1

L’ingegnere brianzolo nelle vigne delle terre armate

“Le terre armate direte…? Ah bè, siamo apposto, se si armano anche le terre ora!” Datemi un attimo, che vi spiego!  Questo è forse l’unico caso in cui l’armatura, è di gran lunga una vera fortuna!

Recentemente ho avuto il piacere di conoscere Gianni Cogo, vignaiolo brianzolo, o meglio, ingegnere brianzolo che per passione produce vino a Bonassola alle porte del golfo del Tigullio e del parco delle cinque terre.

Bonassola, antico borgo marinaro dai vicoli stretti e dal clima mediterraneo in cui si può passeggiare guardando il mare tra bouganvillee, ginestre, alberi di ulivo e di pino, erbe aromatiche e agrumeti.

Gianni ha origini venete come me; il destino lo ha portato ad innamorarsi di un fazzoletto di terra sulle colline del Levante ligure; le terrazze a ridosso del mare strappate grazie alle opere di ingegneria naturalistica, sono la sua caratteristica saliente.

L’Azienda Agricola Valdiscalve nata nel 2003, gestisce 4000 mq di terreni acquisiti grazie ad una ricostruzione e meccanizzazione dei terrazzamenti; è condotta da Gianni insieme alla moglie Maria, architetto di professione, vignaiola per passione. Dai vitigni autoctoni Vermentino, Albarola e Bosco, nei Poderi Reggimonti e Salice, tra la brezza iodata nasce il suo VermentIng Colline di Levanto Bianco D.O.C.

Con Gianni ho passato un intero pomeriggio a parlare, come piace a me, per conoscere e capire.  Le difficoltà che accomunano i racconti di chi investe la propria energia e la voglia di fare nell’agricoltura sono ormai una triste consuetudine a me ben nota.  La cosa interessante, che mi affascina e che mi piace scoprire, è quell’elemento distintivo che ciascuno di noi mettendo a frutto la propria esperienza trasferisce nel proprio operato.

Sono sempre più convinta che la terra ci possa salvare se sapremo salvare lei…  Gianni Cogo sta andando proprio in questa direzione, unendo l’esperienza del suo lavoro alla passione per la viticoltura. Nel rispetto delle caratteristiche del territorio ha applicato “la tecnica delle terre armate” per ripristinare le antiche terrazze.

  • Lascio a Gianni il compito di spiegare meglio di cosa si tratta:

Le terre armate sono costituite da un sostegno in acciaio internamente rivestito da una rete in yuta e ancorato al terreno. Dopo essere riempite di terra, le terre armate vengono inerbite con erbe tradizionali. Permettono di stabilizzare terreni anche con pendenze scoscese, perdurano nel tempo, si inseriscono armonicamente nel paesaggio e permettono di sfruttare al meglio la superficie di terreno coltivabile.

Il ripristino delle terrazze con tecniche moderne ha inoltre permesso di regimentare gli scoli di acqua piovana così da ridurre il rischio di smottamenti del terreno. Le terrazze sono meccanizzate, ovverosono state congiunte con un sistema di “sentieri” percorribili con dei piccoli mezzi agricoli (trattorini). Su ogni terrazza è presente un sistema di irrigamento centralizzato “a goccia” che permette di ridurre al massimo gli sprechi idrici innaffiando direttamente ogni vite alla base secondo le necessità della stagione. Grazie a questo sistema, la percentuale di barbatelle che non attecchiscono è estremamenteridotta.

Riprendo la parola io per dire che…

Tengo molto ad  approfondire questo tema visto il rischio idrogeologico del nostro paese. L’argomento è stato affrontato recentemente a Roma in una Conferenza nazionale che ha coinvolto associazioni legate all’ambiente ed esperti del settore. I dati emersi non poco allarmanti. Ben 6.633 comuni a rischio idrogeologico. Frane, alluvioni, smottamenti, devastazioni ambientali, conseguenti alla speculazione edilizia, alla scarsa attenzione per il patrimonio boschivo, all’abbandono di terreni per politiche agricole poco accorte, che non aiutano il lavoro dei contadini e compromettono lo sviluppo dell’agricoltura.

La Liguria è una delle sfortunate regioni protagoniste di queste disavventure.  Lo scorso autunno colpita nel cuore delle Cinque Terre con la caduta della Via dell’amore, un percorso sospeso famoso nel mondo; senza dimenticare poi il disastro causato dall’alluvione che ha coinvolto precedentemente anche la Toscana con cumuli di detriti e fango che hanno sommerso intere zone.

Stiamo vivendo una gravissima emergenza economica e ambientale conseguente a errori imperdonabili di incapaci che hanno speculato sul territorio e sugli Italiani. Le denunce continue gridate a più voci non devono essere motivo di speculazione. Chi di competenza, dovrà con urgenza mettere sui tavoli dei lavori il tema agricoltura, per porre in condizione agevole chi può ancora far si che l’Italia si risollevi dal fango che l’ha investita.

Il rapporto uomo-natura si è dissociato come il rapporto uomo-uomo, la perdita di collegamento e di relazione con la natura ha accresciuto il disagio esistenziale… Ma il rifugio è pur sempre la riscoperta del mondo, della natura, e la presa di coscienza di ciò che ci sta attorno…

Prof. Paolo Michele Erede (medico e filosofo)




Laura Angelini… colei che sussurra alle vigne

Laura Angelini dell’Azienda Agricola La Pietra del Focolare di Ortonovo – La Spezia

La dolce Laura…

L’ho conosciuta ormai un anno fa… Inizialmente attraverso i suoi pensieri sul web, e poi, come capita spesso in questo mio percorso di vita, di persona, quando un giorno mi invitò a raggiungerla a “Terre di Vite”, una manifestazione presso il Castello di Levizzano a Modena alla quale partecipava come ospite.

Laura Angelini della Cantina Pietra del Focolare di Ortonovo (SP), una donna e un’amica alla quale mi sento vicina per la condivisione del pensiero e della filosofia di vita… Una donna che si è ricostruita investendo nella terra…

Un rapporto tra uomo e natura che va ben oltre il mestiere: “Dare l’anima alle piante e vedere che esse ricambiano… Parlare con loro come a un figlio”. Vorremmo produrre un vino che sia “buono” per la gente, e trasmetta un’emozione all’intenditore perché vinca la qualità a scapito della quantità, e queste righe scritte e dettate da un modo di vita tranquillo… restino oggi e domani  davanti a noi… Laura Angelini

Passo a lei la parola… 

  • Ti definisci “colei che sussurra alle vigne”. E’ una definizione romantica che trasmette l’amore che come te condivido per questo mondo. Com’è iniziata la tua storia nel mondo del vino?

Il mondo del vino è una fiaba molto bella. Come in molte fiabe ci sono persone cattive che a volte disturbano un po’,  ma noi faremo di tutto perché la fiaba sia bella e a lieto fine. Stanchi della routine del mondo moderno abbiamo deciso di iniziare quest’avventura per vivere la natura e seguire il corso del tempo, scandito dalla successione delle stagioni, delle notti,  dei giorni, della pioggia e del sole.

Siamo passati da impieghi lavorativi in ufficio e in negozio, ad una vita a contatto con la terra e la natura, per ricollegare quel filo che si stava sempre più assottigliando. Ma soprattutto non abbiamo fatto l’errore di collegare il vino al portafoglio. La Pietra del Focolare è nello stesso tempo un’azienda e una famiglia dove Stefano, Laura e Linda sono i protagonisti indissolubili.

  • Conduci la Cantina Pietra del Focolare di Ortonovo insieme a tuo marito. Come avete iniziato, e chi vi ha introdotto all’arte di fare vino?

Io e Stefano seguiamo tutta la filiera, dalla campagna alla bottiglia. Abbiamo cominciato a produrre vino per creare qualcosa di nostro senza dover sottometterci a nessuno, così da portare avanti l’idea di un vino tipico della nostra zona senza compromessi. Poi, l’amicizia con vecchi viticoltori ci ha aiutato.

  • Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato inizialmente sia a livello burocratico che  gestionale?

Abbiamo incontrato mille difficoltà…  Con la passione, l’amore, e l’impegno le abbiamo superate tutte sempre pronti a lottare per le nostre idee. L’invidia da parte di altri credo sia stata una delle maggiori, comunque sia, continuiamo lavorando…

  • Quanto le scelte e le indicazioni del vostro enologo influiscono sul vino che producete?

Il nostro enologo, Giorgio Baccigalupi, è stato indispensabile come tecnico e come amico. Con il trascorrere del tempo abbiamo seguito sempre più i suoi consigli da amico, e sempre meno quelli da enologo. Questo non perché siamo diventati bravi, ma perché abbiamo cercato un nostro percorso, ben diverso dal suo e da quello dei nostri colleghi. Noi siamo considerati la  “pecora nera” dei Colli di Luni.

  • Ricordo che, durante gli interventi a Terre di Vite, ho ascoltato donne protagoniste della viticoltura ligure ferite dalle istituzioni. Le sentivo esprimere la loro rabbia per gli scarsi interventi istituzionali necessari alla salvaguardia del settore vitivinicolo. A distanza di un anno senti di esprimere lo stesso sfogo o qualcosa è cambiato?

Spesso le istituzioni sono un freno e non un aiuto, nonostante ciò cerchiamo di convivere con esse. In alcuni casi però ci hanno fornito notevoli aiuti, quindi non sono sempre da condannare o da denigrare. Penso che a volte le persone (riferendomi alle mie colleghe liguri), si sfoghino con le istituzioni nascondendo in fondo problemi che hanno con se stesse. Purtroppo l’Italia è malata di politica, di protagonismo, e di molto altro… Credo che la guarigione avrà tempi lunghi… anche per l’assenza di “medicine”…

  • Ricordo le tue bellissime bottiglie dipinte a mano… Come ti è venuta l’idea, e a che cosa ti ispiri? 

Le nostre bottiglie dipinte a mano sono l’espressione dell’amore che abbiamo nei confronti del nostro lavoro, di noi stessi, delle persone, della vita, e di tutto ciò che ci circonda. Ricordiamoci sempre che viviamo in un mondo con una vita meravigliosa, non dimenticando gli amici, che rappresentano la più grande ricchezza…

Stefano dipinge le bottiglie davanti alla stufa a legna nelle sere d’inverno, e io spesso, sono la sua musa ispiratrice…

Correva l’anno 1995, una fredda sera d’inverno io e Laura sedevamo davanti al camino di pietra. Il fuoco lambiva i ceppi accesi e scoppiettanti, il calore riflesso ci avvolgeva, Linda era stata concepita da poco. Le fiamme viste attraverso il vetro di un calice di vino bianco danzavano creando bizzarre figure. Quella sera nacque una filastrocca…

Il focolare trasmette alla pietra il suo calore…

il sole irraggia la vite e dona ai grappoli il colore…

il vino trasmette l’animo di chi l’ha creato a chi lo sa gustare…

e le genti tutte fa cantare…

La Pietra del Focolare




Gianfranco Comincioli… l’Erbamat, e i suoi oli denocciolati

Ci sono persone la cui storia dovrebbe diventare memoria d’insegnamento… Esattamente così, ci sono persone che incontro la cui storia, ma soprattutto la cui esperienza, ha portato a tali successi nelle proprie produzioni  da riconoscere non solo con premi, ma da divulgare come insegnamento per far si che le conoscenze acquisite negli anni, vengano messe a frutto per le generazioni future. Quando le incontro mi informo su chi darà continuità al loro lavoro, quasi sentissi a rischio la perdita di tanta esperienza acquisita negli anni.

Ciò che mi ha colpito soprattutto nella conoscenza di Gianfranco Comincioli, è la determinazione dell’uomo nel voler  fare il meglio… Una vita dedicata alla ricerca della qualità e all’accuratezza del prodotto. L’ho percepito ascoltandolo, fiero ed orgoglioso, memore dell’insegnamento del padre, menzionato spesso nella nostra lunga chiacchierata di una domenica pomeriggio di qualche tempo fa.

Seduti ad un vecchio tavolo di legno, Gianfranco mi ha raccontato delle sue ricerche sull’utilizzo dell’Erbamat, vitigno antico a bacca bianca ormai in via di estinzione vinificato ed assemblato ad un altro vitigno autoctono, il Trebbiano Valtenesi.

Gianfranco Comincioli

Gianfranco Comincioli

Subentrato nell’azienda familiare a diciotto anni s’innamorò di questo vino bianco denominato in seguito Perlì. Un vino particolare, longevo e complesso come lui stesso lo ha definito. Voleva fare un bianco diverso visto che il Lugana era già il vino protagonista di questa zona. Seguiva le orme del padre che, anni prima, circa nel 1960, fece un vino bianco per se e per gli amici fatto da viti centenarie di Trebbiano Valtenesi, un vino di grande corpo con ben 14 gradi chiamato “il latte del nonno”.

Per ben venticinque anni seguirono prove di vinificazione, fino a giungere al 2007 quando Gianfranco volle cambiare impostazione. Da quattro anni ormai lo sta sperimentando anche in spumantizzazione in ancestrale, il più naturale dei metodi che utilizza unicamente gli zuccheri dell’uva.

Dovete sapere che dal 1552, da ben quattordici generazioni,  la famiglia Comincioli vive e segue le attività legate al territorio di Puegnago del Garda. La produzione di vino è iniziata col Groppello, vitigno autoctono della Valtenesi. In seguito, dal 1943, ha avuto continuità con l’operosità di Giovanni Battista Comincioli che ha portato l’azienda nel 1966, al conseguimento del riconoscimento ad Asti della medaglia d’oro Douja d’Or. Dal 1978 la guida è passata al figlio Gianfranco, che, nel rispetto della tradizione, ha dato impulso alla ricerca e alla sperimentazione.

Ma non finisce qui, visto che l’attività della famiglia Comincioli è legata oltreché alla vite, anche all’olivo. La loro filosofia, citando le loro stesse parole,  è che l’olio lo fa la pianta e l’ambiente. Le fasi della produzione sono concentrate nel rispetto totale dell’olivo e del suo frutto, al fine di esaltarne al massimo i caratteri, gli aromi, e i sapori.

comincioli-11

Olio extra vergine di oliva Comincioli

Guidata da Gianfranco ho potuto apprezzare il risultato delle sue ricerche e dei suoi studi. La  realizzazione di un frantoio tecnologicamente avanzato, ha permesso di operare in assenza di contatto con l’aria, evitando fenomeni ossidativi che influiscono negativamente sulla qualità e sulla durata nel tempo dell’olio.

Le olive trattate sono la Casaliva, cultivar autoctona esclusiva delle terre del lago di Garda, e la Leccino, cultivar presente nelle terre del Garda. Nascono così gli oli denocciolati ottenuti esclusivamente dalla polpa delle olive, un prodotto della Terra realizzato con il massimo rispetto, per garantire le componenti salutistiche che rendono gli oli extra vergini d’oliva elementi essenziali per la nostra alimentazione, e per la nostra salute.

 




Avere personalità significa unicità… nel vino, come nelle persone

Batto spesso su questo tasto, e mi ripeto,  perché ritengo che l’esperienza di chi “fa il vino”,  sia fondamentale quanto il vitigno, il clima, e il territorio. Tutti fattori racchiusi nella “tipicità di un prodotto”, quell’armoniosa combinazione di elementi che l’uomo con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio.

“Tipicità del vino: espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno, al territorio, e al clima”

Clima che ahimè sta cambiando…  Ne ho discusso ampiamente con Claudio Faccoli visitando l’Azienda Agricola Lorenzo Faccoli in Franciacorta.  Claudio mi ha raccontato quanto per lui sia importante, una volta imparata l’arte, “fare da se” il più possibile. Certo, una guida al bisogno è sempre ben accetta, ma non deve prevaricare la filosofia del produttore.

                                                                                  Il vino deve avere personalità…

faccoli-5

Lorenzo Faccoli

Claudio, la moglie Stefania, e il fratello Gian Mario, portano avanti l’azienda fondata nel 1964 dal padre Lorenzo Faccoli. Un uomo discreto, un agricoltore che ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia e alla viticoltura. Circa 5 ettari di vigneto a tratti terrazzato nella terra argillosa del Monte Orfano, il più antico della Franciacorta.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Maria, la moglie di Lorenzo Faccoli

E ora, la parola a Claudio Faccoli…

  • Claudio, concordo con te che il vino sia il risultato dell’esperienza e del pensiero di chi lo produce. Sei ancora giovane e la tua strada è ancora lunga, ma sei immerso in questo mondo fin dall’infanzia. Cosa trasmetti del tuo vissuto e della tua esperienza nel vino che produci insieme a tuo fratello Gian Mario?

Quello che cerchiamo di trasmettere nel nostro lavoro è la semplicità nella lavorazione del vino che deve essere il più possibile rispettosa della sua naturalità;  un vino che deve identificarsi con il terreno da cui nasce e con l’andamento climatico delle stagioni, e per questo, deve essere ogni anno unico, espressione dell’annata.

  • Terra di Franciacorta, terra vocata alla viticoltura che ho potuto apprezzare durante la mia visita. Me la racconti brevemente?

La Franciacorta è terra bresciana, patria di grandi imprenditori, che hanno saputo scoprire il potenziale tesoro vitivinicolo nascosto in  questa terra ed anziché  appropriarsene,  l’hanno condiviso con tutti i potenziali attori, vecchi e nuovi,  elevandolo così  insieme,  a  prodotto d’eccellenza.  

  • Uno dei problemi in Italia è fare “sistema”.  Non sempre certo, ma per lo più è una cantilena che spesso mi sento ripetere… Qual è la realtà in Franciacorta a questo proposito?

Cinzia, penso che il successo della Franciacorta sia dovuto principalmente al fatto che fino ad oggi i produttori hanno fatto realmente sistema, rinunciando a interessi e posizioni  personali nell’interesse della crescita di tutti coloro che fanno parte di questo territorio.

Cantine Faccoli

Cantine Faccoli

  • Cosa consiglieresti ad un giovane che si vuole avvicinare a questo settore?

Direi che può avere grandi soddisfazioni se si avvicina con immensa voglia di apprendere e con passione per il lavoro, dove la più grande ricompensa non è certo inizialmente  economica,  ma quella di poter far parte della creazione di un prodotto unico tutti gli anni, che per essere tale necessita essenzialmente del suo impegno.

  • In Italia ci sono molti piccoli produttori,  lo sei anche tu.  Nonostante il parere di alcuni esperti, ritengo che piccole e grandi realtà vitivinicole devono coesistere perché entrambe necessarie. Cambia solo l’approccio che ha il consumatore verso l’una o l’altra realtà. Cosa ne pensi?

Dal mio punto di vista  la vocazione di un territorio si riconosce quando sviluppa una  molteplicità di realtà produttive, le  più variegate. Le grandi aziende sono i nostri testimonial che danno grande visibilità ed  identità al  prodotto;  le piccole aziende hanno il ruolo di coinvolgere le persone che hanno bisogno di sviluppare un rapporto più diretto con il produttore e il  prodotto.

  • E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione nell’immediato per aiutare i produttori in modo concreto?

Visto la scarsità di risorse, ciò che chiederei alle istituzioni è di cercare di alleviare il carico burocratico che  appesantisce sempre di più le piccole aziende ed in secondo luogo di difendere a livello internazionale l’unicità dei nostri prodotti…

Con Gian Mario e Claudio Faccoli

Con Gian Mario e Claudio Faccoli

 

 




Il “rispetto del contadino” di Valter Calvi, vignaiolo in Terra d’Oltrepò

Conobbi Valter Calvi  grazie ai consigli di Mario Maffi. Quando Mario mi raccontò della passione e del rispetto del contadino che Valter e suo figlio Davide mettevano nella conduzione della loro attività, decisi di recarmi da loro per una visita…

p1014432

Valter e Davide Calvi da “Il cerchio della terra” di Laura Ferrari, fotografie di Alessandro Branca

Andai per la prima volta una sera di alcuni mesi fa, dopo essermi persa come al solito vagando su e giù per Castana, a Pavia. Quando finalmente riuscii ad arrivare seduta a tavola davanti ad un calice di vino chiacchierai con Valter a lungo… Avevo intuito la sua curiosità, o meglio, la sua voglia di capire e di conoscermi. Inizialmente la interpretai come diffidenza, sentimento che non temevo, perché, quando non si ha nulla da nascondere, non si ha nulla da temere…  Ero li per conoscerlo, e per invitarlo a partecipare ad una serata di degustazione di vini dell’Oltrepò. E così è stato…

Giorni fa ho voluto tornare a trovarlo,  per la persona che è, per l’uomo che stimo, per il suo credo della Terra, per il suo rispetto del contadino…  Viene definito da molti un cane sciolto, un uomo libero e anticonformista, un uomo che non segue la massa

Io lo capisco bene perché sono molto simile, dicono una ribelle…  Io dico solo che siamo persone che seguono coerentemente la propria natura, che non vogliono uniformarsi solo perché il tempo lo richiede. A volte si rischia di rimanere soli, ma se si soccombe, si è comunque soli anche in una folla…

L’Azienda Vitivinicola Calvi è condotta da Davide e dal padre Valter.  Da undici generazioni, fin dalla fine del 1600, continua la tradizione della coltivazione della vite sulle colline di Castana. Nove ettari di vigneti suddivisi in dieci vigne: Montarzolo, Canne, Custieu, Colomba, Pragazzolo, Monteguzzo, Bugena, Frach, Falerna, San Bacchino. La loro viticoltura è basata sul rispetto dell’ambiente e sul benessere della pianta, senza uso di concimi chimici e limitando gli antiparassitari. Adottano ormai da venticinque anni la tecnica dell’inerbimento dei filari, così da evitare l’erosione dei terreni collinari e nel contempo creando un microhabitat ideale per essenze erbacee ed  insetti utili.

Ma ora la parola a Valter Calvi…

  • Valter, vuoi raccontarmi che cosa intendi per  “rispetto del contadino”?

E’ il rispetto verso “Madre Natura” che il vero contadino ha innato. Considerando che siamo parte integrante del sistema: terra, acqua e cielo, non possiamo rapportarci con questi elementi e con tutti gli esseri viventi se non con rispetto.

  • Sei come me un appassionato di storia.  Fai parte del gruppo Primus Colle, mi spieghi chi siete e che cosa vi prefiggete?

Il rispetto di cui sopra è legato indissolubilmente alle conoscenze che i nostri avi ci hanno tramandato, e alle nuove esperienze che noi possiamo fare e che poi tramanderemo.  In un momento storico rivolto solo in avanti, assieme ad altri appassionati, abbiamo voluto creare un’associazione che ricerchi la storia di questo nostro territorio di Prima Collina, e la mantenga prima che si disperda per sempre. Attraverso delle pubblicazioni chiamate  i “Quaderni di Primis Collis” e a camminate per antichi sentieri,  cerchiamo di divulgare la nostra piccola ma non meno importante storia.

  • Sei membro del Club del Buttafuoco storico sia come produttore che come appassionato. Carlo Porta, poeta dialettale milanese, attribuì a questo vino il nome Buttafuoco per il suo corpo e carattere. Raccontami com’è iniziata questa tua avventura?

Anche qui il “rispetto” ha avuto parte preponderante.  Ho sempre pensato che le fatiche, il sudore, e le immense conoscenze dei vecchi vignaioli non potessero  perdersi per inconsistenti esigenze commerciali. L’idea del Club Buttafuoco Storico è nata nel 1989 con l’impianto di una vigna.  Ho poi cercato di coinvolgere altri produttori spiegando che al di la dell’interesse  per raggiungere quella “nobiltà” che il vignaiolo deve avere, bisognava produrre un vino strettamente legato al territorio e agli antichi saperi.  Quasi per gioco abbiamo cominciato a produrre Buttafuoco secondo le esperienze dei nostri avi, e in quelle vigne tramandateci come altamente vocate. Il 7 febbraio del 1996 è nato il  “Club del Buttafuoco Storico”

  • Sei anche un ricercatore. Mi dicevi delle tue sperimentazioni con la varietà chiamata Vespolina o Ughetta…

Cinzia, ricercatore è una parola grossa… sempre da vignaiolo ho fatto nuove prove. Se non fosse così non saremmo arrivati a questa ricchezza di diversità nel mondo vitivinicolo…

L’Ughetta di Canneto (Vespolina è un nome attribuito a posteriore che non mi piace) e la Moradella, erano tra le uve più coltivate prima dell’avvento fillosserico in queste mie terre. Ora che siamo riusciti a recuperarle è normale la curiosità di vedere il loro carattere in purezza.

  • Nelle mie discussioni “vinose” difendo a spada tratta i piccoli produttori per le tradizioni e le tipicità che coraggiosamente portano avanti visto il periodo difficile. Mi sento spesso rispondere che predico poesia,  ma non qualità. Questa affermazione viene motivata dalle difficoltà al sostentamento della tecnologia in cantina viste le piccole dimensioni di queste realtà. Valter, giro a te la questione…

L’azienda familiare contadina è un patrimonio inestimabile di cui l’Italia è ancora ricca e che tutto il mondo ci invidia. Può produrre dei prodotti inimitabili dall’industria, può mantenere tecniche di produzione tradizionali e veramente “naturali”, ma soprattutto è fondamentale per la salvaguardia del territorio, sia quello materiale che quello immateriale.

In un contesto di mercato mondiale una ricchezza del genere può essere strategica per veicolare l’immagine dei nostri prodotti. Utile perciò anche all’industria agroalimentare, che naturalmente ha anch’essa la propria identità.

Il rispetto del contadino fa si che costui entri in punta di piedi nella natura,

con umiltà, e devozione…

Valter Calvi

 




Vercesi del Castellazzo… un tuffo diVino nella storia dell’Oltrepò Pavese!

Sono un’appassionata di storia, lo so, l’ho già detto altre volte…  Bè, sono anche appassionata di dimore storiche, e qui direte:  “Hai già detto pure quello!”  E  vi ho detto che adoro le spade? Urca, ora me la sto proprio cercando, visto che ho detto più volte anche questo! Bene, appurato che sono ripetitiva quando mi piace qualcosa (è la verità!), vi dico solo che, sapendo che nell’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo avrei trovato “storia, una dimora gentilizia dell’800, e pure spade antiche”, chi mi fermava dall’andarci!

L’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo è condotta dall’amico Gian Maria Vercesi insieme al fratello Marco a Montù Beccaria (PV). Circa 20 ettari vitati a Croatina, Barbera, Pinot Nero, Ughetta e Cabernet Sauvignon. La loro storia  ha origini lontane. Gian Maria mi ha raccontato che la sua famiglia è proprietaria di questi terreni  fin dal 1600. Fu però il padre nel 1961 a dare impulso all’azienda vinificando le uve fino allora solo coltivate.

Conobbi Gian Maria in occasione di una serata di degustazione che avevo organizzato circa un anno fa in Oltrepò OLYMPUS DIGITAL CAMERAPavese, terra bellissima, che stavo incominciando a scoprire. Perché mai mi chiederete organizzare una serata in un territorio che non conoscevo? Bè, durante i miei “tour Vinosi”, come li chiamo io, sentivo spesso maltrattarla, o meglio, sentivo spesso una certa criticità delle persone del settore verso i loro vini, e soprattutto verso la mancanza di coesione dei produttori nel promuoversi.  In un certo senso non si può dire che le cose non stiano proprio così, ma forse qualcosa sta cambiando. Come dico spesso, andare avanti da soli non porta a nulla. Fare “sistema”, questa è la chiave giusta per aprire la porta che conduce alla reale promozione di un territorio.

Organizzare quella serata mi costò non poca energia, soprattutto per le diffidenze che mi trovai ad affrontare…  Per settimane andai su e giù da Milano a Pavia  per parlare con i produttori, per far capire loro che il mio intento era sincero. Guidata dal caro Mario Maffi  e supportata  dall’Azienda Agricola dei Doria di Montalto che ci hanno accolto, la serata finalmente si svolse.   Ma ci pensate, “una cantina dell’Oltrepò, i Doria di Montalto, che promuoveva altre cantine del territorio”. Quando raccontavo di questo mio progetto molti mi davano dell’illusa sognatrice! Mi dicevano: “Figurati se un produttore accoglie a casa sua altri produttori in un momento così difficile!”   Bene, io ci sono riuscita, forse perché ho la testa dura dei mantovani, o forse più semplicemente perché chi la dura la vince! So solo che in Terra d’Oltrepò, questa cosa è successa…

E ora appena posso,  torno in queste colline a chiacchierare con loro, con gli amici vignaioli conosciuti così…

  • Gian Maria, mi racconti cosa trasmetti del “tuo credo”,  nel tuo vino ?

Cerco di trasmettere la forza del terroir evitando interventi pesanti in cantina, sull’uva, sui mosti, e sui vini che ne derivano. Cerco di toccarli il meno possibile proprio per mantenere tutto il loro patrimonio derivante dalla terra su cui vivono.

  • Non è un momento facile per nessun settore produttivo Italiano. Da esperto del territorio quale sei, mi puoi dire come si sta vivendo la viticoltura in Oltrepò Pavese? Ma soprattutto, quali sono le maggiori difficoltà attuali di voi viticoltori?

Le difficoltà sono quelle di sempre, purtroppo. Scarso rapporto tra colleghi ma, soprattutto, la quantità di vino di qualità che scompare in rapporto all’altro vino, quello taroccato, mistificato, violentato per farne un prodotto da prezzo che invade gli scaffali della grande distribuzione e che comunica al mercato quel tipo di qualità. Da qui ha origine il detto che il vino dell’Oltrepò Pavese è mediocre.  Altro problema  è che “non c’è mai tempo” e molto, tocca delegarlo agli altri…

  • Come produttore hai consigli  o suggerimenti da dare ai giornalisti e ai blogger  sulla comunicazione del mondo del vino?

Solo un consiglio: non fermarsi alle apparenze (dell’Oltrepò), approfondire senza farsi influenzare dalle mode. Ricercare, scoprire…

  • Per far capire a chi legge come ti ho conosciuto, ho raccontando della serata di degustazione che organizzai ormai un anno fa. Ho menzionato alcune parole come “diffidenza” o  come “fare sistema”.   La volontà di un cambiamento è forte in molti. Ne è testimonianza la libera Associazione di Produttori “InOtre” di cui sei membro e promotore. Me ne vuoi parlare?

InOLTRE è nata nel 2002, partendo dall’idea di partecipare al Vinitaly con un folto gruppo che non si appoggiasse alle solite collettive istituzionali.

Siamo una decina di produttori con un  duplice fine: “Primo, partecipare a fiere ed eventi per far conoscere un cospicuo numero di etichette di qualità, e fare economie di scala. Secondo, quello di degustarci, e degustare gli altri.

Abbiamo avuto alti e bassi legati spesso al tempo disponibile. Ora, però, stiamo ripartendo con eventi e degustazioni.  Ne abbiamo una in cantiere di una grande annata passata  interpretata da noi dieci, ed un’altra un po’ più complicata, che è ancora in embrione.

A Pavia i nostri vini sono in vendita in esclusiva nel Borgo, in una vineria che si chiama InOLTRE, e nel bar dell’area di servizio VEGA di Stradella. Inoltre forniamo il vino dell’Oltrepò, anche ad una bottega gastronomica  vetrina delle piccole produzioni del territorio, il GOODURIA, nella centralissima piazza Duomo di Voghera.  Per intenderci, InOLTRE 80%, resto d’Italia 20%.

Noi crediamo molto nella divulgazione dei nostri marchi sul territorio provinciale, e questa  è cosa molto più realizzabile quando si lavora in squadra…




Un grido d’aiuto dagli agricoltori: “Lasciateci lavorare!”

Oggi voglio dare spazio allo sfogo di un amico viticoltore che fa eco a tante altre voci. Burocrazia, burocrazia e ancora burocrazia! E’ questo che continuamente mi sento dire dai produttori. Dobbiamo fare gli amministrativi o gli agricoltori mi dicono… mah, dico io!

Mi chiedo se qualcuno di questi burocrati impositori di tanta carta da compilare si rende conto cosa vuol dire produrre? Di quanta fatica, tempo, e impegno comporta lavorare la terra? Ma non solo dato che il tempo libero devono occuparlo per promuoversi in fiere e in manifestazioni per farsi conoscere, ma soprattutto per far conoscere i loro prodotti.  Ricordo anni fa di aver letto che in Giappone un’azienda ha imposto ai propri dirigenti di fare esperienza diretta in produzione tra gli operai… sarebbe opportuno anche qui da noi, e in molti settori direi!

Sostengo da sempre con grande convinzione che per giudicare il lavoro degli altri, per capirne le difficoltà, i problemi e le soluzioni, bisogna semplicemente farlo! Anziché occupare i comodi uffici, uscite e parlate con i produttori!  Dovete vivere le realtà! Dovete ascoltarli! Siete voi i nostri rappresentanti, e quindi e ora di muoversi, di tirare su le sorti di quest’Italia ferita e messa in ginocchio! La terra è quello che ci rimane, chi la lavora rappresenta la nostra unica speranza di salvarci da questa crisi! Aiutiamoli a lavorare!

Perdonerete il mio sfogo, ma gli Italiani, quelli veri, quelli che lottano lo fanno in ogni modo, anche così, lanciando un grido d’aiuto! Ed è per questo che ora passo la parola a uno di loro… all’amico Marco Bernava.

  • Marco, cosa chiederesti alle istituzioni sia a livello nazionale che europeo nell’immediato per aiutare i produttori?

Lasciateci fare e vendere!” Perché far vino è un’arte… è poesia e tecnica allo stesso tempo, e gli artisti devono avere spazio per fare bene, devono avere libertà di movimento. 

Ci siamo incastrati in un sistema che non funziona Cinzia, e non solo in viticoltura ma oserei dire in tutto il settore agrario. Concentrandomi sulla viticoltura e sull’elaborazione di vino, credo che come nel resto del settore primario una delle grosse colpe sia della UE e dalle politiche dei Paesi membri: “Direttive che si traducono in normative e controlli che senza mezzi termini definisco tanto inutili quanto dannose, un sistema di aiuti all’impianto/espianto incoerente, un sistema doganiere che non dovrebbe esistere ed invece vincola tutte le trattative intracomunitarie, norme di etichettaggio pesanti, sistemi di qualificazione dei prodotti un po’ aleatorie … e molto altro che potrei aggiungere…”

La mia esperienza come tecnico ed ora come produttore mi fa capire sempre più i viticoltori con il loro pianto per i prezzi bassi, per la loro impotenza sul mercato perché l’offerta frazionatissima (e senza voce collettiva, non inganniamoci), davanti a colossi che dettano prezzi di acquisto delle uve tenendo in conto solo la loro logica di profitto (frutto di un sistema globalmente incorretto), non considerando minimamente i costi di produzione del viticoltore.

Capisco sempre più quanto in passato si sia distorto e viziato il settore. Mi fa male pensare a come viene percepito il vino da certi settori della società, a causa di scelte politiche errate nella sostanza. Mi rende triste vedere come bisogna accontentare l’amministrazione con determinate pratiche burocratiche che assumono più i connotati di un rito vudù piuttosto che di una gestione amministrativa. La mia esperienza mi porta a concludere che voglio vivere bene come tecnico una parte dell’agricoltura affascinante e dinamica e che vivrò lottando come produttore e commerciale di se stesso, nella speranza (o illusione) che il sistema si semplifichi.

Non dico che debba essere un settore anarchico, ma nemmeno che io debba dedicare la metà del mio tempo a lavorare per l’amministrazione pubblica. Certo è che il settore deve avere un apparato legislativo corretto e coerente che vincoli ciò che è dannoso alla salute (trattandosi di un prodotto alimentare) e ciò che è frode reale, ma lasciando che i produttori possano creare originalità e che la possano offrire e vendere con agilità.

Lascio andare solo due esempi in Europa: l’etichettaggio e il sistema di qualificazione dei vini da un lato, e le pratiche enologiche autorizzate dall’altro. Sono paradossi di come NON si dovrebbe gestire a livello supra-nazionale il settore. Basicamente perché sul mercato ci dobbiamo confrontare con il “nuovo mondo” del vino, dove le regole sono più lasse e dove hanno capito che nel fondo l’equivalente di ogni muro che la UE ci costruisce e che dobbiamo saltare non fa altro che incrementare i costi di produzione, quindi diminuire la competitività sui mercati internazionali, e far risultare cari i vini a volte anche sul mercato nazionale. Risultati: da una parte importiamo vini economici e dall’altra limitiamo il consumo interno di prodotto nazionale, confondendo in sostanza il consumatore e allontanandolo dal gaudire di un prodotto che fa parte della nostra cultura da secoli immemori.

Poi non dimentichiamo che la viticoltura e l’enologia sono alla base della gestione di molti territori dei nostri Paesi: gestione paesaggistica, gestione ambientale, tessuto socioeconomico (pensiamo oltre ai produttori anche all’indotto enoturistico). Questo ruolo sociale dovrebbe essere ulteriormente premiato e non bastonato dalle politiche sia comunitarie che nazionali. Dovrebbero lasciar lavorare e fomentare lo sviluppo del settore vitivinicolo e di ciò che gravita intorno a lui, soprattutto nelle zone vocate, dove ogni alternativa economica risulterebbe essere o un fracasso o un’aberrazione ed una distruzione del territorio. Mi riferisco concretamente al tema eolico in Spagna e per quanto ne so anche in Italia: interessi di multinazionali dipinti coi colori dell’ecologia e della sostenibilità, venduti al territorio inerme come è quello agricolo, distruggendone la vocazione e trasformandolo in un paesaggio pseudo-industriale massificato e violentato dalla speculazione (in campagna ancora non era arrivata).

Ma questa è un’ altra storia Cinzia: se vuoi ne parleremo! 

 




Una Storia di Champagne…

Robert De Niro nel film il Cacciatore disse: “Quando un uomo dice di no allo champagne, dice no alla vita”.  Io aggiungo che – è lo stesso per una donna –

Era da tempo che volevo conoscere una delle Maison di terra di Champagne. Leggere spesso della loro capacità di “fare squadra” mi piace molto. A tal proposito cito un’intervista di pochi giorni fa in cui Alfonso Isinelli, curatore insieme a Luca Burei della guida delle migliori 99 Maison di Champagne 2012/2013 dice: “E’ sorprendente la loro capacità di stare uniti, di fare squadra…”  Mi spiace dirlo, ma è un’attitudine che spesso manca in Italia. Andare avanti uniti e compatti è grande strategia vincente nel mondo del vino, e non sono…

Detto questo,  come dico io, punto e a capo… 😉 Ora voglio raccontarvi la mia bella giornata passata alla Maison Pannier a Chateau-Thierry nel centro della Marna con una vera squadra… Una squadra in terra di Champagne!

L’amico Roger Sesto, coordinatore dell’avventura in rappresentanza del Seminario Veronelli, mi invitò poco tempo fa.  Quando me lo disse ero in terra di Sardegna ma mi bastò un attimo per accettare! Accolgo sempre con grande entusiasmo i tour di vini! Nella squadra era presente oltre a me e a Roger, Gigi Brozzoni Direttore del Seminario Veronelli, Silvano Piacentini distributore di Pannier in Italia, Elio Ghisalberti giornalista enogastronomico, Michelangelo Tagliente wine blogger, Claudia Rumi giornalista, Paolo Ianna wine consultant.

Durante il viaggio, a parte l’ansia di Michelangelo per il volo, il tempo è passato allegramente tra racconti e risate, e… naturalmente tra brindisi! Brindisi che Mic ha fatto anche con i suoi  “pantaloni” ! 😉

Al nostro arrivo ad aspettarci il caro Terence, una guida veramente da applauso per la simpatia e la disponibilità.  Ci ha raccontato che la Maison Pannier è stata fondata nel 1899 da Louis Eugène Pannier. Dovete sapere che il Conte di Champagne Hughes Lambert  circa mille fa, per costruire delle fortificazioni dovette far scavare nella roccia per estrarre la pietra necessaria. Si formarono così lunghe gallerie, per l’esattezza 12 km e mezzo,  che Monsieur Pannier reputò ideali per  la conservazione e l’invecchiamento del loro Champagne  grazie alla costante temperatura presente.

Tradizione a braccetto con la tecnologia e uve provenienti dai vigneti del “Pinot Noir dalla Montagne de Reims, Pinot Meunier dalla Valle Marna e Chardonnay dalla Cote de Blancs”  ci hanno fatto apprezzare  il loro Champagne che abbiamo potuto degustare nel pranzo  che ha concluso la  nostra visita. Personalmente tra i tanti assaggi è scoccato un amore particolare con il Blanc de Blancs Vintage,  senza nulla togliere però agli altri Champagne dagli intensi profumi e da quella eleganza che mi faranno ricordare nel tempo questa giornata…




Vite… di Vino: La storia di Ziu Antoneddu Argiolas, classe 1906

L’Italia è stata fatta da grandi uomini e donne, solchi della terra, presenze indelebili nella storia… Penso a mio nonno, a mio padre e a molti altri… uomini tenaci, determinati, orgogliosi, grandi lavoratori! Ogni volta che mi capita di ascoltarne le storie è per me grande emozione. Riviverne anche così le vite, è di grande insegnamento…

Oggi voglio raccontarvi la storia di un uomo, la storia di Ziu Antoneddu, ai più conosciuto come  Antonio Argiolas. Un uomo di terra e di vino, un uomo che ha realizzato un sogno ormai conosciuto nel mondo…

15-argiolas

Antonio Argiolas

Recentemente, grazie a una breve vacanza in di Sardegna, ho avuto modo di incontrare Valentina Argiolas. Valentina ha partecipato alla trentesima edizione del Congresso Nazionale Onav, tenutosi nel mese di Giugno a Nuoro. La tematica: “Il vino e le donne”.  Ormai la presenza femminile in questo settore è determinante sia tra le appassionate, sia tra le donne attivamente presenti nelle aziende grazie alla spiccata capacità organizzativa. Durante il congresso si è parlato anche del protagonista della viticoltura in Sardegna: “Il Cannonau, il vitigno più coltivato al mondo. In francese Grenache, in spagnolo Granacia… comunque sia,  in Sardegna la viticoltura è una delle più antiche”.

Mentre degustavamo un Turriga del 2007, un rosso dall’apprezzabile struttura del genere che piace a me, Valentina sollecitata dalla mia curiosità, mi ha raccontato la storia dell’azienda fondata dal bisnonno Francesco,  ma spinta ai livelli che ora ha raggiunto,  dal nonno Antonio. Un’azienda a conduzione familiare; figli e nipoti nei vari ruoli sono coinvolti con passione per dare seguito e continuità a questa realtà nata dalla tenacia di un uomo, o meglio, di una leggenda. Lui è Ziu Antoneddu…

Nacque il 26 Dicembre del 1906, vide le guerre… Suo padre rimase presto vedovo. Con le tre sorelle venne affidato alla nonna materna. Fin da bambino si distinse a scuola; la matematica era la sua passione, il lavoro era la sua missione. Si ingegnava in mille imprese vivendo da pendolare tra Cagliari e Genova. Fece di tutto…  Iniziò con due ettari di vigneto. Era determinato ad acquistarne ogni anno un appezzamento in aggiunta.  Diventarono quattro, e poi sei, e poi dieci, e poi cento… fino agli attuali trecento. A trent’anni conobbe sua moglie Bonaria, e innamoratissimo la sposò.

Bonaria lo completava e lo aiutava in tutto, non c’era tempo, c’era solo lavoro… Antonio era un appassionato viaggiatore, lei no. Fecero il viaggio di nozze a Napoli. Lui continuò a viaggiare, Bonaria preferiva aspettare a casa. Andò in California, a Rio de Janeiro, in Svizzera, in Germania, in Portogallo, in Spagna, in Russia, in Ucraina…  Antonio voleva vedere il mondo. Ebbero tre figli che in seguito gli diedero sette nipoti. La più grande Valentina. Tutti presenti attivamente in azienda. Antonio ne era orgoglioso, aveva cento anni ormai. Era stanco ma felice…

Valentina nel raccontarmi i suoi ricordi mi ripeté spesso:  “Cinzia, lui era un uomo d’altri tempi, un uomo di stile e di garbo, un uomo gentile”.  Antonio o meglio Ziu Antoneddu, ha visto concretizzarsi il suo lavoro, ha visto crescere i figli e i nipoti, li ha visti prepararsi nello studio e nella vita affinché coi tempi ormai cambiati, potessero dare continuità al lavoro da lui iniziato.  Molte le soddisfazioni,  molti i riconoscimenti… molti ancora i progetti.  Antonio Argiolas ci ha lasciato il 20 Giugno del 2009 all’età di 102 anni. Lui è, e sarà sempre una leggenda…  e le leggende non muoiono mai…

Il segreto di vivere cento anni, è la voglia di vivere e di fare… Io avevo sempre voglia di fare

Antonio Argiolas, Ziu Antoneddu

 




Winemaker significa fare il vino… o no?

Winemaker significa fare il vino, ma in Italia questo termine è inteso come la figura professionale del consulente enologo. Non tornano i conti, a meno che lo stesso non lo faccia… intendo il vino! In molti casi succede, in alcuni no! Quindi forse una ridimensionata a questo termine andrebbe data.

In un recente articolo dell’amico Michelangelo Tagliente riguardo “l’appiattimento del livello qualitativo dei vini”, citando le sue stesse parole, mah, che dire… Forse, che se personalmente producessi vino, vorrei che mi assomigliasse, anzi, senza forse! Baserei la scelta di un consulente enologo su sue ben precise doti, esperienze, e pensiero.   Anzi dico di più, vorrei che fosse attivamente “più presente” nel fare il vino, e cioè presente in quella serie di operazioni che non si limitano solo alla consulenza.

Allego un passaggio di un articolo di qualche anno fa letto sul Blog di Luciano Pignataro. L’ho trovato molto interessante e attuale: “Che vi credete che faccia un consulente enologo qui in Nuova Zelanda? Praticamente tutto: monta le pompe, pulisce la diraspatrice, lava il pavimento, entra nel tino per svinare, scarica la vinaccia, insomma un winemaker nel vero senso della parola! Qualche giorno dopo leggo un articolo in un magazine di vino NZ che cade “a fagiolo” sull’argomento. Parla dell’Italia e racconta come negli ultimi anni le cantine di grande fama sono più famose grazie al consulente enologo anziché ai vini ed alle sue peculiarità…

Bè, a questo punto direi proprio di porre la domanda a chi si definisce winemaker interpretandone il significato letterale e basico di chi fa il vino. La persona in questione è il caro amico Marco Bernava.

  • Marco, Winemaker significa fare il vino… o no?

Cinzia è un piacere e un onore esporti il mio pensiero.

Io in primis mi definisco winemaker, ma lo faccio interpretandone il significato letterale e basico di “chi fa il vino”.  In Italia (e non solo), credo che ci siano delle figure ben definite professionalmente e soprattutto a livello di formazione. Aggiungo  con convinzione che dovrebbero integrarsi e complementarsi per ottenere vini originali. Parto dall’ idea che  il vino è lo specchio di un sistema “azienda vitivinicola” nel suo complesso:

  • La proprietà deve essere l’ambasciatore del prodotto, l’immagine, ed il cuore.
  • La parte viticola, e qui entra in scena l’agronomo insieme ai vignaioli, la vedo come l’arte di plasmare un frutto geniale.
  • La parte enologica, e qui enologo e cantiniere devono essere un tutt’uno, la vedo come l’elaborazione personale della potenza del vigneto.
  • Nel complesso poi il terroir  in cui una cantina produce, lo definirei come la somma degli elementi che creano un prodotto originale e che devono essere in parte gestiti ed in parte semplicemente letti ed interpretati.

A volte invece mi sembra che ci sia la volontà da parte di qualcuno di fare “la prima donna” e questo arriva a rompere i meccanismi positivi e porta a non trasmettere l’originalità del prodotto finale.

A mio avviso ogni persona coinvolta nel processo produttivo dovrebbe apportare il suo essere co-autore di un vino con un fine ultimo comune a tutti: “regalare sensazioni”. Il consulente in moltissime realtà aziendali è essenziale, sia esso agronomo o enologo, ma a mio avviso deve essere interprete del terroir  in cui si cala a lavorare, e non deve “mettere la firma e basta”.

Il suo ruolo lo fa partecipe della fase produttiva, ma il suo coinvolgimento con il terroir e la singola realtà, varia a seconda del suo stile e della sua etica professionale. Ci sono realtà in cui il consulente deve limitarsi a dare protocolli, fare o interpretare analisi, e prendere decisioni tecniche; ci sono altre realtà in cui potrebbe (e a mio avviso dovrebbe), coinvolgersi passionalmente con il sistema di cui entra a far parte.

Una bottiglia è come una canzone: “La puoi creare come sinfonia di strumenti o come insieme di assoli…  il risultato sarà ovviamente diverso”.

Marco Bernava

 

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: