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Lino Maga, il vignaiolo poeta

Recentemente mi è stato chiesto che personaggio mi piacerebbe incontrare. Ce ne sono tanti, ma in particolare vorrei conoscere un vignaiolo, Lino Maga, il papà del Barbacarlo, vino rosso prodotto sulle colline nei pressi di Broni, nell’Oltrepò Pavese.

Un uomo che vive nella pace, nei silenzi, e nei ricordi degli amici che non ci sono più, un uomo che potrei ascoltare per ore. Ebbene l’ho incontrato, l’ho ascoltato, e mi ha ascoltata…

Lo chiamai un giorno in cui ero quasi bisognosa di un conforto, si era frantumato un sogno. Al telefono lui capì subito, ascoltò brevemente il mio sfogo e mi disse: “Cinzia, è una battaglia dura, mai fermarsi… le cose vanno dette”.  E così feci, e così farò…

Prendemmo accordi per incontrarci una domenica pomeriggio da li a breve. Ho vissuto l’attesa dei giorni che mi separavano dalla sua conoscenza con trepidante emozione… avrei incontrato una leggenda, una memoria storica.

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Al mio arrivo vidi una semplice insegna che mi ricordava le botteghe dei tempi passati. A fianco un portone aperto mi spinse timidamente ad entrare in un cortile. I miei occhi si spalancarono, lo scenario sembrava quasi la rappresentazione di una fotografia degli anni ’50. Vecchi attrezzi, anticaglie, tralci secolari di vite appesi, e ad un tratto lui. Mi venne incontro quasi conoscendomi.

E’ ormai risaputo che adoro tutto ciò che ha una storia, e forse per quello, nonostante Lino mi invitasse ad entrare, ero trattenuta da quell’atmosfera. Cercavo di capire ciò che vedevo, come quell’insegna che riportava la scritta “Cameliomagus”. Lino mi spiegò che era l’antico nome di Broni, località dell’Oltrepò Pavese. Ci perdemmo in chiacchiere per una mezz’oretta, poi, soddisfatta dalle risposte che avevo ricevuto, accettai di entrare.

Ero praticamente circondata dalla storia. Dovunque c’erano i suoi scritti, ma non su tele o pergamene, semplicemente su fogli che appoggiava qua e la, tra libri e bottiglie, come pensieri sparsi.  

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Incominciai a leggerli… amo la poesia degli uomini semplici. Vedendomi così attratta mi disse: “Cinzia, io non sono un poeta”.  Io dico di si, lui lo è! 

Ne ebbi la conferma quando, visto il mio interesse, aprì un vecchio mobile e prese un suo scritto del 2011, “Il Vignaiolo”. Vicini in quell’atmosfera sognante me lo lesse. Sfacciatamente gliene chiesi una copia. Mi guardò perplesso, io sorrisi, e dovette arrendersi. L’ho in mano ora mentre scrivo…

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Passammo poi nel salone della rivendita. Un grande tavolo di legno, un lampadario antico in ferro battuto, vecchie foto, e dovunque scritti di poesie… io guardavo, leggevo e chiedevo. Faticò molto a farmi sedere. Prese una bottiglia, del pane, due fette di salame, e incominciammo a raccontarci. Ero così felice ed emozionata che ad un tratto mi commossi.

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Mi raccontò delle sue battaglie, delle sue sconfitte, e delle sue rivalse. Mi riconosco molto in lui, battagliera sempre, a volte ferita, ma orgogliosamente decisa ad andare avanti per la mia strada…  Mi disse: “Cinzia, mai fermarsi, mai arrendersi !”

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Mi descrisse le lotte nei lunghi anni in tribunale, ben ventidue, tra carte bollate e avvocati per garantirsi il diritto dell’esclusività del nome del suo vino.

Dal 1983 infatti, il vino prodotto sulla Val Porrei, la collina del Barbacarlo il cui nome è depositato nella mappa catastale del comune di Broni, è ad uso esclusivo di Lino Maga. Su questa collina dal terreno tufoso ed impervio, crescono i vitigni di Croatina, Uva Rara e Vespolina (chiamata anche Ughetta). Le lavorazioni manuali e l’assenza di diserbanti e prodotti chimici, garantiscono la naturalità del prodotto.

La mia visita continuò nelle cantine poco distanti. Fui piacevolmente accolta dal figlio Giuseppe, schietto e simpatico come Lino. Ma la vera sorpresa fu, che non solo lui mi accolse! Ero circondata da mucche, cavalli, un asino, oche del Campidoglio, cani da caccia, galline… insomma, una vera fattoria! Mi misi a fotografare qui e la tentando di correre dietro a un coniglio, visto che per una volta ero senza tacchi! Dovetti arrendermi… la corsa la vinse lui!

Passammo insieme un intero pomeriggio di emozioni, di ricordi, di poesia, di natura… un pomeriggio diVino!

Il mio vino non segue le regole del mercato ma quelle del tempo e dell’esperienza, è succo d’uva della terra, del luogo che lo ha partorito,  per la gente che ama ancora il sapore della terra…

Lino Maga


                               




Ricordi d’estate nel bianco, blu, verde e… “Rosso Conero”!

Ci sono emozioni così intense che ricordarle è come riviverle. Ed è per questo che mi piace fermare i momenti felici della mia vita scrivendoli. Ricordi d’estate, di mare, di amici… ricordi diVini! Ed ora vi riporto con me nel Conero… nell’Agosto del 2011.

Il Conero… adoro questo tratto dell’Adriatico con i suoi piccoli borghi, le grandi pareti rocciose a strapiombo sul mare, i bei sentieri del Monte Conero… un vero paradiso. I colori predominanti qui sono il bianco delle rocce, il blu del mare, il verde lussureggiante della natura… e il rosso! Il  rosso direte… il rosso di che?  Ma  il  “Rosso Conero”,  lo splendido vino caratteristico di questa zona! Devo confessare che amo molto questo colore perché il rosso, è il colore della passione… il motore della vita! Bene, detto questo… pronti via!

Dovete sapere che  in quella vacanza Guido e Annalisa i miei amici anconetani, conoscendomi si prestarono ad accompagnarmi per cantine… e che cantine !  

Ma voglio raccontarvi meglio…

Fissati i consueti appuntamenti in breve il programma era fatto. Ci aspettava una giornata  intensa su e giù per i colli di Ancona. Passai la serata a curiosare nei siti delle aziende agricole assaporando intensamente l’attesa delle emozioni che avrei vissuto. Ma  forza che diamo inizio al racconto del  mio tour… di-vino!

  Iniziammo dalla Cantina di Alessandro Moroder

E qui mi soffermo un attimo sui ricordi della memoria di questo cognome. Eh sì, perché Alessandro è il cugino di Giorgio Moroder che nel 1983 realizzò la colonna sonora del film Scarface di Brian  De Palma.  Wow!!

Famiglia di  grandi  persone originarie della Valgardena,  Alessandro e sua moglie Serenella trasferitisi da Roma nel 1984  hanno assunto la responsabilità dell’azienda di famiglia ad Ancona acquisita dagli antenati  alla fine del ‘700. 

Di questa epoca sono  felice testimonianza le grotte presenti  sotto la cantina, che ho potuto ammirare accompagnata da Alessandro squisita  guida. L’introduzione negli anni ’80 di  nuovi metodi nella coltivazione della vite,  l’ammodernamento della cantina e il coinvolgimento dei figli Marco e Mattia hanno portato alla produzione di ottimi vini, come il Dorico Conero Riserva DOCG 2005,  che ho potuto apprezzare  mentre chiacchieravamo insieme…

Continuammo il nostro tour visitando  la  Fattoria  Le Terrazze

E  qui inizio col porvi una domanda: “Vi piacciono le canzoni di Bob Dylan ?”  Bè a me si, e anche ad Antonio Terni  titolare della Fattoria Le Terrazze di Numana.      Lui grande fans e appassionato da sempre,  durante un concerto volle regalargli del vino di sua produzione. Bob apprezzò talmente che propose ad Antonio di produrlo insieme. Nacque  così  nel 2004  un vino denominato “Planet  Waves” Onda Planetaria,  il titolo di un suo album del 1974.  Un vino con la robustezza del Montepulciano per il 75%,  e la morbidezza del Merlot per il 25%.

Cinzia Tosini con Antonio Terni

Antonio Terni

Antonio argentino di nascita,  ma di origini italiane dopo essersi laureato in ingegneria nucleare ritornò nella sua terra d’origine investendo nella promozione del suo bel territorio.

Degustando un calice di Chaos, un altro vino di sua produzione, mi venne spontaneo chiedergli se i suoi studi avevano influito sulle scelte in azienda.  Mi rispose facendomi notare le etichette dei suoi vini… vere esplosioni nucleari. (fotografia in testata)

Fattoria Le Terrazze

Fattoria Le Terrazze                                                                   

Una giornata indimenticabile, ricca di racconti di vita…  Ad un tratto un languore allo stomaco ci ricordò che era ora di pranzo. Ci fermammo in un posticino dalla vista mozzafiato, dove al mio solito feci un po’ di “folclore” per le mie richieste insolite sui piatti da ordinare. Che cosa devo fare son cosi, però sembra che in mia compagnia gli amici non si annoiano.  Un caffè, un limoncello di quelli buoni… e pronti via per ricominciare!

Era il turno dell’ Azienda Agricola Malacari

Arrivammo ad Offagna, uno dei borghi più belli d’Italia e davanti ad un vecchio portone nell’attesa di Alessandro  il titolare, curiosammo qua e la.  Ai  nostri occhi si presentava una vecchia dimora storica.  Amo queste atmosfere,  mi ci immergo con tutta me stessa, è quasi un  dejà vu ogni volta…

Dovete sapere  che questa cantina è una delle più antiche delle Marche.

Fatta costruire da Andrea Malacari nel 1668,  è a tutt’oggi ancora operativa. Esattamente sotto le stesse antiche volte in mattone a vista, si producono gli ottimi vini tra cui il Grigiano 100% Montepulciano.

Alessandro Malacari Starrabba nel raccontarmi la sua scelta di vita, da giornalista a vignaiolo,  mi condusse orgoglioso in visita alla sua bella cantina. I suoi avi, i Conti Malacari Misturi di Grigiano, gli avevano lasciato in eredità questa dimora protetta per il suo valore storico e architettonico, dal Ministero  per  i Beni culturali. Se vi doveste fermare da quelle parti  vi consiglio di approfittare di una visita alla villa  oltreché  alla cantina. Si perché  i saloni, l’antica biblioteca con gli splendidi libri antichi, nonché  i vari cimeli, e le spade di cui sono appassionata completarono la mia splendida visita.

La  giornata stava giungendo al termine, ma non prima di far visita all’ultima Azienda vinicola in programma… i Montecappone

,Arrivammo in breve a Jesi. All’ingresso della loro rivendita, nostro punto d’incontro, trovammo un’atmosfera familiare che ci avvolse da subito. Si respirava un’aria gioviale tra l’allegro vociare del nipotino di Alessandro Mirizzi, mia specialissima guida in quella giornata e i suoi simpatici genitori.

Con Alessandro si fece una bellissima visita in auto tra i vigneti. In auto direte.. ma perché mai?  Perché  dovete sapere che dal 1997 la famiglia Bomprezzi – Mirizzi  conduce ben più di 60 ettari di vigneto. E a piedi con i miei tacchi sarebbe stata dura!

Vigneti Montecappone

Vigneti Montecappone

Nel condurci Alessandro ci spiegava che la tenuta era destinata a vitigni a bacca bianca rivolti al Verdicchio ed al Sauvignon Blanc, mentre per le uve rosse al  Montepulciano ed al Sangiovese. Dopo la visita alle moderne cantine, in cui i vini d’annata sono imbottigliati dopo l’estate mentre le riserve vengono affinate parte in barriques e parte in cemento, ci spostammo nelle sale per degustare un loro vino dal nome particolare, “Utopia, Verdicchio dei castelli di Jesi DOC Classico Riserva”.  Ci congedammo così tra saluti, scambi di mano e sorrisi sinceri.

Una giornata intensa, ricca di emozioni, di conoscenze e di grandi degustazioni. A tutti loro avevo chiesto come promuovessero il territorio. La risposta fu: “yes, We Conero”!  Si perché  “yes, We Conero”  è l’associazione che riunisce 13 piccoli produttori di Rosso Conero che si contraddistinguono per la tipicità dei vini prodotti.  Ma non solo,  insieme hanno prodotto 2000 bottiglie solidali il cui ricavato è stato destinato all’Ospedale Pediatrico G.Salesi.

Come dice Yoko Ono: “Un sogno fatto da soli è solo un sogno, un sogno fatto insieme, è una realtà.”




Il mio incontro tra le anfore con Josko Gravner

Avete presente quei pomeriggi estivi, quando il caldo ci induce all’ozio facendoci perdere nella leggerezza delle chiacchiere…?  Ebbene, capitò  proprio così  che mio cugino Ilario mi disse: “Conosci Josko Gravner il vignaiolo che mette il vino nelle anfore ?”.  Beh, mi alzai di scatto e risposi: “Nelle anfore…?!”.  Non mi seppe dare molte spiegazioni, e quindi, stuzzicata dalla curiosità, iniziai subito con le mie ricerche. Cominciai a leggere di lui affascinata, e decisi che dovevo conoscerlo…

Guardai alcuni video in cui Josko raccontava la sua filosofia della terra…  poesia per le mie orecchie! Definitemi pure romantica, ma le sensazioni che avevo ascoltandolo erano di equilibrio e saggezza.

E’ nella terra che si radica la risposta a questa mia ricerca, questa è la mia terapia, questa sarà la mia rinascita,  perché è nell’amore per essa che trovo i significati più profondi.

Mandai una mail a Josko Gravner per fissare un incontro. Dalla sua risposta capii che il momento non era propizio. Era tempo di vendemmia, e le esigenze della vigna lo assorbivano. Un pochino delusa mi rassegnai a posticipare l’incontro, ma da persona caparbia quale sono non demorsi. Ben presto quel momento arrivò!

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La mattina della partenza caricati i bagagli,  puntai il navigatore in direzione Oslavia.  Ero particolarmente emozionata;  mentre guidavo percorrendo la strada pensavo a come si sarebbe svolto l’incontro. Poi, fra me e me pensai che l’unico modo per instaurare rapporti sinceri con le persone è essere se stessi, e così feci.

Giunta finalmente a destinazione fui  piacevolmente sorpresa dalla semplicità dell’abitazione di Josko.

Fu il suo sorriso ad accogliermi, e quell’atmosfera gradevolmente familiare che mi mise subito a mio agio. Chi mi conosce bene ha sperimentato anche la mia timidezza che mi sforzo di nascondere chiacchierando.

Josko Gravner 1

Quel pomeriggio con noi c’era la dolce Maria moglie di Josko, e Sabrina e Debora, due loro amiche di Viareggio. Iniziammo il nostro percorso di visita tra una degustazione e l’altra e le narrazioni riguardanti la sua vita.  Ci raccontò di come ebbe inizio la sua avventura di viticoltore, facendo frequenti riferimenti alla perdita del padre quando lui aveva appena venticinque anni. Capii bene ciò che mi diceva, avendo avuto alla medesima età la stessa esperienza. Gli insegnamenti dei padri tuttavia ci accompagnano per tutta la vita, come un eco che continua a diffondersi nella testa.

Josko ci narrò del suo viaggio in Georgia, della sua ricerca di un vino senza chimica che segua il ciclo della natura: un vino semplice e pulito come nei tempi passati.  Dalla Georgia portò le sue anfore e abbandonò definitivamente l’utilizzo dell’acciaio. Raccontava:  “Il vino nelle anfore vive, mentre nell’acciaio non respira… L’anfora è come un utero in cui il vino nasce per poi maturare nelle grandi botti, che a differenza delle piccole non lo influenzano troppo…”

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Ci raccontò di suo figlio Miha scomparso prematuramente, e della volontà di quest’ultimo di orientarsi verso la Ribolla Gialla, volontà che Josko fedelmente rispetta. Ci parlò di Aljosa, suo fidato collaboratore e ormai parte integrante della famiglia. Di quanta passione e amore questi mettesse nel condurre i lavori in vigna e in cantina. Il tempo passò molto velocemente con le mie domande che spesso lo sorprendevano per quell’ingenuità a cui probabilmente non era abituato. Perché io voglio capire… perché questa è la mia ricerca.

Nel nostro divagare, Bruno il cane di Josko, ci faceva compagnia seguendoci da un locale all’altro. Improvvisamente fu attirato da qualcosa, e con scatto repentino urtò Sabrina che, avendo tra le mani un calice di Ribolla me lo versò completamente addosso. Erano tutti visibilmente imbarazzati alla vista della mia camicia e del mio giacchino di pelle bagnati.  Erano momenti così emozionanti che volli subito sdrammatizzare dicendo: “Ma ci pensate, avrò l’onore di avere la giacca alla Gravner!”.  Credetemi… dopo pochissimo tempo le macchie si asciugarono alla perfezione senza lasciare nessun alone… quel vino, era proprio pulito!

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Nel nostro giro di assaggi degustai tutte le annate. Ero un po’ titubante visto che sono abituata a bere pochissimo a causa di un’emicrania legata all’eccesso dell’uso di solforosa nel vino. Quel giorno nulla accadde,  la mia testa era perfettamente lucida. Esterrefatta dissi: “A questo punto mi viene spontaneo chiedermi… ma che vini siamo abituati a bere?! Ma quanta chimica viene introdotta?!”.

Trascorsero tre ore senza che me ne rendessi conto; era arrivato il momento di congedarmi, senonché Maria insistette perché rimanessi a cena. Seduta a fianco a Josko  chiacchierai tutta la serata passando da un argomento all’altro. Non dimenticherò mai le emozioni di quella giornata. Le ho volute raccontare per poterle rivivere ogni volta che le rileggerò.

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Recentemente ho letto definire Josko “un eremita”.  Non ho potuto far altro che sorridere, perché Josko, è semplicemente un vignaiolo in terra d’Oslavia, simpatico e gioviale, che mi ha accolto come se fossi una persona di famiglia. Viticoltore Italiano conosciuto nel mondo per le sue ricerche e per  la sua semplicità,  un grande uomo che ho potuto conoscere ed apprezzare, che mi ha consigliato, e che mai dimenticherò!

“In molti mi deridono per questo mio essere, ma cosa volete sono vecchio per cambiare e alla fine sono felice di essere cosi.  Non avrò denari da lasciare ma una Terra sana dove il sudore di mio padre Jozef e mio zio Franc non è stato versato invano. E’ a questi due uomini che ho pensato in questi anni di forti cambiamenti, e va a loro il mio primo e ultimo pensiero della mia giornata. E finalmente me l’immagino orgogliosi e sorridenti.”  Josko Gravner

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Il Barolo di Beppe Rinaldi

Ve l’ho mai detto che adoro i cappelli?  Più son strani e più mi piacciono! Quando decisi di andare a Barolo con l’amica Alessia Bianchi, ne misi uno rosa, forse un pochino vistoso, per lo meno suppongo visti gli sguardi incuriositi dei passanti. Ovvia… che male c’è a dare un po’ di colore e brio alla vita, è già tutto così grigio!  Lo stesso Beppe Rinaldi alla mia vista, quando mi presentai entrando nella sua cantina,  perplesso mi disse: “Ma che sole c’è fuori!?

L’occasione di andare a Barolo si era presentata con una “Wine Tasting  Experience” organizzata dalla Strada del Barolo in collaborazione con il Consorzio di tutela Barolo e Barbaresco presso il Museo del Vino–WiMu.

La degustazione condotta da Mauro Daniele dell’Azienda Agricola Le Strette di Cuneo, ci ha permesso di conoscere cinque ottime etichette dell’annata 2007.  Ma non solo, si è parlato di storia, di territorio e di tradizioni.  Con Mauro ho dibattuto di vini naturali, discorso a me molto caro.  Anche tra i produttori la tendenza è quella di allontanarsi sempre più dalle sofisticazioni chimiche sia pur ancora permesse,  puntando ad un prodotto sempre più pulito e di qualità.

Era giunta l’ora del pranzo. Una bella passeggiata ci permise di trovare un delizioso ristorantino vicino a un angolo fiorito.  Certo non potevamo farci mancare la classica bagna càuda.  Alessia tentò di chiederla senza aglio, ma giustamente il proprietario si rifiutò contestando l’impossibilità della cosa!  Non potevo che concordare…  Dopo il dolce e il caffè, via…  eravamo pronte per la seconda parte del pomeriggio.

Prima di congedarmi avevo chiesto a Mauro un suo consiglio per la visita di una cantina li vicino.  Gli  dissi: “Mi raccomando, vorrei visitare una cantina condotta da un personaggio di quelli che piacciono a me, combattivi e di carattere, che credono nel territorio e che battagliano contro chi lo maltratta”.  La risposta fu immediata, Beppe Rinaldi.

Bastarono due passi a piedi per trovarci davanti all’insegna della Cantina Rinaldi. Incontrammo all’ingresso Carlotta, una delle due figlie di Beppe. Mi spiegò che era già in corso una visita di un gruppo di marchigiani. Per mettermi in pari mi feci raccontare da lei un po’ della loro storia.

Dovete sapere che quest’azienda è tramandata ormai da generazioni.  Iniziò il trisnonno di Carlotta, che insieme al cugino Barale, produsse vino fino al momento in cui diviso da quest’ultimo, passò le redini al figlio Battista Rinaldi, il padre di Beppe. Fu lui a costruire l’attuale cantina i cui lavori terminarono nel 1916.  Diplomatosi alla scuola Enologica di Alba, si distinse per la vivacità di carattere,  per la dirittura morale, e per l’equilibrio e la coerenza nella conduzione della sua vita e dei suoi vigneti.

Doti trasmesse al figlio Beppe, che a detta di molti risulta personaggio scomodo per le sue battaglie a difesa del territorio, spesso maltrattato da persone che ne danneggiano l’immagine con strutture che poco si amalgamano con l’ambiente circostante. La mia natura è molto simile alla sua, nulla ci potrà mai cambiare, combattivi fino alla fine… perché crediamo nel territorio, e nella sua salvaguardia. Beppe Rinaldi insieme alla figlia Marta e Carlotta, indirizzate rispettivamente verso enologia ed agraria, conduce oggi 6 ettari di vigneti seguendo la tradizione e l’esperienza tramandatagli.

Finita la visita ci riunimmo in cantina. Con questo gruppo di simpatici marchigiani  degustammo, parlammo di territorio, di tradizioni e tra mille risate, immortalammo con una foto ricordo quei momenti di vera e semplice vita genuina.

Il Barolo è un vino che ha bisogno di essere prodotto in una zona particolarmente evocata…  ma soprattutto, che ha bisogno d’interpreti…

Beppe Rinaldi




Arben, dall’Albania all’Italia per realizzare un sogno…

Qualche tempo fa, in occasione dell’evento “ Cantine Aperte” ebbi  il piacere di  imbattermi in una bella storia di vita che oggi vi voglio raccontare.

.Avevo scelto un’azienda  vitivinicola  poco distante, La Brugherata a Scanzorosciate (BG). Al mio arrivo rimasi colpita dalla bellezza del luogo, ma in particolar modo fui attratta dai racconti della nostra guida, Arben, l’anima della vigna. E fu proprio qualche giorno fa, che ricordandomi di lui, decisi di rincontrarlo. Dovete sapere che ho poca memoria, e non sono fisionomista, ma se qualcuno o qualcosa mi colpisce, di sicuro non lo dimentico, e cosi fu. In effetti appena lo vidi mi rammentai subito del suo volto, e non mancai di diglielo.

Decidemmo di recarci nelle cantine e qui iniziammo con la nostra chiacchierata. Dapprima gli spiegai ciò che mi aveva condotto fin li, e cioè quella forza gravitazionale che mi attrae verso le belle storie di vita.  E la sua lo era… eccome. Iniziò a raccontarmi come era giunto in Italia dall’Albania vent’anni prima. Nel suo paese mancava il lavoro, e l’Italia rappresentava la speranza per un’occupazione. Figlio di un agronomo, ma non conoscitore del settore, aveva trovato collocazione in un’azienda meccanica. E fu proprio riparando macchine agricole, che ebbe i suoi primi contatti con il vigneto. Recandosi spesso li per le consegne, conobbe pian piano le persone che ne facevano parte. E un fatidico giorno arrivò la prima proposta di collaborazione.

Senza rendersene conto pian piano si trovò piroettato dentro quel sogno che ora rappresenta il suo orgoglio di vita. Gli venne proposta infatti una collaborazione nell’attività dell’ azienda agricola. Arben accettò con entusiasmo… iniziava la sua nuova avventura. Conseguì dei corsi che gli fecero apprendere le nozioni sul ciclo produttivo e le forme dell’allevamento della vite… Eh si, si dice proprio allevamento. Fui stupita un po’ anch’io la prima volta che lo sentii ad un corso che frequentai.

Dalla cantina ci spostammo all’esterno… Passeggiando tra i filari Arben mi parlava del titolare del vigneto con parole di stima e di rispetto.  Il proprietario mi diceva,  un avvocato nato a Bergamo con autentica passione per il mondo vitivinicolo, aveva ricreato qui un angolo di toscana, sua terra d’origine.  Ma non solo, aveva creato un giardino in un vigneto arricchendolo di essenze mediterranee, ben quindicimila piante di rose, che nel periodo di fioritura ne facevano un angolo di paradiso.

Si leggeva nei suoi occhi una vera ammirazione verso quell’ uomo che riponeva in lui totale fiducia, che faceva del suoi prodotti eccellenze di qualità senza mai arrivare a compromessi.  E io stessa nell’ascoltarlo ero ammirata dalla personalità che ne scaturiva. Orgogliosamente mi descriveva le fasi nella produzione del vino che lui seguiva personalmente quasi in modo maniacale. Il vitigno chiedeva cure continue e attenzioni costanti, che lui voleva prestare in prima persona. Le difficoltà nell’acquisizione di personale in suo aiuto, scaturivano dalla mancanza di un orario lavorativo stabile. Cosa spesso mal sopportata dalle persone che si avvicinano a questa realtà.  Sono convinta che se non c’è passione,  questo non è il mestiere giusto!

Oggi lui è responsabile di 7 ettari di vigneto. Il risultato è un’ottima produzione di eccellenti vini bianchi e rossi e un brut di grande carattere. Ma il fiore all’occhiello è il Moscato di Scanzo DOCG, vino prodotto esclusivamente nel comune di Scanzorosciate.  Al titolare va riconosciuto il merito della costituzione del Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo oltreché dell’attribuzione della DOCG.

 

 




La Svizzera che c’è in me… e la viticoltura Ticinese!

Svizzera direte?  E ora che c’entra la Svizzera? Un attimo che vi spiego! Dovete sapere che sono conosciuta per la mia precisione organizzativa, è  da sempre  la mia dote innata e appunto per questo qualcuno diceva: Attenti che arriva la Svizzera!

Non per niente quando c’è da organizzare qualcosa mi vedo il dito puntato, e devo dire che mi piace, è la mia creatività che trova la sua giusta applicazione. Ma sono tanto precisa quanto a volte  pasticciona! E va bè mica dicono che i geni si perdono nelle piccole cose! Già sento i fischi… ma dai che scherzo!

Dunque dicevo che mi sento un po’ Svizzera,  quindi oggi indovinate dove si va? A Lugano, alla scoperta della viticoltura del Canton Ticino.

Come d’abitudine,  mi sono documentata un po’ prima di recarmi sul posto. Dovete sapere che  la viticoltura in Ticino si è sviluppata nei primi anni  del novecento, dopo il passaggio devastante della fillossera. A Mendrisio infatti nel 1906 vennero impiantati  i primi ceppi di Merlot che, grazie alle condizioni climatiche  ideali, si sono sviluppati  per la maggiore coprendo l’80%  dei 1.000 ettari della superfice vitata. Nei restanti 20%  sono presenti per le uve rosse la Bondola unico vitigno autoctono,  il Pinot Nero, il Cabernet Franc e il Sauvignon. Per le uve bianche lo Chardonnay,  il Sauvignon Bianco e il Kerner.  Dal 1997  i vini ticinesi vantano il riconoscimento della denominazione di origine controllata.

Proprio lo scorso Settembre  a Lugano  c’è  stata  la presentazione dell’annata 2009 organizzata da Francesco Tettamanti,  enologo e Direttore di Ticinowine,  “L’Arte di coltivare il vino”.  Francesco è stato mio gentile accompagnatore. Nel condurmi mi ha spiegato che la vendemmia del 2009 è coincisa con il venticinquesimo anniversario dell’Associazione vinificatori ticinesi,  l’AVVT .

Si é voluto celebrare l’evento con una collezione di vini a tiratura numerata, accompagnata dalla Guida alla degustazione a cura di Paolo Basso, il vice campione mondiale dei sommelier nel 2010. Apprezzabili  le originali etichette delle bottiglie con i ritratti dei produttori realizzate dal pittore ticinese  Gianluigi Susinno.

La serata poi  è  proseguita pressola Cantina Moncucchettodi Lisetta e Niccolò Lucchini. Visitando la moderna struttura firmata dall’architetto Mario Botta, ho apprezzato le scelte di Niccolò nel mantenere integro l’ambiente in pietra da cui è stata ricavata. Qui Paolo Basso ci ha guidato sapientemente  nella degustazione dei 6 vini che aveva selezionato per noi.

Seduta a fianco  a Lisetta ho passato la serata a chiacchierare come al mio solito sulla bella storia di vita percorsa con il marito Niccolò. Raccontandole alcuni miei sogni, lei mi disse: “Solo le grandi passioni riescono a trasformare le utopie in realtà.  E io ci credo pienamente, perché la passione è il motore della mia vita!




I miei tour Vinosi… ad Aosta. “La Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle”

L’impulso alla creazione della cooperativa tra i piccoli produttori di Morgex e de la Salle  fu data  dallo stesso parroco,  Don Alessandro Bougeat.  Nacque cosi’ l’Association des Viticulteurs  che diede seguito nel 1983  all’attuale  “Cave du Vin Blanc de Morgex e de la Salle”, che ormai annovera  un centinaio di soci attivamente presenti nella conduzione dell’ azienda.

Il vigneto ai piedi del Monte Bianco,  raggiunge  un’altitudine di 1200 metri.  Per salvaguardarlo dai  danni del  gelo e del vento si usa l’allevamento a pergole basse, sorrette talvolta da sostegni  in legno o da caratteristiche pietre tipiche  della zona.

Grazie  alle condizioni di temperatura e di secchezza nell’aria,  sono sfavorite  le malattie crittogamiche (malattie parassitarie causate da funghi),  con conseguente  minore necessita’ di trattamenti. Qui il  protagonista è il Prié  Blanc, vitigno autoctono selezionato  per  il suo  perfetto adattamento.

Durante la visita in cantina mi ha colpito sentire da Nelly Dainé la mia personale guida nonchè amica,  il motto della Cave: “In vigna come 2000 anni fa..  in cantina come fra 2000 anni”.  Bè, questo per far capire quanto tradizione e tecnologia debbano andare a braccetto.

Oltre a raccontarmi dei nove vini in produzione di cui sette DOC, si è soffermata in particolare sul loro figlio prediletto,  il  vin  de  glace denominato “Chaudelune”.  Eh sì,  perché questo vino da meditazione ha una  vendemmia invernale eseguita tra i  -5 e i  -10 gradi,   solitamente di notte.  Le uve vengono pigiate ghiacciate, e fermentate in botti di sette legni tipici valdostani piu due barrique di rovere.




Il Vino della Pace

Come diceva Madre Teresa di Calcutta, la pace inizia con un sorriso, ed io sorrido sempre…

Qualche giorno fa il mio sorriso si è rivolto a Luigi Soini, Direttore della Cantina Produttori a Cormons. Ma direte… di cosa stiamo parlando? Parliamo del “Vino della Pace”, ebbene sì! Ai più, ancora sconosciuto ahimè!
È nato come simbolo di unione e fratellanza tra i popoli e si è affinato col tempo. Confesso io stessa, che ne sono venuta a conoscenza recentemente, ma ho voluto prontamente rimediare.

Dovete sapere che questa Cantina aggrega duecento viticoltori e ottocento varietà di viti provenienti da ogni continente che convivono in un unico vigneto a Cormons.

Ma ci pensate che magnificenza si ha in quelle terre… Bè, io ho avuto l’onore di visitare tutto questo accompagnata da lui, Maestro Cantiniere promotore di un felice connubio tra vino e arte. Ma voglio raccontarvi meglio, perchè sono iniziative che meritano l’attenzione e la giusta visibilità.

Fissai un incontro, e come dico io… detto fatto, il giorno dell’appuntamento arrivò. Fui accolta da Luigi Soini responsabile del progetto.

Altoatesino di nascita ma ormai friulano di adozione. Nell’accompagnarmi nella visita, mi spiegava sollecitato dalle mie consuete domande le motivazioni che l’avevano spinto in questa direzione: “Unire le forze per formare una cooperativa”. Mi spiegò che la Cantina Produttori Cormons, nacque nel 1968 dando origine alla cosiddetta “Vigna del Mondo”.

La collaborazione dei soci, ha permesso nel 1985 di poter vedere concretizzata la prima vendemmia. Vi parteciparono attivamente cinquecento persone, tra i quali settanta ragazzi del Collegio del Mondo Unito di Duino a Trieste, in rappresentanza di 60 nazioni. E frutto di tutto ciò, fu un vino unico e amabile, il Vino della Pace simbolo di fraternità, dato in dono puntualmente ogni anno a ogni Capo di Stato civile e religioso come messaggio di pace fra i popoli.

Nella mia visita guidata fui condotta alle Cantine, che oserei definire una vera e propria galleria d’arte. Sì perchè dovete sapere che le testate delle grandi botti di rovere sono dipinte da pittori internazionali. Per non parlare poi delle preziose etichette dedicate alle bottiglie… c’è una vera e propria collezione di famosi artisti che si adoperano ogni anno alla loro esecuzione.

Da Enrico Baj che aprì la strada nel 1985 a Fernando Botero nel 2007, e molti molti altri… Il libro del Vino della Pace ne è fedele testimonianza e l’ho qui con me.  Sfogliarlo e leggerlo è un vero piacere, perché sulle etichette, oltre la mano dei pittori, hanno lasciato un segno tangibile i versi dei poeti.

Yoko Ono scrisse: “Un sogno fatto da soli è solo un sogno… un sogno fatto insieme, è una realtà”.

La nostra passeggiata in Cantina continuava, e Luigi mi raccontava dell’onore nel ricevere in visita personalità come Lech Walesa, Carlo Azeglio Ciampi, il principe Carlo d’Inghilterra, Francesco Cossiga, Enzo Bevilacqua, e molti altri. Ma il momento più emozionante fu quando venne consegnato il Vino della Pace a Papa Giovanni Paolo II presso il palazzo arcivescovile di Gorizia. Da quel momento venne concessa alla Cantina Produttori l’autorizzazione a produrre il “Vinum pro Sancta Missa” per il pontefice. Al termine della mia  visita, concludemmo il nostro incontro con un brindisi… un brindisi alla pace, alla gente di passione e alla felice continuità di questo progetto.
Al mio ritorno ho voluto regalare alcune bottiglie del Vino della Pace a degli amici che credo ne abbiano bisogno… perché si soffermino a pensare, perchè la pace innanzitutto va cercata dentro di noi.

“Il vino e la viticoltura sono stile… e non moda”
Luigi Soini

 




Io, Cristian Specogna… e i profumi della memoria!

E’ solito sentir dire che riaffiorano i ricordi guardando le vecchie foto. Sicuramente vero, ma avete mai provato a chiudere gli occhi mentre sentite il profumo  di un vino?  I profumi riportano la mente alla velocità della luce, e rifanno rivivere attimi vissuti…

E oggi vi voglio portare con me… Chiudete gli occhi e immaginate  una distesa verde tra colline e vigneti nel  silenzio della  natura.  Un vento dolce che vi accarezza la pelle, e  persi con lo sguardo  in tale bellezza assaporate la vita… Ebbene io sono li con Cristian Specogna, ricondotta dal  profumo di un vino friulano di sua produzione, che lui volle donarmi dopo il nostro incontro.  Il Picolit, vino antico e famoso che amo molto per la sua particolarità. Vitigno a bacca bianca autoctono dei colli orientali del Friuli. Il suo nome ha origine dai  suoi piccoli acini,  la cui produzione è così esigua a causa del cosiddetto aborto floreale. Ma che sarà mai direte?!  Semplicemente molti fiori della vite non si trasformano in frutti. E questa è la conseguenza di una limitatissima produzione.

Ma voglio raccontarvi  meglio…

Arrivai li in mattinata. Tutto era molto tranquillo, e il fatto di essere in anticipo, cosa assai rara per una ritardataria senza speranza come me, mi permise di fare un giretto in esplorazione. L’ambiente circostante era molto piacevole. Un saliscendi di colline mi allietavano lo sguardo facendomi  perdere come al solito nei meandri dei pensieri sulla vita.   Ma era giunta l’ora dell’appuntamento,  e quindi mi avviai verso l’incontro con Cristian. Non c’erano precise indicazioni di uffici di ricevimento,  e quindi alla vista della prima porta aperta chiesi: “C’è  nessuno?”  Spuntò fuori il viso di un ragazzo sorridente che mi accolse… Cristian Specogna.

Insieme uscimmo a passeggiare nei vigneti. Lui, preoccupato dei miei tacchi, e io per nulla.  Anni di esperienza mi permettono di andare dovunque, anche se devo confessare che adoro camminare scalza sull’erba!

Mi raccontò del nonno che, tornato dalla Svizzera, volle investire sui Colli di Rocca Bernarda acquistando un appezzamento di terreno. Graziano e Gianni,  i figli, diedero il primo impulso all’azienda fino a passare le consegne a lui e a suo fratello Michele.

Cristian sta eseguendo un egregio lavoro di marketing,  promuovendo la sua azienda e il territorio di Corno di Rosazzo a livello internazionale. Tale merito gli è stato riconosciuto nell’assegnazione dell’Oscar Green 2010  per la  categoria “Esportare il vino”  della selezione regionale della Coldiretti. E’ promotore insieme ad altri giovani produttori della zona del vino bianco “Blanc di Cuar”, che in dialetto friulano vuol dire Bianco di Corno. Questo vino è ottenuto da uve tocai… ops, che ho detto?!  Si, perchè è ormai risaputo che l’Unione Europea ci ha imposto di non  dire “Tocai”,  ma  “Friulano”.  Non ci va giù, ma è così! Ormai  il Tokaji, e’ ungherese! Noi  italiani però ora abbiamo il Blanc di Cuar,  più che un nome una poesia! Membro della Corte Ducale del Ducato dei Vini Friulani nata nel 1972 a Cividale, promuove e divulga la viticultura friulana.

Il tempo era passato veloce chiacchierando delle mia e della sua vita.  Non ci siamo fatti mancare aneddoti e risate, e neanche due fette di salame con un calice del suo vino. Con piacere  notavo che aveva l’abitudine di annusare il cibo che assaggiava… abitudine che apprezzo molto! Come proclamo sempre l’olfatto è il senso delle emozioni…  e insieme quella mattina, ne abbiamo vissute molte!




Una storia d’amore e di passione tra una donna e una vigna

E tutto iniziò tra le dolci colline di Champagnole, con il canto delle upupe e le anime della vigna…

Vorrei che mi leggeste, mentre vi accompagnano le dolci canzoni di Charles Aznavour e di Gilbert Bècaud, come è successo a me mentre vivevo questa mia avventura.

Ho pensato molto a come iniziare questa mia storia, una storia d’amore, di passione, di contrasti, ma una storia vera, una storia d’altri tempi, che ti fa credere nella gente, che ti fa sperare che il mondo può cambiare, che ti fa comprendere che il nostro legame con la terra è inscindibile, indissolubile, e solo lei ci può salvare.

La mia vita non è stata semplice, tutt’altro. Continui ostacoli da superare, a volte quasi insormontabili. Ma c’è una luce davanti a me che mi fa andare avanti, che mi fa credere nelle persone, che mi fa vedere quella fiamma che arde nelle anime, che ti trasmette energia ed emozioni, speranza e voglia inesauribile di assaporare la vita in tutti i suoi aspetti.  E io li guardo con la mia luce, e loro te la ritrasmettono. Ed è questa la cosa bella…

Questo mio racconto inizia una domenica come tante altre. Dopo un pomeriggio di chiacchiere con amiche, di ritorno a casa. Fui invitata a commentare un’intervista ad una donna, Anna

Ma non solo Anna, la titolare della cantina, gioca un ruolo importante in questa storia. Ci sono tante anime che intorno a lei fervono di energia, di passioni e di contrasti. Questa vigna, “la vera protagonista”,  ha un cuore che pulsa, e nonostante le continue avversità, tiene in piedi questo amore per la terra e incita tutti ad andare avanti.

Pensate che esagero… nooo! Ero li con Anna a passeggiare tra i filari di questa vite… li scaturiva energia, percepivo quasi una atmosfera magica. Ero avvolta da presenze che continuano a vivere nonostante le sciagure accorse. Sono percezioni che si devono provare. Sappiamo bene quanto siamo scettici quando non tocchiamo con mano. Vi chiederete il senso di questa mia affermazione, difficile a spiegarsi, sensazioni, si sensazioni provate nell’ascoltare Anna nei suoi racconti.

Passeggiando in quella vigna si avvertiva la presenza di Sabrina, compagna del titolare delle vigne, scomparsa dopo un male incurabile, e di Giuliano, amico e grande aiuto nei vigneti e nelle cantine, tragicamente deceduto dopo essere precipitato dal suo elicottero un giorno, poco dopo aver sorvolato quei filari. E che dire di Gianni titolare del vigneto… Con la sua eleganza e il suo fervore mi raccontava le storie della sua terra e delle tipicità Valdostane. E la dolce Nelly’, amica, promotrice e fotografa del vigneto.

E a guardare tutti loro, ero la io, tra le colline di Champagnole, piccola frazione di Villeneuve ad Aosta, deliziata, da tante belle anime.  E le upupe, con il loro piumaggio vistoso e il loro canto che riportava in me i bei ricordi dell’infanzia, in campagna dagli zii a Treviso.

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Ma iniziamo la mia storia…

Dopo avere letto l’intervista di Anna, nacque in me la voglia irrefrenabile di conoscerla. La passione che sentivo in quella donna mi apparteneva e mi attirava. Riuscii quindi a procurarmi il suo numero telefonico, e dopo alcuni contatti preliminari via mail, la chiamai.

La sua voce non smentiva le mie impressioni. Era lei la donna che avevo idealizzato. Dopo aver scambiato alcune confidenze reciproche sulle nostre vite, le dissi che avrei avuto piacere d’incontrarla. Lei non esitò, anzi mi disse che sentiva un legame recondito con la mia voce. Sensazioni disse, e insistette perché alla mia venuta mi fermassi direttamente da lei a dormire. La cosa mi procurò una forte emozione… Il fatto che una persona conosciuta così in un attimo,  potesse tendermi la mano, era per me fonte di felicità che esprimevo così. Sono un’inguaribile romantica sensibile, ma mi piaccio cosi, e non mi sforzo di cambiare.

Ci accordammo sulla data, e finalmente il momento arrivò. Disto da lei 200 km, e guidare mi piace, con le mie soste, fotografando qui e la. A volte fermandomi in posti azzardati. Se vedete una testa bionda con una macchina fotografica viola, sono io!

Finalmente arrivai a Champagnole. Vidi l’insegna stradale, e mi diressi verso una stradina di campagna sterrata tra due vigneti. Mi ritrovai in un cortile ghiaioso circondata da costruzioni tipiche. Non c’erano insegne relative al vigneto, quindi dopo aver parcheggiato la macchina, un po’ timorosa, incominciai a guardarmi attorno. Dovete sapere che sono molto curiosa, ovviamente nel senso positivo del termine. Mi piace godere con gli occhi di ogni angolo sperduto. Guardando qui e la, finalmente vidi una scritta a pennello tra grappoli d’uva su un muro bianco.

Capii di essere giunta finalmente a destinazione. Mi guardai attorno come in esplorazione.  Ero immersa nel verde di un giardino semi selvatico sotto un  vecchio tiglio. Poco distante vidi un pergolato in legno con a fianco un forno bianco in muratura, e una fontana dalla quale gorgogliava uno zampillo d’acqua che si riversava in un tronco di legno chiaro dipinto con maestria e richiami a tema. Mi adoperai subito con la macchina fotografica entusiasta di ciò che vedevo, scattando velocemente ogni angolo suggestivo. Un venticello delicato sembrava accompagnarmi, dandomi la sensazione di avvolgermi piacevolmente in un benvenuto abbraccio.

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In realtà mi sentivo osservata, io con il mio giacchino rosso, mi sentivo circondata da occhi curiosi. Tutto ciò fino all’arrivo di una macchina che parcheggiò a fianco alla mia, e che mi permise di uscire da quell’atmosfera sognante in cui mi ero immersa. Dall’auto scesero due persone di mezza età, che mi guardarono distrattamente.

Mi sentii in dovere di presentarmi anche se non mi fu richiesto, dissi loro che ero un’amica di Anna, e che la stavo aspettando. La signora bionda mi guardò curiosa, era accompagnata da un uomo che non mi rivolse la parola, alzò per un istante gli occhi senza darmi molta importanza. Non avendo ancora scorto nessuno dal momento in cui ero arrivata, mi permisi di chiedere loro informazioni, ma mi fu subito risposto che non sapevamo aiutarmi in alcun modo. Decisi allora di chiamarla al telefono. Mi rispose pronta, con tono vispo, dandomi precise indicazioni per raggiungerla in una trattoria poco distante dove stava pranzando con degli amici. Giunsi a destinazione in pochi  minuti.

Ad accogliermi sul ciglio della strada lei…

Dopo un abbraccio e i saluti preliminari le spiegai il mio arrivo, e seppi allora che alla vigna avevo incrociato i suoi genitori. Mi condusse al tavolo dove fui immediatamente accolta da visi sorridenti che con calore mi strinsero la mano bramosi di sapere cosa mi aveva condotta fin li. L’atmosfera si scaldò subito, e tra sorrisi e battute scherzose fui sommersa da domande. Gianni in particolar modo mi poneva continui quesiti, trovandomi pronta alle risposte. Notavo che mi ascoltava attentamente, curioso di capire quale forza mi avesse spinto tanto, da giungere a loro. La risposta io la sapevo bene: “Vedere la passione nelle persone ormai tanta rara, quella passione che per me è il motore della vita…”

Mentre il tempo passava velocemente,  mi rendevo conto di essere li fra persone sconosciute che pian piano non lo erano più. E io parlavo e parlavo, col mio fiume abituale di chiacchiere. Si, sono un’irriducibile chiacchierona, mi piace raccontarmi, convintissima che aprendosi sinceramente alle persone dai esperienza di vita e ne ricevi altrettanta. E’ come un viaggio virtuale, e mi piace, mi piace moltissimo ascoltare quanto le vite possano essere avventurose e a volte tragiche.

A farci capire che si era fatto tardi fu il cameriere che un pochino imbarazzato ci disse che erano prossimi a chiudere. Ci guardammo quasi sorpresi e ci rendemmo conto dell’ora. Decidemmo quindi di avviarci al vigneto per immergerci in quell’atmosfera che fortemente mi aveva calamitato li.

Appena arrivate alla vigna, Anna mi presentò i suoi genitori. La coppia mi guardava con occhio diverso, scusandosi per la fredda accoglienza al mio precedente arrivo. Poi, dopo le varie presentazioni di rito, decidemmo di fare una passeggiata tra i filari, io e lei.

Mi spiegò come giunse fin li la prima volta quando un giorno nella primavera del 2008 raggiunse i suoi genitori in un piccolo appezzamento di terreno della vigna preso in affitto ed adibito ad orto.  Vide un uomo, Gianni, che potava filari con un grosso forbicione. Osservandolo in quel rituale di movimenti,  pian piano gli fece capire il suo interesse, la sua curiosità, e decise di imitarlo.  Senza rendersene conto s’innamorò della vigna, di quell’atmosfera, e di quella pace che le dava il contatto con la terra.

In quel periodo Anna all’ora trentanovenne, aveva avuto problemi sul lavoro, grosse difficoltà con il suo diretto responsabile, grosse ingiustizie e accuse nei suoi confronti poi rivelatesi infondate. Le conseguenze furono drastiche e dovette suo malgrado andarsene.  Dopo una causa vinta rimaneva solo la soddisfazione di aver dimostrato la sua buona fede. Doveva ricominciare, ripartire, e si chiedeva come… Ma il destino spesso ci porta sulla strada giusta, sta solo a noi vederla…  E cosi fu… L’incontro con Gianni  e la sua proposta di gestire la vigna diede una nuova decisiva direzione alla sua vita.

Ma torniamo al suo racconto…

Mentre ci incamminammo, mi raccontava orgogliosa dei quattro appezzamenti delle sue vigne, dislocati in quattro diverse frazioni. Un totale di tre ettari di viticoltura eroica,  per le pendenze impervie del terreno che non sempre rendeva facile la sua cura. Anna mi disse che aveva dato ad ognuna un nome, ma che la sua preferita era “Tess”, quella più vecchia. Qui in particolare l’atmosfera che si respirava era carica di sensazioni magiche, io ero li, e riuscivo a percepirle insieme a lei.

Non saprei definire esattamente ciò che provavo. Eravamo li a parlare, così, come amiche da sempre, ma in realtà conosciute da poco, e tutto era molto spirituale. Le percezioni empiriche che provavo mi elevavano ad uno stadio quasi irreale, e dovetti risvegliarmi da un torpore ipnotico. La passionalità con cui Anna mi raccontava le vicende delle anime della vigna mi incantava. Ascoltandola avevo quasi l’impressione che quelle terre erano pervase da forze contrarie, negative e positive che si scontravano, ma che insistentemente predominasse l’amore e la passione, che vince contro tutto, permettendo di tenere in vita un sogno che io ormai sentivo fortemente appartenere anche a me. La vigna era la continuità della vita. Ero stata rapita da quella terra. La sua energia mi aveva conquistato e ormai non potevo più esimermi dall’impegno che pian piano senza rendermi conto andavo ad assumere.

Ma torniamo alla vera protagonista di questa mia storia…

Anna mi raccontò della vigna dello Chardonnay nella frazione di Verne, a Villeneuve. Sorgeva a 750 metri sul livello del mare e aveva un dislivello importante con conseguenti difficoltà nella sua gestione. Il secondo appezzamento era situato a Tessey vicino a Villeneuve, a 650 metri d’altitudine. Questa vigna la più vecchia risaliva al 1930, qui nasceva il Petit Rouge. La terza a San Pierre, era tutta terrazzata con muri in pietra a secco. E infine la quarta, del Pinot Nero e del Muller Thurgau si trovava a Champagnole. Qui c’era anche la cantina, il regno della vigna.

Mi raccontò quanto era difficile seguire i quattro appezzamenti, con i piccoli e grandi problemi di ogni giorno, ma le soddisfazioni erano tali che tutto passava facilmente in secondo piano. La gioia che le dava accudire la vigna, la ripagava della fatica. Poi grazie all’aiuto di Gianni e degli amici meravigliosi e costanti nel tempo, le giornate trascorrevano felicemente.

Mi raccontava come passava piacevolmente il tempo a legare i filari, facendo attenzione a non spezzarli. Durante il periodo della potatura quasi sentendo il “tak” nel taglio e nel cuore, nasceva quasi l’esigenza di scusarsi con la Signora Vite… così la chiamava lei. Poi, l’emozione di vedere sbocciare le gemme, i fiori, i pampini che si aggrappano con tenacia… sensazioni che ci regala la natura.

E che bello parlare con lei… si, parlare con la vigna…  perché  mi diceva “lei ti da lezioni di vita”.  E io ascoltavo Anna parlare, quasi in uno stato sognante e quanto la capivo.  Rivivevo la  mia infanzia, una bambina triste salvata dalla terra. Da ragazzina a Treviso avevo provato le medesime sensazioni nelle vigne dei nonni, e quanto mi avevano salvata,  e quanto volevo riviverle…

Il piacere di passare giornate all’aria aperta, i raggi del sole sul viso, camminare a piedi scalzi sul terreno, erano sensazioni impagabili. La vigna era insegnamento di vita, vederla cambiare col passare delle stagioni, vedere i coraggiosi filari che si aggrappano ai fili, come noi alla vita, le dava pace e  serenità interiore.  Il suo sogno era regalarla al mondo, producendo il vino della Pace. Utopia dite, forse si, forse no. Mi raccontava di come le facevano compagnia le upupe con il loro canto, quei bellissimi uccelli dai colori sgargianti, che nidificavano li nei campi.

E mi diceva che il suo sogno sarebbe stato quello di mettere musica classica nelle vigne. Ma ci pensate, estasi pura per chi può capirla. E tutte queste cure portavano alla tanta attesa vendemmia. Alla prossima parteciperò anch’io, e sinceramente non vedo l’ora. Per me rappresenta la celebrazione della vita, con musica e tanti amici, un ritorno alle belle tradizioni del passato, all’amore e alla passione per le cose semplici, per le cose vere. Un ritorno alla mia infanzia in campagna, i più bei ricordi della mia vita.

E con noi tutti ci sarà anche Sabrina, compagna di Gianni per tanti anni nella vita e nelle passioni. Lei aveva dato il primo vitale impulso alla vigna. Le strade del destino però avevano indotto li un’altra donna, Anna, anch’essa trentanovenne. Ecco le rose di Sabrina nel giardino che ogni anno continuavano a sbocciare, e che ricordavano a tutti come la vita continua… E ci sarà anche Giuliano, amico comune di Gianni e di Anna, persona dall’animo speciale, e grande collaboratore delle vigne.

E ritorneremo al passato con la pigiatura fatta a piedi scalzi danzando nei tini… e festeggeremo la vita…

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