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Un uomo senza terra, ma con tanta voglia di fare vino. Ritorno alle origini.

Qualche settimana fa, in piena atmosfera natalizia, si è svolto al Ristorante “Il Canneto” dell’Hotel Sheraton Milan Malpensa, l’ultimo wine travel dell’anno con l’incontro tra Fabio Fiorelli, lo chef pasticcere dell’Hotel Danieli di Venezia, e alcuni vini della Lombardia. Come sempre piacevoli assaggi e interessanti incontri che mi hanno permesso di ascoltare storie di vita scambiando opinioni ed esperienze.

Ve ne racconterò una, la storia di Alex Pollini. Un uomo che dopo essere cresciuto nelle campagne astigiane, terre di grandi vini, finita l’università si è trasferito a Milano per lavoro. Nonostante il cambio di rotta della sua vita, spostarsi da una piccola realtà ad una metropoli non gli ha fatto perdere la passione per il vino nata in gioventù.

La curiosità e l’interesse per le tradizioni regionali e vitivinicole, lo hanno portato nel tempo a frequentare corsi specializzati per cogliere le diversità del vino come espressione del territorio. Fu in quel periodo che nella sua mente prendeva forma un progetto: non essere più un semplice appassionato assaggiatore, ma trasformarsi in un piccolo produttore. Ma da dove iniziare? Nessuna reale esperienza come imprenditore ne tantomeno come produttore, ma soprattutto, senza terreni.

“Cinzia, fu allora che i miei pensieri iniziano a rivolgersi alla Francia e alla sua lunga esperienza vitivinicola. Su come alcuni suoi grandi vini sono nati da produttori che non possedevano terre ma sapevano sapientemente selezionare. La capacità di affinare e tagliare vini acquistati da viticoltori fidelizzati, ha fatto il resto.”

Si convinse a seguire l’esempio. Scelta la Lombardia come territorio, dopo una ricerca che lo ha portato ad incontrare tante piccole realtà contadine nell’area del bresciano e della bergamasca… dopo prove, analisi, assaggi, tagli su tagli, finalmente l’idea si è realizzata: “Le Origini

“Ho capito che volevo creare come primogeniti del mio progetto un rosso e un bianco, entrambi vini non aSutilis 2010 Le Origini denominazione, ma espressione della mia idea. E’ nato così il rosso Sutilis, che significa “Uniti Insieme” in onore dei due vitigni che lo creano, ovvero Cabertnet Sauvignon e Merlot. Un taglio bordolese quindi, forse la più famosa unione del mondo (…dal punto di vista enologico si intende) ma anche dedicato alla mia famiglia, fonte d’ispirazione, a cui sono estremamente legato. Un vino del 2010, affinato in botti grandi e barrique che esprime il rigore e la finezza del Cabernet e la morbidezza del Merlot in un’unione molto interessante. Corposo e morbido con note fruttate e speziate e una freschezza che ne esprime il potenziale futuro evolutivo. Successivamente è nato il bianco Magis, il cui significato “Di Più” (dedicato a mia moglie) ne indica l’obiettivo: dare qualcosa in più in termini di longevità ed evoluzione rispetto a tanti bianchi esistenti buoni solo da giovanissimi. Un vino con note fruttate e floreali molto piacevoli.”

Dei due ho assaggiato il Sutilis; deve ancora crescere ma interessante. L’unica cosa che mi ha lasciata un po’ perplessa è pensare a un vino prodotto con uve  non seguite personalmente dal produttore. Forse perché mi viene naturale pensare che il vino sia un prodotto espressione della persona e del territorio nel senso più completo. Poi mi son detta: “Se questo può aiutare l’agricoltura, perché no?”  Ne riparleremo…

Natale 2014

Nell’attesa… Buon 2015




I ricarichi sul vino al ristorante non devono dipendere dalla loro ‘tovaglia di seta’!

Oggi voglio parlare dei ricarichi sul vino fatti dai ristoratori e dai wine bar.  Ricarichi che io definirei indisciplinati, come del resto gli italiani e molto di ciò che li riguarda. Direte: “Cinzia, ma cosa c’entrano le loro tovaglie di seta?” C’entrano eccome se i ricarichi, a parte quelli scontati e più che legittimi, vengono fatti per distribuire le spese relative al locale stesso. Con ‘tovaglie di seta’ mi riferivo per l’appunto a questo.

Ora vi spiego. Qualche giorno fa, seduta a tavola con degli amici giornalisti del settore di lunga data, si è accesa una discussione e… dibatti che dibatti, sapete che cosa mi è stato risposto quando ho contestato questo stato d’essere? Che io ho quell’entusiasmo che loro hanno perso nel combattere ciò che andrebbe corretto, ma che ormai è entrato nella consuetudine.

Mettetela come volete, ma io trovo assurdo che i ricarichi sul vino nella ristorazione vengano fatti in modo indiscriminato e incontrollato penalizzando il vino e limitandone il consumo. Sapete che cosa vi dico: “Bisogna fare la rivoluzione, intesa come grande cambiamento, anche nell’enogastronomia!”

Come sempre parlo da consumatrice appassionata e informata che ama confrontarsi. Proprio per questo ho chiesto ad alcuni amici che vivono questo settore in prima persona, il loro parere sulla questione. (L’elenco delle risposte è in ordine alfabetico).

Marco Chiesa, wine consultant.

Tutti noi ci aspettiamo ricarichi bassi sul vino, poiché il vino in Italia rimane un prodotto “popolare” da sempre sulla tavola e quindi si trova ingiusto, per esempio, che il vino da 5 euro a scaffale, venga venduto a 15/18 euro e che il vino da 10 euro venga venduto a 30. Ma se ragioniamo, ogni bottiglia di vino ha un costo di gestione che comprende: spazio cantina, oneri finanziari tra acquisto e incasso, tempo cameriere/sommelier per gestione, servizio, smaltimento, bicchieri e lavaggio, eventuali cambi al cliente o rimanenze se venduto a bicchiere. Insieme alla catena Accor calcolammo anni fa che il costo di gestione di una bottiglia in una struttura efficiente come un albergo 3/4 stelle di catena internazionale costa circa 10 euro. Il ristorante medio italiano è molto più inefficiente, facciamo 12. Se compro un vino a 5 euro, per restare in pari devo venderlo a 17, se poi voglio guadagnare allora almeno un 40% di margine sarebbe corretto. I conti sono presto fatti e si capisce perché molti ristoranti chiudono: non li sanno fare, i conti.

Se ci pensiamo un piatto di pasta ha un costo di produzione inferiore all’euro, ma noi lo paghiamo 8/10 e nessuno batte ciglio. Perché con il vino non succede? Il vino è penalizzato proprio quando viene venduto come servizio a prezzo basso, quando per stare nei conti il gestore compra vini a due euro e li rivende a 10, perdendoci comunque. Io credo che in Italia i prezzi dei vini al ristorante siano decisamente bassi e quasi sempre calcolati male. Basta fare un giro all’estero per capirlo. Mi fermo ma potrei parlare molto sull’argomento…

Gianni Galantino, ristoratore. Ristorante Da Giulia – Milano

Il vino non ha solo costi d’acquisto ma anche costi relativi alla conservazione e alla gestione della cantina. Faccio alcuni esempi. Se acquistiamo una bottiglia di vino al costo di 6 euro lo dobbiamo vendere a circa 18/20 euro. Se acquistiamo a 25 euro lo dobbiamo vendere a 50 euro. In caso contrario ci perdiamo. Cinzia, devi tenere presente poi, che ci sono vini che sanno di tappo o che per presa d’aria diventano imbevibili o marsalati.

Simone Liloni, sommelier. Trattoria Pegaso – Gavardo (BS)

Tema scottante questo… debbo dire che io cerco di essere il più onesto possibile sui ricarichi sia al bicchiere che alla bottiglia. In zona molti se ne approfittano e non poco. Ti faccio un esempio. In una buona pizzeria vicino casa mia danno a bicchiere come vino dolce un Zibibbo liquoroso della Florio, vino ordinario, piacevole anche se troppo dolce per i miei gusti. Ebbene, il vino costa al supermercato nel formato da 0,75 4,50 euro.  Al bicchiere lo vendono a 4. Considerando che da una bottiglia ricavano sette bicchieri, dunque ben ventotto euro, guadagnano  ventitré  euro puliti! Questo è solo uno dei tanti esempi.

Altro problema del vino alla mescita è la ripetitività delle etichette, alla fine, grosso modo, girano sempre quelle tre o quattro per tipologia. Io propongo vini un po’ controcorrente a bicchieri, magari anche semisconosciuti che però i clienti mi richiedono.

Isabella Monguzzi, titolare dell’Enoteca Vincanto – Senago (MI)

Dietro certi rincari ci sono i bicchieri, la loro sanificazione e tutto quello che comporta la mescita; poi, trovi delle location che fanno pagare l’ambiente e magari (anzi spesso) ripiegano su prodotti scarsi con rincari da strozzinaggio. Ma come si suol dire l’occhio vuole la sua parte e spesso, quando il cliente è  immerso in un ambiente originale e/o fiabesco, non gli importa ciò che beve! Questo è quello che hanno insegnato certi ristoratori ai clienti!

Gianluca Morino, produttore. Cascina Garitina – Nizza Monferrato (AT)

Questi rincari sono una grandissima penalizzazione per il vino.

Matteo Scibilia, ristoratore. Osteria della Buona Condotta – Ornago (MI)

Un ristorante tre stelle ha ricarichi diversi da chi non ne ha, infatti arriva anche a decuplicare il costo della bottiglia, ed è evidente il perché. Ad esempio, se hai bicchieri riedel hai un costo in più, come è chiaro che se hai un sommelier avrai un costo più alto da spalmare sul conto del cliente. In ogni caso tutto ciò che è presente in un ristorante ha un ricarico, il food cost è una regola fiscale. Cinzia questo lavoro è diventato costoso e difficile, siamo sommersi da costi e tasse. In Francia i ricarichi dei vini sono altissimi. Hanno ragione loro…

Tano Simonato, ristoratore. Ristorante Tano passami l’olio – Milano

Nella normalità i ristoratori ricaricano di due volte in trattoria, e tre volte nel ristorante. Qualche top restaurant anche quattro volte. Le spese sono tante… costi per il personale, affitti alti, tasse su tasse, materie prime costose…

Robert Spinazzè, produttore. Terre di Ger  – Frattina di Pravisdomini (PN)

I ricarichi onesti permettono un giro dei consumi. Purtroppo non sempre è così. Mah, ci sarebbero da fare discussioni infinite.

Chiara Soldati, produttrice. La Scolca – Gavi (AL)

La consuetudine di ricarichi importanti sui vini è ormai pratica diffusa e consolidata. In Italia sicuramente tale fenomeno è molto più evidente rispetto ai paesi esteri. Ritengo che un equilibrato ricarico sia legittimo, ma in molti casi si trovano vini a prezzi non giustificati. Ritengo che una buona politica dei prezzi aiuterebbe sia la categoria dei ristoratori che il mondo del vino. Una politica dei prezzi equilibrata aiuterebbe la diffusione di un consumo di qualità e forse non penalizzerebbe il mercato italiano già in crisi per molteplici fattori.

Aiutare la territorialità, studiare adeguate politiche “by glass”, fare sistema tra diversi soggetti concordando adeguatamente i prezzi di uscita, sarebbe una buona regola per razionalizzare il mercato. Cinzia, hai mai notato come certi vini che in carta risultano al top dei prezzi a volte vengono venduti sottocosto nelle offerte della GDO?

Alessandro Vitiello, Ristoratore e sommelier. Ristorante Il Fauno – Cesano Maderno (MB)

Cinzia, sono d’accordo con te. Sicuramente ogni locale ha libertà di decidere come meglio crede e a seconda di quanto aggiunge ‘gratis’ al bicchiere di vino, io però sono convinto che il ‘mondo vino’ ne avrebbe da beneficiare se si condividessero delle ‘linee guida’ che permettano al cliente di bere sapendo che il prezzo di un bicchiere o di una bottiglia è correttamente proporzionale al prezzo deciso dal produttore.

Riprendo la parola.

Che cosa rimane da dire? Io continuo a pensare che questi ricarichi dovrebbero essere regolamentati affinché non sia il vino a pagare gli eccessi delle spese derivanti dalla gestione della ristorazione. Resta il fatto che da consumatrice informata quale sono, vorrei capire caso per caso quanto viene maggiorato il suo costo.

Questa consapevolezza rientrerebbe nel mio grado di soddisfazione nella valutazione di un ristorante. Con tante linee guida che ci sono, mi chiedo come sia possibile che non ce ne sia una aggiornata e consultabile on line che dia la possibilità di effettuare nell’immediato questa verifica. Chissà…

Passione Vino




Il Lambrusco non è un vino, ma un insieme di vini

Credo, anzi sono convinta, che il consumatore medio intenda il Lambrusco come una tipologia di vino. Ebbene, non è così! Il Lambrusco in realtà è un insieme di vini diversi che si sviluppa nella zona collinare reggiano-modenese. Una famiglia di vitigni autoctoni dalle antiche origini, citati per la prima volta da Plinio il Vecchio con il nome di Vitis Lambrusca nell’opera “Naturalis historia”.

Oltre il SorbaraDetto questo ve ne cito alcuni: Lambrusco Salamino, Lambrusco Maestri, Lambrusco Barghi, Lambrusco Marani, Lambrusco Viadenese, Lambrusco Oliva e… Lambrusco Sorbara. Un vitigno autoctono legato al territorio e all’uva da cui prende il nome, che si distingue per la freschezza, l’acidità e la mineralità. Profumi, colori e gusti che mi hanno sorpreso. Una valida alternativa alle solite proposte.

Mercoledì 29 Ottobre presso il Ristorante Sadler di Milano si è svolta una serata dedicata al Lambrusco Sorbara di Cleto Chiarli. Un’azienda agricola di Modena che si estende, con diverse tenute, su oltre 100 ettari di vigneti. Centocinquanta anni di storia e cinque generazioni di produttori impegnati nella valorizzazione dell’uva Sorbara.

Durante l’ascolto di Marco Chiesa sull’evoluzione che nel tempo ha caratterizzato questo vino, ho piacevolmente accolto i piatti studiati dallo Chef Claudio Sadler, grande interprete degli abbinamenti della serata. Una cena superlativa con ottimi vini in abbinamento. Il piatto che mi è piaciuto di più?  Il risotto con polvere di funghi trombetta e polvere d’oro. Strepitoso! Il vino? Il Sorbara in purezza Riserva del Fondatore, un classico di Chiarli prodotto secondo le regole tradizionali, fermentazione in bottiglia con metodo ancestrale (metodo antico).

Concludo con uno scritto di Luigi Veronelli  tratto da “Conoscere il vino” (Rizzoli-Hachette 1997) Fonte Casa Veronelli. Leggete come descrive il Lambrusco di Sorbara…

Nessun altro vino ci riporta, come lui, all’idea patriarcale, alla vita giornaliera.
E’ un vino «umano». Proprio per questo, forse, è il vino contro cui massimi sono i tradimenti.
Così che debbo attendere anni e far mille prove per bere e ribere un bicchiere che appieno mi soddisfi.

Perchè sia realmente di Sorbara e quindi buono, il tuo Lambrusco deve avere le seguenti caratteristiche:
colore rosso chiaro su netto fondo rosa, brillante; profumo allegro, con netta insistenza di viola; molto personale; sapore asciutto e sapido; accentuata freschezza per pulita vena acidula non privo di rustica eleganza; frizzante e vivace schiuma rossa.

Il suo tenore d’alcool è tra i 10,5 e 12° e l’acidità totale da 6 a 8% .
L’annata da consigliare è sempre l’ultima, da che è un vino fragile che vive una breve, incantata giovinezza.
E’ importante che la bottiglia – portata alla temperatura di 14-16°C – sia servita al momento, così da goderne, in primis, l’abbondante, evanescente schiuma.

 




“Il vino è una bella storia.” Alberto Malesani

Nella foto in testata la cantina dell’azienda agricola ‘La Giuva’  con la collezione di biciclette da corsa di Alberto Malesani.

“Il timing nel calcio è come nel vino. Il rispetto dei tempi è fondamentale.” Alberto Malesani

Non sono un’appassionata di calcio, o meglio, non amo il calcio di oggi. Troppi interessi mi portano a non seguire uno sport che sentivo più sincero molti anni fa. Vi chiederete quindi come sono arrivata ad un uomo che per molti anni è stato un allenatore. In realtà lo è ancora, anche se momentaneamente si è preso un periodo di pausa. Pensate che sono così disattenta che non ricordavo nemmeno che fosse stato lui a guidare la squadra del Chievo verso i primi successi. Bei tempi quelli…

Ebbene, ho conosciuto Alberto grazie ad un ‘camino’, una delle tante coincidenze che guidano ormai da anni la mia vita. Un Alberto Malesanitecnico del calcio presentato dai media come persona caratteriale che ho apprezzato per la gentilezza e la sensibilità. Come dico spesso, la realtà sovente è assai diversa da ciò che apparentemente l’informazione tenta di trasmetterci. Tocca a noi saper andare oltre se vogliamo vivere nella verità.

La mattina in cui sono andata da lui le colline erano avvolte dalla nebbia. I miei occhi brillano davanti ai paesaggi autunnali per l’atmosfera che solo la natura, con i suoi colori, sa creare. Saper godere di tutta questa semplice bellezza è già una grande fortuna.

Al mio arrivo, dopo avermi accolto con un sorriso, mi ha lasciato libera di fare una breve escursione intorno ai suoi vigneti. Ho bisogno di ambientarmi in ogni posto in cui vado. Inizio sempre così le mie visite.

Una volta soddisfatta, da sola, l’ho raggiunto in cantina. Era preso da uno scambio di battute con due persone. Non ci metto molto a presentarmi e a inserirmi nelle conversazioni quando mi trovo a mio agio. Da quel momento è iniziato il tour dell’azienda. Mentre ascoltavo Alberto che mi illustrava i suoi progetti, mi inserivo di tanto in tanto con consigli e suggerimenti che, dopo le tante visite a realtà produttive, sorgono spontanei. Ad esempio, vorrei maggiore attenzione per la produzione del buon aceto di vino. So che ci sono alcuni cavilli, ma perché non scavalcarli? Poi, vorrei vedere più aggregate le aziende agricole dello stesso territorio con eventi promossi da coloro che si occupano di comunicazione digitale del vino. Quante cose che vorrei… soprattutto più sinergie.

La Giuva

La Giuva

Mentre mi descriveva il ‘suo vino’, mi ha raccontato l’imbarazzo provato la prima volta che ha assistito al suo assaggio. L’emozione vissuta in quel momento è stata molto più intensa di qualsiasi traguardo sportivo. Mi ha colpito la sua prima esperienza lavorativa con il Giappone e il racconto degli insegnamenti ricevuti. Più conosco la filosofia di vita di questo paese e più mi attrae. Un uomo che, dopo essersi occupato di logistica in una multinazionale per molti anni, ha raggiunto traguardi importanti grazie alla determinazione e alla passione.

“Cinzia, la passione, l’iniziativa personale, la condivisione, il coinvolgimento e gli obiettivi misurabili, servono per vivere ogni istante della vita in modo pieno e senza alcun rammarico. Questa è la dieta della mia vita. Mi ha accompagnato nel passato, nel presente, e mi accompagnerà nel futuro. Ogni cosa che faccio o sogno prima di tutto mi deve meravigliare, poi, una volta capita la fonte di questa meraviglia, so che cosa può diventare. Vale per tutto… sia per un rapporto umano, o per allenare una squadra o per produrre un vino. Sono e sarò sempre lo stesso davanti a successi e insuccessi, perché gli uni sono indispensabili agli altri.”

Da qualche anno si è dedicato completamente all’azienda agricola che gestisce insieme alle figlie Giulia e Valentina, La Giuva, un acronimo dei loro nomi. Una realtà con certificazione biologica situata a Trezzolano, in provincia di Verona, nell’alta Val Squaranto. Un territorio collinare caratterizzato da un suolo calcareo ben visibile negli scavi che portano alla cantina.

Con la guida esperta di Lorenzo Caramazza, winemaker dell’azienda, produce da uve autoctone Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta, un vino inteso come espressione del territorio, il Valpolicella DOC. L’ho apprezzato per la piacevolezza e per il corpo. Schietto quando maturato solo in acciaio, più intenso quando passato in legno.

Durante l’assaggio si è dibattuto su alcune problematiche che si ripresentano ogni qual volta io visiti un’azienda, in particolare sugli intoppi creati dalla burocrazia. Sembra quasi monotono toccare continuamente questo tasto, piaga dolente dello sviluppo economico della nostra Italia. Nonostante ciò, il nostro paese è sostenuto con impegno da chi sente ancora l’appartenenza e combatte per la sua ripresa.

Credo che si sappia ormai come la penso sul tricolore esposto come simbolo rappresentativo dell’Italia che lavora. Proprio per questo, vedendolo dipinto sui soffitti de La Giuva, compiaciuta ho espresso ad Alberto la mia sincera approvazione.

IMG_5557Con Lorenzo Caramazza ho approfondito una tematica affrontata recentemente scrivendo un articolo su alcune realtà agricole visitate nella Valcalepio. Mi riferisco ai danni e alle possibili soluzioni per combattere un antipatico moscerino killer: la Drosophila suzukii. Ebbene, Lorenzo mi ha spiegato che sta tentando di risolvere il problema con l’ausilio di una soluzione naturale dagli ottimi risultati. Lascio a lui continuare.

Cinzia, per la drosofila suzukii va chiarito che la trappola naturale, composta da vino con una maggiore presenza di acido acetico e zucchero, viene utilizzata nelle coltivazioni della fragola in lessinia. Si sta utilizzando questa tecnica anche nei vigneti cercando di rispettare l’agricoltura biologica. In trentino qualcuno sta utilizzando una miscela simile per venderla in contenitori pronti all’uso. Questo rimedio aiuta per il 60/70 % delle catture. Qualcuno sulla frutta utilizza le reti fini e/o trattamenti. Nel caso della vite il problema maggiore si ha nei fruttai per l’appassimento delle uve dove la ventilazione e il freddo risultano l’unica vera difesa. 

La mia visita non si è conclusa in azienda ma in una bella trattoria della zona, tra chiacchiere e sorrisi. Questi sono i momenti che danno un senso a ciò che faccio. Un capitolo tra i più intensi della mia vita degli ultimi anni. Come ha detto Alberto: “Il vino è una bella storia.

 www.lagiuva.com

Il vino di Alberto Malesani

Il vino di Alberto Malesani




Viticoltura in Valcalepio, questo è l’hashtag : #ilvalcalepioècambiato

Per chi ancora non lo sa, l’hashtag è una parola inglese composta da ‘hash e tag’, che in italiano significano cancelletto ed etichetta. In pratica un cancelletto posto davanti a una parola la trasforma in un’etichetta, aggregando argomenti con lo stesso interesse e la stessa chiave di discussione.

Ebbene, questo è il punto da cui partire: #ilvalcalepioècambiato. E’ cambiato nella qualità che le persone protagoniste di queste terre vogliono trasmettere con le loro produzioni. Conoscerle permette di capire la volontà e la determinazione che si prefiggono nel raggiungere tale obiettivo.

Martedì 23 Settembre ho partecipato a un tour press dedicato alla viticoltura in Valcalepio. Protagoniste della visita due cantine dell’Associazione ‘Le Donne del Vino‘, che da ben venticinque anni unisce le imprese vitivinicole con gestione femminile. Due Signore della Valcalepio che si sono reinventate in viticoltura per amore e per tradizione familiare.

Le Signore della Valcalepio

Cristina Kettlitz e Marta Mondonico, Le Signore della Valcalepio

Una giornata di Settembre scaldata dal sole e da una buona compagnia, iniziata con la visita alla Tenuta del Castello di Grumello. Qui, con piacere, ho visto sventolare la bandiera italiana.

Vorrei vederla ovunque ci sia motivo d’orgoglio per il senso di appartenenza che dovremmo sentire verso un territorio come il nostro, così ricco di storia e di bellezze naturali.

Valcalepio

Valcalepio

L’azienda agricola Tenuta Castello di Grumello è situata tra Bergamo e il lago d’Iseo. Una realtà vitivinicola di 37 ettari, di cui 18 destinati al vigneto, situata su una collina dove sorge maestoso un castello, una fortezza militare risalente al 1200 appartenuta al condottiero Bartolomeo Colleoni.

Non faccio mistero della mia passione per la storia e per le armi antiche, per questo ho molto apprezzato la spada dei cavalieri, l’Excalibur, un pezzo originale del XII secolo presente nel castello.

Grumello del Monte

Tenuta Castello di Grumello

E’ in questa cornice storica, a poca distanza da Milano, che Cristina Kettlitz, giornalista e comunicatrice, con il supporto dell’enologo Paolo Zadra, produce circa 100.000 bottiglie di diverse tipologie di Valcalepio DOP. I vitigni presenti sono Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Pinot grigio e Moscato di Scanzo. La forma di allevamento è a la spalliera, e la densità di impianto media è di 5000 ceppi/ettaro.

Tra i vini assaggiati il Valcalepio rosso Doc Riserva “Castello di Grumello” 2007 e il Valcalepio rosso Riserva Cru Colle Calvario 2005. Entrambi taglio bordolese (mescolanza di vini diversi per vitigno, provenienza e per età) di Cabernet Sauvignon 60% e Merlot 40%. Il primo matura dodici mesi in barrique e il secondo diciotto, con restante affinamento in bottiglia. Grado alcolico 13/13,5% vol. Vini di corpo e carattere.

Per quanto riguarda il Valcalepio Moscato Passito Doc ottenuto da uve di Moscato di Scanzo, vitigno autoctono della bergamasca, la produzione di questa stagione anomala  farà capire le scelte “di qualità” che si prefiggono i produttori della zona.

Tour press dedicato alla viticoltura in Valcalepio

Tour press dedicato alla viticoltura in Valcalepio

Il tour è continuato con la visita alla seconda cantina, la Tenuta Le Mojole situata a Tagliuno di Castelli. Una realtà agricola nata nel 2002 di circa 2,30 ettari seguiti personalmente dalla titolare Marta Mondonico, prima insegnante e poi, seguendo la passione del marito, viticoltrice.

I vitigni presenti sono Merlot, Cabernet Sauvignon e una modesta presenza di Syrah. Donna Marta, insieme all’enologo Paolo Posenato, nella conduzione dell’azienda vitivinicola adotta metodi naturali nel rispetto dell’ambiente e della persona. La produzione è di circa 8.000 bottiglie.

Tenuta Le Mojole

Tenuta Le Mojole

La degustazione dei suoi vini è iniziata con “Donna Marta Rosa” IGP 2013 rosato della bergamasca, uve Merlot in purezza vinificate in rosa. Grado alcolico 12,5%. Adatto a menù non impegnativi. Più vicino ai miei gusti il Cabernet Sauvignon Le Mojole 2010, da uve selezionate di Cabernet Sauvignon 100%. Grado alcolico 13,5 diciotto mesi in tonneau e dieci in bottiglia. Vincitore di diversi concorsi internazionali, tra cui la medaglia d’oro al Concorso mondiale di Bruxelles 2014.

Una giornata passata tra conoscenza e degustazioni di vini in un territorio che consiglio di visitare personalmente, per apprezzare dal vivo le belle atmosfere che con le parole e le immagini ho tentato di trasmettere.

Tutto perfetto, se non fosse stato per la Drosophila suzukii, il moscerino dei piccoli frutti di cui si è parlato a lungo con Donna Marta. Agli agricoltori, già perseguitati da una stagione difficile, mancava solo questo sgradito ospite asiatico che i funzionari della regione Lombardia reputano provenire da importazioni di ciliegie cinesi. Mi trattengo da aggiungere altro!

Vi dico solo che è caratterizzato da grandi occhi rossi e che la femmina depone le uova nella polpa dei frutti maturi causando il loro conseguente deterioramento. Oltre la piccola frutta colpisce i vigneti. Capirete bene che, a poca distanza del raccolto, lega le mani agli agricoltori impedendogli di intervenire adeguatamente.

Per certo si sa che non ama le alte temperature e che per questo predilige le zone collinari. C’è chi tenta di proteggere le proprie colture con fitte reti, e chi spruzza aceto di mele per bloccare la crescita delle uova. Non ci resta che sperare che gli studi e la ricerca possano aiutare a trovare presto rimedi efficaci per contrastare questa ennesima piaga subita dagli agricoltori.




“La disperazione degli uomini del sud fa fare miracoli”. Vi presento Peppino Montanaro.

Da qualche anno il destino mi porta spesso a Taranto, una città che conoscevo come molti, soprattutto per le note vicende legate all’inquinamento. Perché mai interessarmi e scrivere di una terra che alcuni hanno definito non mia? La risposta è semplice: perché sono italiana, e come tale ci credo. Ho la fortuna di vivere in uno dei paesi tra i più belli al mondo. Una nazione con un ricco patrimonio culturale, enogastronomico, e con un territorio che vanta la maggiore biodiversità tra i paesi del vecchio continente.

Un’estensione costiera di oltre 7.000 km. Una superficie forestale di oltre 10 milioni di ettari con 12 milioni di alberi, un terzo della superficie territoriale. Grazie alla varietà degli habitat e dell’aree climatiche abbiamo oltre 55.600 specie animali. Siamo una nazione con 17 milioni di ettari dedicati all’agricoltura, un settore che genera prodotti di qualità a garanzia del Made in Italy. (Fonte Corpo Forestale dello Stato – dati 2014). Investire sulla pesca, sull’agricoltura e sul turismo, è l’unica strada possibile.

La mia chiacchierata con Peppino MontanaroSono queste le riflessioni che ho fatto con Giuseppe Montanaro durante il nostro incontro. Lui, dopo avermi ascoltata, da persona attenta qual è, mi ha risposto: “Sai Cinzia, la disperazione degli uomini del sud fa fare miracoli“.

Forse abbiamo bisogno di miracoli, o forse, soprattutto, abbiamo bisogno di persone che credono nel territorio e in cui poter tornare a credere. L’Italia, che lo si voglia o no, è fatta dagli italiani, i giocatori siamo noi, la partita è aperta. La cosa importante è che le istituzioni ci mettano in condizione di gareggiare, e di tornare ad essere vincenti.

Giuseppe Montanaro, Peppino, è nato a Massafra l’11 novembre del 1940. Un lavoratore e un imprenditore dalla creatività spiccata. Un uomo attento all’ambiente che ha deciso di investire con la sua società Kikau Turismo e Cultura S.p.A. (Kikau, la prima parola detta dal figlio Filippo) nell’agricoltura e nel turismo. Un impegno concreto visibile nel recupero di complessi architettonici rurali del luogo, quali la Masseria Accetta Grande, il Villino Canonico Maglio,  la Masseria L’Amastuola, e il Villino Santa Croce.

Con i centosessanta ettari di terra di Amastuola ha trasformato a Crispiano, nel Parco regionale ‘Terra delle Gravine’ in provincia di Taranto, un terreno agricolo non più produttivo in un vigneto-giardino. Onde di filari di viti parallele intervallate in ventiquattro isole da ben millecinquecento ulivi secolari.

Un progetto firmato dall’artista e paesaggista Fernando Caruncho, in un’area di ricerca e di interesse storico archeologico posta sotto il controllo della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia, supportata dal Centro di archeologia della VU-Università di Amsterdam. Queste ricerche hanno portato alla pubblicazione del libro a cura di Gert Jan Paul Crielaard ‘Greci e indigeni a L’Amastuola’. La Regione Puglia, nel 2010, ha premiato la realizzazione di questo progetto definendolo “Buona Pratica di Tutela e Valorizzazione del paesaggio agrario, anche a fini turistici”.

Vi chiederete come sono arrivata a lui. La risposta è semplice, chi mi ha accompagnato conosce me e il tipo di persone che amo incontrare, e con le quali confrontarmi. Peppino Montanaro, con il suo vissuto e la sua esperienza, conferma il mio credo per la buona riuscita dei progetti.

La famiglia prima di tutto. La moglie Rosaria e i figli Ilaria, Donato e Filippo, con i rispettivi coniugi Giuseppe, Anna e Raffaella sono stati e sono la vera spinta che gli ha permesso di andare avanti. E’ da li che nasce la forza per superare i momenti difficili. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, da senso al proprio lavoro permettendo di costruire e offrendo un ‘nido’ nei momenti bui.

Creatività, inventiva e tenacia. Prima di incontrarlo, ho ascoltato a lungo suo genero Giuseppe mentre mi parlava di un uomo del sud che, Con Giuseppe Sportelli, genero di Peppino e parta attiva della Societàiniziando la propria attività nel 1984 con la Kikau serramenti in alluminio, a distanza di undici anni ha trasformato l’azienda in una Società per Azioni con investimenti in settori mirati sul territorio. Alcuni progetti si sono realizzati, come per la Cantina Amastuola, e alcuni sono in corso dopo l’acquisizione di Masserie in fase di recupero. In programma accoglienza turistica, promozione del territorio, produzioni editoriali, sviluppo di attività rivolte alla vendita di prodotti artigianali e agroalimentari.

Le aziende sono fatte dalle persone. Elemento fondamentale per la crescita di un’azienda è costituito dalla qualità dei rapporti instaurati con i propri collaboratori. Con Peppino si è parlato anche di questo. Molto più che dipendenti, persone con cui lavorare insieme facendo squadra per il buon conseguimento dei risultati. Da soli non si va da nessuna parte, insieme si costruisce.

Innovazione e rispetto per l’ambiente. Adottare pratiche sostenibili a tutela di sé stessi e del territorio è prioritario. La tecnologia e la ricerca sono fondamentali per la qualità, a patto che vengano rispettate le caratteristiche naturali dei prodotti. Questa è la politica di Amastuola. Ne è esempio l’uso della camera a pressione di Scholander che, a vantaggio dell’uva, interviene con l’irrigazione solo al bisogno e nel contempo evita gli sprechi. Seguendo sempre questa linea di pensiero, viene usata una bottiglia leggera in vetro riciclato, e un tappo a vite realizzato in alluminio, materiale riciclabile al 100%, con una speciale membrana all’interno che garantisce la corretta micro-ossigenazione del vino accertata dal Dipartimento di Scienze degli Alimenti di Udine.

Il senso di appartenenza. Credere nel territorio e riconoscersi parte di esso è fondamentale per trasmetterlo a chi lo visita. Se io credo sinceramente in qualcosa riesco a trasmettere la mia passione condividendo l’entusiasmo. Io quel giorno l’ho sentito.

A conclusione della nostra chiacchierata, prima di salutarci, ho fatto una richiesta a Peppino: gli ho chiesto di esporre la bandiera italiana nell’azienda in bella vista. Questo per me, che credo nelle persone che lavorano insieme per un vero cambiamento, sarebbe un importante segno di appartenenza. All’estero è una consuetudine, in Italia lo è solo in occasione di eventi sportivi. So bene che molti non si sentono rappresentati perché in essa vedono lo stato istituzionale. Questione di punti di vista. Per me il tricolore rappresenta la terra e la gente italiana che lavora. Non so se Peppino mi accontenterà, per certo mi ha promesso che ci penserà seriamente.

Ho scritto di questo mio incontro, come faccio abitualmente, per come l’ho vissuto conoscendo il territorio e le persone. Con Peppino mi sono sentita particolarmente vicina per la condivisione dei pensieri e dello stile di vita. Oggi mi sento più vicina a lui e alla sua famiglia. Da pochi giorni, dopo una lunga malattia, la moglie Rosaria li ha lasciati. Lei fa parte dei suoi progetti, e per questo continuerà a vivere in quelle terre.

www.amastuola.it –  www.turismoecultura.it

Video a cura di Sabrina Merolla, produttrice e conduttrice di BUON VENTO




Il segnale dell’Acino Verde. L’uva Longanesi e il vino Bursôn.

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La natura, con la sua perfezione, mi continua a sorprendere. Un unico acino verde che, una volta giunto a maturazione, segnala il momento giusto per la raccolta dell’uva. Una particolarità, sia pur non singolare, ma molto rara.

Siamo a Ravenna. L’acino a cui mi riferisco è quello del grappolo dell’uva Longanesi, un antico vitigno autoctono. Da quest’uva, iscritta al Registro delle Varietà dal 2000, si produce il vino Bursôn.

Venerdì 6 Giugno al Ristorante Daniel di Milano, si è svolta una serata promossa dal Consorzio Il Bagnacavallo per diffondere la conoscenza di questo vino tipico dell’Emilia Romagna.

Presente Sergio Ragazzini, responsabile tecnico del consorzio, e alcuni produttori che ne fanno parte. Durante la cena, curata dallo Chef Daniel Canzian, ho ascoltato dai protagonisti la storia che ha riportato a rivivere questo vitigno.

Sergio Ragazzini #Spinetta #Randi #consorziobagnacavallo

Sergio Ragazzini #Spinetta #Randi #ConsorzioIlBagnacavallo

Tutto ebbe inizio quando, nel 1920, Antonio Longanesi soprannominato per l’appunto Bursôn, si incuriosì notando una vite selvatica aggrappata ad una quercia. Vista la resistenza della pianta decise, a partire dalla metà degli anni cinquanta, di coltivarla producendo un vino che, con sua iniziale meraviglia, raggiungeva una gradazione alcolica di 14 gradi.

Da quel momento, con la nascita del consorzio e con la sinergia dei diciassette produttori associati, si è continuato nella promozione per la diffusione e la conoscenza di questo vino dalle origini antiche.

Durante la degustazione, nonostante la costante dello stesso vitigno, territorio ed enologo, ho avuto il piacere di assaggiare un vino con caratteristiche peculiari diverse. Ad influenzarlo, oltre alla mano del produttore, l’origine di una terra attraversata da tre fiumi diversi.

Bursôn

I vini degustati: Bursôn annate dal 2005 al 2009 – Rambèla – Malbo Gentile nella versione passito – Bursôn Passito – Spumante di Rambèla di Bursôn

Prodotto in due tipologie: Bursôn Etichetta Blu da uve non appassite, e Bursôn Etichetta Nera proveniente da uve appassite e affinate in legno per oltre due anni.

Parlando con i produttori e ascoltando le loro scelte, non ho potuto fare a meno di sottolineare che quando si parla di svolte in agricoltura, più che di cambi di vita, io credo che si parli di ritorni. L’Italia è un paese legato alla terra. Contadini eravamo e Contadini torneremo ad essere. Uso di proposito la lettere maiuscola, perché le persone che oggi si orientano verso l’agricoltura, sono formate e preparate come è giusto che sia. Recuperando le tradizioni e usando le moderne tecnologie, garantiscono la qualità dei prodotti mantenendo la loro tipicità.

L’unico auspicio è l’aiuto degli apparati amministrativi di competenza, nell’alleggerire chi la terra la vuole realmente lavorare e far produrre. Una sola parola è determinante per il futuro dello sviluppo dell’agricoltura: #sburocratizzare!

Serata Bursôn

Serata Bursôn

Con Renato Cappetta e Elena di Ospiti a Tavola

Con Renato Cappetta e Elena di Ospiti a Tavola

Risotto limone e liquirizia con sugo d'arrosto

Risotto limone e liquirizia con sugo d’arrosto – Chef Daniel Canzian

 




Vinissage 2014, il salone dei vini Biologici, Biodinamici e Naturali. Una terminologia ai più non ancora chiara.

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Dal 24 al 26 Maggio, al Palazzo Enofila di Asti, si è svolta Vinissage, tre giorni di degustazioni e conoscenza per la promozione del vino come espressione dell’uomo che lo produce e del territorio in cui nasce.

Una manifestazione organizzata dall’Assessorato al Turismo e Promozione del Territorio del comune di Asti, in collaborazione con Officina Enoica, un’associazione no-profit con sede a Milano che sostiene i vignaioli rispettosi dell’ambiente e della biodiversità.

Ben trecento vini in assaggio raccontati dai vignaioli per far conoscere il vino, il territorio e le sue problematiche. Un’anteprima degli eventi che ci condurranno alla fatidica data del 1’ Maggio 2015, inizio dell’Esposizione Universale ospitata da Milano.

Venti milioni i turisti stimati che visiteranno il nostro paese e che avranno occasione di conoscere il nostro territorio e le nostre produzioni. Un’occasione imperdibile per instaurare rapporti di scambio utili per risollevarci dalla crisi che ci attanaglia, e che blocca la nostra economia.

Chiacchierando tra gli stand, oltre a salutare amici ritrovati, ascoltando le persone intervenute alla manifestazione mi sono resa conto di quanta poca chiarezza ci sia ancora con la terminologia legata al vino (e non solo). Mi riferisco alle definizioni di  Biologico, Biodinamico e Naturale da alcuni considerati una moda, mentre da altri reputati un vero e proprio stile di vita.

Forse troppe suddivisioni creano solo confusione al consumatore che, non essendo educato alle terminologie, è confuso nella scelta finale. Chi ama il vino vorrebbe solo che fosse prodotto da persone legate al territorio e per questo rispettose dell’ambiente e dei cicli della natura. Un vino schietto e pulito.

Detto questo, qui di seguito faccio un breve ripasso.

  • Con il termine di vino biologico si intende un prodotto senza sostanze chimiche e con solfiti ridotti al minimo. La certificazione a livello comunitario del Regolamento Europeo 203 entrato in vigore il 1’ Agosto del 2012, permette di venderlo come biologico e non solo di definirlo ‘prodotto da uve biologiche’.
  • Quando invece si parla di vino biodinamico ci si rifà agli insegnamenti dell’austriaco Rudolph Steiner. I suoi rudimenti si basano su un’agricoltura che punta a mantenere la fertilità della terra, che non prevede l’uso della chimica, che segue l’influenza delle fasi lunari, e che riferita ai vini, limita l’uso di anidride solforosa e prevede l’utilizzo di  lieviti indigeni presenti sulle uve. Un’agricoltura severa e attenta all’ambiente e alla biodiversità.
  • Infine, parlando di vini naturali, ci si riferisce ad una filosofia di vita sostenibile ma non regolamentata da disciplinari e normative come le due categorie precedenti. Sicuramente meno estrema di quella biodinamica, ma parallela nei pilastri da seguire per una viticoltura attenta alla natura e al territorio.

Alcuni momenti di Vinissage.

Fonte: Elisabetta Rossi – Tesi di Laurea magistrale in Economia e Direzione delle Imprese




Carlo Ravasio, un muratore che a Bergamo fa Olio e Vino

Quando ho chiesto a Carlo Ravasio il suo mestiere, lui senza esitare mi ha risposto: – Cinzia, faccio il muratore! – Sbigottita l’ho guardato un po’ perplessa. La realtà, quella vera, è che molte persone che incontro hanno due vite (io compresa).

Si cresce e si cambia, gli stessi eventi che a volte ci travolgono fanno scoprire in noi potenzialità nascoste che risvegliano le nostre passioni e trasformano la nostra vita. Il quesito è – qual è la vita vera? – Credo, anzi sono convinta, che sia quella che ci fa battere il cuore, che ci tiene vivi, e che ci fa svegliare la mattina con la voglia di fare.

Carlo Ravasio è un imprenditore dell’edilizia cresciuto nelle terre di un antico borgo rurale, un tempo adibito all’allevamento di capre: Cavril (caprile in bergamasco). La sua attività lo ha portato ad investire nel villaggio abbandonato della sua infanzia a Sotto il Monte Giovanni XXIII, ben determinato a riportarlo in vita.

Questo recupero ha fatto nascere una farmhouse, un agriturismo con una terrazza da cui ho goduto, seduta su una panchina, la bellissima vista su Bergamo. Ma non solo, ha fatto rinascere anche la vecchia cantina in cui riposano le bottiglie dei vini prodotti dall’azienda agricola annessa Sant’Egidio.  Una storia familiare di origine contadina iniziata nel dopoguerra con l’acquisto della prima vigna: ‘Ronco di Sera’.

Farmhouse trovata! E con che vista! #Cavril #Agriturismo #SottoilMonte #Bergamo

Ronco di Sera

Tre ettari di vigneti e uno di oliveto da cui produce olio extra vergine di oliva da cultivar Frantoio, Casaliva, Leccino e Pendolino, e il vino che porta sulle tavole del suo agriristoro biologico. Ronco di Sera, prodotto con un taglio di vino Merlot variabile tra il 60-70% e Cabernet Sauvignon per la rimanente parte, Tessére ottenuto da uve Merlot, Turano da uve Cabernet Sauvignon, e infine Marinele, da uve Moscato giallo.

Durante la cena in cui l’ho incontrato, Carlo mi ha espresso la volontà di far conoscere come merita il suo territorio e le sue produzioni avvalendosi di materie prime di piccole medie aziende agricole della zona di accertata qualità.

Da un’idea spesso nascono progetti, che se condivisi, uniscono e permettono di fare bene. Questa determinazione ha fatto nascere l’associazione delle  ‘Sette Terre’, un gruppo di viticoltori uniti dalla volontà di valorizzare e promuovere la produzione vitivinicola bergamasca da molti non ancora considerata tale.

Impegno, passione, qualità, valore, crescita, studio e programmi: questi i sette punti cardine che uniscono i produttori che si vogliono associare. Sette, simbolo della perfezione legato al compiersi del ciclo lunare, per gli Egizi simbolo di vita.

La sera che l’ho incontrato, ho avuto il piacere di assaggiare un piatto contadino tipico della tradizione: il Pancotto alle verdure con uovo poché (uovo in camicia). Un piatto da alcuni considerato povero, per me un piatto ricco, perché tramandandolo di generazione in generazione ci permette di tenere viva la memoria storica della nostra bell’Italia.

Un albero senza radici non ha linfa vitale, esattamente come un paese che non mantiene viva la sua memoria…

 

 




Corte Fusia, una storia di amicizia e di solidarietà in Franciacorta

Oggi vi racconterò di alcuni giovani uomini che producono vino a Coccaglio, in Franciacorta. Vi racconterò soprattutto di solidarietà e di amicizia, di quanto possano insieme realizzare i sogni e i successi. E’ passato un po’ di tempo dalla mia visita. Devo metabolizzare ciò che vivo, matura dentro di me e spesso si congiunge a ricordi e sensazioni dando un senso al mio percorso.

Riporto le parole dello scrittore Graziano Amigoni : “Nulla avviene per caso. La storia dell’umanità è un intreccio di eventi che interagendo nello spazio e nel tempo determinano circostanze e coincidenze spesso inspiegabili per la ragione del singolo. Il loro senso si chiarisce però progressivamente nella realizzazione di un progetto.  Ovviamente è una ricerca per chi vuole essere, e non solo apparire.”

Ho conosciuto Daniele Gentile e Gigi Nembrini ad una manifestazione sul lago di Garda circa un anno fa. Mi erano stati segnalati perché chi mi conosce sa quanto io creda nei giovani, quelli che con vera passione investono tra mille difficoltà, soprattutto burocratiche, nell’agricoltura.

La loro avventura è iniziata nel 2010 quando Daniele, tornando dall’Australia, ha incontrato in un bar un amico dei tempi scolastici, Gigi. Il primo enologo, il secondo agronomo. Recuperando una vecchia corte di famiglia con l’aiuto di tutti, amici, parenti e vicini, i lavori in cantina e in vigna hanno fatto nascere un’azienda agricola: Corte Fusia.

Daniele, Gigi e Alessandro dell'Azienda Agricola Corte Fusia

Daniele, Gigi e Alessandro dell’Azienda Agricola Corte Fusia

In cinque ettari di vigneto, su un terreno argilloso e ciottoloso, coltivano i vitigni chardonnay, pinot nero e pinot bianco, ai due estremi del Monte Orfano. Il vino prodotto uno Spumante Franciacorta DOCG che sta crescendo insieme a loro. Solo acciaio, niente legno. Insieme stanno recuperando una vecchia vigna; tutto ciò che è storia mi affascina, recuperarla e mantenerla viva nella memoria è un dovere di tutti, per non perdere le nostre radici.

Quando sono andata a trovarli, mi è piaciuto molto ascoltare i loro ricordi sulla solidarietà e la compartecipazione di tanti nei lavori in cantina e nel vigneto durante le prime fasi della realizzazione dell’azienda. Esattamente come si faceva una volta, quando ci si aiutava collaborando sia con le attrezzature condivise, sia con il lavoro manuale.

Ho vissuto queste esperienze partecipando, durante la mia infanzia, ai lavori in campagna a Treviso durante le vendemmie. Giorni di lavoro e di festa in armonia. Unendo le forze molti traguardi sarebbero più facili da raggiungere, parlo di traguardi che coinvolgono un territorio di cui tutti dovremmo sentire più l’appartenenza.

Daniele e Gigi sono soci dell’Associazione FAN Franciacorta AppassioNati che riunisce i giovani di queste terre con un obiettivo condiviso: lavorare per i vini della Franciacorta.

A proposito, a conclusione di questo mio incontro ho chiesto loro un consiglio su dove andare a mangiare. Dopo aver capito cosa cercavo, mi hanno indicato un’Osteria Storica di cui presto vi racconterò. 😉

 

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