1

“Due chiacchiere con… Maria Elena Curzio, una cuoca a domicilio”

Maria Elena Curzio, Presidente dell’Associazione Nazionale  Cuoche a domicilio.

Un’infanzia trascorsa con sua nonna Jolanda, donna verace del sud che cucinava ascoltando musica lirica napoletana, che raccontava le ricette come se fossero fiabe, che parlava con gli ingredienti… che le diceva che “ogni ricetta custodisce un segreto”.

Ho conosciuto Maria Elena a Olio Officina Food Festival, tra le donne dell’olio. Li abbiamo chiacchierato a lungo sulla voglia di recuperare le tradizioni della cucina di una volta, quella semplice, quella della nostra infanzia.

Con Maria Grazia Barone, Maria Elena Curzio e Laura Elisa Turri.

Con Maria Elena Curzio e Laura Elisa Turri.

  • Maria Elena, le passioni nascono spesso dalle esperienze fatte crescendo. Com’è nata la tua?

Ricordo quando mia nonna faceva la “frittata di pasta con il tesoro”. Una frittata tradizionale con l’aggiunta della mollica usata per pulire la ciotola nella quale aveva sbattuto le uova. Nonna Jolanda diceva a noi nipoti che chi trovava la mollica avrebbe avuto fortuna. E’ da qui che è nata la mia passione… dall’odore della pastiera infornata di notte, dalle patate fritte preparate quando ero triste. Cucinare è dare amore a chi si ama.

  • Sei Presidente dell’Associazione Cuoche a domicilio. Come ti è nata l’idea di fondarla?

Dopo un tumore al seno fortunatamente superato, ho deciso che avrei vissuto la mia vita trasformando la mia passione per la cucina in un mestiere, per creare qualcosa di mio. Ho deciso di affinare la mia professionalità non con corsi di cucina, ma lavorando nella cucina di un grande chef, Gennaro Esposito. Da lui ho imparato la fatica del lavoro, il rigore, il rispetto per i prodotti, il lavoro di squadra.

A lui parlai del mio sogno e del lavoro che volevo intraprendere. Dopo avermi ascoltato mi lanciò una sfida. Avrei dovuto trovare donne che cucinando nelle case delle persone, trasferissero la passione per la cucina e per le tradizioni… insegnando il buono. Mi avrebbe invitato alla famosa Festa a Vico che lui organizza ogni anno. Così è stato. Dopo aver contattato via internet tantissime cuoche a domicilio il 25 maggio del 2011 è nata l’Associazione Nazionale Cuoche a domicilio.

Lo scopo che ci prefiggiamo è la valorizzazione, la conservazione, e la divulgazione delle ricette culinarie tradizionali italiane. Le cuoche che ne fanno parte con le loro iniziative e la voglia di mettersi in gioco, si propongono di rieducare coloro che le seguono, al piacere dei profumi e del gusto del cibo, nobilitando il lavoro della donna che cucina.

  • Tra i tuoi associati hai solo donne o hai anche richieste  di… “cuochi” a domicilio?

Ho scelto di avere solo donne perché  il mestiere di cuoco a domicilio nasce al maschile con i “monsù”, i protagonisti che, con la loro arte culinaria, cucinavano ai nobili. Un retaggio culturale che conduceva solo gli uomini ad essere chef. L’economia, la cultura, la tradizione, l’educazione alimentare era mestiere delle donne che io vorrei nobilitare con il loro lavoro e con i lussi della semplicità.

  • Come si svolge esattamente questa vostra attività?

Chiamare una cuoca a domicilio è un’esperienza unica; una persona che porta con se la passione e la gioia di cucinare. Insieme alla padrona di casa valuta le intolleranze, decide il menù e l’allestimento della tavola. E’ la cuoca a domicilio che va a fare la spesa. Qualche ora prima dell’evento arriva come una Mary Poppins con valigie magiche piene di bontà e di attrezzi che in cucina daranno vita alla magia. Mentre la padrona di casa intrattiene i suoi ospiti, serve i piatti agli invitati e racconta le preparazioni nell’attesa di vedere le espressioni del piacere di assaggiare.

  • Mi racconti qualche esperienza di vita reale vissuta nello svolgimento della vostra attività ?

Ti racconto una bella esperienza ed una complicata.

La bella esperienza è quella della prima volta che ho partecipato alla festa a Vico. Dovevo preparare il pranzo dopo la conferenza stampa alla quale erano presenti tantissimi chef sellati e critici enogastronomici. Nel contempo dovevo coordinare in un’enorme cucina professionale le cuoche a domicilio che non avevano mai cucinato insieme. Una prova durissima che abbiamo superato  preparando le ricette della nostra tradizione a noi ben note. Il complimento più bello è stato quello ricevuto da un famoso chef che ci ha detto: “Rimanete come siete… voi siete preziose”.

L’esperienza difficile è stata quando abbiamo cucinato al simposio tecnico sul pane italiano, il Comunipane, presso il Molino Quaglia delle farine Petra. Erano presenti solo due piastre ad induzione. Abbiamo preparato la pasta in condizioni proibitive senza un lavello. L’esperienza e le tecniche acquisite però hanno fatto si che tutto sia andato bene.

  • Dunque ora parliamo di grandi chef. Come ho scritto recentemente in un articolo, io sono quella “fastidiosa” per alcuni di loro… quella “rompi”, quella che a volte li prende in giro per l’esasperazione dei piatti.  Non hanno capito che le mie sono solo provocazioni per riportarli alla tradizione. Qual è il tuo pensiero in merito?

Come rompi sono forse peggio di te. Anch’io penso che la tradizione e le radici siano alla base di tutto. Se dimentichiamo da dove partiamo non sapremo più dove tornare. I grandi chef  con le loro divagazioni stanno massificando tutto. Io combatto per la difesa del piccolo produttore locale, per il profumo del pane aspettato con pazienza, voglio insegnare il buono, voglio raccontare la vita degli ingredienti.

  • Ahimè, sono molto più brava a mangiare che a cucinare. Assaggiare e sentire i profumi del vino e del cibo per me è vera estasi . La speranza però è l’ultima a morire… Voi cuoche a domicilio fate anche “corsi di cucina… a domicilio”? 

Portando nelle case i prodotti locali di stagione e quelli dimenticati, con i corsi di cucina comunichiamo alle persone il nostro obiettivo. Sarei personalmente onorata di insegnarti e di contagiarti con la mia passione, anzi ti lancio un’idea, potremmo farlo in un evento con donne famose che vogliono imparare scambiando alla pari la loro cultura degli abbinamenti di vino e di olio con i miei insegnamenti. Che ne dici?

Ti dico che… accetto volentieri la sfida ! 😉

 




“Due chiacchiere con… Fausto Borella, il Maestrod’olio!”

Fausto Borella, Maestrod’olio ed esperto di enogastronomia

Giorni fa, durante una delle mie lunghe chiacchierate con l’amico Tommaso Ponzanelli, si argomentava di oli d’oliva e di olivicoltori… Gli raccontavo di aver letto su una copia di Ex Vinis del 2002 di Luigi Veronelli, un vero e proprio Manifesto sull’olio d’oliva. Tommaso è una grande fonte di ricordi… Amo molto ascoltare i suoi aneddoti dei bei tempi passati…

Detto questo mi direte… “E quindi… ?”  E quindi vi dico che proprio in quel momento Tommaso esordì dicendomi: “Devi assolutamente conoscere Fausto Borella!” Detto, fatto! Si, perché dopo uno scambio di opinioni con Fausto, ho deciso che era la persona giusta per qualche approfondimento in più… ovviamente, approfondimenti olistici!  😉

Ma non perdiamo tempo… Pronti… via! 😉

  • Fausto, leggo che vieni definito Maestrod’olio. Leggo anche che hai frequentato la facoltà di Giurisprudenza. Mi vuoi raccontare come hai dato questa svolta alla tua vita?

Sentivo che non avrei mai potuto rivestire la toga forense indossata da mio padre per oltre 50 anni. Avevo bisogno di muovermi, di conoscere le persone, in una espressione, Vivere la mia terra.

  • Nel 2001 hai avuto la fortuna di conoscere Luigi Veronelli. Mi regali un ricordo dell’esperienza di quegli anni?

Fu grazie alla presentazione fatta da Leone Ramacciotti, a quel tempo delegato dell’AIS Versilia. Eravamo al Premio Versilia e mi presentò a Gino Veronelli elogiando le mie doti di appassionato sommelier e promettente scrittore di enogastronomia. Per due anni ho girato l’intera Italia al fianco del Maestro vivendo un’esperienza indimenticabile.

  • La cultura dell’olio d’oliva in Italia è ancora scarsa. Molto se ne dice, e molto se ne fa, ma non ancora abbastanza. La scelta del consumatore davanti allo scaffale non è facile. L’olio d’oliva della grande distribuzione è chiamato con il nome del produttore e non con la provenienza territoriale. La mancanza a chiare lettere del territorio d’origine sull’etichetta non aiuta a capirne le caratteristiche, e non aiuta il consumatore nella scelta. Cosa ne pensi?

È talmente scarsa che ad oggi non si è capita la reale differenza tra olio di oliva e olio extravergine di oliva. L’olio di oliva è una miscela di oli raffinati e una percentuale di olio extravergine ancora indefinita. Per essere extravergine, invece, vanno seguiti dei paragrafi chimici e analitici che portano al risultato di avere un olio da 2 euro oppure da 30 euro. Il mio compito, visti l’enorme divario qualitativo tra le due fasce di prezzo e l’attuale e ancora inspiegabile ignoranza su questo, è quello di comunicare – attraverso corsi, eventi e manifestazioni in Italia e all’Estero – la reale cultura dell’olio extravergine italiano di qualità.

  • Quali consigli ti senti di dare al consumatore per indirizzarlo verso una scelta consapevole di un olio d’oliva di qualità?

Se sei al supermercato cercare una delle 44 DOP italiane che abbia un costo di circa 6-8€ per 50 cl., altrimenti cercare quell’etichetta che parla in maniera più trasparente e corretta possibile al consumatore: annata di produzione, varietà delle olive, tabella nutrizionale, non tanto con acidità o grassi saturi che lasciano il tempo che trovano, ma con l’inserimento dei tocoferoli (Vitamina E) e dei polifenoli totali che rendono unici gli oli del territorio.

  • Quanto è importante il “colore dell’olio” e da che cosa possiamo capire che “un olio è difettoso”?

Il colore dell’olio non è assolutamente importante, è arrivato il momento di sfatare molti luoghi comuni. Il colore ci può aiutare, in qualche caso, a comprendere come sarà l’odore, vedendo mucillagini, sedimenti che porteranno per esempio al difetto di morchia. L’olio difettoso si riconosce dopo pochi assaggi e degustazioni di campioni difettosi fatti attraverso i corsi.

  • Cito un’affermazione ascoltata in un tuo intervento che condivido pienamente: “La filiera dell’olio del contadino gli costa almeno dieci euro al litro. Un olio d’oliva che costa tre euro non è un olio extra vergine d’oliva, ma solo una bugia per il consumatore”.  A questo punto ti chiedo: Ma un olio con questo costo com’è ottenuto?

Attraverso navigazioni di navi di olio nei migliori porti italiani. Oppure attraverso una incontrollata tratta dell’olio non certificato del Sud che invade le regioni italiane fino alle Alpi.

  • Spesso nel condimento, si abbonda con l’olio d’oliva in modo errato. A quanto corrisponde un uso consapevole mensile per una famiglia media?

Come disse il Presidente del Consorzio IGP Toscano, l’uso quotidiano di olio extravergine a persona incide per il costo di 2 sms al giorno. Allora ce lo possiamo permettere un olio extravergine di qualità oppure no?

  • Veronelli scriveva: “L’olio come il vino, l’olivo come la vite”. Condivido pienamente il pensiero, e, conseguentemente a ciò, vorrei che, quando sono in un ristorante, non mi venga presentato solo il vino, ma anche l’olio che mi viene servito. Chiedere che il personale addetto alla sala venga formato in tal senso è un’utopia o una speranza?

È una speranza. Considerando, però, che da 11 anni organizzo corsi, prima grazie all’Associazione Italiana Sommelier dell’Olio di Franco Ricci, e in seguito con la mia Accademia Maestrod’olio. Alle mie lezioni ho sempre avuto una percentuale bassissima di ristoratori, camerieri, maître e addetti ai lavori che sarebbero in assoluto i veri ambasciatori di questo messaggio.

  • Sei un esperto di aceto.  E’ ormai consuetudine trovare sui banchi dei supermercati aceti balsamici da pochi euro. Cosa ne pensi e cosa consigli al consumatore?

Non sono propriamente esperto di aceto. Conosco la materia perché mi affascina. Il discorso è simile all’olio. Esiste un disciplinare molto rigido e ben strutturato che i produttori devono seguire per ottenere la DOP Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o Reggio Emilia. Il prodotto confezionato in bottigliette da 10 cl può arrivare a costare anche 100 €. Per quanto riguarda l’aceto balsamico da usare tutti i giorni, l’unico riferimento qualitativo è il prezzo. Se costa meno di 10 – 15 € per bottiglie da 25 cl. vuol dire che all’interno è aggiunto caramello al 2% e non è invecchiato in caratelli.

Fausto, ci vediamo a breve ad Olio Officina Food Festival. Mi prometti che mi guiderai in una degustazione d’olio, vero?     

Sarà un piacere…

Quello che fece mio padre fu molto più di una semplice stretta di mano; capì che non sarei mai stato portato per studiare tutta la vita regole e norme che non mi appartenevano. Avevo bisogno di staccarmi da una scrivania e viaggiare, conoscere, assaporare ed emozionarmi. In una parola vivere la mia terra…

Fausto Borella

 




“Due chiacchiere con… Laura Turri, una Donna dell’Olio”

Ho conosciuto Laura Turri grazie a Luigi Caricato. Mi affido sempre ai consigli delle persone che stimo nei miei percorsi di conoscenza. Percorsi che non mi fanno sbagliare strada, che mi conducono alla consapevolezza dei prodotti, ma soprattutto alla comprensione delle persone. Non si possono scindere le cose, una è connessa all’altra…

Con Laura, donna gentile e delicata, ho passato un pomeriggio passeggiando tra gli ulivi e i suggestivi scenari del lago di Garda. Lei una produttrice, una Donna dell’olio che mi ha raccontato dell’azienda familiare tramandata dal padre Giancarlo e dal nonno Mario. L’Azienda Turri situata a Cavaion Veronese è tra i primi oleifici di Verona. Nasce nel 1951, e dagli anni ’80 è seguita da Laura con i fratelli Mario, Luisa e Giovanni.

Prima di passare la parola a Laura, voglio fare un piccolo ripasso su come un’oliva si trasforma in quel  liquido denso e profumato che ci fa chiudere gli occhi, e che ci riporta a sapori antichi…

 Tutto inizia con la raccolta, possibilmente fatta a mano, per non rovinare ne il frutto ne la pianta… Dopo questa operazione le olive un volta controllate e lavate iniziano le fasi per la loro trasformazione.

  • Con la 1’ fase della lavorazione, la frangitura, con molazze di granito o frangitori a martello si trasformano le olive in una pasta.
  • Con la 2’ fase, la gramolazione, la pasta olearia viene rimescolata per una trentina di minuti circa.
  • Infine con la 3’ fase, l’estrazione, si separa l’olio dall’acqua e dalle parti solide (sansa).

Finite queste tre operazioni si procede con l’imbottigliamento.

Ovviamente le cose sono molto più elaborate di come le ho descritte, ma vi lascio la curiosità di scoprirle andando a visitare direttamente un oleificio.

  • Ho descritto in modo semplice le fasi che portano alla produzione dell’olio d’oliva. Ora, da produttrice, mi descrivi le caratteristiche distintive dell’olio Gardesano?

L’Olio del Garda è prodotto prevalentemente con la cultivar Casaliva varietà autoctona del lago di Garda. Poi ci sono altre varietà storiche come il Leccino, il Frantoio, il Rossanel, la Raza, il Moraiolo, il Pendolino.  E’ conosciuto per la sua delicatezza e per il suo fruttato leggero con retrogusto di mandorla apprezzabile già dopo pochi mesi dalla produzione.

  • Quali consigli ti senti di dare al consumatore per una prima valutazione dell’olio all’acquisto?

Il mio consiglio è di essere curiosi, di assaggiare, di confrontare e di imparare gli abbinamenti dell’olio con le diverse pietanze. E’ così che pian piano si scopre un mondo nuovo di sapori. Perché non dimentichiamo che l’olio è come il vino, va abbinato con il giusto piatto. Ad esempio per una pietanza delicata come il pesce opterei per un olio del Garda, mentre valorizzerei una pasta e fagioli con un buon olio Toscano… Per chi è insicuro nell’acquisto consiglio di affidarsi agli oli Dop, sono un buon punto di partenza per imparare a conoscere ed abbinare l’olio di qualità nei diversi profumi e sapori.

  • Laura, fai parte delle Donne dell’Olio, che cosa si prefigge questa associazione?

Da poche settimane la nuova Presidente è Gabriella Stansfield, produttrice Toscana nonché assaggiatrice. Con la Vice Presidente Francesca Pingi, valorizzerà l’associazione guidandola nella promozione della cultura e della conoscenza dell’arte olivicola e olearia. Indirizzerà in particolare il proprio impegno verso il mondo femminile, coinvolgendo attraverso varie azioni il mondo della produzione, della distribuzione, della comunicazione e del consumo. La finalità senza fini di lucro, è la promozione di una corretta immagine dell’olio d’oliva di qualità.

  • Donne o Olio. Quanto incide la presenza femminile in questo settore?

Sono sempre più numerose le donne che operano in tutte le fasi del processo produttivo in tutti i settori del comparto: donne che operano negli oliveti, nei frantoi, nelle strutture di vendita, nei ristoranti, nelle mense, nelle pubbliche amministrazioni, e nelle associazioni. Sono ormai numerose le agronome, le ricercatrici, le studiose, le giornaliste e le assaggiatrici. Ma, soprattutto, sono tante, tantissime, centinaia di migliaia le donne che comprano l’olio, assai più numerose degli uomini.

Sono in prevalenza le donne che “usano”  l’olio, e che preparando i pasti, determinano le abitudini alimentari di tutta la famiglia. Si potrebbe quasi sostenere che, da questo punto di vista, le donne  rappresentino l’elemento chiave nel mondo dell’olio. E’ “vitale” quindi per questo che operino nel modo migliore, approfondendo le loro conoscenze per diventare operatori “virtuosi” e consumatori consapevoli ed informati.

  • Da vicepresidente del Consorzio dell’olio Garda Dop, hai visto nascere il progetto Oligar. Di cosa si tratta?

Come consorzio ci eravamo resi conto che per vendere l’olio del Garda in nuovi mercati – ma non solo in quelli – era necessario migliorare la conoscenza del prodotto. Il progetto mirava ad ottenere ulteriori informazioni sulla qualità misurando i quantitativi di pirofeofitine e alchilsteri. Lo scopo era verificare l’assenza di contaminanti “nuovi” quali gli ftalati,  per applicare agli oli del Garda il metodo degli isotopi stabili, in grado di identificare la provenienza territoriale di un alimento in maniera certa. I risultati ottenuti, per i primi due aspetti, sono stati tranquillizzanti. Per il terzo è stato addirittura possibile dimostrare che, applicando quel metodo, si può distinguere la provenienza di oli prodotti nelle sottozone del Garda.

  • Olio extravergine d’oliva come alimento. Hai suggerimenti per l’uso?

Suggerisco di andare a visitare il sito del Consorzio Garda Dop. Qui si possono trovare interessanti e accattivanti ricette dove l’olio del Garda viene utilizzato per valorizzare piatti diversi.

  • L’olio d’oliva è usato nella cosmesi fin dall’antichità. Hai qualche consiglio?

Siamo in inverno e i nostri capelli a volte sono spenti e opachi. Suggerisco di provare un trattamento completo all’olio di oliva: “Amalgamare bene sette cucchiai d’olio extra vergine d’oliva con il succo di un limone. Con il composto così ottenuto massaggiare sia il cuoio capelluto che i capelli, lasciando in posa per circa mezz’ora.  Terminare infine il trattamento con uno shampoo delicato.  Provare per credere!

 




Paolo, Marco e Francesco, appassionati di terra e territorio: “Contadini per Passione”

Era il 30 Giugno 2011 quando mi arrivò una mail…

Salve Cinzia,  lieto di fare la tua conoscenza,
mi chiamo Paolo, ho 29 anni, e insieme ad alcuni ragazzi appassionati di terra e territorio, nonché giovani contadini, abbiamo dato vita al progetto “Contadini per Passione”, sintesi che racchiude la voglia e la passione di comunicare le eccellenze del nostro territorio. Parte integrante del progetto, sono Marco, 28 anni, e Francesco, 26, il nostro contadino “informatico”. Ci troviamo a Ribera, piccolo e rinomato centro agricolo della provincia di Agrigento. Qui produciamo l’Arancia di Ribera DOP. Si tratta di un’arancia a polpa bionda senza semi, estremamente saporita e dolce grazie all’elevato grado zuccherino che riesce a raggiungere in fase di maturazione, varietà “Washington Navel”. L’aranceto invece, è immerso nella splendida valle del Verdura, precisamente nel basso Verdura. Una vera e propria oasi arancicola ad una manciata di km dal mare in contrada di “Cannagrande”. Una tra le zone di produzione più rinomate e più antiche, in cui è possibile far risalire gli aranceti più vecchi di Ribera.

Ti auguro una buona serata, Paolo

Dopo alcuni contatti mi accordai con Francesco, dai più chiamato Kiko, per una chiacchierata su Skipe.  La tecnologia è di grande aiuto, e accorcia le distanze…

Mi raccontò come iniziò l’avventura nel 2003, quando Paolo e suo fratello Marco ereditando dai nonni un aranceto, decisero di continuare in prima persona a condurlo. Lui, Francesco, chiamato il contadino informatico, si aggiunse in seguito. Parlammo della Sicilia, delle loro arance, dei loro progetti…

Quando gli dissi di scrivere le problematiche incontrate nel loro percorso per dare un esempio pratico ad altri giovani, mi rispose così:  “Cinzia, noi più che parlare dei problemi del settore agricolo, vorremmo parlare delle soluzioni che secondo noi potrebbero essere più utili”.

Ebbene, loro lo fanno.  Scrivono e raccontano la Terra di Sicilia nel loro aranceto “virtuale”: contadiniperpassione.it

  • Ciao ragazzi! Per un soffio non ci siamo visti al Salone del Gusto a Torino. Paolo mi aveva telefonato, ma purtroppo il mio arrivo è coinciso con la vostra partenza. Dunque, siete stati dei relatori… ormai siete famosi, e chi vi ferma più! 😉 Mi raccontate com’ è andata?

E’ andata benissimo Cinzia, davvero un’altra esperienza che arricchisce la nostra storia. Al Salone del Gusto abbiamo semplicemente raccontato la storia del nostro percorso, solo che stavolta l’attenzione maggiore era rivolta al nostro uso delle nuove tecnologie, certamente un’innovazione nel settore delle aziende agricole.

Abbiamo potuto constatare come l’ingresso dei giovani in agricoltura può davvero cambiare questo settore, e cambiarlo in meglio. Ma non si tratta in verità di un merito solo dei giovani. E’ un problema generale di idee, di idee nuove, di voglia di scommettere su questo settore affiancandolo a competenze solitamente tenute distanti da questo mondo. Noi lo abbiamo fatto e probabilmente abbiamo pure convinto al Salone del Gusto, che la nostra è la direzione migliore per i giovani, per gli imprenditori piccoli, e per quelli che vogliono migliorarsi costantemente ricercando la qualità in fatto di produzione e di comunicazione. Cerchiamo di mantenere un contatto diretto con chiunque si avvicini alla nostra storia e al nostro progetto, e ci poniamo in termini di trasparenza. I nostri toni non sono aziendalistici, piuttosto sono informali. Gli slogan non ci piacciono, ci piacciono i dialoghi puri e semplici. I social media e il blog ci permettono tutto questo.

  • Siete un esempio per molti giovani. L’amore e il rispetto per la terra permette di fare una buona agricoltura. Far conoscere le eccellenze del territorio utilizzando la comunicazione web, il nuovo modo di comunicare. Come vi dicevo qualche giorno fa, scrivere del mio credo della Terra, e di Italiani come voi, mi rende felice ed orgogliosa. Ma ora ditemi, a che punto siete con il vostro progetto?

Il progetto continua, il progetto anzi subisce continue spinte in avanti grazie all’affetto dei nostri amici virtuali che nell’ultimo anno sono stati trasformati, in gran parte, in amici reali. Questo senza fare distinzione fra partner, clienti e fornitori. Abbiamo l’idea di essere tutti una grande famiglia,  e con Slow Food tocchiamo con mano questa sensazione.

Contadini per Passione non si ferma,  e grazie alla saggia guida di Paolo non rischia di sedersi sugli allori. Questi attestati di stima ci fanno piacere perché rendono onore al nostro lavoro e a tutto il settore agricolo. In noi provocano la giusta carica per perseguire i nostri obiettivi che rimangono identici: “Permettere all’azienda di autosostenersi, comunicare le nostre idee, la nostra voglia di territorio e di relazioni importanti con chi sceglie di darci fiducia, continuare a produrre secondo i crismi della sostenibilità, della ecocompatibilità e della genuinità”.

Siamo al lavoro su un restyling del sito per offrire una migliore esperienza a quanti decidono di visitare il nostro “aranceto virtuale”,  mantenendo però la costante presenza online per dialogare con i nostri preziosi amici.

     I Contadini per Passione… non si fermano più!

Bedda Ribera, bedda a tutti l’uri, farini un paradisu ognunu spera, o terra d’oru, o terra di l’amuri, sì bedda sì, sì bedda:  O mia Ribera… Giuseppe Nicola Ciliberto




Due chiacchiere con Paolo Cuor di Leone, o… di formaggio?

 

Oggi vi voglio presentare Paolo Leone, il mio Maestro Assaggiatore di formaggi!

Laureato in Scienze della Produzione Animale e Ricercatore ed esperto divulgatore della cultura dell’alimentazione, conduce percorsi sensoriali di conoscenza per diffondere la cultura dei formaggi. Vere esperienze sensoriali che ci permettono un consumo consapevole di questo prodotto caseario, apprendendone la storia e le caratteristiche.

Conobbi Paolo tramite il mio gruppo “Le Vigne-tte”. Un gruppo dedicato a chi ama il cibo e il vino, ma soprattutto a chi ama la terra e le persone che la rispettano e la lavorano. Commenta che commenta una sera decidemmo di organizzare un raduno per incontrarci tutti di persona!  Era momentaneamente senza auto, e quindi dopo esserci accordati, lo andai a prendere a Milano. Durante il percorso oltre a raccontarci delle nostre vite, viaggiammo accompagnati dal sottofondo musicale che aveva portato con sé.  Musica di gran classe di cui è appassionato. Ve ne do un assaggio…

Tu ne te souviendras pas
De mon visage, de mon nom.
Les marionnettes d’ici-bas
Font trois petits tours et puis s’en vont…

“Tu ne te souviendras pas” – Barbara  1962

Avete sentito che meraviglia… vera poesia per le orecchie e per l’anima!

Ma ora stop alla musica, è tempo di farvi conoscere  Paolo Leone, o meglio Paolino, come lo chiamo io! 😉

  • Paolo, ti ricordi quella mattina lungo la strada, ti chiesi come fosse nata questa tua passione per il mondo caseario. Torniamo indietro nel tempo,  raccontami…

La passione per l’alimento formaggio è ben lontana, risale all’infanzia quando io e mia sorella avevamo una ‘tata’,  Maria (Mariute come era chiamata dai suoi), originaria della bassa friulana; quando tornava dalle ferie ci portava sempre un bel pezzo di Latteria, che, anche se ben incartato, emanava un tal profumo di latte, burro e… formaggio da non resistere!  Me lo ricordo ancora adesso!

Anche la passione per le storie dei formaggi nasce da lì… E’ aumentata poi sempre più quando per studio e lavoro ho iniziato a frequentare allevatori e casari. Al di là di quello che potevo (e posso) vedere io, c’erano fatti e storie che solo loro sapevano, ma che volentieri condividevano, e così pian piano mi sono appassionato e ho deciso di fare da portavoce di una piccola parte di quel mondo.

  • Posologia e modalità d’uso del…  formaggio! 

Il formaggio è un alimento quasi completo, al punto che basterebbe aggiungere soltanto un piatto di verdure, magari a foglia verde, per soddisfare le esigenze in nutrienti di un pasto. Ma su questi aspetti lascio la parola agli esperti del settore… (sempre che non pensino che il Quartirolo sia un formaggio magro!).

Quanto al ‘come’,  il primo concetto che si deve tenere a mente quando si vuole mangiare formaggio, (uno o più) con soddisfazione sensoriale, è che bisogna estrarlo dal frigorifero in anticipo rispetto al momento della degustazione, il tempo necessario affinché raggiunga una temperatura adeguata, ovvero almeno 16° C- 18°C.  Poi va preparato, pulito se necessario, tagliato per bene (poi ti spiego…),  messo nella giusta sequenza di sapore.  Insomma, con il cacio non si scherza!

  •  “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.  Cosa pensi degli abbinamenti con i formaggi.   Meglio gustati in purezza o… abbinati a… ?

Ecco in questo sono un pochino integralista…  Siccome suppongo che il formaggio sia buono, perché abbinarlo a qualcosa? Casomai posso utilizzare le pere o altra frutta o altri prodotti, come ‘separatori’ di sapori.

Nel caso (toh… un caso, e che caso!)  volessi assaggiare dei formaggi saporiti, per esempio dei caprini, e se la stagione me lo consente, trovo che i lamponi freschi e maturi, siano un ottimo cibo da alternare. Allo stesso modo sono eccellenti fette sottili di mela verde, che possono pulire la bocca anche dai sapori di formaggi vaccini grassi e stagionati.  Comunque si possono trovare una quantità quasi infinita di abbinamenti, basta assaggiare e sperimentare.  Però… evitate di propormi l’abbinamento con  “composta di cipolle rosse di tropea caramellate all’aceto balsamico, zenzero e…”  Capito !?

  • Recentemente ho scoperto la Fontina DOP visitando una realtà Valdostana che la produce in Alpeggio. In queste vallate ad un’altezza media di 2000 metri gli animali vengono alimentati in pascoli ricchi di una particolare vegetazione che conferisce al latte caratteristiche ben più peculiari dell’allevamento a fondo valle. Nonostante questo, non si può distinguere dall’etichetta una fontina d’alpeggio e una di fondo valle, visto che la marchiatura è la stessa, e non è permesso dal disciplinare aggiungere nulla oltre la specifica della DOP. Cosa ne pensi, e come valuti per la conoscenza del consumatore la parte descrittiva delle etichette?

Questo è l’argomento di una battaglia che combatto da tempo. Proprio in questi giorni comunicavo a degli studenti questi concetti. Bisogna che i consumatori capiscano dove sta la qualità, e le etichette, lo permetterebbero. Anche l’uso di marchi sulle forme (in Francia succede già da tempo) possono indicare la provenienza di un formaggio. Se però i produttori si mettessero d’accordo e facessero azione comune, forse… potrebbero ottenere qualcosa. So che non è facile.  Ma…  la battaglia continua!

  • “Formaggi e birre artigianali”.  Una moda o… ?  

Tutto è moda, nulla è moda…

La birra, anzi le birre (cit.) presentano una varietà di profumi, aromi, sapori e gradazioni alcoliche, che si possono perfettamente abbinare con qualsiasi alimento; in particolare l’abbinamento con i formaggi, che per varietà e complessità non sono da meno delle birre,  rappresenta una delle ‘sfide’ tra le più appassionanti. Ogni qualvolta mi si presenta l’occasione di organizzare una degustazione di ‘birre e formaggi’, soprattutto con Schigi o Kuaska, due guru italiani delle birre, non posso esimermi ! Anche se ne esco sempre abbastanza brillo…

  • Ormai mi conosci…  Dimmi che formaggio mi proporresti ?

Il Blu di bufala, blu perché ha le muffe blu-verdi come quelle che si usano per fare il Gorgonzola. Lo ho associato a te perché è saporito e persistente! Se mangiato durante il pasto direi che è perfetto abbinarci un Buttafuoco! Se invece si mangia alla fine del pasto… accompagniamolo con un passito da uve brachetto (così gli esperti di vino hanno un motivo per prendersela con me!)

  • Mi hai fatto venire voglia di tagliarmene un pezzetto!  Ma aspetta un po’, leggevo che insegni a “tagliare”  il formaggio… Questa è bella,  mi vuoi spiegare?

Partendo dall’assunto che ognuno deve mangiare tutte le parti rappresentative di un formaggio, questo fatto si verifica solo se lo tagliamo correttamente. Poiché la maturazione delle forme avviene per quasi tutti i formaggi (l’eccezione è costituita dagli erborinati),  dalla periferia (la crosta) al centro della forma, sarebbe un’esperienza sensoriale incompleta “il mangiare solo la parte centrale, o solo quella più esterna” di un formaggio.  Perché se non lo conosco, e non lo so tagliare, posso decidere che le croste non sono importanti.

Ti racconto un aneddoto per rendere meglio il concetto; ho i brividi al ricordo avendolo letto persino su un blog Italiano di cucina molto seguito.  Ci sono quelli che tolgono la crosta dei formaggi a crosta fiorita,  per renderli più presentabili (sic!). Ho precisato ‘Italiano’ , perché prova ad immaginare di scrivere una frase simile su un blog… francese ? Come minimo ti aspettano fuori dalla redazione e ti prendono a torte di camembert in faccia!

Per concludere, se si tagliano bene si possono presentare bene e conservare meglio. Ti aspetto per una dimostrazione pratica!

  • In questi anni di esperienza hai avuto modo di assaggiare moltissimi formaggi. Ardua risposta, ma coraggio!  Dimmi se qualcuno ti ha colpito in particolare?

Me ne hanno tirati molti, ma non mi ha mai colpito nessuno…  Ahahahaha A parte gli scherzi, senza ombra di dubbio, quello che mi ha colpito di più è stato il Tchoukou, il formaggio dei Tuareg. Si tratta di un formaggio non salato e ‘secco’.   Questa tipologia è pressoché unica rispetto alle nostre abituali, sia per dimensioni che per aspetto, ricorda una sfoglia.

Curiosamente mi trovo a constatare che, anche uno degli altri formaggi che mi ha colpito, non è salato. Si tratta, come forse avrai intuito, del Pannerone (lodigiano), famoso soprattutto per il suo sapore dolce-amaro e per le note di burro che si percepiscono al naso prima, e in bocca poi.

Poi… potrei dirtene uno per ogni lettera dell’alfabeto,  ma mi fermerò alla lettera B. B come Bitto: “Non potrò mai dimenticare quel pezzo di formaggio d’alpeggio che al naso sapeva di frutta esotica, di ananas in particolare! Stupefacente!”

 




“Due chiacchiere con… Roberto Giuliani”

Roberto Giuliani, Direttore editoriale di Lavinium, rivista di vino e cultura online che nel 2007 ha ricevuto il Premio Veronelli come “Miglior sito di enogastronomia” con la seguente  motivazione: “Perché nel mare del pressapochismo in cui si annaspa navigando in rete, si distingue per la serietà dell’informazione e l’approfondimento delle notizie pur nell’ampia articolazione dei suoi interessi”.

 Lui, ama la scrittura, la fotografia, e naturalmente… il vino!

Lo conosco attraverso i suoi commenti… attraverso le sue prese di posizione alle quali ribatto con rispetto vista la sua esperienza. Lo definirei un esperto conoscitore appassionato della Terra.

Vivo d’intuito, la mia vita è basata sulle sensazioni. Mi capita di sbagliare ma per lo più c’azzecco. L’esperienza e il dolore ci fa acquisire un sesto senso sulle persone… Sento in Roberto la sensibilità di un uomo delicato e amante della natura. Un uomo serio e ironico in egual misura. Si, perchè come diceva Soren KierKegaard, poeta danese considerato padre dell’esistenzialismo, l’ironia è l’occhio sicuro che sa cogliere lo storto, l’assurdo, il vano dell’esistenza…

Detto questo come dico io, punto e a capo. Roberto è il tuo turno! Tocca a te rispondere, e quindi, pronti via!

  • Roberto, ti ho presentato brevemente secondo le mie intuizioni. Qualcosa da aggiungere o da ribattere?

No, semmai da sottrarre, sei fin troppo generosa.

  • Sei figlio di un musicista, come sei arrivato ad appassionarti al mondo del vino?

In realtà la musica è sempre il mio grande amore, non so stare senza, non a caso mi diletto a suonare il pianoforte e la batteria.

Il vino come interesse professionale è arrivato in età matura, circa 15 anni fa. L’ho sempre bevuto ma senza approfondirne la conoscenza più di tanto. I vini laziali che acquistavo da giovane appartenevano al periodo in cui ancora vigeva la produzione quantitativa, era difficile “innamorarsi” del vino a quell’epoca, almeno per me. Il mio primo amore, uno dei vini che mi fece aprire gli occhi su un mondo dalle infinite possibilità espressive, fu una bottiglia di Nebbiolo d’Alba alla fine degli anni ’80.

Poi feci tre viaggi in giro per la Francia, e lì ebbi conferma di quanto c’era da conoscere e apprezzare.

Mi diplomai sommelier all’AIS di Roma e iniziai ad approfondire il nostro territorio partendo dalla Toscana per arrivare fino a Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli e via via tutte le altre regioni italiane. Cominciando anche a scrivere per riviste locali fino a quando, nel 2000 ebbi l’opportunità di collaborare alla neonata rivista Lavinium.

  • Web o meglio World wide web, secondo me una delle invenzioni più potenti al mondo. La libertà di poter comunicare, di avere uno spazio proprio in cui condividere le proprie passioni, in cui raccontare il proprio credo… E’ così che ormai giornalisti, blogger, web writer più o meno esperti, dicono la loro. Caos o… ?

Come spesso accade, quando si ha a disposizione uno strumento gratuito da usare in quasi assoluta libertà, un certo caos si crea, anche perché siamo ormai milioni di persone ad utilizzarlo, ma rappresenta comunque un fenomeno largamente positivo, l’importante è imparare ad usarlo con intelligenza. Il fatto che tutti possano avere uno spazio per esprimersi, ma anche per approfondire la conoscenza senza confini territoriali, dalla musica, alla storia, all’arte, alla cultura in genere, è qualcosa di fantastico. Purtroppo non tutti ne fanno questo uso, e ciò genera appunto un certo caos, del resto non c’è alcuna regolamentazione.

Un altro limite, almeno oggi, sta proprio nella gratuità sempre e comunque, cosa che impedisce ai professionisti di trarre il giusto guadagno dal proprio lavoro sul web, salvo rari casi.

  • “Il consumatore (termine molto vago e grossolano), va educato a capire che ciò che mangia e beve condiziona fortemente la sua salute,  le sue energie, le sue capacità in generale”.  Parole tue Roberto, che condivido pienamente. Ritengo però che, se allo stato attuale seppur con i mezzi informativi presenti, sia ancora molto evidente la mancanza di cultura del cibo e del vino, ci sia un problema di comunicazione. Cosa ne pensi?

Il problema di comunicazione esiste, certamente, ma soprattutto è la cattiva comunicazione a fare danni, a partire dalla pubblicità ingannevole diretta e indiretta con cui ogni giorno siamo martellati sin da bambini. Poi esistono le cosiddette “cattive abitudini”, chi è cresciuto con la coca-cola, le merendine, i cibi confezionati, non ha solo problemi culturali ma dei “vizi” che non è facile eliminare. Per esperienza diretta ho potuto verificare quanta resistenza hanno molte persone a qualsiasi argomentazione che metta in discussione le loro abitudini. Questo non significa che sia inutile cercare di far capire alla gente che mangiare sano è fondamentale, informarla sui danni che può fare alla salute un certo tipo di alimenti, ma a mio avviso non è sufficiente, anche perché, come ben saprai, c’è anche chi “rema contro”, sminuendo l’importanza di evitare prodotti troppo raffinati come zucchero, sale, farina ecc. e cercando di dimostrare che non c’è alcuna differenza fra prodotti industriali e prodotti biologici. Ma l’argomento è complesso e non possiamo approfondirlo qui.

  • Amo ascoltare le storie delle persone, è la mia passione! Amo andare alla radice di ogni cosa. A proposito di questo mi viene in mente un tuo commento inerente ai semi. Cito testualmente: “E’ ESSENZIALE acquistarli da chi li coltiva da sempre, diffidate se non potete sapere l’origine. Molti vivai in realtà li acquistano dalle industrie che li producono in laboratorio. Grazie a questo abbiamo perso i pomodori di Pachino, i cui semi non sono più quelli originari ma provengono da Israele. Quello dei semi è un problema enorme, anche perché molti sono ibridati, ovvero non sono riproducibili, oppure sono OGM. Viene da ridere a pensare al biologico se non c’è un controllo sui semi…”  A questo punto mi chiedo, ma come fa la gente a fidarsi della definizione di “Biologico” quando legge queste cose?

Viviamo in un mondo governato dal Dio denaro, questo ci impone di essere diffidenti e sospettosi. Non sono le etichette a garantire la qualità e la veridicità di un prodotto, purtroppo, per le ragioni appena dette, pertanto ritengo che il biologico non sia una garanzia assoluta. Anche perché, avendo occupato una fetta di mercato sempre più interessante, il bio si è trascinato dentro anche l’industria. Puoi immaginare quanto sia improbabile avere una produzione veramente biologica su centinaia, a volte migliaia di ettari. Ecco, un modo è sicuramente quello di rivolgersi al piccolo produttore, magari a km zero, al coltivatore diretto o comunque a quegli esercenti che si rivolgono alle piccole realtà agricole locali.

  • Altro argomento scottante, vogliamo parlare dello zucchero? Hai posto recentemente la domanda sotto una mia nota. Mi vuoi rispondere qui?

Come ho accennato prima, lo zucchero è un problema serio: impossibile quantificarne l’uso, basti pensare che in una lattina di coca-cola c’è l’equivalente di parecchie bustine di zucchero raffinato, o che in qualunque prodotto dolciario viene utilizzato in notevole quantità. Non è un caso che il diabete sia diventata una malattia sempre più frequente, che colpisce ancora di più in giovanissima età, ovvero nella fase in cui si prendono più zuccheri raffinati in assoluto, attraverso bevande, merendine, caramelle e quant’altro piace alla maggior parte dei bambini figli di quest’epoca consumistica.

C’è gente che mette anche tre cucchiaini di zucchero nel cappuccino, sebbene il latte abbia già una propria dolcezza che compensa l’amaro del caffè. “Cattive abitudini”, appunto… Usare almeno zucchero integrale di canna (non quello grezzo, che subisce praticamente gli stessi procedimenti di raffinazione di quello bianco ottenuto dalla barbabietola), quando siamo noi ad aggiungerlo nelle pietanze, può ridurre un po’ il danno, oltre a fornire ancora buone dosi di minerali e vitamine del gruppo B. E poi, se avessimo la sana abitudine di usare l’olfatto sempre, noteremmo come lo zucchero raffinato ha un odore fortemente dolciastro ma finto, mentre quello integrale è profumato e molto meno dolce.

  • Se ti dico che…  “forse bisogna tornare indietro per andare avanti”,  cosa mi rispondi?

Su questo tema posso dirti subito che sono un convinto sostenitore della teoria della decrescita di Serge Latouche, siamo arrivati ad un punto limite, anzi, in gran parte lo abbiamo oltrepassato. Stiamo prosciugando il pianeta e rendendo invivibile la vita agli animali, alle piante e agli uomini. La nostra società è basata sull’aumento ininterrotto dei consumi e sulla massimizzazione dei profitti. Non è un caso che, ancora oggi, sentiamo dire da tutte le correnti politiche che per risollevare il Paese bisogna tornare a produrre e incrementare i consumi, questa è pura follia. Bisogna puntare ad una nuova economia e ad una nuova società, che abbia altre basi su cui fondare il proprio benessere, quello vero e non quello indotto dai falsi desideri e bisogni con cui il sistema ci impone di vivere.

  • Bè, direi di finire con un brindisi!  Ormai un pochino mi conosci, amo i vini rossi di carattere e di struttura. Cosa mi offri?  E… a proposito, da amante della musica quale sei, metti un giusto sottofondo, ma mi raccomando, dimmi il titolo e l’artista… Son curiosa io! 😉

Credo di poter aggiungere “di grande finezza”, perché sono sicuro che una persona come te, che ama il piacere della vita e apprezza le sue sfumature, ricerchi anche l’eleganza in un vino. La mia proposta, rigorosamente italica, mi spinge ad occhi chiusi verso il Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva di Ar.Pe.Pe., un vino strepitoso, 100% nebbiolo (detto localmente chiavennasca) che nasce da vigne terrazzate e impervie alla base delle Alpi Retiche, nella sottozona Sassella.

La musica di sottofondo? In questo caso più che di sottofondo sarà una compagna di emozioni: Waltz For Debby, una delle più belle composizioni di un raffinato pianista jazz come Bill Evans.

 




Cinzia Tosini Vs Adriano Liloni: “Un incontro al… peperoncino!”

Oggi vi presento Adriano Liloni, un “Sovversivo del Gusto”!

Ricordo la prima volta che l’ho conosciuto… Me lo avevano segnalato per il suo locale a Moniga del Garda, “I Sovversivi del Gusto”.  Più che un locale, una vetrina per la promozione del territorio. L’idea mi piaceva, e quando questo accade, statene certi che presto o tardi devo verificare con i miei occhi…

L’occasione capitò presto e furono subito scintille!  Peperino lui, peperina io, non poteva essere altrimenti.  Dopo i vari combenevoli mi invitò la sera a cena nel suo ristorante, Il Pegaso a Gavardo (BS). Certo era che… non avevo idea della serata che mi aspettava! 😉

Al mio arrivo trovai ad aspettarmi Franco Liloni, il fratello di Adriano nonché pittore, scultore, archeologo e reporter di Telecolor, una televisione locale. Passammo la cena a chiacchierare… Franco scoprì una Cinzia a tratti ascoltatrice, a tratti chiacchierona, e a tratti spigolosa.  Tutto andò bene fino a che il nipote di Adriano, addetto alla sala, mi chiese: “Per iniziare vi porto delle bollicine?”  Mmmm che nervi!! Risposi: “Ah bè… partiamo bene, io non bevo bevande gassate!”  Un po’ stranito mi guardò e se ne andò. Cinque minuti dopo tutta la gente in sala fu interrotta da un annuncio di Adriano: “Abbiamo un’ospite in sala che contesta il termine bollicine, si chiama Cinzia Tosini. La invito ad alzarsi e a spiegare a tutti il motivo della contestazione”. In quel momento l’avrei strozzato!!

Chi mi conosce veramente sa quanto io sia timida… Nonostante questo mi sono alzata spiegando che non mi piaceva il termine bollicine perché ritengo non faccia buona cultura del vino. Mi fermai li, ma decisi che ne avrei scritto un pezzo a breve,  e cosi feci… Il locale pian piano si svuotò mentre noi tre ci raccontavamo le nostre vite, i nostri sogni e i nostri progetti.  Posso dirvi solo che bacchetto spesso a gran voce Adriano per le sue prese di posizione a volte eccessive nei termini. Ma chi lo conosce sa che è un uomo che crede nella terra, nei produttori e nella gente che lavora bene.

Adriano, detto questo ora tocca a te rispondermi…

  • Adriano Liloni un Sovversivo del Gusto, ti vuoi presentare a chi ancora non ti conosce?

Sono un passionale ingestibile; ho creato tout court questa associazione partendo dalla mia zona, la Vallesabbia e il Garda.

  • Adriano, chi sono i Sovversivi del Gusto?

Sono un piccolo gruppo di valligiani produttori di formaggi, di mieli e di vini. Tutto è nato in sordina con raduni serali. Poi, il 2 Luglio del 2006 in un mio momento di pazzia affittai l’isola del Garda e creai il primo evento con tanto di battello.

  • Che scopo vi prefiggete raggiungere?

Lo scopo era di riunire produttori della zona. In seguito infiltrazioni giornalistiche hanno portato ad un effetto domino che neanche immaginavamo… Come la presentazione del primo volume dei Sovversivi a Milano al programma di RAI Radio 2 di Vergassola. Gli eventi continuano, ed annualmente vengono ripetuti in location diverse.

  • Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato?

Le difficoltà ci sono state e ci sono tuttora. Non essendo collegati a grandi movimenti ed essendo assolutamente autonomi, nelle galassie della comunicazione enogastronomica non è poi così facile. Nonostante questo il secondo volume dei Sovversivi del Gusto ha raggiunto Parigi e per un caso fortunatissimo ha vinto il Cookbook Awards per la fotografia di settore, un premio internazionale di grande rilievo.

  • Come vedi l’Italia dei piccoli-medi produttori in questo momento? E cosa pensi possano fare nell’immediato le Istituzioni competenti?

Le istituzioni competenti? Quali? Quelle statali? Aspetta e spera… L’Italia non è paese da piccoli artigiani e piccoli imprenditori.  Per quanto riguarda gli aiuti si preferiscono fare progetti faraonici per grandi aziende…

  • Sono donna appassionata di vino ma soprattutto del suo mondo, mi racconti come vivi tu il vino?

Come vivo il vino e il buon cibo?  Secondo te?   😉

  • Raccontami del tuo locale, Il Pegaso. Com’è nato ?

E’ nato nel dicembre del lontano 1987.  Dopo varie esperienze lavorative nel settore, siamo sbarcati io e mio fratello in questo nascosto locale che dopo dodici gestioni fallimentari stava chiudendo i battenti… Tanta volontà, pochi soldi e tante idee. Un mix pericoloso che dura quasi da un quarto di secolo… Abbiamo puntato su una cucina alternativa di monte e di mare con ricette di nostra creazione. Anni di percorso in salita e impegno e siamo ancora qua nonostante la grande crisi nel settore. Clienti storici che ritornano, siamo praticamente invecchiati assieme… Alcuni di loro hanno fatto qui le loro cerimonie di cresima o addirittura di battesimo, me li sono visti crescere anno dopo anno. Una fidelizzazione che ci gratifica e che ci da la forza di andare avanti…




Due chiacchiere con… Mario Maffi, un vero Italiano.

Conobbi Mario Maffi – Enologo e Direttore Tecnico dell’Azienda Agricola Montelio – grazie a un suo invito per una visita alla cantina. Lo ascoltai e mi ascoltò per ore. Un uomo semplice come pochi – dallo sguardo schietto e sincero – legato al territorio, alla sua storia e alle sue tradizioni. Un vero Italiano.

L’Azienda Agricola Montelio, il cui nome ha origine dal greco Helios Monte del sole, si trova a Codevilla, in provincia di Pavia. Fu l’Ing. Angelo Domenico Mazza, grande appassionato di viticoltura, a dare inizio all’attività con l’acquistò dei primi terreni nel 1848. Dal 1982, la Direzione tecnica è affidata all’enologo Mario Maffi. Nato a Varzi, è un grande esperto e conoscitore dell’Oltrepò Pavese.

Qualche settimana fa sono tornata a trovarlo. Una persona che stimo molto, uno degli uomini migliori che ho conosciuto in questi ultimi anni.

  • Le nostre origini… tutto parte da li. Come è  iniziata la tua avventura nel mondo del vino?

Sono nato in mezzo alle vigne perché mio padre faceva il viticoltore.  Il mio hobby preferito però era disegnare case. Quando andai a Tortona per iscrivermi a Geometra, destino vuole che dimenticai un documento a casa. Strada facendo incontrai la mia professoressa d’italiano di Retorbido, che, sentita la mia scelta, mi sconsigliò vivamente. Mi esortò invece ad iscrivermi all’Istituto agrario nonostante i miei voti migliori fossero in costruzione e topografia. Finita la scuola l’Ing. Spalla mi propose una collaborazione nel suo studio. Scoppiai letteralmente a piangere quando dovetti rinunciare… avevo da poco ricevuto una chiamata; dovevo partire per il  militare. Non era proprio destino, e mi arresi alla sorte. Una volta tornato mi specializzai in Enologia.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese per le nuove tecnologie, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Questo discorso può avere un senso solo con i vini bianchi. Per i vini rossi no. Il vino rosso nasce in vigna. Ho un caro amico che sta vivendo un momento difficile per problemi di salute, un insegnante di musica impegnato nel sociale. Lui, Giuseppe Colombo, ha deciso insieme a tre amici  di produrre del vino buono, e si è rivolto a me. Un giorno in un contesto piemontese di quelli importanti,  in una degustazione di undici vini degustati alla cieca, ha riscosso molto successo nonostante la piccola dimensione della realtà.  Il vino rosso, partendo da una buona uva, può essere prodotto tranquillamente con ottimi risultati.

  • Cosa ritieni possano fare le istituzione nell’immediato per aiutare i produttori in modo concreto?

Serve meno burocrazia, serve un investimento forte sui giovani, mirato e non sparpagliato, per creare imprenditorialità.

Finita la guerra il Friuli Venezia Giulia ha dato i soldi alle famiglie contadine. Ma dovevano investire minimo su otto ettari, e con mutui trentennali agevolati. Se decidevano di chiudere prima l’azienda, dovevano restituire i soldi…

  • E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente  il consumatore?

Dire biologico è quasi una moda visto che l’italiano medio non è educato al termine.  Finché io vedrò un cartello di vigneto biologico vicino a zone fortemente inquinate, non posso credere nel biologico. Il biologico potrebbe avere una logica se ci fosse un regolamento severo che garantisse la sua applicazione.

Andrebbe fatta una mappatura dei terreni esenti da fonti di inquinamento importanti, e una mappatura delle zone poco piovose. Non possono venirmi a raccontare che nella valle dell’Adige con 1300 mm di pioggia all’anno possono fare il biologico con i parametri di Bruxelles.

Il nostro vino all’Azienda Montelio,  rientra in una categoria che chiamo “verso il rispetto dell’ambiente”. Cerchiamo di fare un’agricoltura integrata. Abbiamo lasciato dei boschi intorno alle vigne, ed abbiamo consentito ad  un gruppo naturalistico di costruire, accanto alle piante, nidi artificiali per facilitare il ritorno di cinciallegre e codirossi.

Ricreare un ambiente naturale, questa è la cosa veramente importante…

 

 




“Due chiacchiere con… Luigi Caricato”

Ho avuto il piacere di conoscerlo ed ascoltarlo nell’ultima edizione di Olio Officina, il Food Festival da lui diretto e ideato per approfondire e divulgare attraverso percorsi olistici, la cultura degli oli. Chiarire qualche dubbio è sempre utile… quindi,  pronti via!

Luigi Caricato di professione… Oleologo. Scrittore e giornalista ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva, oltre a un romanzo, L’olio della conversione. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere.

  • Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale” periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.
  • Dal febbraio 2009 dirige il mensile on line in lingua inglese “Teatro Naturale International”.
  • Dal 18 novembre 2010 cura il blog “Olio Officina“.
  • Luigi Caricato, oleologo-divulgatore che racconta a 360° gli oli d’oliva. Come è nata questa tua avventura nel mondo dell’olio?

E’ una avventura nata da una radicata tradizione familiare. Sono figlio e discendente di olivicoltori e frantoiani. Quindi provengo da coloro che sono i veri artefici dell’olio. Sono nato tra l’altro nel Salento, a pochi chilometri da Lecce, in una terra tappezzata di olivi e che nel passato ha vissuto un intenso traffico d’olio verso ogni angolo d’Europa. Grazie al commercio dell’olio nel Seicento è stato possibile realizzare le grandi architetture barocche, proprio in virtù dei cospicui guadagni derivati dalla vendita dell’olio.

Comunque, a parte questa appartenenza, debbo allo scrittore Giuseppe Pontiggia il mio impegno totale a favore del mondo dell’olio. E’ stato lui a spingermi a occuparmene. Mi definiva il “Papa dell’olio”, anche per via dei miei studi teologici. E così nel corso degli anni ho scritto tanti libri, e ho iniziato a intraprendere una lunga serie di percorsi virtuosi che sicuramente hanno lasciato un segno importante.

  • Adoro gli ulivi, piante secolari dall’aspetto rugoso, sentinelle di anni di storia. Qualcuno stenterebbe a crederlo visto che sono conosciuta per la mia parlantina… ma ti assicuro che alla loro vista un  rispettoso silenzio s’impone in me. L’ulivo mi trasmette pace e armonia. Dire ulivo al singolare però non è proprio corretto. La realtà è che ne esistono moltissime varietà suddivise a livello sensoriale per caratteristiche olfattive e gustative. Puoi darmi una mappa olistica aggiornata?

E’ proprio così. E’ la stessa sensazione che provo anch’io, soprattutto quando sono a contatto con gli olivi secolari. Non è un caso che tanti poeti hanno scritto versi che sono grandi elegie. Ed è anche corretto che non si debba pensare all’olivo solo al singolare. Le varietà di olivi sono tantissime, migliaia.

L’Italia vanta il primato assoluto: 538 sono le cultivar che l’Ivalsa, l’Istituto di propagazione legnosa, ha censito. Non è soltanto un aspetto importante per l’alto valore della biodiversità in sè. Significa anche disporre di una possibilità concreta di ottenere dalla spremitura delle tante, differenti olive, oli peculiari e unici. Una mappa sensoriale l’ho tracciata nel mio ultimo libro, “Olio: crudo e cotto”, edito da Tecniche Nuove, ma alla prossima edizione di Olio Officina Food Festival ci saranno sorprese al riguardo.

  • Come reputi la cultura degli oli in Italia?

Sono sfacciatamente ottimista. Perché sono convinto che, in fondo, con la forza della volontà e con l’impegno si possano ottenere ancora grandi risultati. Io li ho ottenuti, e li vedo. Rispetto al passato sono soddisfatto. Dobbiamo del resto confrontarci con i decenni passati e attendere il futuro, lavorando sodo. Oggi non siamo contenti, perché oggettivamente se il consumatore sceglie in funzione del prezzo più conveniente vorrà dire che non esiste una vera cultura di prodotto, nel senso pieno del termine. Però è diverso, oggi c’è un maggiore senso di responsabilità. I produttori sono diventati più bravi.

Ora tocca agli chef, e soprattutto ai ristoratori, acquisire una maggiore consapevolezza, e studiare, studiare tanto: sperimentare soprattutto nuove formulazioni alimentari con l’olio extra vergine di oliva protagonista di primo piano. L’olio,  ma anche tutti gli altri condimenti, debbono tutti insieme assumere il ruolo di ingrediente importante, e non essere confinati nell’ambito di alimenti marginali sui quali sorvolare come è avvenuto finora.

  • Ascoltando un tuo intervento,  ricordo un concetto che  sottolineavi spesso: “Gli Oli di Oliva considerati come veri e propri presidi di medicina preventiva”.  A questo punto mi sorge spontanea la domanda: “Posologia e modalità d’uso?”

Sì, sono “presidi di medicina preventiva”, perché nessun alimento può guarire, ma può senza dubbio contribure a migliorare il nostro stato di salute.

Posologia: sempre, tutti i giorni, senza saltarne uno. L’olio ricavato dale olive contribuisce a migliorare la percezione delle altre materie prime, ed è anche un veicolo sano di sapori.

– Le modalità d’uso: con moderazione, sempre, perché anche i grassi migliori restano comunque grassi, e non si può eccedere. Per questo, con oli di alta qualità si ottiene un alto effetto condente e, di conseguenza, ne deriva anche la necessità di utilizzarne ogni volta un poco, la quantità giusta, finalizzata a insaporire e rendere più edibile e gustoso il cibo.

  • Spremitura a caldo, a freddo, prima spremitura… Ci chiarisci questi concetti?

Esiste soltanto un’unica spremitura, oggi, con le nuove tecnologie; e nonostante un regolamento comunitario permetta di riportare in etichetta le diciture “spremitura a freddo” (per gli oli ottenuti con macine e presse) ed “estratti a freddo” (per gli oli ricavati da tecnologie estrattive più moderne, tramite centrifughe) in realtà non esiste più una estrazione a caldo. Sono terminologie che resistono nell’immaginario, ma non più aderenti alla realtà.

  • Visto che l’Italiano medio si approvvigiona direttamente dallo scaffale del  supermercato, quale consiglio ti senti di dare per una scelta consapevole?

Il miglior consiglio è di andare direttamente dai produttori. Almeno quando siamo in vacanza e possiamo incontrarli direttamente presso le aziende sarebbe un bel gesto di solidarietà. Se non si garantisce una sopravvivenza agli olivicoltori, crolla tutto il sistema. Nel caso delle famiglie, sarebbe il caso di portare con sé i bambini, così da metterli in contatto diretto con la realtà.

Poi, altro consiglio, visto che la maggioranza dei consumatori acquista in gran parte nei supermercati, meglio non assecondare gli istinti peggiori affidandosi al sottocosto: oltre che immorale, il sottocosto può nascondere inganni. Ciò non significa che certi prezzi bassi non siano giustificati, se provengono dall’estero, dove i costi di produzione sono inferiori, ma va detto che la migliore scelta è posizionarsi preferibilmente sui prodotti così detti “premium”, di fascia medio alta. In fondo si tratta di utilizzarne poco, e quel poco di grasso deve essere necessariamente il migliore.

  • Come valuti la comunicazione specialistica sugli oli in Italia?

La comunicazione specializzata in materia di olio potrei anche valutarla bene, ma di fatto non esiste. Siamo purtroppo carenti in comunicazione, e spesso a fare comunicazione non sono i comunicatori veri, i professionisti, ma soggetti improvvisati che credono basti solo metter in fila una serie di parole e investire danaro per comunicare. C’è da dire che la stampa generalista si ferma solo in superficie e si limita a pubblicare i comunicati stampa, quindi notizie costruite a immagine e somiglianza di chi non sa comunicare. Siamo perciò molto indietro in materia di comunicazione dell’olio e di ciò che vi ruota attorno. E’ una grave carenza culturale che meriterebbe di essere colmata.

  • L’olio migliora con l’invecchiamento?

No, la vita dell’olio è breve. Più alta è la qualità, e meglio si conservano gli oli, più se ne allunga la vita. Pensare a oli d’invecchiamento è un errore.

  • A differenza dei corsi di assaggiatore di vino, quelli degli oli non sono ancora diffusi quanto dovrebbero.  Secondo te qual è la causa?

In realtà sono diffusi. Più che altro si svolgono a macchia di leopardo e non ci si rende conto dell’incidenza di quanti corsi di assaggio si svolgano in Italia. Manca sicuramente un atteggiamento analogo ai sommeliers, propenso a educare all’analisi sensoriale degli oli anche la gente comune, gli appassionati. Il problema semmai è che vi sono associazioni di produttori finanziate dall’Unione europea e che svolgono l’attività di organizzazione di corsi, penalizzando così le vere scuole di assaggio. Ciò determina uno squilibrio e le conseguenze sono le si notano nei pochi corsi per appassionati.

  • Qual è il ruolo degli oli in cucina?

Accompagnare tutti, o quasi, gli altri ingredienti, amalgamandoli. I grassi sono veicolatori di sapori e anche di sostanze nutritive e caloriche. L’olio ha inoltre una funzione plastificante e di attenuatore del gusto salato, ma anche una funzione antiaderente e insieme lubrificante, oltre alla funzione di rosolare e di esercitare un effetto anti indurimento nei prodotti da forno.

  • Adoro intingere il pane nell’olio… Qual è il modo corretto di assaggiarlo per valutarne la qualità?

Attraverso l’assaggio dell’olio direttamente nel bicchiere. L’olio con il pane lo si gusta, ma nel bicchiere lo si degusta per valutarne tutta la bontà.

  • E ora per finire che ne dici di consigliarmi una ricetta “oleosa”?

Le ricette sono tante, e ognuno ha la sua ricetta del cuore. Ora, se dovessi dirne una soltanto, tornerei alla semplicità assoluta. Da salentino quale sono, anche se vivo ormai dal 1984 a Milano, dico la frisella, ovvero questo pane biscottato in forno bagnato per poche decine di secondi in acqua, quindi ricoperto di pomodori tagliati a tocchi, su cui si versa sale, origano e olio. Si potrebbe aggiungere di tutto: rucola, cipolla, capperi… Credo che occorra partire dalla semplicità per trarre il massimo beneficio.

 




“Due chiacchiere con… Giustino Catalano”

Ho conosciuto Giustino Catalano commentando un suo scritto di erbe spontanee, argomento a me assai caro.  Qualche botta e risposta, e giù al telefono a chiacchierare… Simpatico ed appassionato, ma soprattutto innamorato della terra!  I suoi racconti mi hanno portato a lui…

Educatore del Gusto, Tea Tester professionista, Fiduciario e Docente Slow Food e Formatore Orti e MIUR. Responsabile Presidio Salsiccia Rossa di Castelpoto. Sommelier Professionista FISAR e assaggiatore ufficiale di vari prodotti. Consulente Eno-gastronomico alla ristorazione. Ambasciatore dell’Accademia della Gastronomia Storica.

Discendo dal lato paterno da un famiglia di produttori e mediatori di vini ed olii che fornivano la Moet Chandon del liquer de expedition sino agli anni ’30 dello scorso secolo. E dal lato materno sono pronipote di un pasticcere modicano e nipote di un esperto di pasticceria. Cresciuto all’ombra di queste persone cerco di portare avanti le passioni che sono nel mio DNA con studio, serietà e costanza. Se avete pari interessi siete i benvenuti, a prescindere dal colore della pelle, le idee politiche e lo status sociale.  Il mondo, come il piacere, è di tutti…”

  • Giustino Catalano, una vera fortuna per me incontrarti… la tua presentazione parla da se. Ma in fondo chi sei?

Sono un consulente enogastronomico. Parola che vuol dir tutto e non vuol dir niente. Sono solo un appassionato della mia terra e della gastronomia intesa a 360°.

  • Scrivi storie di prodotti. Raccontami…

Ritengo che un prodotto che non narra la fatica e l’ingegno (quella che chiamo l’affettività umana) che c’è dietro, non è un prodotto.

  • Ti piace il tuo lavoro?

Una sola cosa posso dire con certezza. Mi sveglio alla mattina e sono contento del lavoro che dovrò fare perché il mio lavoro mi piace tantissimo. Il cuore mi batte per le cose nuove che scopro ogni giorno.

  • Hai sogni che vorresti realizzare?

Non ho sogni. Io vivo la vita per quello che mi manda e per quello che riesco a realizzare di giorno in giorno.  A 50 anni non si hanno né sogni né rimpianti. Si vive in allegria.

 

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: