre di agricoltura e di produzioni.

Sono tanti ormai gli eventi legati al vino. Per certo non sono i nomi che mi attirano, ma i contenuti e i protagonisti. Se poi ad invitarmi sono dei cari amici, questi appuntamenti si trasformano in occasioni di incontri e di saluti. E’ per questo che nonostante gli impegni degli ultimi giorni, mi sono ritagliata qualche ora per visitare Live Wine 2015, il salone internazionale del vino artigianale di Milano, una manifestazione dedicata ai vignaioli che lavorano la terra in modo consapevole e sostenibile.

Si parla di agricoltura e di produzioni, sempre e comunque. Stiamo lentamente tornando a ciò che è stato e a ciò che eravamo. Vivevamo grazie all’agricoltura, ma poi ci siamo buttati nelle città svuotando le campagne. Quanto ci manca quella vita all’aria aperta che ci permetteva di stringere tra le mani qualcosa di vero? Tanto lavoro, ma alla fine della giornata una stanchezza diversa. Per questo amo parlare con gli agricoltori, discutere con loro mi permette di approfondire le tematiche di mio interesse.

Qui di seguito riporto alcuni momenti di questa giornata.

Interessante chiacchierata con l’enologo Flavio Faliva di Cà del Vént, a Cellatica in provincia di Brescia. Abbiamo iniziato a parlare confrontandoci sull’uso della solforosa e dei vini cosiddetti naturali. Quando poi nel discorso è stata citata l’agricoltura ‘biodinamica’, mi è venuto spontaneo sorridere. Ho molto rispetto per chi adotta pratiche che tutelano gli ecosistemi, ma quanto a definirsi biodinamici è tutto un dire. L’inquinamento di molti terreni, oltre che a quello atmosferico, difficilmente permette con coerenza l’applicazione delle teorie di Rudolf Steiner. Comunque sia, ammiro chi si orienta verso scelte di coltivazione che permettano di ottenere produzioni senza chimica.

Flavio Faliva Enologo Cà del Vént - Cellatica (BS)

Flavio Faliva Enologo Cà del Vént – Cellatica (BS)

Spostandomi allo stand successivo, mi sono dedicata all’assaggio di Masquè Perricone 2012 Porta del Vento, dell’azienda agricola Marco Sferlazzo di Camporeale, in provincia di Palermo. Pubblicando l’immagine su Instagram mi è venuto spontaneo scrivere: “Degusto ottimi vini poco proposti. Ristoratori, osate!” La risposta di uno di loro è stata immediata: “Osiamo! Peccato che molte persone non capiscono e chiedono vini conosciuti o a basso costo” Francesco D’Oriano, titolare dell’Osteria La Biscaggina di Livorno. Capisco che non sia facile, ma il compito del ristoratore è anche quello di guidare il cliente verso scelte valide e alternative. Apprezzo molto chi lo fa con me. Ma torniamo al vino… Perricone, un raro e antico vitigno autoctono siciliano, caratterizzato da grappoli a forma conica. Un vino poco conosciuto che nasce in una vallata ventosa in provincia di Palermo che ho apprezzato per il carattere.

Maquè Perricone 2012 Porta del Vento - Camporeale (PA)

Maquè Perricone 2012 Porta del Vento – Camporeale (PA)

Basilicata, una regione che conosco poco. Forse è per questo che mi sono fermata davanti allo stand di Antono Cascarano dell’azienda agricola Camerlengo di Rapolla, in provincia di Potenza. Un architetto che ha deciso a quarant’anni di iniziare a produrre vino continuando la tradizione del nonno Giovanni. Ho assaggiato ‘Accamilla’ 2013 Malvasia IGP, dedicato a Camilla, il suo Bull dog scomparso. Non sono molto attratta dai vini bianchi, ma alcuni, tra cui questo, sono davvero interessanti.

Antonio Cascarano dell'azienda agricola Camerlengo - Rapolla (PZ)

Antonio Cascarano dell’azienda agricola Camerlengo – Rapolla (PZ)

Un piacere incontrare Stefano Menti dell’azienda agricola Giovanni Menti di Gambellara, in provincia di Vicenza. Le mie origine venete mi hanno richiamato a lui. Notate i tappi a vite e a corona delle sue bottiglie nell’immagine che lo ritrae. Nonostante molti siano sfavorevoli, ad eccezioni di alcune tipologie di vino, sono una valida alternativa all’uso del sughero e agli spiacevoli inconvenienti che ne derivano. Inoltre, come ho scritto recentemente, sono ben accetti nei paesi nordici per la loro comodità  nel portarsi a casa il vino non terminato al ristorante.

Stefano Menti

Stefano Menti

Conoscete l’Isola del Giglio? Si trova in provincia di Grosseto, di fronte al Monte Argentario. Ha bellissime spiagge e un mare limpidissimo. Ci sono stata anni fa, per la precisione a Giglio Castello, tra mura medievali e piccole cantine. Ho avuto modo di ritrovare quelle terre bevendo Ansonaco Carfagna di uva ansonaca in purezza, dell’azienda agricola Artura. Il consiglio è di non berlo freddo, o meglio, di berlo a temperatura di cantina.

Vigneto Altura

Vigneto Altura

Mentre stavo andando via ho visto lo stand di Fulvio Bressan. Non lo conoscevo personalmente, sapevo però delle polemiche che recentemente l’hanno riguardato. Volevo farmi un’idea del personaggio, ruvido per certi versi, per me, dopo averlo conosciuto, assolutamente innocuo. Ci siamo presentati e abbiamo condiviso esperienze. Riporto un passaggio che condivido della sua filosofia: “Non sono biologico, anche se la mia regola personale mi impone condizioni di vigna e di cantina ancora più severe di quelle delle varie ‘certificazioni’. Non sono biodinamico, perché so che purtroppo le regole possono essere cavalcate dalle mode, e so che nulla è più facile che imporre regole per poi violarle, approfittandosi, così, dell’ingenuità degli altri.” Per ora mi accontenterò delle impressioni che ho avuto conoscendolo in una fiera, con un semplice scambio di opinioni. Ovviamente ho assaggiato anche il suo vino. Quando una persona mi ha chiesto cosa ne pensassi, ho risposto che il suo vino è il vino di Bressan.

Fulvio Luca Bressan - Farra D'Isonzo (GO)

Fulvio Luca Bressan – Farra D’Isonzo (GO)

Dovevo proprio scappare… il tempo a mia disposizione era finito. Non prima però di avere fatto un’ultima cosa. Mi aspettava un piatto di Tajarin ai funghi e pomodoro preparato dal mio caro Mauro Musso, un vero artigiano della pasta che utilizza solo materie prime di qualità. Vi invito a leggere cliccando QUI, alcune sue indicazioni sull’Agricoltura naturale.  Aprite la mente!

Mauro Musso

Mauro Musso e i suoi Tajarin




Un estratto da matrici vegetali del tutto naturale che sostituirebbe l’uso della Solforosa. Ne parliamo?

Sono convinta che leggendo il titolo di questo articolo molti di voi penseranno ai soliti discorsi sui vini cosiddetti naturali, lo penserei anch’io. Scrivere di vini senza aggiunta di anidride solforosa (SO2), la cui azione antisettica e antiossidante in una stagione difficile come questa è considerata determinante, sicuramente ai più sembrerà azzardato. Sto parlando di un additivo chimico utilizzato in moltissimi alimenti che, se assunto superando le dosi consentite, ha effetti tossici sulla nostra salute. Una sostanza il cui uso richiede attenzione, e che, conseguentemente, impone una continua ricerca verso un’alternativa naturale. Giuseppe Sportelli di Amastuola, un’azienda agricola di Taranto che recentemente ho visitato, ha commentato una nostra discussione a tal proposito con una frase che fa riflettere, perché in essa è contenuta la verità: “Cinzia, il segreto è nell’uva”.

Entro in merito.

Qualche settimana fa, durante un pranzo sul lago con un caro amico, la mia attenzione è stata catturata dall’ascolto di un vino prodotto senza l’uso di solforosa, o meglio, con l’uso di uno stabilizzatore per il processo di vinificazione a base naturale prodotto da un’azienda chemical free di Quartino, in Svizzera. Poche le notizie certe, ma in cambio qualche utile contatto per approfondirle. Da li sono iniziate le mie ricerche. Ho incominciato contattando alcuni amici produttori per capire se ne fossero a conoscenza. Tranne qualche caso isolato, poche le informazioni. Ho proseguito con alcune telefonate fino ad arrivare ad Alessandro Schiavi, enologo e socio dell’azienda agricola Mirabella di Rodengo Saiano a Brescia. Da qualche anno sta sperimentando questo prodotto con un vino già in commercio. Raggiunto al telefono la sera stessa mi sono accordata per un appuntamento. Due giorni dopo, nonostante il maltempo, sono andata a trovarlo.

Dopo avergli spiegato che cosa mi aveva portato a lui, mi ha raccontato del suo percorso orientato verso una ricerca di pratiche, sia in vigneto che in cantina, rispettose dell’ambiente e del consumatore. Nell’azienda nata nel 1979 in cui è socio, viene utilizzata energia proveniente da fonti rinnovabili (55 tonnellate in meno di gas carbonico emesso annualmente). Le sue sperimentazioni con EPYCA​® di Bioma, il prodotto oggetto delle mie ricerche, sono fatte in collaborazione con l’Università di Viticoltura ed Enologia di Milano. Il risultato è la produzione di “Elite” extra brut, Franciacorta DOCG, il primo Metodo Classico italiano senza solfiti (inferiori a 10 mg/litro, limite di dichiarazione) e allergeni.

A lui la parola.

  • Alessandro, come sei venuto a conoscenza di questo prodotto che stai sperimentando?

Sono venuto a conoscenza di Bioma tramite un parente del nostro socio Giuseppe Chitarra, un prodotto che nel corso degli anni ha cambiato diversi nomi, ora si chiama EPYCA​®. Tendo a sottolineare che il solo prodotto non è sufficiente ad ottenere un buon vino o spumante, ma deve essere associato a particolari tecniche enologiche altrettanto importanti.

  • Mi spieghi di che cosa si tratta e come agisce?

E’ un insieme di polifenoli di origine vegetale estratti dall’uva che interagiscono sia con il metabolismo microbico del vino nelle diverse fasi di lavorazione, sia con le componenti ossidanti esogene (ossigeno, perossidi, raggi uv, ecc.)

  • Oltre ad utilizzarlo con Elite, il tuo metodo classico Franciacorta già in commercio, mi dicevi che hai iniziato la sua sperimentazione con altri vini. Me ne vuoi parlare?

Come dicevo sopra EPYCA​® è una delle componenti del progetto Franciacorta “Elite” extra brut. Sto utilizzando EPYCA​® red in una bellissima azienda della Bergamasca su vini vendemmia 2104 Cabernet Sauvignon e Merlot che ho vinificato parallelamente sia in botti di acciaio che in botti di legno da 500 litri. I risultati sono interessantissimi nonostante l’annata 2014 sia stata molto complicata a livello di sanità e ossidabilità di uve e di vini. L’ideale sarebbe organizzare una degustazione, perché “i vini parlano da soli”.

  • Si parla molto di vini naturali. Quali sono le differenze sostanziali con i tuoi vini?

I vini che sto sperimentando non sono ben classificabili nelle famiglie dei bio, naturali, ecc. (i miei vini sottostanno a parametri ben più stretti di un vino bio). L’obiettivo è quello di ottenere dei prodotti legati e ben identificabili con il loro territorio e con lo stile dell’azienda che li produce, con molta attenzione ad un rispettoso trattamento dei vigneti senza “appesantire” il terreno e l’ambiente in cui viviamo (le aggiunte chimiche da questo punto di vista modificano tali parametri). Vinificazioni consapevoli e gestite da chi conosce ed osserva con attenzione l’ambiente che lo circonda (questo è il parametro più delicato: collaborare con del personale molto preciso e attento a tutti i segni della natura). Vini che senza aggiunte di allergeni possono essere consumati da chiunque, perché sani, tipici e ben conservabili.

Riprendo la parola ma la ripasso subito a Maurizio De Simone, un enologo che sta dedicando la sua vita alla ricerca storica per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo italiano unico per diversità pedoclimatiche e numero di vitigni autoctoni. Il suo sogno è produrre vini integri e stabili senza l’ausilio dell’uso dell’anidride solforosa. Da qualche anno, dopo aver incontrato Bioma, ha iniziato a sperimentare i loro coadiuvanti naturali per il controllo antisettico e antiossidativo degli alimenti. Una società di biotecnologie svizzera che agli inizi degli anni 2000 ha cominciato a studiare molecole di origine vegetale fino a mettere sul mercato un estratto di vinacciolo dell’uva e proteine vegetali, che aggiunto al vino al posto della anidride solforosa, non solo ha permesso di avere vini microbiologicamente sani, ma anche stabili rispetto alle ossidazioni, e soprattutto senza la devastante interferenza organolettica dei solfiti.

  • Maurizio, puoi raccontarmi la tua esperienza dopo questa sperimentazione?

Da qualche anno si possono trovare sul mercato vini senza solfiti aggiunti, che però spesso all’assaggio risultano fortemente ossidati, e a volte con incipienti difetti microbici che ne invalidano le peculiarità organolettiche. Premesso che minime quantità di solforosa vengono prodotte dai lieviti durante la fermentazione, la soglia di 10 mg/lt di legge garantisce la quasi certezza che al di sotto di tale limite a un vino non sia stato aggiunto questo gas. In questi anni ho avuto modo di seguire vinificazioni presso numerose cantine private in Italia, Svizzera, Francia, Portogallo, California e Australia, oltre ad organi indipendenti quali l’università di Bordeaux e l’istituto di ricerca per i Rosè di Provenza. In tutti i casi si è evidenziato come i vini prodotti senza l’aggiunta di solforosa fossero naturalmente più stabili dei paralleli convenzionali, con minori tenori di acidità volatile, e nei rossi, tonalità purpuree di colore tendenzialmente più intenso e stabile nel tempo.

Tutti i vini risultano essere notevolmente diversi sotto l’aspetto organolettico, perché l’anidride solforosa è un Maurizio De Simonefortissimo caratterizzante delle peculiarità olfatto gustative, e in assenza di essa, i parametri usuali di riconoscibilità sono rimessi in discussione. Questo discorso a prescindere dall’aspetto salutistico, che nel vino è sostanzialmente trascurabile rispetto ad altri alimenti dove le concentrazioni di solfiti sono notevolmente più alte. Quello che apre nuovi e imprevedibili scenari è il fatto che un vino senza solforosa aggiunta esprime caratteri diversi, molte volte riconducibili ai sentori delle uve di partenza, e questo potrebbe rimettere in discussione tutto quanto codificato fin ora da organi scientifici e organizzazioni del gusto, per non parlare degli aspetti comunicativi e pubblicitari che ruotano intorno a questo fantastico mondo.

Attualmente tantissime cantine seguono i miei protocolli di vinificazione che consistono nel sostituire l’utilizzo della anidride solforosa con questi coadiuvanti. La grande maggioranza di esse hanno una linea dedicata a vini prodotti senza solfiti aggiunti che sono particolarmente apprezzati nei mercati del nord Europa e anglosassoni. Questa tecnica consente di avere vini in bottiglia che non superano i 10 mg/lt di Solforosa Totale, limite oltre il quale è obbligatoria la scritta in etichetta “CONTIENE SOLFITI”. Un aspetto che mi ha sorpreso è che questa tecnica, applicabile alla stragrande maggioranza di tipologie di vino, se è legata ad una sensibilità etica di produzione,  favorisce l’origine di vini più sani e meno invasivi sulla salute umana.

Maurizio De Simone  – Pro.Vit.E. Società Professionisti del settore viticolo ed enologico – Montalcino (SI)

Riprendo la parola.

Conclusa la nostra chiacchierata, una volta tornata a casa, ho incominciato ad approfondire le ricerche su Bioma, un’azienda chemical free situata in Canton Ticino nata nel 199​0. Come sempre ho bisogno di parlare direttamente con le persone interessate. Il Direttore Scientifico Elio Bortoli insieme al Direttore Operativo Moreno Buzzini hanno risposto alle mie domande.

  • Bioma, un’azienda di biotecnologie che ricerca, sviluppa e fabbrica degli additivi alimentari per permettere la totale sostituzione di conservanti chimici aggiunti; nel caso del vino della solforosa,  e nel caso dei salumi di nitriti e nitrati. Quali sono i risultati fin ora ottenuti?

E’ importante sottolineare che Bioma si integra nei normali processi di trasformazione alimentare senza disturbare le normali fasi di produzione tradizionali: non è quindi necessario dover rivedere e rivoluzionare la produzione con l’ausilio di importanti investimenti per nuovi macchinari e/o stravolgendo i propri processi produttivi.
Nel 1992 abbiamo vinificato la prima volta con la versione 1.0 dell’attuale EPYCA​®, e in seguito, la strada fino ai nostri giorni è stata ricca di ottimi traguardi raggiunti. Oggi siamo in grado di poter offrire a coloro che intendono vinificare senza l’ausilio di solfiti aggiunti EPYCA​®, una linea di prodotti per vini rossi, bianchi e rosé, bollicine e dolci, con la possibilità di arrestare la fermentazione malolattica.

  • Sono arrivata a voi ricercando un prodotto estratto da matrici vegetali del tutto naturale che sostituirebbe l’uso della Solforosa nel vino con gli stessi risultati: EPYCA​®. Di cosa si tratta esattamente?

EPYCA​®  è il frutto di un lungo lavoro di ricerca che è stato coronato da uno studio finanziato dalla Comunità Europea per tramite del progetto SULPHREE (sulphite-free organic additives to be used in wine-making-process).  E’  composto da sottomolecole di tannini estratti da vinaccioli dell’uva preparate in diverse formulazioni da utilizzare nelle diverse fasi della vinificazione e del tipo di vino.

  • I risultati che avete ottenuto con il progetto SULPHREE sono stati verificati da un organo di ricerca?

Il progetto SULPHREE, attuato da un consorzio nel quale erano presenti Bioma in funzione di R&D con il supporto di altri centri di ricerca, in particolare l’Università di Portici tramite il suo responsabile scientifico del dipartimento degli Alimenti Professor Ferranti e i suoi assistenti, assieme ad aziende vitivinicole EU, ha ottenuto risultati più che positivi. Tutte le applicazioni/vinificazioni effettuate sono sempre state seguite direttamente dai ricercatori e vinificatori attraverso analisi che ne hanno confermato innanzitutto l’assenza di solfiti aggiunti, ma che hanno anche evidenziando le caratteristiche organolettiche positivamente evolute.

  • Parliamo di costi. Quanto incide l’utilizzo del vostro prodotto rispetto alla Solforosa?

Stiamo paragonando un prodotto estremamente valido ed affermato da anni che essenzialmente però è uno “scarto di produzione industriale”, e quindi con dei costi irrisori, con un prodotto completamente innovativo, giovane e tecnologicamente molto avanzato, che necessita di un investimento da parte dei produttori di vino. E’ importante notare però che tutti i produttori che hanno utilizzato EPYCA​®, hanno comunque potuto riposizionare il prodotto sul mercato grazie a nuove etichette, e ovviamente con dei prezzi maggiori che assolutamente giustificano la qualità del prodotto finale vino. Il riposizionamento, soprattutto per quanto riguarda i costi, permette di ripagare completamente l’impiego di EPYCA​® con dei multipli da 3 a 5 volte rispetto all’investimento. Vi è inoltre per i vinificatori la possibilità di presentarsi sul mercato con un prodotto nuovo, di qualità, salubre e che può soddisfare il crescente mercato delle persone intolleranti ai solfiti. 

Concludo.

Ho pubblicato questo articolo nella speranza di diffondere un messaggio che possa servire da stimolo a chi come me, ama tutto ciò che riconduce alla natura e al rispetto dell’ambiente. Come dico spesso, i miei tentativi sono paragonabili a dei lanci di sassi nell’acqua: i cerchi che si formano attorno dipendono dall’interesse delle persone verso questi temi. La domanda che a volte mi sento porre e che mi fa sorridere è perché faccio tutto questo. La risposta è semplice: perché ci credo.

 

Ringraziamenti:
Giorgio Arrighini del Ristorante Ai Frati, Vello di Marone (BS) – Elio Ghisalberti, giornalista enogastronomico – Marco Derelli della Salumeria Derelli (BS) – Roberto Rigoni, Cantina Motto della Torre, Castione Svizzera – Alessandro Schiavi dell’Az. Agricola Mirabella, Rodengo Saiano (BS) – Maurizio De Simone, enologoElio Bortoli e Moreno Buzzini di Bioma Chemical Free Products, Quartino Svizzera – Giuseppe Sportelli dell’Az. Agricola Amastuola, Massafra (TA)

 

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