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Il vino che amo… irruento, forte, ma soprattutto saggio. I Vini Autoctoni Friulani Rossi.

Approfondimento di Roger Sesto

 

Una volta Josko Gravner mi ha detto: “Cinzia, per me il vino è bianco”. Io non sono una grande come lui, ma sento il vino soprattutto quando è rosso.

Mi piace irruento come un’onda che si scaglia sulla roccia… forte come le strette di mano dei contadini che schietti ti guardano negli occhi… saggio come gli uomini e le donne che lavorano la terra e che amo ascoltare con le loro storie.

Il vino che amo è questo. Un vino irruento, forte, saggio… un vino che con i suoi profumi mi fa viaggiare, e con i suoi sapori mi fa ricordare.  Qualche sera fa l’ho incontrato, era rosso, autoctono e friulano.

Il Friuli, una terra che mi richiama tra la sua gente per le mie origini. Gente difficile dicono molti. La verità è ben diversa, i friulani vanno capiti. Sono un popolo legato alla terra… un popolo che spalanca il cuore, quando sente che il cuore davanti a se, batte sincero.

Lùnis

Timp furlan! Na scussa umida di sanbùc, na stela
nassuda nenfra il fun dai fogolàrs, na sera  pluvisina – un pulvìn di fen.
tai ciavièj o in tal sen di un frut ch’al ven sudàt da la ciampagna  ta la sera rovana.

Lunedi. Tempo friulano! Una scorza umida di sambuco, una stella nata in mezzo al fumo dei focolari, in una sera piovigginosa – un pulviscolo di fieno nei capelli o nel petto di un ragazzo, che viene sudato dalla campagna nella sera infuocata. Pier Paolo Pasolini da ‘La meglio gioventù’

Marco Felluga Russiz Superiore

Gradisca d’Isonzo – Vigneti di Marco Felluga

Ebbene, nonostante questa regione sia conosciuta per suoi grandi bianchi, ci sono autentici rossi autoctoni da riscoprire e soprattutto da assaggiare. L’occasione è stata propizia qualche sera fa al Ristorante ‘Il Fauno’ di Cesano Maderno (MB). Durante la serata, con la guida dell’amico Roger Sesto, ho avuto il piacere di degustare vini di alcune varietà salvate dall’estinzione.

VINI AUTOCTONI FRIULANI ROSSI

di  Roger Sesto

I vitigni autoctoni friulani a bacca rossa, principalmente parliamo di Refosco, Schioppettino, Tazzelenghe, Pignolo, Terrano, rivestono una notevole importanza essendo cultivar che sono riuscite a sopravvivere alle mode. Ciò grazie al fiero carattere delle genti friulane che, con fermezza, hanno deciso di salvaguardare un autentico patrimonio ampelografico locale, in potenziale pericolo di estinzione preservandone la qualità e l’importanza culturale.

Una tipicità peraltro molto legata al terroir friulano: tutti i vini della regione infatti, soprattutto i rossi, conservano una certa aggressività e crudezza legata in qualche modo allo stesso carattere degli abitanti della regione ed alla gastronomia locale, forte e speziata, mutuata dalla cucina slava. E forse è stata proprio la cucina – dai sapori forti e decisi – ad incentivare la sopravvivenza di questi vitigni duri e grintosi.

I rossi friulani sono vini dal carattere forte, selvatici, schietti, non levigati, netti, riconoscibili e, fino ad una ventina di anni fa, anche molto rustici. Persino le due varietà – cosiddette internazionali – più diffuse nella regione, il Merlot ed il Cabernet Franc, che altrove, soprattutto la prima, sono dotate di un profilo organolettico più aggraziato, non parliamo nel bordolese, ma anche in Toscana e persino in Alto Adige, qui sono particolarmente “verdi” ed aggressivi, con un terroir che in questo caso fa veramente la differenza.

Oggi la matrice di base di questi vini è ancora e sempre la medesima: le uve son quelle, il terroir (ovviamente) pure; però, a livello di cantina, ovvero da un punto di vista enologico, qualcosa è cambiato. Le macerazioni sono condotte con più cautela, con temperature e tempi più controllati e calibrati. Le botti si sono mediamente rimpicciolite, pur non trattandosi necessariamente di barriques, e la loro anzianità di servizio è scesa notevolmente, venendo più frequentemente rinnovate. E’ rimasto in sostanza uno “zoccolo duro” tradizionale, su cui si sono applicate via via tecniche sempre più innovative. Talvolta – e sempre più spesso – queste evoluzioni stanno portando a rimettere in discussione tutto sin alle radici, inducendo ad esempio a compiere operazioni – come la vinificazione e affinamento in anfore – costituenti un vero salto nel passato remoto dell’enologia, che si rifanno alle tradizioni enologiche georgico-caucasiche.

  • Lo Schioppettino proviene dai Colli Orientali. Vi sono due versioni circa l’origine del suo nome. La prima ne fa derivare l’etimo dal rumore provocato dall’esplosione dei suoi acini quando vengono schiacciati. La seconda si riferisce alle bottiglie che scoppiavano in cantina quando, durante la primavera, in alcune di esse riprendeva la fermentazione. Ad ogni modo si caratterizza per una colorazione non molto carica, sicuramente meno di quella del Refosco, per avere sentori di frutta rossa in netta prevalenza, conditi con una piccante speziatura di pepe. Il gusto è caratterizzato da una certa acidità, che contribuisce ad evidenziare i tannini.
  • Il Refosco (si tratta di un “vitigno-popolazione”, di cui il più interessante rappresentante è costituito da quello dal Peduncolo Rosso), presente largamente sui Colli Orientali ed un poco nel Grave, giungendo sino alla provincia di Treviso, si caratterizza per una speziatura piccante, sommata ad una nota vegetale e selvatica ed a sentori di frutti rossi concentrati, la colorazione è intensa, ed il gusto è connotato da una relativamente contenuta acidità, che rende i tannini meno spigolosi.
  • Il Tazzelenghe dimora essenzialmente sui Colli Orientali, ha delle affinità con il Refosco, ma in più è caratterizzato da note animali piuttosto spiccate e complesse, e soprattutto da una tannicità molto decisa e da un’acidità “tagliente”, da qui le origini del nome. Per domarne l’irruenza tannica è praticamente obbligatorio un adeguato affinamento in legno e/o un leggero appassimento in pianta o in fruttaio.
  • Il Pignolo, forse lontano parente della Pignola Valtellinese, possiede una speziatura morbida, piuttosto moderata ed elegante, arricchita da sentori leggermente aromatici e quasi balsamici. E’ uno tra i vitigni più nobili del Friuli.
  • Il Terrano, anche chiamato Terrano del Carso o d’Istria o anche Refosco del Carso o d’Istria, è vitigno che esige potatura lunga, denota buona vigoria e produzione abbondante e costante. La foglia, di grandezza media, appare tondeggiante, pentagonale, e trilobata; il grappolo, grande, lungo 20 cm., ha forma tipicamente piramidale a base larga, alato, mediamente compatto, presenta acini leggermente ellittici, di media grandezza con buccia di colore blu intenso molto pruinosa, un po’ sottile, consistente; la polpa sciolta è di sapore semplice, dolce e un po’ acidula. Dà origine a un vino di colore rosso rubino-violaceo intenso con spiccata fragranza e leggero profumo vinoso, al palato si rivela asciutto, di buon corpo, mediamente alcolico, acidulo, tannico, nel complesso abbastanza gradevole. Si coltiva esclusivamente nelle zone carsiche goriziane e triestine.

Per quel che riguarda la longevità si tratta in genere di vini che volendo sono anche pronti subito, ma con la capacità di reggere qualche anno di bottiglia, anche una decina.

Fotografia e Vigneti di Marco Felluga – Gradisca d’Isonzo




Le rose di Hilde a ‘Vigna Petrussa’

Come passa veloce il tempo…

Mi sembra ancora di sentire la voce di Hilde Petrussa mentre, orgogliosa nel mostrarmi le rose in testa ai filari delle sue vigne, mi diceva: “Hai visto le mie rose come sono belle?” Nonostante sia passato più di un mese dal nostro incontro a Prepotto, se chiudo gli occhi, il ricordo di quei colori è ancora vivo nella mia mente.

Un tempo i contadini le piantavano in testa ai filari perché soggette alle stesse malattie della vite, l’oidio e la peronospora; l’attacco alle rose però avveniva sempre in anticipo, preannunciando così l’imminente pericolo ai viticoltori che agivano con i trattamenti a base di zolfo.

Oggi la loro funzione più che altro è quella di abbellire i vigneti; a me però piace ancora una volta ricordare le belle tradizioni contadine dei tempi passati apprezzando chi ne da continuità.

Ho voluto introdurvi Hilde Petrussa così, con le sue rose…

Una donna del vino che si è tuffata con passione ed entusiasmo nella conduzione della piccola azienda viticola di famiglia ubicata ad Albana, località del Comune di Prepotto nei Colli Orientali del Friuli.  

Figlia di agricoltori, ha vissuto per trent’anni fra Conegliano e Portogruaro lavorando nell’amministrazione di diverse scuole. Una volta in pensione si è dedicata alla risistemazione delle sue vigne, privilegiando le varietà autoctone e impegnandosi in una conduzione rigorosa del vigneto: guyot monolaterale nei nuovi impianti, inerbimento, basse rese per ettaro e raccolta manuale delle uve, che le hanno permesso di ottenere maggiori concentrazioni aromatiche e strutturali del vino.

Ciao Hilde, a te la parola…

  • Mi descrivi la terra su cui si trovano le tue vigne?

Ciao Cinzia, la vallata in cui si trova la mia proprietà, fra lo Judrio e le colline, è protetta dai venti ed è in posizione solatia, con un microclima ed un terreno di marna eocenica (localmente detta ponka) ideali per la coltivazione della vite.

  • Quali sono i vini a cui sei maggiormente legata?

Come avrai notato ho avuto un’attenzione particolare per lo Schioppettino di Prepotto, vino tipico del mio comune. Sono stata cofondatrice dell’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto assieme ad altri e prima presidente dell’associazione.

Durante i 5 anni del mio mandato, con l’aiuto di tecnici in campagna e di enologi, abbiano concordato un disciplinare di produzione e ho avuto la soddisfazione di ottenere la sottozona per questo vitigno.

Altro vino a cui sono particolarmente affezionata è il Bianco “Richenza”, cuvèe ottenuto da uve provenienti da vitigni autoctoni parzialmente appassite e fermentate in barriques di rovere francese. Produco inoltre Friulano, Sauvignon, Cabernet Franc e Refosco dal peduncolo rosso.

  • Sei una donna del vino. Qual è la tua esperienza in questo mondo?

Anche se donna in un mondo ancora molto maschile, sono riuscita a superare incomprensioni, diffidenza e difficoltà. Credo che la cura maniacale per il vigneto e il mio impegno siano stati determinanti per i traguardi che ho raggiunto. Con un’espressione azzardata direi che ho cercato di mettere “il territorio nella bottiglia”.  

Ho provato inoltre grande soddisfazione quando ho ottenuto la Gran Medaglia d’Oro alla selezione del Sindaco con il Picolit 2005. Era la prima volta che entravo in Campidoglio per ricevere l’attestato dalle mani del Ministro dell’Agricoltura.

Petrussa

Hilde Petrussa

 




Il Grignolino, un vino rosso garbato

Non conoscevo il Grignolino, intendo bene, come piace a me, sul ‘campo’. Non mi ritengo un’esperta, come dico spesso sono solo una donna che ama il vino e che vuole conoscerlo attraverso tutti gli elementi che lo compongono.

Il vino per me è l’espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno, al territorio e al clima, quindi mi chiedo – come è possibile dare un giudizio completo senza conoscere ciascun elemento che contribuisce a determinare le sue caratteristiche? – Certo, con l’assaggio è possibile coglierne i difetti o i pregi, ma la cosa si ferma li.  

Proprio per questo, pochi giorni fa, quando un amico mi ha chiesto cosa pensassi di un vino, mi è venuto spontaneo rispondergli… – sai, posso dirti che mi piace o non mi piace, ma un vino, finché non l’ho conosciuto nella sua pienezza, mi passa solo a metà. E’ come conoscere una persona leggendo di lei, ma senza averla incontrata… non si avrà mai la percezione di ciò che è veramente

Ho fatto questa premessa per farvi capire come ‘amo vivere il vino’, ma soprattutto per farvi capire l’entusiasmo con cui ho colto l’invito di Maurizio Gily e Monica Pisciella per il #grignolinodigitour. Detto questo, pronti via… si parte!

Quando inizio un viaggio, breve o lungo che sia, entro quasi in un’altra dimensione, giuro, non sto scherzando! Entro come in simbiosi con le terre che visito.

Ora sto pensando che… ma quanto sono belli i paesaggi vitivinicoli! In questa stagione poi, con le tante sfumature dei colori che variano dal verde al giallo e al rosso… una vera meraviglia!

Lo sapevate che i paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato sono candidati a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco? Ebbene si, e con merito!

Il #GrignolinoDigiTour si è svolto Domenica 17 Novembre.

Insieme agli amici dell’Officina Enoica siamo partiti da Milano puntando in direzione della Rocca di Rosignano Monferrato, una balconata che vi consiglio di visitare per la sua vista mozzafiato.

Ad aspettarci Maurizio Gily, che, subito dopo i saluti di rito, si è accertato sull’altezza dei miei tacchi; l’ultima volta che ci siamo visti a Gavi ne avevo un paio stratosferici, errore che stavolta non ho ripetuto. 😉

Una passeggiata a piedi per conoscere un territorio è il modo migliore per viverlo. E’ così che è iniziato il nostro tour nella terra del Grignolino: un percorso tra i ‘i bric e foss’, le dolci colline del Monferrato Casalese.

Di tanto in tanto perdevo di vista il gruppo a causa delle mie continue soste per fotografare ogni angolo che colpiva il mio sguardo.

La vista sui vigneti, gli scorci caratteristici dalle belle case in pietra da Cantoni, la pietra arenaria tipica di questi luoghi, fino al belvedere, o meglio, ‘An sal Sass’, il sasso su cui si erge il nucleo originario del paese.

Arrivati in comune abbiamo trovato ad aspettarci i gentili rappresentanti delle amministrazioni di Rosignano Monferrato, Cella Monte e San Giorgio. Oltre a darci il benvenuto ci hanno esposto il loro progetto per la promozione del territorio rivolto in particolar  modo ai comunicatori digitali.

Non potevano mancare un caffè e i famosi Krumiri Portinaro, una tipicità del Monferrato che risale al 1878, anno in cui morì Vittorio Emanuele II. A lui sono stati dedicati ispirandosi alla forma tipica dei suoi ‘baffi a manubrio’.

La tappa successiva è stata la visita all’Ecomuseo e al suo infernot situati a Cella Monte, comune caratteristico per le costruzioni a vista in pietra da Cantoni.

Indovinate li chi ho incontrato? Una donna col cappello, o meglio, una bella ‘Monferrina’! Questo nome ha origine da un’antica ballata del Monferrato la cui nascita sembra risalire alla storia di una giovane piemontese, Maria Catlina, corteggiata dal suo innamorato con questa danza.

Gli infernot sono nicchie sotterranee scavate nella pietra da Cantoni. Situati sotto le abitazioni private, sono senza luce ne aerazione diretta, con clima e umidità costanti. Ambienti, che nella storia della viticoltura locale, hanno trovato luogo ideale per la conservazione del vino.

Un’architettura sotterranea nata dalla sapienza contadina, che ne ha fatto oggi un’espressione della tradizione rurale di questo territorio.

Arrivata l’ora di pranzo abbiamo fatto tappa al ‘Relais I Castagnoni, una dimora d’epoca del 1742, un tempo convento religioso. Qui abbiamo degustato i piatti tipici della tradizione monferrina a base di tartufo bianco.

Maurizio Gily, dopo una degustazione alla cieca tra dodici assaggi di Grignolino, ci ha raccontato la storia e le caratteristiche di questo vino tipico del Monferrato Casalese, un vino ancora ai più poco conosciuto.

L’incontro e l’ascolto dei produttori, poi, ha completato il quadro. Con loro ho avuto modo di approfondire, di degustare, e di capire meglio questo vino come è giusto che sia.

Il Grignolino, un vino dal colore rubino chiaro, come più volte sottolineato da Maurizio, non un vino rosato ma un vino rosso vinificato con macerazione sulle bucce. Un vino molto sensibile al territorio d’origine da cui acquisisce i caratteri peculiari.

Definito da Luigi Veronelli come anarchico e testa balorda, per la personalità indipendente e quasi ribelle, da Mario Soldati, come il più delicato tra tutti i vini piemontesi.

Lo sto bevendo ora, mentre scrivo, dopo averlo conosciuto nel luogo in cui nasce, dopo aver parlato con chi lo produce. Non amo ricamare troppo sui vini, per questo motivo lo descriverò con poche parole: ‘Il Grignolino, un vino rosso garbato’.

Bisogna andare dal vino senza aspettare che sia il vino a venire da noi” 

Filiberto Lodi – Giornalista

L’etimologia del termine Grignolino sembra risalire al termine medievale ‘berbexinus’, un vino di uve berbexine considerato pregiato. (fonte Maurizio Gily)




Rossana Gaja, la psicoenologa di casa GAJA

Rossana Gaja una donna del vino, o meglio, la ‘psicoenologa di casa Gaja’.

Mi sembra quasi di vedere la vostra espressione mentre, soffermandovi su questo termine starete già pensando: ‘ecco che ne hanno inventata un’altra!’

Tranquilli, questa definizione con la quale Rossana si è presentata la sera in cui l’ho conosciuta, trae origine dal fatto che, essendo laureata in psicologia, applica questa sua formazione nel mondo del vino in cui vive e lavora. 

Gaja, un’apprezzata realtà vitivinicola del Piemonte che ha avuto origine nella seconda metà del 1800, con la vendita di vino sfuso nell’Osteria del Vapore. Fu Giovanni Gaja, nel 1859, ad avviare la Cantina a Barbaresco, nelle Langhe.

Oggi è il figlio Angelo, che, insieme alla moglie Lucia e alle figlie Gaia e Rossana, da continuità all’attività di famiglia.

L’ho già scritto e mi ripeto, amo i passionali, le persone di carattere, quelle che la mano te la stringono sul serio, quelle che quando parli ti guardano negli occhi, e la cui parola data ha ancora un valore. Ebbene, sono queste le persone che mi piacciono,  che cerco, e che voglio conoscere!

Quella sera, a Bergamo, cenando una di fronte all’altra al Ristorante M1.lle Storie & Sapori, con Rossana si è parlato a lungo.

Devo ammettere che mi è piaciuta da subito. La sua stretta di mano decisa, il suo porsi determinato, a volte ruvido ma schietto, mi ha indotto a volerla conoscere meglio.

In questi giorni, dopo che ci siamo scritte, ho deciso di portarla qui, tra i miei ricordi.

Ciao Rossana, ieri sera parlavo di te con un amico, gli dicevo – sai, ho conosciuto una donna ‘tosta’, una donna determinata di gran carattere, che vedrei bene nelle istituzioni per favorire l’agricoltura…

Sai, amo la terra, amo conoscerne la storia, i suoi prodotti e i suoi protagonisti. A modo mio, come posso, con i mezzi che ho, oltre che viverla cerco di raccontarla. Ascoltandoti quella sera ho pensato che forse, una donna decisa come te, potrebbe qualcosa…

Risposta di Rossana Gaja:

Ciao Cinzia, spero che tu stia bene! Io sono a Barbaresco, oggi siamo avvolti nella nebbia e sembra essere finalmente arrivato l’autunno.

Ti ringrazio molto per le tue parole gentili. Il vino è un prodotto unico, ma la cosa più straordinaria è la sua capacita di creare legami tra le persone, perché è tradizione, famiglia, saperi, cultura, condivisione, memoria… Pochi prodotti portano con se questi valori.

Nel mio piccolo, credo che per salvare l’agricoltura dobbiamo lavorare rispettando la terra, cercando di andare verso un’agricoltura naturale, rispettosa dell’ambiente, senza l’utilizzo della chimica.

La terra è il nostro patrimonio più grande!

Produrre vini legati ad uno specifico territorio: ‘il segreto di un vino non è la perfezione, ma il difetto che riconduce al terroir’.

Rispettare questi paesaggi proteggendoli dalle brutture dell’edilizia e dal cemento cercando di essere attenti e maggiormente sensibili alla bellezza del nostro paese.

Insegnare ai giovani a bere bene, consumare il vino esclusivamente durante i pasti e non per le strade o a digiuno.

Questa è una macchina che si è già messa in moto, ma si deve fare ancora tanto. Io sono ottimista, il futuro del vino lo vedo in rosa! Rossana Gaja 

Indovinate qual è il suo vino preferito? Il vino rosso di carattere, come che piace a me. Quella sera abbiamo brindato con il suo Barbaresco DOCG 2010 (Nebbiolo), e con lo Sperss Langhe Nebbiolo DOC 1999, sperss, nome dialettale piemontese che significa nostalgia, (94% Nebbiolo e 6 % Barbera) prodotto a Serralunga d’Alba, nelle Langhe.

GAJA
Barbaresco (CN)




Il dolce calar del sole con lo sguardo rivolto ai vigneti…

Ci sono periodi in cui tutto sembra andar male, periodi in cui la voglia di fuggire per allontanarci da ciò che ha deluso le nostre aspettative è di grande tentazione. Le mie ultime settimane sono state così. 

Ma come…? La donna frizzante, quella sempre piena di vita, quella che ovunque sorride ad un tratto s’intristisce?! La realtà è che capita a me come capita a tutti. L’unica soluzione possibile è reagire, e quando si può… fuggire!

Ma attenzione, dai problemi non si fugge, non servirebbe… i problemi sono come nodi nei capelli, se non li sciogli, continuano a moltiplicarsi. Le fughe a cui mi riferisco, per lo meno le mie, sono semplici evasioni verso quella natura che mi rilassa, che mi da pace, e che mi ricarica.

Amo viaggiare, senza fretta, con la mia musica, con le mie soste, ma soprattutto con lo sguardo rivolto al mutare dei paesaggi.

E’ così che i respiri riprendono i tempi giusti, e l’energia risale riportandomi a quel benessere che mi fa sentire l’esigenza di condividere a modo mio, ciò che vivo e che mi emoziona. Questa è la mia terapia… una terapia di buona vita.

Ed è proprio così,  con il dolce calar del sole e con lo sguardo rivolto ai vigneti, che si è conclusa la mia giornata nella pace dei silenzi della natura a Mocasina di Calvagese, in provincia di Brescia.

Da tempo, Attilio Pasini, enologo e titolare dell’azienda agricola La Torre, mi aveva invitata a  visitare i suoi vigneti. Questa realtà posta sulle colline moreniche occidentali del lago di Garda, prende il suo nome da un antico Torrione situato nelle vicinanze.

Una cascina storica che, nonostante i restauri nel tempo, ha mantenuto l’assetto originale risalente al XVII secolo. Una storia di tradizioni familiari tramandate di generazione in generazione, che oggi conta ventidue ettari destinati a vigneti e ad uliveti.

Come sempre accade durante i miei incontri, gli scambi di esperienza non mancano mai, è così che si impara. Chiacchierando in un pomeriggio di sole autunnale, ho passeggiato tra le vigne e le vecchie cantine dai soffitti a volta in una tipica struttura originariamente sede di un antico convento.

Finita la visita, abbiamo continuato la nostra chiacchierata nella sala degustazione mangiando caldarroste accompagnate dal un Garda Classico Rosso Superiore DOC, Vendemmia 2007, il Rosso del Cuntì.  Questo nome deriva dall’appellativo attribuito in passato a Lorenzo, il fondatore dell’azienda agricola La Torre e ideatore di questo vino.

L’uvaggio è per il 60% Marzemino, per il 30% Groppello di Mocasina, per il 10% Sangiovese e Barbera. Viene vinificato in acciaio e fatto riposare in cemento vetrificato. Successivamente riposa in barriques e tonneaux per almeno un anno. Un vino di carattere che si avvicina ai miei gusti.

 




Le vigne dello Schioppettino di Prepotto

Se penso che solo pochi giorni fa ero a Prepotto, sui Colli Orientali del Friuli, allora si che scatta la nostalgia…

Le mie origine friulane mi legano a quelle terre, tornarci, quando si presenta l’occasione, è sempre un vero piacere. In questo periodo autunnale poi, con i colori dei vigneti così belli, lo è ancora di più.

E’ per questo che non ho proprio resistito quando l’amico Paolo Ianna mi ha chiesto di raggiungerlo per una Wine Trekking Experience.

Conoscete Paolo? Bè, nel caso in cui non avete ancora il piacere, guardatelo in questo filmato in cui l’ho ripreso mentre spiega come riconoscere un vitigno dalla forma delle sue foglie.

Durante la nostra passeggiata in vigna, Paolo ha parlato di viticoltura riferendosi in particolare all’evento appena trascorso dedicato alla promozione della cultura dello Schioppettino di Prepotto.

Sentiamo come è andata…

  • Paolo, per chi ancora non lo conosce ti chiedo, come dire… la “Carta d’Identità” dello Schioppettino di Prepotto.

Cinzia. ti rispondo attingendo a piene mani da un approfondito articolo sullo Schioppettino letto sulla rivista di cultura territoriale “Tiere furlane – Terra friulana” uscito nell’Ottobre 2011 a firma di Maria Cristina Pugnetti, preparatissima giornalista freelance friulana.

“Lo Schioppettino, chiamato anche Ribolla nera, farebbe parte della numerosa famiglia delle Ribolle, tutte ben radicate in Friuli: la Ribolla gialla, in friulano Ribuele, è la varietà più conosciuta, coltivata prevalentemente sui colli di levante tra le province di Udine e Gorizia; la Ribolla verde che dovrebbe corrispondere al Prosecco lungo; la Ribuele spizade, che si identifica ancora con lo stesso Prosecco lungo secondo quanto rilevato dall’esame del DNA. Infine la Ribolla nera, un vitigno coltivato sui colli orientali, tra le due province sopra nominate, e aldilà del confine, in Slovenia. La Ribolla nera ha trovato nel territorio del comune di Prepotto la zona dove riesce ad esprimersi al meglio, attraverso il vino che ne deriva, noto col nome di Schioppettino o Pòcalza in sloveno. Il grappolo è di forma piramidale alata e di buone dimensioni. Gli acini sono leggermente oblunghi. Il gusto è piuttosto piacevole, tanto da essere comunemente consumata anche a tavola.”

  • Che cosa è emerso di sostanziale in queste giornate dedicate alla promozione dello Schioppettino di Prepotto?

Siamo riusciti, nei due giorni dell’evento Schioppettino di Prepotto “UNICO PER NATURA”, a divulgare l’esistenza di un vino già abbastanza conosciuto, attraverso un convegno che ne descrivesse la vita fin dalla sua comparsa. Abbiamo potuto spiegare e mostrare il “Vigneto Catalogo” realizzato nel 2005 dall’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto. Un vigneto che comprende tutte le varietà di questo vitigno trovate nella zona, e quindi un archivio da cui trarre orientamenti per nuovi impianti.

Una degustazione guidata di ben 16 Schioppettino di 16 diverse aziende di Prepotto, a dimostrare nel bicchiere l’impegno a realizzare un vino che riesce ad esprimere una forte personalità che emerge in ogni campione assaggiato nonostante gli indirizzi stilistici molto personalizzati. Potrei affermare che chi ha partecipato ne sia stato un po’ sedotto…

  • Sappiamo bene che i trattamenti in viticoltura, in parte necessari, condizionano il lavoro degli operatori direttamente coinvolti nei vigneti. Ma qualcosa sta cambiando. Nei primi mesi del 2014, infatti, entreranno in vigore normative a salvaguardia della salute dei viticoltori. Paolo, a te la parola.

Da gennaio 2014 entrerà in vigore la Direttiva europea 2009/128 che regola attraverso nuovi parametri totalmente diversi dal passato, l’uso dei fitofarmaci in agricoltura. Attraverso una lungimirante e intelligente strategia si può trasformare l’applicazione della Direttiva (imposta), in una preziosa opportunità di sviluppo e di maggiore attrattività dei beni ottenuti con un tipo di agricoltura più attenta.

Sostenibilità e compatibilità sono i requisiti che devono e dovranno possedere i prodotti per conquistare o riconquistare i mercati di consumatori più attenti ed esigenti. Compatibilità a 360 gradi: ambientale, sociale e orientata ad incrementare la redditività delle aziende.

 

 

 




Franciacorta Blanc de Blancs Cavalleri, una decima annata speciale

Un invito inaspettato e una promessa fatta da tempo, sono stati i due motivi che mi hanno convinta ad unirmi ai festeggiamenti della decima annata del Franciacorta Brut Blanc de Blancs dell’Azienda Agricola Gian Paolo e Giovanni Cavalleri di Erbusco, Brescia.

Una cuvèe ottenuta assemblando per lo più vini della vendemmia 2010, un’annata speciale dovuta ad un inverno rigido e secco, una primavera tiepida e poco piovosa, un Maggio e un Giugno contraddistinto da piogge, e infine il 6 Luglio una violenta grandinata con una perdita del circa 30 % di produzione.

Questi eventi hanno favorito la formazione di botrite (muffa nobile con effetti positivi sull’aroma del vino), che ha convinto l’azienda ad un dosaggio con una liqueur senza zucchero in una  bottiglia trasparente. Chardonnay 100 % proveniente per l’85 % dalla vendemmia 2010, e per il 15 % da quella del 2009.

Al mio arrivo mi ha accolto la cara Giulia Cavalleri, una donna dolce e gentile che ho incontrato di persona per la prima volta, ma non solo, lei mi ha coinvolto in una festa in cui erano presenti per lo più amici e clienti storici dell’azienda.

Quando controllando una mail, mi sono resa conto che era passato ormai un anno dall’ultima volta in cui c’eravamo sentite, quasi non ci potevo credere. Vorrei fare così tante cose, forse troppe, ma il tempo mi sfugge e passa veloce…

Dopo aver visitato le cantine ho raggiunto gli ospiti nella sala degustazione. Ero circondata da dipinti e ricordi di una famiglia, i Cavalleri, le cui origini antiche sono testimoniate da testi custoditi con cura nei loro archivi.

Proprietari terrieri nella zona di Erbusco fin dal 1450, ma produttori di vino solo dal 1967, anno in cui è stata riconosciuta la DOC Franciacorta.

Guardandomi intorno mi sono resa conto che non conoscevo nessuno, intendo persone legate al mondo della comunicazione. Ero perplessa e quasi stupita della cosa, forse perché ormai sono abituata agli inviti che puntano, più che alla conoscenza, alla diffusione dei marchi.

Siamo talmente presi, da perdere di vista l’importanza della condivisione e del piacere degli incontri; si è presenti, ma nello stesso tempo si è assenti. Io stessa faccio il mea culpa, e, nonostante la mia fama di gran parlatrice, a volte cado nell’errore.

Quindi decisa, ho iniziato col rompere il ghiaccio, o meglio, o iniziato assaggiando… 😉

Dal 1968 l’azienda porta il nome di “Gian Paolo e Giovanni Cavalleri” padre e figlio, che insieme hanno collaborato nella realizzazione della nuova cantina. Nel 1979 le prime 6000 bottiglie di Franciacorta, poi, nel 1990, la fondazione del Consorzio Volontario di Franciacorta composto da produttori e presieduto dallo stesso Giovanni Cavalleri.

Con gli anni l’azienda è divenuta sempre più a conduzione familiare, grazie alla collaborazione delle figlie di Giovanni, Maria e Giulia, e dei nipoti Francesco e Diletta.

Qualcosa però negli anni è cambiato. La decisione della famiglia Cavalleri di uscire dal Consorzio con l’azienda che ha contribuito a farne la storia, ha fatto scricchiolare il noto ‘fare sistema’ della Franciacorta. Personalmente sono convinta dell’importanza del “fare rete unendo le forze”. Proprio per questo ho chiesto a Giulia il motivo di questa svolta.

Sono stata combattuta nel pubblicare o meno la sua esaustiva risposta, ma poi, riflettendo, ho deciso di non farlo. Anche se in parte ne ha già reso noti i motivi, non mi interessa suscitare polemiche, mi limiterò a dire che la loro sofferta uscita dal Consorzio, del quale erano soci fondatori, è avvenuta cinque anni fa a causa di una non condivisione. Chissà che le cose possano cambiare…

 




L’onda di vigne di Serpito

Guardate questa immagine… un’onda di vigne. Mi sembra di essere ancora li, ferma a guardare un vigneto che il dolce saliscendi delle colline ha trasformato in un’onda. Uno spettacolo della natura che l’uomo inorgoglisce con le sue cure.

Ora chiudo gli occhi, e con la mente torno in Calabria. Sono in località Serpito, a Strongoli, in provincia di Crotone.

Questa realtà nata alla fine del 1800 è stata fondata da Felice Russo, che, dopo aver lavorato nel West Virginia, e successivamente a New York, dopo vent’anni ha fatto ritorno in Italia investendo a Strongoli, nell’azienda di famiglia che oggi è alla quarta generazione.

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Un’onda di vigne

Strongoli, terra di grande storia il cui nome antico è Petelia.

Tra il I’ e il II’ secolo a.C. in cui è stata colonia romana, ha partecipato attivamente alle guerre puniche che videro coinvolto Annibale. A testimonianza, nelle vicinanze dell’azienda, è possibile visitare la Pietra di Tesauro, la tomba del Console Marcello deceduto nella battaglia contro i Cartaginesi guidati da Annibale.

L’Azienda Agricola Russo & Longo si estende su una proprietà di 53 ettari complessivi, di cui 35 coltivati ad olivo per la produzioni di olio DOP, e 18 dedicati al vigneto. I vitigni autoctoni allevati sono il Gaglioppo, il Greco Nero, la Malvasia Bianca e Nera, il Greco Bianco, e il Sangiovese

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Azienda Agricola Russo e Longo

Una realtà produttiva ben consolidata grazie ai buoni insegnamenti trasmessi dai predecessori. A questo proposito mi torna in mente una frase quasi scontata ma non più attuale, che Giuseppe Russo mi ha detto accompagnandomi durante la mia visita; suo padre, Salvatore Russo, era solito dirgli: “Se devi spendere 10, devi avere almeno 12 !”

Oggi è tutto il contrario, forse è il caso di rifletterci sopra…




La mia visita a Sciòje… tra le cipolle di Acquaviva, l’uva pizzuta, e un calice di Minutolo della Cantina Polvanera

Gioia del Colle, in dialetto Sciòje, un comune sull’altopiano delle Murge che ho conosciuto recandomi in visita alle Cantine Polvanera. Ma non solo, qui ho scoperto l’uva da tavola pizzuta e la cipolla di Acquaviva delle Fonti.

Come è mia abitudine, prima di procedere con la visita, mi sono aggirata attorno all’azienda passeggiando per il vigneto e guardando i bei grappoli d’uva.

Filippo Cassano, titolare di questa realtà vitivinicola nata nel 2003, guidandomi mi ha raccontato che il nome Polvanera prende origine dall’attività dei vecchi proprietari che utilizzavano la masseria per fare il carbone con il legno di quercia.

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Cipolle rosse Acquaviva delle Fonti

 Nella mia esplorazione mi ha colpito una parete interamente ricoperta da mazzi di cipolle. Una varietà tipica della zona dalla forma appiattita e dal caratteristico sapore dolce, le cipolle rosse di Acquaviva delle Fonti.

Ma non solo, perchè mi sono soffermata anche ad osservare un pergolato ricoperto di grappoli d’uva assai singolari. Una varietà da tavola caratteristica per i chicchi a punta, l’uva pizzuta, che non solo ho osservato, ma… ho spizzicato! 😉 Il suo sapore dolce e delicato mi ha fatto sostare li per diversi minuti! 

 Una volta all’interno mi sono dedicata ad ascoltare la storia di Filippo, che, nel 2003, dopo aver lavorato per anni nel campo frutticolo, ha dato una svolta alla sua vita cambiando attività ed investendo il suo futuro in questa azienda.

Una storica masseria nella Marchesana, una contrada di Gioia del Colle, che oggi si estende su 25 ettari di proprietà di vigneto, di cui 15 coltivati con il Primitivo, e i restanti con Aleatico, Aglianico, Fiano Minutolo, Falanghina e Moscato.

La masseria, restaurata nel rispetto dell’architettura dell’antica struttura, accoglie nei sotterranei la cantina scavata in profondità per ben otto metri. Un’ambiente molto suggestivo, dai colori tipici della roccia carsica e dall’umidità costante tutto l’anno.

 In sala degustazione, tra i vari assaggi, mi sono soffermata sul Primitivo 17 DOC Gioia del Colle 2012; il numero ’17’ è stato usato per indicare la sua gradazione alcolica media. Un Primitivo 100% da vigneti siti ad Acquaviva delle Fonti, con gradazione alcolica 16,5 %.

A seguire, ha colto il mio particolare interesse il Fiano Minutolo IGT Puglia 2012; Fiano Minutolo 100% da vigneti siti a Gioia del Colle con gradazione alcolica 12%. Un vitigno bianco pugliese che mi è piaciuto molto per l’intensità dei profumi. Un vino dal buon carattere, che personalmente chiamerei solo ‘Minutolo’. 

Fiano Minutolo Polvanera

Fiano Minutolo OGT Puglia 2012 Polvanera

 




Il Gatto e la Volpe in un Cantuccio

Il gatto e la volpe direte !? In un Cantuccio poi !? Ma chi saranno mai ?

Ora vi spiego… Mi sto riferendo ad uno cuoco birichino, Mauro Elli Chef e Patron del Ristorante Il Cantuccio che, in accordo con Rocco Lettieri, ha organizzato una cena con tranello, o meglio, una cena didattica. Posso dirvi solo che, ridendo sotto i baffi che tra l’altro non hanno, i due bontemponi ce l’hanno proprio tirata…

“Il vino ha la straordinaria proprietà di poter cambiare intensità, profumi, aromi nell’arco di una serata solo modificandone la temperatura.” Mauro Elli

Ieri sera ho partecipato ad una cena didattica in compagnia di Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Albero Schieppati, Roberta Schira, Giacomo Mojoli e naturalmente Mauro Elli. Tutti esperti comunicatori di enogastronomia, loro almeno, io più che esperta assaggio e ascolto, quando riesco a stare zitta ovviamente.

Rocco Lettieri ha introdotto la serata spiegandoci che avremmo degustato al buio cinque vini rossi toscani, in cinque calici con forme differenti, a temperature diverse, ovviamente abbinati ai piatti della cucina di Mauro. Noi avremmo dovuto indovinare il vino, l’annata e l’abbinamento migliore, scrivendo delle note di degustazione ad ogni portata.

Una cosa che proprio detesto fare, è parlare o scrivere di vino in modo tecnico. Mi annoia proprio, ovviamente con tutto il rispetto per chi lo fa. Il vino per me è ben altro, è storia , è territorio, è filosofia di vita. Ricordo che, poco tempo fa, assaggiando un vino di Giorgio Grai, lui stesso mi ha chiesto di raccontarglielo. La mia risposta è stata: “Io il vino lo bevo, lascio agli esperti il compito di raccontarlo”. Per intenderci, per esperti mi riferisco a chi lo produce; mi piace ascoltare da loro come nasce un vino.

Ho fatto questa premessa per farvi capire quanto poco entusiasmo avevo all’inizio della cena. Quando poi Rocco ha raccomandato a tutti di prestare attenzione e di parlare poco mi son detta: “Uh signur, che serata che mi aspetta!” Invece no! Devo confessarvi che mi sono proprio divertita! Perché…? Un po’ per il folclore che faccio al mio solito provocando forse un pochino, ma solo per conoscere meglio le persone, e poi, perché Mauro portava i vini ad una temperatura ingannevole, diciamo così.  Io con le mani li scaldavo, perché il vino rosso, quello buono, ad una temperatura troppo bassa, proprio non mi piace!

Ma il trucco era proprio qui, far assaggiare “lo stesso vino” a temperature completamente diverse. Cambia, e come se cambia, così tanto da sembrare un vino diverso. Chi ha vinto? Nessuno e tutti, anzi, ha vinto il vino! Un fantastico rosso toscano, l’Ardito di Riccardo Baracchi, annata 2006, uvaggio 50% cabernet sauvignon e 50 % syrah.

E’ stata una serata didattica molto istruttiva… ma anche molto appetitosa!

Un grazie particolare al gatto e alla volpe!

 

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