1

Agronomo e anche Agricoltore, Winemaker e anche Cantiniere, Italiano ma anche Catalano… lui è Marco Bernava

Giacomo Leopardi, mio poeta prediletto scriveva: “Sono convinto che anche all’ultimo istante della nostra vita ognuno di noi può cambiare il proprio destino…” Io ci credo fermamente. Per farlo l’unica è lasciarsi andare, e vivere tutto quello che si può vivere…

Non fraintendetemi, non faccio cose folli,  ma se mi trovo davanti ad un’opportunità la colgo al volo. Ho imparato a farlo negli ultimi due anni vita, e vi assicuro che ne vale veramente la pena.  Nello stesso modo, quando mi si propone una persona da conoscere, che mi viene presentata per la sua unicità, non mi tiro mai indietro. E’ un viaggio nelle anime, spesso molto intimo ed emozionante. Il risultato è un arricchimento personale di conoscenza e di esperienza, che regala veri momenti di vita… Fu così che un giorno un’amica mi parlò di Marco Bernava, vignaiolo italiano in terra di Spagna.

Lo conobbi dapprima al telefono, e poi successivamente per mesi e mesi con uno scambio di mail.  A volte con veri e propri disappunti, a volte con prese di posizione… Un’amicizia vera e sincera che è cresciuta col tempo, e che mi ha portato ad affezionarmi sempre più alla persona che stavo imparando a conoscere, e ad apprezzare. C’eravamo ripromessi alla prima occasione possibile d’incontrarci. Ebbene qualche settimana fa, la stessa amica che mi mise in contatto con lui,  con una scusa mi spinse a recarmi all’esterno dello stabile in cui mi trovavo per una piccola cosa da risolvere. Non avete idea della mia espressione quando lo vidi sulla porta. Lo abbracciai forte, felice ed emozionata come da tempo non mi capitava…

Vigneti Bernavi'

Vigneti Bernavi’

Vi presento Marco Bernava, il mio caro  Marco, un uomo di terra e di vino… 

  • Marco, la prima volta che ti parlai al telefono ti chiesi di raccontarmi un po’ di te. Le tue parole mi bastarono a capire.  Immagina di tornare indietro nel tempo, era il 19 Dicembre del 2011. “Ciao Marco sono Cinzia, mi hanno parlato di te, raccontami…?”

“E’ una bella domanda! – mi dissi – come farò a riassumere tutte le mie inquietudini in una telefonata senza apparire un folle?”. E ora mi ritrovo con lo stesso dilemma, ma il titolo della nostra chiacchierata riassume bene alcuni degli aspetti centrali del mio “raccontarmi”. Ho 35 anni, sono nato a Milano e sono laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie con una tesi sperimentale in viticoltura ed enologia. Ho degustato personalmente e professionalmente l’Italia vitivinicola da nord a sud fino a maturare l’idea della sfida più grande ed avvincente: “Diventare produttore vitivinicolo!”.

Ecco il mio essere orgogliosamente italiano, agronomo e winemaker. Ma come grande amante del sistema naturale in cui vivo, e di cui l’agricoltura ritengo sia la vera strada dell’esserne parte integrante, ho deciso di fare un passo oltre i miei studi e diventare anche agricoltore, viticoltore e cantiniere. Ho deciso di farlo in terra Catalana (Spagna), dove lavoro nei vigneti e nella nostra cantina di proprietà, guidato dalla passione per il vino, insieme alla mia compagna Ruth (la vera catalana), e mio fratello Gino.

  • Dove ha origine la tua passione per la terra e per la viticoltura?

Sono profondamente convinto che ogni essere umano abbia la necessità del contatto con la terra e con la natura. Sai perché una persona quando va in montagna e vede un bosco, o vede un campo coltivato e rigoglioso, o un bel frutteto, si sente così bene che spontaneamente esclama: “Che meraviglia di posto”? Per il colore verde che ci da questa sensazione. È infatti dimostrato che la semplice vista del verde della vegetazione, viene associata nei meandri ancestrali del nostro cervello all’abbondanza: “Vegetazione significa acqua, significa presenza di animali, significa cibo”. Ecco perché quando evadiamo dal cemento e dall’asfalto, ci sentiamo bene.

Noi siamo parte della natura, ma ne abbiamo perso la coscienza”.

Con questo preambolo rispondo al perché della mia passione per la terra: “La sento parte di me!” In più studiare i sistemi ecologici, gli esseri vegetali e gli animali da un punto di vista biologico e poi tecnologico e applicativo, ti concede il lusso di capire meglio il mondo naturale e il ruolo dell’essere umano come facente parte di questo mondo. Il comprendere poi come poter approfittare in modo intelligente delle risorse naturali per creare alimenti ti svela l’intersecarsi dei cicli biologici e l’essenza dell’ecologia. Inoltre, le mie origini familiari sono legate all’agricoltura, e credo che nei miei geni si sia risvegliata questa voglia di riprendere i capitoli iniziati dai miei nonni.

La mia passione per la viticoltura é presto detta. Le piante del genere Vitis hanno un fascino speciale, una fisiologia molto complessa che le rende dei vegetali con un’ecologia interessantissima e con potenzialità enormi. L’addomesticazione delle piante di vite durante i secoli é uno dei bagagli culturali e tradizionali più importanti che abbiamo. I risultati che oggi giorno possiamo apprezzare degustando vini, derivano da un percorso lungo e tortuoso. E di questo percorso fa parte anche l’enologia con le sue pratiche tanto naturali quanto complesse, proprio in virtù della loro naturalità.

Vigneti Bernavi'

Vigneti Bernavi’

  • C’è una persona che ha influito nelle tue scelte?

I miei genitori hanno studiato per lavorare nel settore dei servizi a Milano; si sono sempre sacrificati perché io e Gino già da piccoli, potessimo godere del colore verde, potessimo nuotare nel mare o nei laghi, potessimo evadere dalla città, e potessimo mantenere il legame con la natura. Loro, e le origini contadine dei miei nonni, hanno mantenuto vivo in me l’amore per la terra, e hanno sicuramente influito sulla scelta di dirottare il mio viaggio sul settore primario.

I miei studi mi hanno da subito avvicinato alla viticultura e all’enologia, una delle branche dell’agroalimentare più avanzate a livello di studi e di conoscenze acquisite.  Effettivamente, curiosando nelle molteplici stanze del settore primario, un quadro mi ha colpito in modo fulmineo… amore a prima vista direi: “Il Vigneto!” E a marcare definitivamente l’interesse nell’approfondire la mie conoscenze sul sistema vigneto, è stato un uomo durante una conferenza: Attilio Scienza. La sua visione del terroir viticolo, e del ruolo della gestione agronomica nel sistema vino derivante anche dai principi del grande Mario Fregoni,  mi hanno catturato da subito. Riconosco che sono la base della rielaborazione del “mio” fare vino.

  • Mi racconti il tuo percorso professionale in Italia?

Tortuoso e breve direi. Dopo la laurea ho avuto la fortuna di collaborare con il Di.Pro.Ve. della Facoltà di Agraria di Milano.  Per il mio modo di essere, credo che la carriera accademica non mi si addiceva soprattutto a 25 anni. La volontà di toccare con mano la quotidianità della vitivinicoltura mi ha spinto a cercare lavoro come agronomo d’azienda. Dopo alcune brevi esperienze in Friuli e in Toscana sono approdato nelle Marche, e ho iniziato a lavorare con Antonio Terni alla Fattoria Le Terrazze. Qui ho potuto collaborare alla creazione di grandi vini, con grandi tecnici, con una grande squadra di persone, ed un grande Antonio. La mia sete di esperienze mi ha portato anche nel sud Italia nella zona del Vulture, per poi ritornare nella bergamasca. Ma ormai dovevo fare i conti col mio vero obiettivo, e con la mia sete ormai non più domabile di costruire il mio progetto personale.

  • Cosa ti ha portato a produrre vino in terra di Spagna?

Il mio legame con la Spagna (meglio detto con la Calalunya) è datato 1996, anno in cui ho conosciuto Ruth. Questa terra ha grandi potenzialità a mio avviso, molte inesplorate. Per un giovane inquieto e agli inizi come me, era una terra “possibile” per iniziare un progetto così importante. L’ Italia con lo sviluppo del settore degli ultimi vent’anni è divenuta terreno difficile per i piccoli promotori, soprattutto se giovani e “ignoti”, a meno di non spingersi in zone dove l’insediamento di un forestiero risulta difficile per ragioni più sociali che non economiche (e parlo di realtà vissute e ben note date le mie origini).  La Spagna lascia qualche porta aperta all’insediamento in parte per fattibilità economica di determinati investimenti, e in parte per una volontà amministrativa e politica di voler mantenere giovani nelle zone rurali (volontà questa, dettata da esigenza e non sicuramente da altruismo e giustizia; la Spagna è rurale, e i voti in zona rurale hanno un peso diverso da quello delle regioni urbanizzate).

Senza addentrarmi in discorsi che ci distoglierebbero dall’argomento vino, riassumo la mia risposta con un gioco filologico e che risulta essere romantico: “In lingua italiana distinguiamo la “viticultura” (ossia il bagaglio culturale legato al mondo viticolo) dalla “viticoltura” (la coltivazione della vite);  in lingua spagnola e catalana, esiste solo la “viticultura”.  Ed io sono un tecnico che si ritrova in un posto senza “viticoltura”!

  • “Io vivo il vino.” Sei sanguigno e combattivo come me. Nel tuo vino si sente il carattere che ti contraddistingue. Quando l’ho bevuto la prima volta ho avuto come una proiezione nella mia mente ricordando i tuoi racconti sulle difficoltà, le fatiche e le emozioni per produrlo. Raccontami il tuo vino?

Se il mio lemma è “in vino vivendo”,  il lemma della Cantina BERNAVÍ è “interpretando il terroir”. Credo che in parte ti puoi dare una spiegazione sul perché!

“Il vino è lo specchio di chi lo fa,  tecnicamente,  sentimentalmente e filosoficamente. Io cerco di trasmettere alla bottiglia la mia interpretazione delle potenzialità delle nostre vigne, sia scegliendo i vitigni, che valutando le annate

Sin dal momento in cui ho deciso le varietà da reimpiantare ho fatto una scelta interpretativa. La gestione agronomica si deve modellare ogni anno sull’andamento climatico e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ed il lavoro in cantina deve rispettare le risposte che ogni anno ogni varietà ci regala (nel bene e a volte nel male!),  proprio per creare un vino originale, che è variabile in quanto prodotto naturale. É proprio la naturalità del prodotto vino che mi ha spinto a non accogliermi a nessun disciplinare di produzione, e che mi fa schierare chiaramente contro tutto il rumore a livello europeo sulle norme di qualificazione dei vini. Il vino di BERNAVÍ vuole essere sincero e immediato come me, come noi!

Siamo noi tre a lavorare e per questo la cantina porta il nostro nome. Per questo i nomi dei nostri vini sono tanto immediati.

Un bianco vendemmiato di notte per sfruttare il libeccio fresco, e con la luna che fa risplendere i terreni calcarei: Notte Bianca.  Un rosso,  giovane frutto del lavoro di tre anime e del coupage (taglio) di tre varietà tanto diverse quanto complementari, con vinificazioni ad hoc per ognuna di esse: 3D3.  In itinere le riserve in botti di gran volume, che racconteranno le concentrazioni eccezionali di cui  capace questo terroir…

“Il calice di vino deve raccontare il duro lavoro in vigneti gelidi d’inverno e torridi d’estate, in condizioni tanto estreme quanto affascinanti; deve raccontare di schiene curve sulle viti cercando di capire le necessità di ogni pianta, dalla potatura alla vendemmia…”    Marco Bernava

 




“Le Prisonnier” de La Maison Anselmet

Visitare i vigneti in Val D’Aosta è sempre una vera esperienza… La frammentazione degli appezzamenti, il variare delle altitudini, i suggestivi terrazzamenti dei terreni alla vista fanno riflettere sul duro lavoro dei viticoltori valdostani.

Da sempre chiamata viticoltura eroica… eroi i suoi uomini e le sue donne che con tenacia lavorano la terra. Quando ci viene versato un vino valdostano osserviamolo con occhi attenti.  Degustandolo poi, coglieremo tutta la determinazione, la fatica e l’impegno di chi con passione fa dei vini della Val d’Aosta un’orgogliosa Tipicità Italiana.

I vigneti della Maison Anselmet a Villeneuve (AO), ne sono fiera testimonianza. Ho avuto il piacere di essere guidata nella mia visita da Renato Anselmet che nel 1978 ha voluto dare continuità alla tradizione familiare per produrre vino, e non solo per se.  Chiacchierando seduti in sala degustazione mi ha detto: “Ho iniziato con 70 bottiglie, ora con Giorgio Anselmet, attuale “condottiero” della Maison,  siamo arrivati a 70.000”

Mi ha colpito in particolare il racconto di una vigna “imprigionata” tra due formazioni rocciose nella zona di produzione del VdA Torrette DOC.  La sua particolarità  è la doppia escursione termica: “Al mattino avvolta da basse temperature che durante il giorno risalgono. Quando poi alla sera la temperatura tende a calare nuovamente, il calore della roccia trattenuto durante il giorno mitiga questa condizione”. Il risultato è Le Prisonnier, vino prodotto sperimentando nella vinificazione un metodo risalente a documentazioni del 1800.

Un vino unico… da liberare…

“La vite é come un figlio… se la senti, se la ami… se é tua, lei ti restituisce nel suo crescere l’amore che le hai dato… il grappolo si esprime cosí”

Gabriele Gianni (Vignaiolo di Villeneuve)

 




Vite… di Vino: Vi presento Cristina Inganni

Non ci sono vite facili… ci sono Vite se vissute. Viviamo e cresciamo nel dolore, nell’esperienza, nella gioia, nella conoscenza.  La Vita nella Terra… Vite di Vino.

Era una mattina d’estate quando ancora sonnecchiante, nel chiacchiericcio spensierato con amici pianificavo la giornata. A un tratto l’amico chef Fabio Mazzolini mi disse: “Non puoi partire senza conoscere Cristina Inganni dell’azienda vitivinicola La Cantrina!”

Ascolto sempre i buoni consigli, la mia vita ormai è condotta dal passaparola delle persone che conosco e che mi indicano la tappa successiva. Io vado, ascolto, e racconto, e alla fine mi sento dire: “Cinzia devi conoscere…”  E’ quasi un rituale ormai, alcuni lo chiamano “percorso”, io dico che è solo vivere la vita, momento per momento… intensamente, come per me mai è stato prima. Basta farsi cullare dai venti, a volte buoni e a volte cattivi… ma il vento non si ferma mai, ti spinge, e ti rialza…

Presi accordi al telefono,  e arrivai da Cristina di prima mattina. Sono sempre molto emozionata mentre percorro la strada che mi conduce alla conoscenza di nuovi luoghi e persone. Sono le mie avventure preferite, mi piace viverle tra me e me per assaporarle appieno…   Appena giunta a destinazione la vidi leggermente agitata. C’era un po’ di scompiglio dovuto al fatto che il cane di Cristina aveva appena attaccato con triste esito un coniglio uscito inavvertitamente dalla gabbia.  La reazione dei suoi bambini fu quella che potete immaginare…  Appena la situazione rientrò nella normalità, ci avviammo per la visita. Dopo uno sguardo alla vigna che generalmente contemplo per conto mio, quasi fosse un biglietto da visita, andammo in cantina, e li iniziammo a raccontarci…

cantrina-3

Cristina era incuriosita da questa mia necessità di scoperta e d’apprendimento. Le spiegai che in questa “mia seconda vita” la conoscenza è fondamentale, viene prima di tutto… nulla mi appaga e mi soddisfa di più. Ascoltare le Storie della gente è come un viaggio nel tempo e nello spazio…

Dalle cantine ci spostammo nella sala degustazione,  li mi raccontò dei suoi vini e del suo percorso di vita.  Lei non è nata vignaiola, la sua vena creativa l’aveva portata all’Accademia delle Belle Arti a Milano. Fu il primo marito Dario Dattoli  nel 1990 a intraprendere questa attività.  Dario noto ristoratore bresciano e appassionato di vino diede la spinta iniziale all’azienda, fino a che una mattina del 1998 Cristina ricevette una telefonata. Un incidente con un mezzo meccanico pose fine alla vita di suo marito nelle stesse vigne che lui tanto amava.

Spesso diamo troppe cose per scontate… non ci rendiamo conto che basta un attimo e tutto cambia,  a volte nel bene, a volte nel male… Sono le prove alle quali la vita ci sottopone, sta a noi poi reagire e rialzarci. Cristina Inganni ce l’ha fatta, è subentrata nell’Azienda Agricola La Cantrina nel 1998, sei ettari di vigneto che gestisce con la fondamentale collaborazione di Diego Lavo, esperto viticoltore. La Cantrina, dal nome del piccolo borgo rurale della Valtènesi, nel comune di Bedizzole (BS),  nell’entroterra del  Lago di Garda.

La sua formazione artistica ha dato un’impronta creativa sia all’attività in vigna che all’attività in cantina.  Lei ama definirla così: Un libero esercizio di stile… libero perché mi piace essere creativa, esercizio perché io chiamo esercitazioni i miei vini, stile perché ognuno di noi possiede il proprio. Produce cinque varietà di vini: Sole di Dario un vino passito dolce,  a ricordo del primo marito,  Rine IGT  Benaco bresciano bianco, Corteccio IGT Benaco bresciano Pinot Nero, Zerdi IGT Benaco bresciano rosso e Nepomuceno IGT Benaco bresciano merlot. (IGT: Indicazione Geografica Tipica).

Finimmo per parlare delle mie perplessità sull’espressione “terroir”.  Questo termine francese dal significato assai discusso, esprime un territorio nel quale l’interazione dell’ambiente fisico e biologico, e dei fattori umani, determina la tipicità di un prodotto. Io sarei per lasciare ai Francesi la loro espressione. Noi Italiani abbiamo la nostra, “la tipicità”, quell’armoniosa combinazione di elementi che l’uomo con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio.

Tipicità del vino: “Espressione dell’esperienza dell’uomo applicata al vitigno,  al territorio e al clima”

Ad un certo punto Cristina mi disse: “Cinzia, devi parlarne con Angelo Peretti…” (direttore del periodico online internetgourmet.it).   Lo stesso pomeriggio passai con Angelo ben mezz’ora al telefono. Fu molto esauriente, ma… c’era ancora un “ma”  che sciolsi leggendo la definizione del terroir data da Luigi Veronelli:

…è il canto della terra e l’anima del vignaiolo.

Il vino nasce prima nella testa, ancor prima che nel vigneto, ancor prima che in cantina… devi avere un’idea del vino esattamente come nell’arte…   Cristina Inganni

 




DiVini Fermenti… mossi, e fermi!

E dove non è vino non è amore… né alcun altro diletto hanno i mortali…  Euripide (480-406 ca. a.C.)

In effetti  il termine vino ha origine dal verbo sanscrito vena, amare… e  io il vino, lo amo! Questa bevanda alcolica fin dall’origine dei tempi suscita emozione, poesia… con i suoi profumi inebria le menti, diletta i palati, e allieta la vita…

Ma partiamo dall’inizio…  che cos’è il vino?

Questo nettare è una bevanda alcolica ottenuta della fermentazione, (trasformazione chimica del frutto della vite, l’uva) che si innesca grazie ai lieviti presenti naturalmente sulla buccia dell’acino.

DiVini Fermenti… tutto ha origine da li… Jack Kerouac, scrittore e poeta statunitense diceva: C’è saggezza nel vino”.  E come dargli torto!

Ci sono vini fermi e vini mossi… La scelta dipende dal gusto soggettivo, a volte dall’intensità del  momento che si vive. Il vino ci accompagna nelle fasi della nostra vita, per me che lo amo e lo vivo,  è così…

Ma devo rompere l’incantesimo in questo momento di poesia per scagliare l’ennesima pietra su un termine che proprio non sopporto! Un termine che ritengo non faccia cultura del buon vino, che lo sminuisca… un termine che mi ricorda una bevanda gassata! Ma vogliamo scherzare! Io proprio no! Penso che avrete già capito a che parola mi riferisco… Quando mi sento dire: “Vuole una bollicina?”  La mia faccia fa di quelle smorfie!!  “Una bollicina dico!?  Ma quale bollicina, io bevo vino!!

Direi a questo punto di fare un brevissimo ripasso, mi raccomando che gli esperti non si offendano… Il ripasso è per noi consumatori appassionati, quelli che influenzano il mercato…

Il vino può essere fermo o mosso.

– Il vino fermo subisce generalmente solo la fermentazione alcolica con la quale gli zuccheri presenti nel mosto (liquido ottenuto dalla pigiatura dell’uva), vengono trasformati in alcol etilico. Quando invece gli si vuole dare più morbidezza, si procede con la fermentazione malolattica (con questo passaggio si trasforma l’aspro acido malico presente nell’uva, nel meno acre acido lattico).

– I vini mossi invece, subiscono una seconda rifermentazione, la fermentazione carbonica, con cui i lieviti per l’appunto trasformano lo zucchero in anidride carbonica dando vita alla presenza di piccole bollicine. Più sono ricche, fini e persistenti, più il vino è di qualità.

I vini mossi possono essere ottenuti con due metodi:

  • Con il Metodo Classico o Méthode Champenoise, il vino viene fatto rifermentare in bottiglia dopo essere stato addizionato con il liqueur de tirage, una miscela di vino con una ben determinata quantità di zucchero di canna, di lieviti, e di sostanze minerali. Con questa tecnica si ottengono vini mossi di qualità che richiedono un tempo di fermentazione più lungo del metodo qui di seguito descritto. Vini più complessi, vini a tutto pasto…
  • Con il Metodo Martinotti  (Federico Martinotti è l’inventore di questa tecnica risalente alla fine dell’800) o Metodo Charmat (Eugene Charmat brevettò l’invenzione di Martinotti),  invece la seconda fermentazione dura pochi mesi, e avviene in grandi recipienti o autoclavi con l’aggiunta della medesima miscela di lieviti. Questi vini sono più freschi, semplici e profumati…

Tornando alle famigerate bollicine qualcuno dirà: “Ecco la rompi all’attacco!”  Bè, dico semplicemente quello che penso, sempre pronta a cambiare idea qualora quella proposta sia migliore della mia… e non sono la sola. Riporto alcuni recenti commenti legati all’argomento…

  • Aldo Cannoletta, appassionato e Sommelier degustatore di provenienza Fisar: “Cinzia, sono in sintonia totale con te, è un’espressione inespressa e squalificante. Una semplificazione semplicistica e impropria  perché  le bollicine sono presenti in tutte le bevande gassate.  Parliamo di un prodotto che nasce come vino per diventare… bollicine!!”
  • Marcello Malta, giornalista, conduttore tv, direttore responsabile di magazine, editorialista sportivo, responsabile di redazione di due riviste di enogastronomia, Sommelier AIS, giudice enologico: “Oggi con “bollicine” mixi vini come Prosecco, Franciacorta e persino i frizzanti o quelli dal leggero pétillant (effervescenza). Almeno tra quelli che ne sanno un po’ meno…  Per non parlare, poi, di quando le “bollicine” te le chiamano “prosecchino” indipendentemente da regione, provenienza, uve e qualità. Uno sfacelo! E alla fine, lo sappiamo bene, Vox Populi, Vox Dei. Pertanto la generazione della confusione è in atto già da un po’. Io sarei per cestinarlo…”
  • Tommaso Ponzanelli, uomo appassionato che ama raccontare di come la terra porta il vino nel bicchiere: “Sul termine bollicine sono tollerante se riferito a spumanti o champagne in senso affettuoso… Purtroppo in Italia non abbiamo avuto la capacità o la sensibilità di valorizzare certe produzioni e di dare loro una riconducibilità al territorio ed al metodo usato. Penso che l’errore consista nella parola spumante che è terribilmente generica.  In Francia lo Champagne che è uno spumante si identifica solamente come Champagne, e così con il Cremant d’Alsazia o con il Cremant di Borgogna dove si trovano prodotti eccezionali ma che non sono Champagne. Voglio dire che dovrebbero essere identificati con una determinata zona.”

Concludo io, dicendo che sarebbe opportuno legare il nome dei vini di qualità al territorio, ma soprattutto al produttore. Generalizzare crea solo continua confusione, e non premia chi lavora bene e con impegno…

DiVini Fermenti… mossi, e fermi”

…l’umor dolce dei grappoli,
l’umido succo che solleva i miseri d’ogni cordoglio, allor che si riempiono dell’umor della vite, e dà nel sonno l’oblio dei mali cotidiani; e farmaco altro non v’è delle fatiche…

 Euripide (480-406 ca. a.C.)




Il vino come lo vivo io… “La Cascina I Carpini dei Colli Tortonesi”

Il vino è molto di più di una bevanda, il vino è storia, è pensiero, è filosofia di vita. Questo è il mio pensiero, questo è il mio modo di vivere il vino.

Sto guardando una bottiglia di vino, o meglio una bottiglia di vino d’arte.   Mi concentro sull’etichetta: colori caldi d’autunno, di terra, di fuoco, di passione.

Sul sigillo lo stemma araldico della famiglia che lo produce: un uomo, una bandiera, una corona. Il mio sguardo si fissa. Mi concentro. Ricordi di tempi passati, di onore, di gloria.  Ora faccio roteare la bottiglia, e leggo:

“Un vino d’oro splendeva nei bicchieri che ci inebbriò l’amore, nei tuoi occhi neri,  fuoco in una radura s’incendiò”  A. Bertolucci

Un Barbera Superiore 2006 dei Colli Tortonesi V.Q.P.R.D. (vino di qualità prodotto in regione determinata) di  Paolo Carlo Ghislandi della Cascina I Carpini.  Ora apro la bottiglia e libero i profumi. Lo verso, e mi approprio dei sentori, e mi inebrio nei ricordi.

Tempo fa ho visitato l’Azienda Agricola Vitivinicola Cascina I Carpini del caro amico Paolo Carlo Ghislandi.  Situata a Pozzol Groppo in provincia di Alessandria, concede oltre ad una piacevole gita nel silenzio dei colli tortonesi,  una degustazione di ottimi vini che Paolo produce unendo tecnica e tradizione.

Sette Zolle,  Bruma d’Autunno, Falò d’Ottobre,  Brezza d’Estate, Rugiada del Mattino e il Chiaror Sul Masso Spumante Brut Metodo Martinotti, più che nomi di vini, vini che richiamano alla natura, alla poesia e all’arte.

 




Sorseggiando succo d’Uva… oggi si parla di ambiente! Progetto Ita.Ca.® (Italian Wine Carbon Calculator)

Durante i miei giorni di vacanza nella rigogliosa terra gardesana mi son detta: “Cinzia in questi giorni solo relax… lago, letture e chiacchiere”.  A quelle proprio non posso rinunciare, a meno che non intervenga il mio caro amico e medico Enzo Primerano con l’anestesia… ma totale 😉

Va be’, ora bando agli scherzi che si parte con la mia storia!

Una mattina chiacchierando con Adriano Liloni nel suo locale a Moniga del Garda  “I Sovversivi del Gusto”, più che un nome un programma, ma lo capirete andando ;-),  dopo aver fatto un po’ del mio classico folklore non riuscendo a trattenermi gli ho chiesto: “Adriano, ascolta un po’… ma un posticino di quelli giusti, con le persone giuste… e che soprattutto fanno “tipicità ” da visitare, noo?”  Bè,  i nomi proposti molti… La mia curiosità però scattò quando lui pronunciò il nome di un produttore di “succo d’uva”.  Ricordo che da ragazzina a Treviso mentre seguivo mio zio Edoardo in vigna, chiedevo spesso: “Zio ma perché se l’uva è un frutto non può essere trasformata in un succo?”.  Lui mi rispondeva che era fatta per fare il vino, e la questione si chiudeva.

Ma visto che, come si suol dire, la curiosità è il motore della conoscenza, chiavi inserite e… pronti, via!!

La Cascina Belmonte è un’azienda agricola che fonda la sua attività vitivinicola su un approccio di rispetto dell’ecosistema e di conservazione del territorio.  Sette ettari di vigneto a Muscoline in provincia di Brescia, in cui ho fatto una piacevole passeggiata mentre aspettavo la mia guida, Enrico Di Martino, titolare e agronomo dell’azienda.  Enrico mi ha spiegato come nelle sue vigne non venga utilizzato nessun trattamento erbicida, insetticida, antibotritico…  insomma si punti ad un vino pulito,  tanto da lavare l’uva prima di vendemmiarla!

La visione ecologica nel vigneto favorita dall’adozione di strategie naturali che puntano al rispetto di una biodiversità tesa alla tutela dell’ambiente, è un argomento a cui tengo molto  e che ho voluto approfondire.

  • Enrico, a questo proposito vuoi parlarmi del progetto Ita.Ca.® (Italian Wine Carbon Calculator) finalizzato alla misurazione dell’Impronta Carbonica. Che obiettivi ti prefiggi aderendo?

Il progetto Ita.Ca.® è un progetto di rilevanza nazionale finalizzato al monitoraggio e alla riduzione delle emissioniVendemmia aziendali di gas serra.

L’obiettivo del lavoro svolto è quello della misurazione della cosiddetta impronta carbonica, ovvero la quantificazione delle emissioni di gas serra nell’azienda vitivinicola, con contemporanea individuazione degli ambiti maggiormente impattanti all’interno dell’intero processo di produzione, e delle aree su cui agire più efficacemente attraverso azioni concrete e circoscritte, per la riduzione delle emissioni stesse.

In un momento in cui, anche le scelte di consumo risultano sempre più orientate a supporto di prodotti e filiere rispettosi dell’ambiente, assume maggior rilevanza la capacità di fornire informazioni chiare su pratiche e processi, affinché anche il consumatore con le sue scelte possa premiare aziende e territori impegnati nella ricerca di una possibile sostenibilità ambientale. Essere viticoltori è un impegno antico che oggi comporta un’opposizione strenua all’impoverimento dei territori, percorribile soltanto grazie alla valorizzazione delle inclinazioni naturali, e realizzabile solo in presenza di un’imprescindibile sostenibilità ambientale ed economica dei processi produttivi. Conservazione e valorizzazione del territorio sono il punto di partenza di una viticoltura attenta, capace di sfruttare con intelligenza, rispetto e lungimiranza le risorse disponibili, e di avvicinarsi sempre più ad un concetto di piena sostenibilità.

Mi era venuta sete, e quindi visto che dovevo guidare… e sappiamo tutti che chi guida non deve bere… un succo d’uva era perfetto!  Enrico, mi ha spiegato che questa bevanda analcolica è prodotta col 100% di frutta, senza zuccheri aggiunti, senza conservanti, senza coloranti e senza pastorizzazione a caldo.

  • Enrico come ti è nata l’idea di fare un succo d’uva?

L’idea mi è scattata durante un viaggio in bicicletta in Inghilterra.  Avevo una grande sete, e bevendo un succo ho ricavato un piacere così intenso e inatteso che immediatamente ho pensato alla mia materia prima: l’uva. Questo è stato il seme, l’idea iniziale, il blink! Da quel preciso momento è stato come se si fosse aperto un mondo che non potevo più ignorare! Creare con l’uva la bevanda migliore possibile è diventata una ‘necessità’. E’ partita la ricerca in quella direzione… Portare nel bicchiere quell’esperienza così pura e autentica che solo il frutto fresco e naturale riesce a dare.  Lo studio e il lavoro dei tre anni successivi mi hanno poi portato  al “d’UVA”.

  • Che differenza c’è tra vino non alcolico e succo d’uva?

E’ un’interpretazione dell’uva totalmente diversa dal vino, ma ugualmente rappresentativa e rispettosa delle generose qualità di questo frutto d’UVA, una bevanda semplicissima e rivoluzionaria… è il frutto spremuto e niente altro. E’ SENZA ALCOOL perché non subisce fermentazione, e quindi non necessita di essere dealcolizzato come il vino non alcolico d’UVA. E’ uva pressata così com’è, portata a completa maturazione dalla natura stessa. Il trattamento a freddo che subisce, fulcro del suo innovativo percorso produttivo, conserva perfettamente intatte le proprietà del frutto d’origine.

  • Ho potuto apprezzare i tuoi succhi aromatizzati. Mi vuoi raccontare come sei giunto a queste combinazioni?

Merlot-lemongrass-zenzero e merlot-anice-liquirizia, sono il risultato di un lavoro di ulteriore ricerca su sapori e valori nutrizionali fatti con lo chef Davide Garbin. Insieme volevamo dare ai nostri due prodotti in purezza un appeal diverso, unendo le qualità digestive e stimolanti che le erbe e spezie utilizzate ci mettevano a disposizione, a quelle già contenute nell’uva. Sono nati  questi due sapori che conferiscono al d’UVA un carattere deciso, personale, e che si rivolgono ad un pubblico adulto come aperitivo o come fine pasto.

 




I miei tour Vinosi… ad Aosta. “La Crotta di Vegneron”

La Crotta di Vegneron è una cooperativa di viticoltori situata nel borgo di Chambave ad Aosta.

Nata nel 1980 fu ideata e fondata da Yves Burgay originario di Chambave, nato nel 1925 e deceduto nel 2011. Presidente della cooperativa vitivinicola che riuniva i vignerons della valle per molti anni, dal carattere forte e determinato a detta  di coloro che hanno avuto l’onore di conoscerlo.

Le sue ricerche hanno portato alla produzione del pregiato Moscato Passito di Chambave prodotto dalla Crotta definito come suo capolavoro. Vinificatore esperto e memoria storica della viticoltura di Chambave, si pose come obiettivo la D.O.C. regionale con sotto denominazione di zona e di vitigno che le istituzioni riconobbero.

La Crotta estende i  trenta ha di vigneti su dieci comuni circostanti.  I suoi soci sono attivamente presenti nella conduzione dell’azienda. Uno di loro guidandomi durante la mia visita, mi ha raccontato che il particolare microclima di questo territorio determina scarse precipitazioni, con conseguente attacco parassitario molto limitato, e uso al minimo di  trattamenti  antiparassitari. E questa non è cosa da poco…

Dopo la mia visita, non ho potuto fare a meno di degustare un vino rosso di carattere e di struttura… come piace a me! Un Fumin, antico vitigno autoctono della Valle d’Aosta a maturazione tardiva.  Ottimo!

Fumin




I… “Doria di Montalto”!

 I Doria di Montalto… non so, ma detto così mi sembra quasi di raccontare  la storia di una famiglia medioevale… di castelli, di sfide e di duelli!

E qui scatta la molla… Si, perché dovete sapere che amo molto la storia, e in particolare amo tutto ciò che ha un vissuto da raccontare.  Quando nel mio girovagare vedo anticaglie è come se fossi calamitata, e se qualcuno è con me sente dirmi: “Aspetta un attimo che devo guardare…”  Non per niente in casa mi circondo di libri antichi, candelabri, leggii, spade, sciabole e coltelli. Quando poi entro nelle dimore storiche la faccenda si fa davvero seria. E’ come se vivessi un dejà vu , come se tornassi a casa…  So solo che un giorno entrando dai Doria di Montalto quell’atmosfera mi avvolse…

Dovete sapere che l’Azienda vitivinicola Doria ha iniziato la sua attività nel 1800.  Pietro Doria, telegrafista durante la seconda guerra mondiale e sopravvissuto allo sterminio della Divisione Acqui a Cefalonia, una volta tornato dalla prigionia diede nuovo impulso all’attività. Gli fecero seguito fino al 1996, i figli Bruno e Adriano.  Dopodiché le redini passarono in mano ad Andrea e Davide,  guidati dalla madre Giuseppina Sassella Doria.

