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Con la mano sul cuore, scelgo l’extra vergine

Intervista di Luigi Caricato pubblicata il 17 Novembre 2013 su Olio Officina Magazine

Cinzia Tosini si definisce farm blogger. Così, di fronte al dilagare dei food blogger, c’è chi, invece, parte da una visione diversa, direttamente dalla terra, dai protagonisti del cibo prima ancora di approdare in cucina e poi sulle tavole.

  • Quale idea di olio lei si è fatta nel corso dell’infanzia? L’olio di quegli anni è stato quello ricavato dalle olive o un olio di semi?

La mia infanzia è legata all’olio molto più che per un’idea. Da bambina l’olio rappresentava la cosa buona, ciò che faceva bene, il prodotto prezioso e ricercato che andava usato con cura. Ero uno ragazzina gracile con una salute cagionevole, un’unica figlia di un padre dalle cure premurose. L’olio era la terapia naturale che lui non mancava di aggiungere ad ogni mio piatto. Ricordo ancora le sue parole: “Cinzia, papà adesso ti mette l’olio buono così diventi forte…” Crescendo la mia idea non è cambiata, tutt’altro, si è rafforzata. L’olio, quello buono, quello ricercato, continua ad essere protagonista nella mia cucina. Ovviamente l’olio di quegli anni e degli anni a venire, per me, è solo l’olio ricavato dalle olive. Null’altro a mio gusto personale ha mai retto il confronto.

  • Una curiosità: i sapori e i profumi dell’olio della sua infanzia coincidono con quelli che invece percepisce e apprezza oggi?

I profumi e i sapori dell’infanzia, essendo associati ai ricordi e alle emozioni, sono inimitabili e ineguagliabili. Come diceva l’antropologo Marino Niola – ciascuno di noi ha la sua madeleine, il sapore che gli ricorda la meglio età. Non è solo rimpianto dei sapori d’antan, ma uno stato di grazia da ricreare, una ricerca del tempo perduto. E quando ci riesce proviamo uno stupore infantile, una gioia bambinesca che ci fa socchiudere gli occhi di piacere… è tempo ritrovato. Tuttavia, lasciando da parte la nostalgia e scegliendo con attenzione, oggi si possono trovare ottimi prodotti dai sapori e dai profumi che fanno dell’olio extra vergine di oliva, una tipicità da promuovere e valorizzare per l’alta qualità ricercata da molti paesi al mondo.

  • Cosa apprezza di più di un olio extra vergine di oliva?

La cosa che mi piace di più in un olio extra vergine di oliva, è senza dubbio il suo profumo. Sentendolo non riesco proprio a far a meno di socchiudere gli occhi. Se è buono la mia espressione è di pura beatitudine, mentre se non lo è… bè, lascio a voi immaginare.

  • Quanto sarebbe disposto a spendere per una bottiglia di extra vergine?

Diciamo che, ovviamente senza esagerare, non bado a spese. Se penso che ci sono persone disposte a spendere cifre folli per acquistare un profumo, intendo per il corpo, mi viene spontaneo sorridere. Io non spendo cifre folli, spendo cifre ragionevoli per acquistare un prodotto di qualità che ricerco, oltre che per il buon profumo, anche per il buon gusto. Che ci volete fare… son fatta così!

  • A tal proposito, per lei la bottiglia che frequentemente acquista di quant’è? Da 250, 500, 750 ml o da litro?

Se è buono decisamente un litro, anche perché l’olio extra vergine di oliva per me non è solo un condimento, accompagnato dal pane è soprattutto il mio spuntino preferito.

  • In tutta sincerità, senza alcuna senso di colpa o imbarazzo, qual è il suo condimento preferito tra tutti i grassi alimentari?

Senza dubbio e senza incertezza, e aggiungo con la mano sul cuore, l’olio extra vergine d’oliva!

  • Basta olio. Veniamo al suo lavoro. A cosa sta lavorando?

Il mio vero lavoro, oltre che la mia passione e ormai la mia vita, è quello di raccontare ciò che la terra, attraverso l’esperienza delle persone che la lavorano e che la rispettano, permette di produrre. Il risultato di questa espressione è rappresentata dalle molte tipicità che fanno l’Italia un grande paese conosciuto nel mondo. La missione, mia, e quella tutti i veri italiani, è promuovere tutto questo.




Due chiacchiere con… Eugenio Peralta. Un uomo o una locusta?

Blog: L’uomo è una locusta

Eugenio Peralta, uno dei fondatori del sito-blog “L’uomo è una locusta”.

Ci siamo conosciuti a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esprimere la nostra esperienza nell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete. Come con tutti gli altri relatori del gruppo, ho voluto approfondire la sua conoscenza con una mia intervista, o meglio, con le mie: “Due chiacchiere con… ”

Oggi è il suo turno, vi presento Eugenio Peralta!

Conquistato come me e come molti altri dal fascino dell’enogastronomia, ha maturato un interesse sempre più vivo per le materie prime e per le storie che stanno dietro a una tradizione culinaria. Per il suo sito ha scelto una definizione un po’ azzardata, “L’uomo è una locusta”, vediamo di capire il perché…

Il National Geographic definisce le locuste insetti parenti delle cavallette, che, aggregate ad un gruppo, formano sciami fitti e voraci capaci di devastare intere piantagioni con ingenti danni all’agricoltura. A questo punto mi chiedo: “Ma veramente l’uomo è una locusta?”

La parola a Eugenio, un uomo o una locusta?!

Sono sicuro che molti dei miei conoscenti risponderebbero senza alcuna esitazione “una locusta”, ma in realtà scogliere il dubbio è impossibile perchè i due concetti coincidono: come recita il presupposto fondamentale della nostra associazione, ogni essere umano è portato per natura a consumare inerosabilmente tutte le risorse a sua disposizione, lasciando terra bruciata dietro di sé. Proprio come una locusta, appunto.

  • ‘L’uomo è una locusta’, direi un paragone un po’ azzardato…

Il paragone ha indubbiamente qualcosa di inquietante, ma se applicato alla (buona) tavola può avere anche risvolti molto piacevoli. Io e le altre Locuste fondatrici abbiamo scoperto per caso questa comune vocazione allo “spazzolamento di tovaglie” nel corso di un viaggio lungo la costa adriatica, nella lontana estate del 2003, e in qualche modo abbiamo tentato di condividerla con un pubblico più o meno vasto: prima creando un tradizionale sito statico – locuste.org – poi declinandolo in tutte le modalità suggerite o imposte dalle regole del web 2.0, da Twitter a Facebook passando per l’immancabile blog.

  • Quali sono i contenuti del vostro sito-blog?

I contenuti sono recensioni di ristoranti, con tanto di voti, giudizi e classifiche di merito. Attività innegabilmente simile a quelle di altre centinaia di siti, blog e comunità dedicati allo stesso argomento, spesso molto più rispettabili di noi. In quanto Locuste, però, nel nostro lavoro adottiamo qualche peculiarità distintiva: prima di tutto un parametro di valutazione molto particolare, basato sulla “quantità”, ossia sull’abbondanza delle porzioni. In tempi di nouvelle cuisine, le Locuste difendono con forza il principio che al ristorante si deve mangiare, e non soltanto assaggiare… senza per questo trascurare le altre fondamentali caratteristiche del locale da valutare: la qualità degli ingredienti e delle preparazioni, il servizio (inteso anche come ambientazione e location), e naturalmente il prezzo.

  • Che cosa rappresenta per te “L’uomo è una locusta” ?

Sito e blog per me sono sempre stati un hobby, per quanto a volte dispendioso in termini di tempo e di impegni, mentre il giornalismo con il tempo è diventato almeno in parte il mio lavoro: per questo non ho tardato a unire l’utile e il dilettevole, cercando per quanto possibile di arricchire i nostri spazi web con interviste originali, riflessioni sugli spunti più interessanti offerti dal settore, reportage dalle principali manifestazioni enogastronomiche, dal Vinitaly al Salone del Gusto. L’approccio, comunque, è rimasto in gran parte quello scanzonato e goliardico degli esordi: per rendersene conto basta partecipare a uno dei nostri raduni al Crotto da Gusto, vero locale-totem dell’associazione.

  • Le vostre recensioni hanno mai avuto seguito?

Abbiamo ricevuto numerose critiche, qualche mail minacciosa e un paio di annunci di querele (stranamente mai concretizzatisi!) da parte di ristoratori poco soddisfatti del nostro operato. Purtroppo il mondo non è fatto soltanto di cucine a tre stelle e anche laddove qualcosa non funziona, a nostro avviso, è il caso di parlarne, in una logica di servizio nei confronti del lettore. Spesso, insieme a molti altri blog “amatoriali”, siamo stati accusati di dilettantismo: anche in questo caso, però, mi sento di rivendicare il nostro diritto a esplorare, informare ed esprimere le nostre opinioni, per quanto poco qualificate possano sembrare.

  • Eugenio, puoi dirmi se, nonostante l’impegno e le critiche, ti senti soddisfatto?

Si Cinzia, questa mia passione mi ha consentito di incontrare nuove persone e nuove fonti di ispirazione. L’utopia è trasformare tutto questo in una parte del mio lavoro, il sogno è offrire spunti d’interesse e informazioni utili a chi ne ha bisogno. L’aspirazione a breve termine, invece, è più modesta: vorrei che la gente si fidasse delle pagine del nostro sito e smettesse di chiamarmi al telefono quando ha bisogno di un ristorante…




L’importanza di credere in se stessi… Vi presento Jenny Maggioni

Jenny Maggioni, capo redattore di Food&Beverage, mensile di enogastronomia. Ci siamo conosciute a Varese in occasione della manifestazione di Social Gusto, in cui si è trattato, con giornalisti e blogger, dell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete.

Ricordo ancora la sua risposta entusiasta, quando, ormai tempo fa, le dissi che avrei scritto di lei: “Cinzia, wow! Che onore! Ma non sono così importante!  Grazie davvero per questa opportunità! Io sto ancora crescendo… Social Gusto per me è stata una grande occasione umana e professionale. Magari la mia storia può servire a qualcuno, visto che non ci credevo nemmeno io!

Dobbiamo imparare a credere più in noi stessi, troppo spesso ci sottovalutiamo mettendo a rischio le nostre potenzialità. La cosa importante è non perdersi seguendo l’onda del momento, perché è il nostro credo che fa di noi quell’essere unico che fa la differenza. Certo, a volte così si rischia la solitudine, ma non c’è altra strada se non vogliamo perdere quell’entusiasmo che talvolta fa scattare in noi quel guizzo di genialità spesso messo in letargo…

Ma ora vi presento Jenny, la sua strada è ancora lunga…

Jenny Maggioni ha iniziato la sua esperienza giornalistica a montagna.tv, quotidiano online dedicato per l’appunto al turismo di montagna. Qui ha imparato l’importanza del lavoro di squadra, che poi, ha applicato alle redazioni nelle esperienze successive.

Negli anni a seguire, uno stage in un sito online di eventi di Bergamo e provincia, e successivamente l’approdo al mensile e quotidiano online di enogastronomia ‘Italia a Tavola’, l’hanno condotta fino alla sua nuova avventura di caporedattore nel mensile ‘Food&Beverage’.

Un altro suo sogno avverato è stato quello di scrivere per il suo quotidiano preferito, ‘style.it’. La soddisfazione poi, di veder pubblicato un suo articolo su ‘Il Fatto Quotidiano’ nella sezione donne di fatto, l’hanno portata a credere che l’impegno, la volontà, e soprattutto la determinazione nel credere in se stessi, siano elementi fondamentali nei traguardi della vita.

Jenny, voglio dedicarti le parole dello scrittore e poeta Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882),  leggile con attenzione…

Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d’occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti.

 È facile, nel mondo, vivere secondo l’opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l’uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l’indipendenza della solitudine. Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi.

Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tutta la storia si risolve agevolmente nella biografia di poche persone vigorose e serie.




Aldo Quinto Lazzari, “La storia dell’uomo attraverso il cibo”

Il passare del tempo è inesorabile, tic tac tic tac tic tac… spetta solo a noi decidere l’intensità di come vogliamo viverlo.  

Per quanto mi riguarda ho vissuto gli ultimi tre anni come se ne avessi vissuti dieci, e i precedenti dieci, come se ne avessi vissuti tre. Forse perché sento la necessità di recuperare tutto quello che non ho vissuto, o forse, più semplicemente, perché ora cerco di vivere tutto quello che posso.

E cosi continuo, su un percorso che non mi è ancora del tutto chiaro… incontro persone, a volte giuste e a volte sbagliate, seguo i consigli, ma soprattutto seguo il mio istinto. Così è stato, quando, seguendo un consiglio, ho incontrato Aldo Quinto Lazzari.

Un uomo non facile, l’ho capito dalla nostra prima conversazione telefonica. Un fiume in piena che mi ha travolto con i racconti delle sue tante esperienze di vita, una vita intensa con dure prese di posizione e continui cambi di rotta.

Pochi mesi fa, dopo una lunga malattia, l’ha lasciato per sempre sua moglie, Maria Rosa Gambi Lazzari, la compagna di una vita.

Sono andata a trovarlo, e, nell’intimità della sua casa, tra i tanti ricordi, tra le sue foto sparse ovunque e i suoi mille libri, ho passato un intero pomeriggio ad ascoltarlo, fino a che, arrivata sera, insieme abbiamo preparato la cena.  

Un incontro molto particolare, su cui ho dovuto riflettere, affinché prendesse un senso scriverne.

Aldo Quinto Lazzari è nato in Sabina. Durante la guerra viene mandato dalla famiglia a studiare sul Lago Maggiore. Deluso, dopo aver frequento una scuola di recitazione, si orienta verso l’aviazione, ma anche qui il suo carattere si scontra a breve con la burocrazia militare, e decide di dimettersi.

Verso la fine degli anni ’50 si avvicina al mondo agricolo ed alimentare. Affascinato dalla storia, e dall’evoluzione del cibo e dell’uomo, dedicherà gran parte della sua vita agli studi, fino a giungere alla pubblicazione della sua opera di maggior rilievo: “La Storia dell’Uomo attraverso il cibo”.

Una vita vissuta viaggiando, esplorando e studiando l’alimentazione delle varie popolazioni. Una vita intensa e piena di storie che non mi dilungherò oltre a raccontare, perché troppe le cose fatte da Aldo durante la sua vita.

Di quella sera mi rimarrà nella memoria un uomo che mi ha “ubriacato di vita”, che ha vissuto intensamente, e che ora vive tra i suoi libri e i suoi ricordi.

 Aldo Quinto Lazzari

Quando gli ho chiesto perché non andasse a vivere in campagna, lui quasi non mi ha ascoltato, il suo mondo è li, in quella casa.

Se penso a cosa mi è rimasto di questo incontro, è che più capisco i meccanismi con cui l’uomo fa girare il mondo, e più la natura e i suoi ritmi mi attraggono.

 




Oggi si parla di #SocialMedia con… Rosy Battaglia

Rosy Battaglia, blogger e giornalista freelance. Attiva nel campo dell’indagine sociale, ambientale, culturale e politica. Collabora a tutt’oggi con varie testate giornalistiche (Lettera43, Terre di Mezzo Street Magazine; Radiopopolare, Redattore Sociale).

Si occupa, inoltre, di Comunicazione e Social Media, come consulente, formatore in ambito non profit e Social Media Manager/Editor. L’ultimo progetto seguito come Social Media Editor è stato il festival del Giornalismo Digitale “Globalnews”.

Una presentazione di tutto rispetto direi! Rosy mi fai quasi paura! 😉

Ovviamente scherzo, ma solo  perché l’ho conosciuta personalmente durante “Social Gusto”, la manifestazione svoltasi poco tempo fa a Varese, che, oltre a promuovere la cucina Italiana di qualità, ha dedicato uno spazio a giornalisti e blogger per esporre le loro esperienze nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Una persona deliziosa nella semplicità e nella simpatia. Pensate che a fine conferenza ci ha deliziati con il suo tiramisù! Dico spesso di andare oltre le vetrine dell’apparenza, le sorprese sono inaspettate, a volte in positivo e a volte in negativo. Comunque sia, ci permettono un giudizio ed un’esperienza diretta e reale, ben lontana dal virtuale.

Detto questo entro in merito per farvi conoscere meglio Rosy, e per parlare di #comunicazione e #socialmedia, essendo io un’appassionata della comunicazione digitale.

Rosy, a te la parola… 🙂

  • Cibo, giornalismo e comunicazione ai tempi del web 2.0.”  Qual è la tua visione delle cose?

Direi che il web ha ampliato e diffuso la cultura del cibo, creando community e influencer per tutti i gusti. Ma da “La Cucina Italiana” ai food blogger  il vero paradigma è che, ai tempi dei social network, la condivisione di passioni è enormemente facilitata e alla portata di ognuno di noi. E questa mi sembra una cosa buona e giusta. 

  • Ti definisci “food blogger mancata.” Perché mai?

Nel mio Bat-blog, dove parlo di argomenti “tosti” dall’ambiente all’impegno sociale e civile c’è in bella vista la categoria “Food and Green”, corrispondente a due mie grandi passioni: cucinare per gli amici e curare il mio angolo verde. Mi sono accorta strada facendo che non riesco a raccontarle come avrei voluto, sono passioni che in una vita “ipersocial” ho riservato alla mia sfera privata, all’intimità.. Quindi nonostante io ami profondamente il cibo, la convivialità e la condivisione, sul web mi autocensuro. Anche se qualche foto di piatti e fiori su Instagram e Facebook ogni tanto “mi scappa”.

  • I Social Media in Italia non sono ancora opportunamente usati come dovrebbero. La risposta di molti è: “Non ho il tempo!” Una risposta che non considera la reale importanza di questi mezzi per la promozione dei prodotti, o per  migliorare la reputazione aziendale attraverso la condivisione di contenuti. Sei tu l’esperta, qual è la tua esperienza?

Confermo,  i social media in Italia non sono usati come dovrebbero esserlo. Dalle Piccole e Medie Imprese al Non Profit ma anche dai semplici cittadini e dalla Pubblica Amministrazione.

La cura della comunicazione e dei contenuti nelle piccole realtà, oltremodo, viene ancora poco considerata in termini di investimento. Eppure proprio il mondo dei Social Media, dai blog ai social network, permette davvero di far conoscere progetti e prodotti a platee, fino a qualche anno fa, inimmaginabili e a costi davvero irrisori. Certo è che non si può relegare la loro gestione all’improvvisazione. La comunicazione è un lavoro, e come tutte le professioni richiede tempo, passione e continua formazione. Chi ha intrapreso questa strada, individuando risorse all’interno della propria struttura o rivolgendosi a professionisti, sta già raccogliendo i frutti in termini di good reputation e visibilità.

  •  Sono donna romantica nel senso più lato del termine, amante delle tradizioni e della terra. Ma sono presente su… Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest, Tumblr, Path, LinkedIn, Foursquare, You Tube… insomma lancio in rete e condivido tutto quello che amo e in cui credo. Nonostante questo sono fermamente convinta che  i social che abbiamo l’opportunità di utilizzare, debbano unire e non sostituire la conoscenza diretta, esperienza indispensabile per vivere le realtà, e per conoscere i loro prodotti. Condividi…?

Condivido in pieno questa visione. In rete è possibile creare community su argomenti, battaglie, passioni. Ma i social network non sono il nostro unico mondo, sono solo un’altra rappresentazione delle nostre personalità e visioni. Non dobbiamo dimenticarci delle relazioni in carne ed ossa. Anche se è vero che dalla rete possono nascere amicizie ed amori, collaborazioni e network che, in ogni caso, per essere “sublimati” devono passare dalla sfera virtuale a quella reale…

  • Twitter e i suoi 140 caratteri, maldigerito da molti, io direi, non capito. Diciamo che l’imposizione della sua sinteticità mette molti in difficoltà, oltretutto non facendo trasparire grandi emozioni. Un cinguettio rapido dalle mille potenzialità che troppi ancora sottovalutano. Hai dei consigli da dare?

Concordo con la tua analisi, Twitter ha delle potenzialità incredibili, in termini di velocità e indicizzazione dei contenuti e può essere davvero molto utile sia per informarsi che per promuovere eventi e idee. Il punto è questo, Twitter più che un social network è un information network ma in Italia non è ancora molto usato in questa modalità. L’approccio è un po’ ostico è vero, ma una volta fatto proprio questo concetto, si può cominciare ad apprezzare anche la concisione a 140 caratteri.

  • Parliamo degli #hashtag, il famoso cancelletto # che, messo davanti ad una o più parole unite, permette di aggregare le citazioni di chiunque lo utilizza. Io ormai ne faccio un uso abbondante, anzi di più. Da quanto poi, non è più ad uso esclusivo di twitter, esagero… ma a fin di bene!  A questo punto ti chiedo: “Qual è in questo momento la parola della tua vita davanti alla quale metteresti un hashtag ?”  😉

In nome omen per cui ti dico #battagliera. Le sfide da raccogliere sono tante nella professione come nella vita. E io non mi arrendo.
 

 

 

 




Ritorno alle origini de “La Cucina Italiana” con… Anna Prandoni

Anna Prandoni, Direttrice de “La Cucina Italiana”. Ci siamo incontrate a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esporre le nostre esperienze, sia pur diverse, nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia. Una giovane donna che, nell’ascolto del suo intervento, ho trovato sicura e determinata.

Devo ammettere di essere più brava a mangiare che a cucinare, convinta che, si può amare l’enogastronomia nei suoi molteplici aspetti. Personalmente la cosa che più mi affascina, ovviamente oltre che assaggiare, sono le sue tradizioni e i suoi protagonisti. Mi piace andare alle origini. Per questo motivo, quando Anna ha regalato a ciascuno di noi relatori una copia della 1’ edizione de “La Cucina Italiana” del 1929, ho colto il gesto con molta emozione.

Oggi, oltre a farle qualche domanda per conoscerla meglio, vorrei citare alcuni passi di quella copia che ho menzionato poc’anzi. Un’edizione del 15 Dicembre 1929, la prima di ben 84 anni fa. Mi viene naturale paragonarla ad una signora elegante al passo con i tempi, di stile e amante delle tradizioni, che non trascura i dettagli, e che considera il cibo un elemento distintivo della nostra memoria e del nostro territorio.

Anna Prandoni

Insieme a Anna Prandoni a Social Gusto con Laura Pantaleo Lucchetti, Rosy Battaglia, Silvia Giovannini, Samanta Cornaviera e Jenny Maggioni – Giardini Estensi – Varese.

Anna, a te la parola…

  • Dunque sei Direttrice di un giornale, moglie e cuoca e… ho dimenticato qualcosa?

Sono anche una grande appassionata di danza classica e contemporanea, una famelica lettrice di romanzi e saggi, una Twittomane, e una viaggiatrice indefessa.

  • Dico spesso che sono una spina nel fianco dei cuochi. Li provoco un pochino perché ritengo che spesso si ecceda con i “fuochi d’artificio nei piatti”.  Tornare un po’ alla tradizione facendo cultura del cibo e del vino anche al ristorante, è cosa utile e buona. Due parole in più quando vengono serviti i piatti, o un vino, o i magnifici nostri olii d’oliva non guasterebbero proprio…

Sono d’accordo, ma allo stesso tempo ritengo superflue e debordanti le spiegazioni eccessive, soprattutto quelle che ti raccontano come devi degustare un piatto. Se senti il bisogno di ‘spiegarmi’ come devo affrontare la tua creazione, siamo in un ambito diverso dal nutrimento. Entriamo nel mondo della creazione artistica. E allora non sono al ristorante, come comunemente inteso, ma in un luogo dove assisto e partecipo ad una performance enogastronomica.

Finché non riusciremo a far capire al pubblico questa grande differenza, non saremo in grado di spiegare il perché di un conto astronomico, e nemmeno la valenza di Carlo Cracco rispetto alla trattoria tradizionale che cucina molto bene. Attenzione: non ho detto che preferisco l’uno all’altra: dico solo che bisogna a tutti i costi sottolineare le differenze per apprezzare al meglio entrambi.

  • Chef superstar, non se ne può più! Va bene che è il loro momento, ma caspita,  mi viene spontaneo chiedermi quando cucinano? Recentemente scherzando con alcuni di loro mi son chiesta quando faranno un film? Titolo: “Lo Chef che aspettava le sue… stelle” 😉  Esagero?

No. Ultimamente il nostro chef, scherzando, ha detto ad un suo collega stellato: più di tre non te ne danno, la quarta non l’hanno ancora inventata. Questo bisogno di affermazione è però ancestrale, secondo me: per decenni i cuochi sono stati relegati nelle loro cucine, a fare un lavoro duro in giorni e orari in cui le persone normali si divertono. Adesso che sono stati sdoganati, è anche comprensibile il loro sano bisogno di stare fuori dai loro antri.

Comunque la maggior parte di loro, nel segreto del confessionale, confermano di volerci tornare prestissimo. Poi, una precisazione: come dice Pierangelini rispondendo alla domanda ‘Chef, ma se lei è qui chi cucina stasera al suo ristorante?’. ‘Gli stessi che cucinano quando io sono al ristorante’. Sfatiamo un mito: lo chef vero, il capo di una brigata di cucina in un ristorante strutturato, non cucina mai: sta al pass, controlla i piatti, e si occupa dell’ideazione e della strategia del ristorante. Il bravo chef è quello che è in grado di trasmettere ai suoi collaboratori la sua storia e la sua tecnica, e renderli capaci di replicare i suoi piatti, anche senza di lui.

  • E’ l’era della nuova comunicazione Food blogger a go go! Con tutto il rispetto per la passione, tutti scrivono di cucina ormai. Che dire…

Che per fortuna nel mondo del cibo c’è posto per tutti. Il mercato, il web, i lettori valuteranno e daranno ragione ai contenuti migliori, così com’è sempre stato.

  • E ora passo a qualche citazione. Sto leggendo la prima edizione de “La Cucina Italiana” del 15 Dicembre del 1929: “Si può affermare che da qualche tempo la cucina familiare è in decadenza.” Direi più che attuale…

Attualissima. La prima copia è la mia coperta di Linus: ogni volta che devo fare una presentazione, o mi accingo a scrivere qualcosa la consulto: trovo sempre un passo, uno spunto, un accenno che mi da il ‘la’ per scrivere cose sagge e sensate anche oggi.

  • Continuo: “Si può star bene in salotto e stare bene in cucina; la dispensa deve avere per ogni donna (aggiungo ogni uomo) la stessa importanza del guardaroba come la cucina quella del salotto”.  Questo a sottolineare quanto sia importante ricercare la qualità negli ingredienti. Prodotti di cattiva fattura a bassi prezzi non ci devono ingannare…

Concordo. E non ci dobbiamo mai limitare alla sola cucina: la nostra rivista è da sempre anche un punto di riferimento per l’arte del ricevere. Non si cucina per ‘esercizio di stile’, ma per fare un dono d’amore alle persone più care. E quindi non si può servire una ricetta cucinata con amore su un piatto brutto o senza tovaglia, o senza accompagnarlo da una conversazione leggera e appropriata.

  • Concludo con questa: “Se nel secolo XIX ed al principio del nostro necessità superiori distolsero dalla cucina, occorre far tornare in auge l’arte culinaria che è il nesso essenziale dell’unione della famiglia.”

Amen! Che si tratti di famiglia ristretta, allargata, di amici o di parenti, la cucina è davvero il luogo magico, il collante indispensabile per fare di ogni consesso un momento unico e gioioso. Certo, non possiamo rovinare tutto con piatti cucinati male!

Belle risposte! Brava Anna, e… evviva La Cucina Italiana!




Due chiacchiere con un Fornaio Sovversivo, perché c’è pane e… Pane!

La ricetta: “Le Macine”

Sto andando dal fornaio a prendere il pane… lo adoro!

Avete presente quel profumo che si sente entrando in bottega… mmm, meraviglioso!  Ma attenzione, c’è pane e… Pane! 😉

Voglio fare un po’ di chiarezza! Oggi si va dal fornaio, ma per parlare di pane, di farine, di lieviti e… di pasta madre. 

La mia vittima di turno è Massimo Grazioli, un fornaio che ho conosciuto all’ultimo Raduno dei Sovversivi del Gusto.

Dal 1974, data d’apertura della sua bottega, produce con continuità prodotti da forno.

“Il pane, un sapore che ha il gusto della vita e che ti lascia senza parole, che ci accompagna e ci porta a spasso nel tempo. Massimo Grazioli”

Ma ora inforNiamo il pane, ops che ho detto, oggi… inforMiamo! 😉

  • Ciao Massimo, cominciamo dall’inizio, ma come si fa il pane?

Per fare il pane, ma che sia buono, è necessario utilizzare materie prime di qualità.Massimo Grazioli

Primo. L’utilizzo di farine integrali macinate a pietra è fondamentale.

Secondo. Dare la giusta importanza al tempo necessario a far maturare l’impasto, passo fondamentale per sviluppare profumi e aromi, e per renderlo più digeribile.  

Terzo. Il sudore e la fatica di chi fa il pane ti da la sua anima, ma in cambio vuole la tua.

Quarto. Il lievito madre.

  • Parliamo di un fungo. Eh si, proprio un fungo, “il lievito”. Dunque, si sente parlare di lievito di birra, di lievito madre… Facciamo un ripassino?

Il lievito madre è una coltura di microrganismi, funghi e batteri vari, il cui metabolismo produce una fermentazione, cioè trasforma gli amidi della farina in anidride carbonica e in alcool, facendo lievitare l’impasto.

La vera peculiarità del lievito madre, è che fra i vari funghi e batteri (le due specie sono cugine), sono presenti batteri lattici e acetici che producono una serie di acidi organici e danno al pane, fatto col lievito madre, caratteristiche uniche in fatto di aroma, digeribilità e conservazione.

A differenza, nel lievito di birra sono presenti solo funghi (Saccaromiceti) che fermentano si, ma producono pochissimi acidi organici. Lo si capisce benissimo dall’aroma del pane.

  • Ora passo ad un argomento che definirei scottante, mi riferisco alle farine. Diciamo che c’è un po’ di confusione tra il consumatore, anche perché tristemente ci sono farine di cattiva e dubbia provenienza. Vuoi parlarmene, e soprattutto, dare qualche consiglio per una scelta più consapevole?

Dal mio punto di vista è fondamentale usare quelle macinate a pietra, che siano integrali,  e che possibilmente provengano da cereali di agricoltura biologica. Da qui ha origine il vero valore del pane per chiunque decida di panificare in modo casalingo o professionale.

Ti confermo poi, che nel mondo delle farine provenienti da mulini industriali, non sempre tutto è chiaro e limpido. Direi a questo punto, che è preferibile acquistarle da piccoli mulini che macinano a pietra, oppure tramite i GAS, o infine nei negozi specializzati tipo Natura Si.

  • Nell’impasto anche l’acqua ha la sua giusta importanza. Tu che acqua usi?

Per l’acqua io uso un dispositivo che la rende più leggera togliendo anche un po’ di calcare.

  • Sale o non sale, nel senso che alcuni lo usano altri no. Quando, come e… quale va usato nel pane?

Si per il sale, e solo sale marino integrale. Io uso il sale di Pirano che è anche meno amaro. La percentuale è del 1,6 % su ogni kg di farina. Inoltre, con le farine integrali più ricche di sapore, se ne ha minore necessità.

Per concludere ti chiedo una ricetta con il pane, una della tradizione, come piace a me! 🙂

Eccoti accontentata Cinzia, ti darò la ricetta per fare “Le Macine

 

Ingredienti :

·       800 gr. di farina macinata a pietra “Le Macine” del Mulino Marino

·       200 gr. di segale integrale

·       650 cl. di acqua a 28 °

·       400 gr. di lievito naturale a maturazione pronta

·       15   gr. di sale

 

Preparazione :

  • Impastare il tutto, tranne che per il sale, e per 50 gr. di acqua che aggiungeremo solo alla fine per bilanciare.
  • Lavorare l’impasto lentamente fino ad ottenere un panetto  ben formato.
  • E’ fondamentale che la temperatura finale dell’impasto sia di circa 27/28 gradi.
  • Lasciare lievitare al caldo per più di 2 ore.
  • Quindi formare la pagnotta, e lasciarla lievitare per altre 2 ore.
  • Infornare a 210° per 60 minuti.
  • Infine spegnere il forno, lasciando all’interno le macine per altri 10 minuti a sportello socchiuso.

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La Bottega del Pane di Massimo Grazioli

dal 1974

Via Rossini 15 – Legnano (MI)

e-mail: massig61@alice.it




Facciamo la caccia al tesoro? Anzi… all’etichetta! Vi presento Sara Cordara

E’ estate, è tempo di spensieratezza, di giochi e di allegria. Bene, ho pensato di fare una caccia al tesoro, che poi, se è veramente un tesoro, è tutto da verificare! Come? Il gioco, che poi gioco non è, si svolge leggendo le etichette dei prodotti che acquistiamo! Ma quanti lo fanno? E soprattutto, quanti riescono a capire quello che leggono! A volte mi chiedo se certi produttori pensino che i consumatori siano dei piccoli chimici!

Se riflettete bene, quello che leggete, e quello che per lo più non capite, ve lo mangiate!

Oggi vi lancio una sfida! Insieme a Sara abbiamo deciso di  fare un giochino estivo, si chiama “caccia all’etichetta”. Ovviamente mi riferisco a quelle ingannevoli, quelle fatte per gli ingegneri nucleari, che forse poi, non capiscono neanche loro!

Queste le regole: quando non capite che cosa leggete, o quando qualcosa scritto sull’etichetta non vi convince, inviateci una foto, Sara Cordara sarà il nostro Sherlock Holmes… ma dell’etichetta!

 Bene, vi presento la nostra investigatrice specialissima! 😉

Sara Cordara, biologa, nutrizionista e specialista in scienza dell’alimentazione. 

Da anni si occupa di comunicazione nutrizionale e di divulgazione scientifica. Si batte per difendere e valorizzare il Made in Italy, e per un’etichettatura alimentare più chiara, meno fuorviante e ingannevole, a tutela del consumatore.

  • Ciao Sara, leggo che da anni ti occupi di comunicazione nutrizionale. Mi sembri molto giovane, vuoi raccontarmi brevemente il tuo percorso professionale?

Dopo la laurea quinquennale in scienze biologiche con una tesi sull’aspartame,  il dolcificante chimico più discusso da tempo, ho deciso di specializzarmi in scienza dell’alimentazione. Mi affascina tutto ciò che è nutrizione a 360°. Ho lavorato per un paio di anni presso un laboratorio di ricerca dell’ospedale Luigi Sacco di Milano ma mi sentivo un topino da laboratorio.

Avendo sempre avuto una piacevole parlantina, ho iniziato a collaborare come divulgatrice scientifica con alcune riviste di benessere come Viversani&belli.  Attualmente supporto il dipartimento di marketing di Yakult, un’azienda specializzata in probiotici e con loro seguo un progetto con dei runners. Ho anche una mia rubrica di nutrizione su una radio piemontese.

Sono dell’opinione che la migliore forma di comunicazione sia il contatto diretto con la gente, una volta c’era il cartaceo, ora si comunica attraverso i social come facebook e twitter, i siti web, i blog.  A mio parere funziona, si riesce a interagire bene, purché la comunicazione sia pulita e fatta con intelligenza.

  • Ti batti per valorizzare il Made in Italy  attraverso un’etichettatura più trasparente che indirizzi il consumatore verso una scelta più consapevole. Vista la tua esperienza, qual è la situazione attuale?

Il consumatore medio legge le etichette alimentari ma comprende ben poco, e non è da biasimare. Negli ultimi anni ho ricevuto molte segnalazioni di etichette indecifrabili e incomprensibili. La colpa è di un sistema che funziona male e spesso parte direttamente dalla Comunità Europea.  

Faccio un esempio, proprio recentemente non è passato da Bruxelles il provvedimento sul tappo anti-rabbocco per evitare che nei ristoranti l’olio di oliva venga continuamente miscelato con quello vecchio, magari con quello di semi. Sarebbe stato un modo per tutelare il nostro olio di oliva, il “re” della dieta mediterranea.

  • Sono una convinta sostenitrice dell’educazione alimentare fin dall’infanzia, ma non solo. Anziché prescrivere medicinali a iosa, proporrei corsi per patologia al fine di educazione i pazienti ad un corretto stile di vita, evitando l’abuso farmaceutico, che ahimè, è troppo diffuso a livello mediatico. Sono ripetitiva, lo so, ma mi chiedo se a lungo andare questo mio pensiero si possa trasformare da utopia a speranza…

Una sana consapevolezza alimentare prende forma durante l’infanzia e l’adolescenza, e qui che i genitori devono lavorare duro, una volta adulti diventa complicato modificare le proprie abitudini. L’obesità infantile purtroppo è sempre più in aumento portandosi appresso tutte le complicanze correlate come il diabete e l’ipertensione.

Una buona educazione nasce dal nucleo famigliare; durante i miei seminari nelle scuole elementari non è infrequente trovare bambini che non mangiano il pesce perché non essendo gradito da uno dei genitori non viene cucinato. Poi c’è il problema del junk food, il cibo spazzatura comodo ed economico che dilaga sempre più.

Forse sarò troppo dura, ma sono dell’idea che il consumismo e molte aziende alimentari vadano a braccetto con quelle farmaceutiche, le prime ci ” ingozzano di cibo” e le seconde ci “curano”, l’una non può esistere senza la presenza dell’altra. Quest’ultimo concetto riassume un po’ la mia opinione in merito.

 



Oggi non si chiacchiera, shhh… si ascolta! Vi presento una massaia moderna!

Samanta Cornaviera, un po’ veneta come me… speaker per la radio e per la pubblicità, cuciniera per passione e tradizione, professione: “Massaia, ma… moderna!”

Posso dirvi solo che Samanta è un vero portento! L’ho conosciuta recentemente partecipando a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esporre le nostre esperienze nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Una forza della natura, un’appassionata come me alle tradizioni e alla storia. Pensate che ha raccolto moltissime ricette del Novecento. Io le adoro! Se volete ascoltarle in pillole formato audio, le trovate qui.

Ho chiesto a Samanta cosa vuol dire essere massaia moderna oggi, se è un’utopia o se è ancora possibile. Le ho chiesto anche come è iniziata la sua collaborazione con la rivista “La Cucina Italiana”,  e poi le ho chiesto… anzi, visto che lei una speaker, direi che l’unica è ascoltarla! 

Shhhh… silenzo! 😉

“Le nostre signore sanno che la donna moderna non può scindersi dalla massaia moderna.  Si può star bene in salotto e stare bene in cucina; la dispensa deve avere per ogni donna la stessa importanza del guardaroba come la cucina quella del salotto.”

Da “La Cucina Italiana” – N. 1 Anno 1 – 15 Dicembre 1929

 




Due chiacchiere con… una Mamma Bionica!

Direte, mamma bionica, ma in che senso ?! Nel senso che Laura Pantaleo Lucchetti è una mamma specialissima con ben sei figli! Ma non solo, oltre che mamma lei è una cara amica e collega, visto che entrambe collaboriamo con il Cavolo Verde, rivista enogastronomica on-line.

Alcuni già la conoscono, tanti altri ancora no. Ho deciso di presentarvela: eccola, da “Una mamma e sette laghi”, il suo blog personale. 

  • Ciao Laura, ricordo la prima volta che ti ho conosciuta… Inizialmente attraverso la lettura dei tuoi scritti, poi, di persona, a Olio Officina Food Festival 2013. Una donna semplice, dolce e grintosa. D’altronde non potrebbe essere diversamente con una famiglia così numerosa, una vera e propria “impresa familiare.” 😉 Io sono figlia unica con un figlio unico, ma ho un profondo senso della famiglia. Sono stata sposata per molti anni con un uomo con sette fratelli, quindi una vaga idea me la sono fatta. Certo, gestirla è tutt’altra cosa.

        Laura, cosa significa oggi avere sei figli? Sospira prima di rispondere…

Mia cara, innanzitutto ti ringrazio per queste bellissime parole e per avermi dedicato questa pagina. Ho preso un bel respiro e mi sono pure seduta (inaudito!). Allora, andiamo per gradi. Essere genitori di prole numerosa non è mai stato facile, penso. Solo che ci sono un po’ di distinguo da fare.

Una volta tutte le madri di famiglia non particolarmente agiate, sia che avessero un figlio solo sia che ne avessero dieci, lavoravano o dentro o fuori casa. Chi faceva la magliaia, chi andava all’opificio, chi nei campi… è storia, e se uno si documenta bene (prendi ad esempio Carlo Maria Cipolla, il mio personale vate della storia economica) se ne fa una ragione. E’ che oggi il modello prevalente di famiglia è quello atomico, perché si vive lontano da quelle di origine. Un tempo, invece, nonni e genitori vivevano nella stessa cascina, nella stessa contrada, nello stesso paese, e c’era sempre una zia o una matriarca ad occuparsi dei bambini e del desco mentre i giovani – donne e uomini – andavano a lavorare. La casalinga, anche linguisticamente (prendi un qualsiasi dizionario etimologico e te ne accorgi), nasce con il primo Novecento, con gli spostamenti dai luoghi natii, ed ha un successo strepitoso con la ricostruzione e con, consentimelo, gli agi che questa ha portato. Il modello atomico  si rinforza negli anni con i problemi annessi: le nuove famiglie hanno una disperata necessità di creare ex novo un sostegno organizzativo che precedentemente faceva parte integrante della società e non era mai stato messo in discussione. Le donne, così, smettono di lavorare dovendo occuparsi tutto il giorno di prole e casa. E cominciano a diventare schiave delle pulizie domestiche, delle mode mediatiche e dei figli…

Facciamo un salto generazionale. Oggi a livello organizzativo come siamo messe? La verità è che facciamo pochi figli, e questo non dipende solo ed esclusivamente da motivi economici. Dipende da fattori organizzativi che spesso e volentieri esulano dalle possibilità della sola donna: o è la coppia ad organizzarsi o la vedo dura, e comunque senza aiuti esterni è particolarmente complicato far quadrare tutto. Ripeto, non è solo questione di soldi. E, se me lo consenti, il cliché casa perfetta gioca a sfavore del numero di figli. La donna si fa un punto d’onore ad avere tutto in ordine farmaceutico. Mi spiace ma io non ci sto. Non si può pretendere che una casa funzionale alle esigenze di una famiglia con bambini sia perfetta. Ecco perché mi sono creata questa “finzione” del bionico: bisogna, in una famiglia moderna, avere tante periferiche a portata di mano per le varie necessità familiari. Se la casa non è lustra alla perfezione, se i bambini hanno qualche macchiolina sulla maglietta, se i jeans li stiriamo addosso, a chi interessa veramente? Solo alla suocera o all’amica snob. Chi ti vuole veramente bene passa sopra anche alle ragnatele.

Per concludere, oggi, forse, è più difficile portare avanti una famiglia numerosa perché le pretese dall’esterno sono troppe, esagerate. La vita frenetica e mondana, le mode mediatiche ti impongono dei ritmi sconvolgenti. Puoi benissimo farcela con tanti figli, anche a lavorare fuori casa (o dentro, come faccio io che scrivo per mestiere), ma a patto di sopportare su di te l’opinione altrui, spesso invadente, quasi sempre contraria. A partire dai familiari. Pensa che noi non andiamo in vacanza da sette anni, stiamo benissimo così immersi nel nostro verde e andando al lago quando ci è possibile… e ci viene rimproverato come se facessimo mancare ai nostri figli un bene primario. E’ tutta una questione di prospettive.

  • Ora chiudo gli occhi e immagino di vedervi tutti insieme seduti a tavola a pranzare. Ho una visione allegra, e non posso che sorridere… Non vedo però che cosa hai preparato. Me lo descrivi? 

Per pranzo – papà è tornato dalla notte e la tavola era al completo! – c’erano delle polpette di pane e ricotta ricavate dagli avanzi di cucina. Costruisco spesso pranzi e cene dagli avanzi, almeno due-tre volte la settimana. E’ divertente, sano, economico. Coinvolgo anche la fantasia dei bambini, sia nella preparazione sia durante il pasto. La mia filosofia culinaria può essere tranquillamente definita un elogio della polpetta e del polpettone! Le polpette fanno allegria, sono piccole, tonde, praticamente perfette. Agli occhi dei bambini sono il non plus ultra; ma anche a quelli dei grandi. Cosa ci vuole a fare una polpetta? Praticamente niente, o quasi. Pensa che io ne preparo una trentina ad infornata ed è raro che se ne avanzino…

  • Ci siamo già trovate due volte insieme per esporre pubblicamente il nostro pensiero sulla comunicazione e sulla promozione enogastronomica in rete. Personalmente non sono molto abituata, cerco di essere me stessa dicendo semplicemente quello che penso e quello in cui credo. Tu invece, anche se fai la timida, mi stupisci sempre piacevolmente per la sicurezza nell’esporre i tuoi pensieri. Sicuramente la tua esperienza di speaker radiofonica ha molto contribuito. Mi racconti qualche ricordo di quel periodo? 

Certamente. Da una puntata ”zero”, che condussi nel maggio 2008 senza prevedere onestamente il seguito, mi “scritturarono” per altri tre anni di conduzione. Facevo un programma di cucina e successivamente anche di libri per bambini – la mia vera passione! – assieme alla collega Ilariamaria. La trasmissione andava in onda su Radio Padania e continua tuttora, ma io ho lasciato per motivi vari – principalmente per la gravidanza e la nascita di Giovanni – nel luglio 2011. Conducevo la mia parte al telefono, come una sorta di moderna Lisa Biondi. Mi emozionava sempre il riscontro con l’ascoltatore e le telefonate erano aperte e ovviamente non potevo prevedere cosa mi avrebbero chiesto. Mi divertivo moltissimo ma mi preparavo anche molto bene il canovaccio sui cui giostrare la puntata. Un’esperienza che mi aiutata sicuramente ad interagire con il pubblico, ma io sono naturalmente portata alla socialità… con tutti i figli che ho, praticamente conosco tutte le mamme del quartiere!

  • Bene, che ore si son fatte? Quasi quasi facciamo merenda, ma… una merenda letteraria, 😉 magari nel parco, e con tanti bambini! Dai che scherzo, ma neanche tanto, visto che io la merenda la faccio ancora!  Qualche giorno fa mi è piaciuto molto ascoltarti mentre mi parlavi delle tue belle merende educative, durante le quali, oltre a leggere favole e racconti, prepari ai bambini spuntini con ingredienti semplici e genuini. Se dipendesse da me, inserirei educazione alimentare come materia scolastica obbligatoria…

Sarebbe bellissimo! Allora, la cosa è nata in maniera molto spontanea. Mio marito da un bel po’ di tempo è di guardia tutti i santi venerdì o quasi, per tutto il giorno. Quindi, soprattutto adesso che ci sono le belle giornate (come no: in questo momento sta grandinando!), mi ritrovo a dover organizzare le uscite di comitiva (!) da sola. Mia madre abita abbastanza vicina ma cura mio nipote, e mia suocera vive a venti km di distanza. Quindi mi devo organizzare proprio con le mie uniche risorse. Sei bambini al parco ti scappano da tutte le parti: così un venerdì che ero un po’ stanca mi sono portata un libro, la torta al cioccolato appena sfornata, acqua naturale e bicchieri di plastica, mi sono seduta sotto un albero al fresco con la mamma della compagna di banco di Carolina e ho iniziato a leggere un racconto di Gianni Rodari, che era delle mie parti. In breve sono accorsi un po’ di bambini incuriositi, e dietro l’offerta di un pezzo di torta si sono seduti e hanno ascoltato il racconto. Era un pezzo che mi stava particolarmente a cuore, l'”Apollonia della marmellata” dalle “Favole al Telefono”.

Parla di una signora della Valcuvia (sopra Varese) che sa fare la marmellata con tutto, persino i ricci delle castagne e i sassi. Da quel giorno ho deciso che avrei continuato con queste merende letterarie, portando con me un pezzettino di letteratura locale per ragazzi. Domani offrirò la terza di queste merende. Lo scopo è duplice: fermo restando il tenere a bada per una mezzoretta i bambini, il che fa rinfrancare un po’ le mamme, e offre lo spunto di socializzare; succede che i bambini sentono pagine letterarie un po’ fuori dagli schemi – come ad esempio “Le avventure di Pierino” di Piero Chiara – e poi, pian piano, come nel nostro caso, si attira l’attenzione mediatica. Perché quel parco dove faccio le merende, il parco Molina di Varese, è proprio maltenuto, dimenticato dall’amministrazione locale.

I giochi sono malconci. Ragazzi grandi invadono con pallonate la piazza ai bambini piccoli nonostante il divieto di giocare a pallone. Uno strapiombo senza protezione (l’anno scorso stava per caderci il figlio di una mia amica) delimita la corsia dedicata alle biciclette e agli skateboard. Siccome il mio quartiere è piuttosto umile e decentrato, viene dimenticato da tutti. Eppure quel parco è l’unico polmone verde che tanti bambini si possono permettere per tutta la stagione bella. Tante volte abbiamo chiesto interventi mirati al Comune, ma c’è stato un unico restauro un paio d’anni fa e non è risultato conforme alle aspettative. Quindi queste merende letterarie vogliono attirare l’attenzione su un problema sociale e strutturale che è urgente da ridefinire.  

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