Decisi di fissare un incontro per una visita. Ero in ritardo come al solito… Nonostante i miei sforzi non riesco mai ad essere puntuale! Lungo il percosro i paesaggi catturarono in particolar modo la mia attenzione, tanto da fermarmi e scendere dall’auto per gustarmi appieno tanta bellezza.

Come diceva Luigi Veronelli in un articolo del Corriere del 2003: “È un territorio che va scoperto lentamente, e non solo per la vocazione enologica…”

All’ingresso mi venne incontro il caro Daniele Manini, agronomo dell’azienda, con cui passai un  intero pomeriggio a parlare. Il pensiero mi diverte ancora, perché Mario Maffi enologo ben conosciuto in Oltrepò Pavese, mi aveva preannunciato che fra noi due sarebbe stata una bella lotta… Si, lotta a chi parlava di più! Ebbene lo chiamai a fine serata, avevo vinto io!

Dovete sapere che Daniele si era avviato alla carriera di pilota in aereonautica. Fu un problema alla vista che lo fermò, e che lo costrinse a rimettere in discussione la sua vita. Fu allora che si orientò verso la facoltà di Agraria di Viterbo, che lo portò di li a breve ad iniziare la sua felice collaborazione con la famiglia Doria. Lui è gran fautore del recupero dei vitigni storici  e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.  Inoltre si definisce come la figura che segue, per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina. Ed è proprio questo suo pensiero che l’ha portato a dare continuità alla tradizione della Cantina Doria. Con lui si è realizzato il Barbera “storico” elevato in botti di castagno italiano.  E questa sua sperimentazione ha portato una famosa “tonnellerie francese” ad interessarsi, tanto da affidare ad alcuni docenti la valutazione dei risultati che otterrà.

Io guardo le mie colline e ne sorseggio sovente il vino per non dubitare dei miei maestri… Guardo ogni volta commosso le colline pavesi, che sono il mio dolce orizzonte di pampini. La terra padana si ondula come un immenso mare sfrangiato in profili per me familiari fin dall’infanzia. Le onde sono di intenso verde, e via via si fanno violette azzurre celesti fino a confondersi appunto, con il cielo…

Giovanni Luigi Brera, il Gioânn, nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po (Pv)




Il mio incontro con il Prof. Manzoni, l’enologo dai famosi incroci

Fu Cristina Garetto, protagonista di una delle mie storie, ad accennarmi di lui e dei suoi famosi incroci…

Dovetti ammettere di non conoscerlo, ma dai racconti che mi fece, m’incuriosì da subito.  Chiamatelo istinto, sensazioni, ma qualcosa mi attirava nella conoscenza di quell’uomo. Seppi che era stato seppellito nel cimitero della mia Lorenzaga, piccola frazione di Motta di Livenza, mia terra d’origine, mio unico legame col passato.

In quel cimitero c’è una parte della mia famiglia ormai scomparsa, lì ci sarò anch’io, così ho deciso. A volte passeggio al suo interno e guardo le foto sulle lapidi, guardo gli sguardi, e chissà mi dico… lì non temo nulla, li sono tra persone che ho conosciuto. Quel piccolo cimitero tra vigneti e pannocchie è sempre aperto.

Questa è una serata strana, è l’una di notte, sono qui sul mio scrittoio, ma in realtà sono lì con la mente e sto passeggiando sulla ghiaia… Mi sento come teletrasportata, quasi divisa tra due entità. Mentre sto scrivendo lo sto guardando, sono lì davanti alla piccola cappella di famiglia…”

Nel pomeriggio in cui venni a conoscenza di lui, decisi di cercarlo. Volevo però avere quell’unico contatto possibile come d’abitudine faccio prima di scrivere sulle persone. Io sono cosi. Il contatto con la voce, con la pelle, con il luogo di appartenenza mi è fondamentale.

Andai alla ricerca per conto mio, ma nonostante avessi girato in lungo e in largo non lo trovai. Si era fatto tardi, e per il momento rinunciai. Dopo cena avevo promesso di andare a bere il caffè da Renzo e Anna, vicini di casa della zia in campagna e amici di sempre. Renzo mi conosce fin da bambina. Ricordo che ogni estate dopo i mesi passati dalle suore essere portata in campagna era il paradiso. Lui alla mattina passava a salutarmi e mi prendeva in giro. Per non parlare di cosa gli toccava ogni anno in occasione dei fuochi d’artificio della festa del paese. Ero letteralmente terrorizzata, ma lui regolarmente si offriva di distrarmi per evitare i miei singhiozzi. Il paradosso è che ora io li adoro, e appena posso vado a vederli dovunque.

E di nuovo che chiacchiero e mi perdo… dov’ero? Ah si! Dicevo che quella sera davanti a un caffè raccontai a Renzo della mia impresa fallita. Ad un tratto lui mi disse: “Vuoi che torniamo insieme?” Erano le ventuno passate. Bè, certo non mi tirai indietro, in particolar modo perché l’indomani sarei dovuta ripartire. Era l’ultima occasione per cercarlo.

Ci avviammo in auto, entrammo con una pila, e lo cercammo fino a trovarlo. Il loculo era basso. M’inginocchiai guardandolo. Vidi uno sguardo fiero e orgoglioso che non mi stupì. Ero decisa a scrivere di lui, e cosi feci.

Preside della Scuola Enologica di Conegliano, divenne famoso ricercatore sperimentando nel corso degli anni ‘20 – ’30 incroci di vitigni nelle proprietà della Famiglia Collalto. Documentò i suoi studi con una settantina di pubblicazioni. A felice testimonianza dei suoi incroci abbiamo il vitigno più interessante, l’Incrocio Manzoni Fotocamera Luigi Manzoni6.0.13.

Il Prof. Luigi Manzoni utilizzò del polline di Pinot Bianco e fecondò i fiori di Riesling ottenendo così la combinazione. I numeri stavano a indicare il filare e la posizione della pianta.

La Scuola Enologica di Conegliano ha voluto recentemente riordinare il congruo materiale del Manzoni presente nel suo Reparto di Scienze. Pensate che sono riusciti ad assemblare da un suo geniale progetto una particolare fotocamera a banco ottico in legno, che, collegata ad un microscopio, veniva utilizzata per le microfotografie scientifiche. Queste fotografie ottenute dal Manzoni in laboratorio dopo giorni e giorni di meticolosi tentativi, sono considerate a tutt’oggi insuperate, e questo la dice lunga.

Nel leggere i suoi scritti scaturiva la personalità di un uomo caparbiamente determinato nel raggiungere i suoi obiettivi. Devo ammettere che in questo mi rispecchio molto in lui.

Grazie alla sua ricca documentazione ora posso dire di averlo conosciuto. Sì, perché ci sono tanti modi di conoscere le persone. Sono sempre più convinta che scrivere le proprie idee, i propri progetti, e le proprie emozioni, ci dia in dono un pizzico d’immortalità.




La storia di Cristina… una donna proiettata nel futuro con uno sguardo al passato

Si dice che dietro un grande uomo, c’è una grande donna… Bè, io ho avuto modo di constatarlo.

Tutto iniziò un pomeriggio in campagna nella mia Lorenzaga di Motta di Livenza, tra il fruscio delle pannocchie agitate dal vento, il canto delle upupe, e l’allegro vociare di Erica e Giulio, i miei cuginetti che si rotolavano nell’erba. Dopo uno sguardo alla finestra in contemplazione di tanta semplice bellezza di vita, mi misi a guardare dei video di alcuni produttori locali.

Ad un tratto la mia attenzione fu calamitata da una donna che si raccontava, Cristina Garetto. Io vivo d’istinto, lo dico sempre, è la mia guida nella vita. Bè, quel giorno il mio istinto mi indicò la direzione e mi mise in moto. Dopo una breve ricerca trovati i contatti e mi accordai con lei per un incontro. Il pomeriggio successivo ero a Tezze di Piave, nella sede principale della Cantina Cecchetto.

Come d’abitudine feci un giro li intorno. Mi piace capire dove vivono le persone e sentirne le atmosfere, è come conoscerle un po’. Dopo aver fermato i miei ricordi con qualche foto, mi diressi all’ingresso. Fu Cristina ad accogliermi, e i nostri sorrisi ci fecero subito conoscere.

Azienda Agricola Cecchetto

Azienda Agricola Cecchetto

Durante la mia visita mi raccontò dell’incontro felice con Giorgio Cecchetto, suo marito. Lei, diplomatasi all’Istituto magistrale non avrebbe mai pensato al suo destino nel mondo del vino… ma la vita ci riserva belle sorprese, basta saperle cogliere.

Mi raccontò dell’azienda e dei suoi vini. Orgogliosamente promotrice del vitigno del Raboso e del suoi territori, la Cantina Cecchetto è socia fondatrice della “Confraternita del Raboso del Piave”.

Ad un tratto mi disse che vinificavano delle uve ottenute da ben 35 ettari di vigneto a Lorenzaga di Motta di Livenza.  Non potei che strabiliare gli occhi, spiegandole che ero arrivata proprio da li.

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cristina divenuta sommelier, decise di puntare alla tradizione cercando di mantenere una forma particolare di allevamento della vite, “la  Bellussera” (coltivazione di quattro viti sostenute da un palo, che, una volta raggiunta l’altezza, vengono inclinate dando al vigneto una forma a raggiera). Ideata dai F.lli Bellussi tra il 1850 e il 1900, oggi ormai in disuso perché soppiantata da forme con maggiore densità di piante per ettaro. Tradizione a braccetto con l’innovazione, perché nel contempo guardava al futuro con la sperimentazione. Nel 2002, infatti, vennero piantate le prime 5000 viti provenienti da nuove selezioni clonali di Raboso Piave.

Dovete sapere che io adoro la storia e le tradizioni. Lo so, lo so, ve l’ho già detto in altri miei racconti… Ma questo per farvi capire il mio entusiasmo, quando ad un tratto mi raccontò che dallo studio di un testo del 1600, l’affinamento del Raboso Piave avveniva in legni del territorio… acacia, gelso, castagno e ciliegio! (“I Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di Villa” di Giacomo Agostinetti, nato nel 1597 a Cimadolmo, un paese confinante)

Vigneti Cecchetto

Vigneti Cecchetto

Per questo impegno le venne conferito il “Premio De@ Terra 2010” dal Ministro delle politiche agricole Giancarlo Galan  nell’ambito della celebrazione della Giornata Mondiale della Donna Rurale. Mi raccontò delle sue ricerche, e a un certo punto menzionò un certo Prof. Luigi Manzoni e i suoi famosi incroci. Mi disse che era sepolto proprio a Lorenzaga, nel cimitero dove c’è quasi tutta la mia famiglia, dove quando sarà il tempo ci sarò anch’io. Oh mamma mia direte, ma che discorsi fai… e va be, si fa per dire, ne ho di storie ancora da raccontare!

Ma tornando al Prof. Manzoni, dovete sapere che la cosa mi incuriosì e parecchio! Tanto che la sera stessa, io e il mio caro amico Renzo, con una pila alla mano, vagammo nel cimitero di Lorenzaga alla sua ricerca fino alle ventidue passate! Ve l’ho mai detto che sono parecchio testarda e che se mi metto in testa qualcosa difficilmente non la raggiungo? Bè, è così! Quando finalmente lo trovammo soddisfatta mi soffermai davanti al suo sguardo fiero e orgoglioso.

Fu allora che decisi di raccontare di lui… e lo farò, nella mia prossima storia.

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: