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“Due chiacchiere con… Fausto Delegà”

Fausto Delegà, il mio “mielologo” appassionato… L’amore per il territorio, per le tradizioni, per gli olii, per le erbe spontanee ma soprattutto per i mieli ci ha fatto incontrare.  Mantovano come me, vive a Vienna con un pendolarismo aereo tra Austria e Italia. Lui è un Italiano Doc, che vi voglio far conoscere…

  • Fausto, immagina che ci siamo appena conosciuti. Come ti presenteresti?

Come mi presenterei…? Se i mieli e gli oli potessero essere improvvisamente compresi da tutti nei loro dialetti sottili, delicati e armonici, il mondo cambierebbe. Ecco mi presenterei con questo pensiero che mi guida da un po’ di anni nelle sfide, idee e provocazioni che lancio qua e la per spostare, come dico io, il punto di vista oggi imperante in larga parte dei consumatori sui mieli ed oli.

Perché solo spostando il punto di vista, cambiando le credenze che ci dominano, specie in campo alimentare, potremmo sperare di sovvertire l’attuale situazione drammatica che vede il creatore di cibi, l’agricoltore agri tutore sempre più proposto come anonimo, sparente, nella società che crede in larga parte che i cibi appaiano miracolosamente negli scaffali e nei frigoriferi degli ipertutto, forse per una magia in cui la faccia e le mani e la genialità di chi fa cibo scompaiono per far posto al grande Brand che, se va bene, ci ha messo solo la parte finale e meno difficile del percorso per chi sa fare il caimano: il dio mercato che oggi in larga parte tutto globalizza. Ecco mi presenterei come creatore di nuovi punti di vista.

  • Com’è nata questa tua avventura di gastro-divulgatore?

L’avventura è nata tanti anni fa, a volte quando faccio il conto matematico mi stupisco un po’, ma per poco, data la mia idea che il tempo sia una stupida credenza, direi perciò che propongo le mie idee da una ventina di anni, con un percorso che è andato via via affinandosi nel tempo. Processo obbligato, direi, di aumento di conoscenze che negli ultimi anni hanno cambiato veramente gli orizzonti nelle cantine, nei frantoi, negli alveari mielosi e in tutte le produzioni buone e giuste in genere.

Potrei dire che più di vent’anni fa era convinzione affermare che il vino e l’olio erano le parole che il sole scriveva sulla terra e che il terreno era un organismo vivente di cui siamo parte. Oggi, spesso, si viene presi per matti se non si parte almeno da li per fare un passo avanti. Sono nato come divulgatore e giornalista 25 anni fa, quando Slow Food muoveva attraverso l’ARCI i primi passi, quando l’olio era meno buono e meno prolisso di oggi, quando i blog non esistevano e uno per dire qualcosa doveva scrivere, magari per l’Unità, come feci io alcune volte per i primi anni, oppure con una mia altra esperienza… fondando una radio libera.  L’avvento del web con i social e i blog di oggi, le adozioni di cibo, la creazione dei mieli padani, la neurobiologia vegetale,  hanno favorito l’inizio di un nuovo percorso di cultura.

  • Siamo entrambi di Mantova. Mi racconti un tuo ricordo di questa terra?

Mantua me genuit scriveva Virgilio. E Dante rilevava nella Commedia la cortesia dei mantovani. Gente di terra e di acqua, una città nata in mezzo ad un impaludamento del Mincio che la circonda con i suoi laghi. Città dallo skyline unico al mondo, recentemente sfigurato dal sisma, ma già in via di recupero.

Mantova è anche la città della cucina di Principi e di popolo, dove nel ‘500 grandi cuochi iniziarono a codificare le tecniche. Terra dalle produzioni qualitativamente eccelse, basti pensare ai suoi salami, cotechini, spalle, meloni igp, cipolla, e negli ultimi anni terra anche di Lambruschi estremi, eleganti, inediti e stupefacenti, vedi il Ruberti.

Terra unica in Italia, dove si producono insieme, uno al nord e l’altro al sud, il Padano e il Reggiano, due capisaldi della nostra cucina nel mondo.  E, dal mio punto di vista, terra di mieli, con una storia mellifera che inizia in epoca romana, un paese ora in provincia di Rovigo, ma allora legato a Ostiglia e a Mantova, che porta ancora il nome di Melara, Ara dei Mieli. Virgilio, figlio di apicoltori e lui stesso amante delle api e dei mieli, dedica il quarto libro delle Georgiche alle api ed al miele. In una terra così, non si può che nascere impastati di buono e di bello.

  • Da mielologo appassionato, come reputi la cultura dei mieli in Italia?

Mettiamo pure il dito nella piaga. Parto da una provocazione: se io chiedessi ai tuoi lettori in una domanda secca quanti mieli si possono produrre in Italia, intendo tipologie mellifere tra monoflora e melate, e nello stesso tempo come fanno le api a fare il miele quante risposte esatte avrei? Non credo più di una ogni dieci intervistati. Questo da il senso e la misura della questione. Ma in parte potremmo fare la stessa domanda per l’olio da olive: quante varietà di Ulivi esistono in italia? Avremo pochissime risposte esatte. Perché pochi sanno che l’Italia potrebbe regalare al mondo, e a tutti noi, quasi 60 tipologie diverse di mieli. E nello stesso tempo in pochi direbbero che le nostre cultivar di ulivo sono più vicine alle 600 varietà che alle 500. Nessuno poi probabilmente risponderebbe alla domanda del come fa l’ape a regalarci i mieli. No, non vi lascio con la domanda sospesa, o meglio solo a metà la lasciamo sospesa. L’ape fa i mieli con una tecnica assolutamente straordinaria, un immenso scambio di baci tra ape e ape, crea i mieli. Sappiatelo e vi basti… Per ora.

  • Vivi a Vienna, qual è la realtà sulla promozione del territorio rispetto all’Italia?

AUSTRIA E VIENNA.
Devo dire che l’attenzione e la voglia di capire, rispetto alla nostra cultura materiale e ai nostri prodotti che si muovono con le persone qui a Vienna e in Austria, in genere sono notevoli, sincere, e profonde. Siamo molto amati, benevolmente invidiati, ricercati e spesso… deludenti, perché gran parte della realtà immensa e potente dei nostri terroir resta bloccata tra le pastoie di uno stato che ha massacrato il commercio estero, che qui chiude le sedi di promozione, e che quando ha cercato di promuovere lo ha fatto con i soliti noti e stranoti, amici di… cugini di… finanziatori di… feste e banchetti inutili, parole e slogan perdenti.  Forse la creatività contagiante di un genio folle e lucido come Oscar Farinetti  farà storia nei prossimi anni. Comunque a Vienna ci stiamo muovendo e attrezzando per cambiar strada, metodi e finalità.

  • Per concludere mi viene spontaneo farti una richiesta… Mi racconti una ricetta a base di miele?

Prima di tutto alcune considerazioni…

Quando leggo o sento ricette nelle quali, ogni tanto, si nomina tra gli ingredienti il miele spesso mi irrito, no forse è proprio meglio dire mi inca… Perché…? Perché 99 volte su cento viene usata la parola miele in modo talmente generico e impreciso che sembra quasi che usare in quella ricetta castagno, acacia, corbezzolo o lavanda sia la stessa cosa. Questa è sana, bella e gretta ignoranza.  La stessa che fa scrivere e dire anche: “un goccio di olio di oliva…” come se vi fosse un miele unico, e un unico olio da olive a disposizione. È ora di dire un sonoro BASTA a queste stupide indicazioni.  Bisognerebbe rifiutarsi di procedere con tutte le ricette che su questi due punti, olio e mieli, propongono questa inaccettabile superficialità.

Poi una regola fondamentale. I mieli si sposano sempre bene con le sostanze grasse, dai formaggi al burro, dalla panna al lardo e infine anche con gli oli, specie quelli da olive. Altra cosa importante è che possono essere presenti a tutta cucina, dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni e ovviamente… nei dolci come ci insegna il grande maestro e amico Corrado Assenza.

Solo una cosa potrei consigliare, non una vera e propria ricetta ma un’esaltazione del gusto. Quando in estate, non avendo la fortuna di avere un proprio orto o non potendo vivere in paradisi terrestri come le nostre isole o le regioni meridionali, spesso ci si accontenta di pomodori che rimangono lontani anni luce dal loro vero gusto di “pomodoro”.  Ecco, in questi casi una dose appropriata e molto calibrata di miele di melata di abete bianco di terroir toscani, gli mette quella marcia in più che la serra non gli avrebbe potuto mai regalare. Provare per credere, ah ah ah ah…

 




“Pesavo 192 kg… ora ne peso 74” La Storia dello chef Pietro Parisi.

Come sottolinea il Prof. Nicola Sorrentino, specialista in scienza dell’alimentazione, l’obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in sovrappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso. Questo grasso superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a malattie cardiovascolari, all’ipertensione, al diabete, a difficoltà respiratorie, all’osteoartrosi, e ad altre patologie ben note.

La Storia di Pietro Parisi, chef e patron di  “Era Ora”,  il suo Ristorante a Palma Campana

 

  • Ciao Pietro, raccontami di te.

Sono un ragazzo di Napoli ex obeso, pesavo 192 kg, attualmente il mio peso è di 74 kg.  Inutile dire che in passato ho provato diete, farmaci, sondino gastrico, ricoveri per dimagrire… tutto con scarsi risultati, e per poco tempo. La svolta decisiva è arrivata dopo l’ausilio della chirurgia mininvasiva.

  • Come hai vissuto il problema dell’obesità?

L’ho vissuto per molti anni, diciamo almeno per una quindicina. Da ragazzino non ci davo peso, ma crescendo ha incominciato a crearmi veri problemi, sia di convivenza con i miei coetanei, che mentali. Venivo deriso per il mio fisico, e questo mi portava ad estraniarmi dalle compagnie.  Mi ritrovavo in una solitudine esistenziale che sfogavo con grandi abbuffate di cibo.  Avere una ragazza era difficile, mi sorridevano certo, ma si allontanavano.  Tutto era complicato, dal vestirsi al rapportarsi con le persone. La mia adolescenza non è stata facile…

Una sera ho rischiato anche la vita per colpa di una sonnolenza improvvisa dovuta all’obesità, che mi ha portato ad urtare ed uscire fuori strada con la macchina. Qualcuno mi puntò il dito accusandomi di usare stupefacenti… tutt’altro!  Ma è più facile giudicare che capire…

Mi torna in mente il ricordo di un amico che mi accompagnava nei miei lunghi itinerari gastronomici notturni, tra cornetti, impepate di cozze, pizze fritte e cannoli…  Il conseguente aumento di peso mi portava molti problemi  tipo piaghe sotto la pancia, piedi sempre gonfi, grande sudorazione, difficoltà  nei movimenti.

Cinzia, era difficilissimo alzarsi la mattina. Tanta svogliatezza, mal di testa, mal di schiena… Mi viene quasi da sorridere quando penso che ora non riesco a stare a letto per più di 7 ore. Sono un grillo nel lavoro, girarmi e rigirarmi con disinvoltura è una meraviglia. Piaceri scontati per molti… ma non per me.

  • Come vivevi il rapporto quotidiano con le persone?

Vedo in televisione e sui giornali tante persone che avendo difficoltà nel dimagrire cadono nella disperazione. Nello stesso tempo vedo persone non obese che ci considerano degli incapaci, dei deboli, per la nostra difficoltà nel sostenere un regime dietetico. La conseguenza è l’emarginazione.

Mi capitava di andare in un ristorante e sentirmi dire dal cameriere se avevo bisogno del supporto di due sedie.  Non avete idea di come vivevo il disagio ogni volta. La realtà è che l’obesità crea grandi barriere,  e porta chi la vive, quasi a nascondersi.

  • La tua forza di volontà, validi ed indispensabili supporti medici, la passione per il tuo lavoro… elementi che ti hanno portato a dare una svolta decisiva alla tua vita. 

Si, ora la mia vita è totalmente cambiata.  E’ stato un percorso difficile.  Ho avuto la forza di decidere e dire finalmente basta optando per un intervento sia pur con le difficoltà del prima e del dopo. Ho riacquisito quella sicurezza in me che avevo perso, e ora, con la mia esperienza, sono più che mai determinato a dare speranza a chi vuole come me percorrere questa strada.  Una cosa però è certa, la mia passione per il cibo, per le tradizioni, per il territorio che trasmetto nel mio lavoro di cuoco, è costante e inalterata.

  • Pietro, ora sei chef e patron del tuo Ristorante “Era Ora” a Palma Campana. Nonostante la tua giovane età, per tradizione familiare sei immerso in questo mondo fin da bambino. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho iniziato a 7 anni, nel laboratorio di pasticceria dello zio materno quasi giocando. Poi come succede spesso è scoccata la scintilla, ed è stato subito amore. Ma ci pensate, spettatore della preparazione della sfogliatella riccia ripiena di ricotta di bufala con salsa allo Strega… bè, stregato sul serio!

Gli studi e le esperienze poi hanno fatto il resto. I miei progetti ora sono orientati verso proposte per una buona tavola, con prodotti sani,  privilegiando il km 0, e acquistando da piccoli produttori. Con il servizio di Market Gourmet Shop di Era Ora, li proponiamo ai consumatori, un nuovo modo di fare la spesa.

Ho chiacchierato a lungo con Pietro. E’ giovane ma determinato, la passione  per le tradizioni, per i territori e per la riscoperta dei bei sapori di una volta ci accomuna.  Le nostre origini sono diverse, ma come dico sempre, io mi sento a casa ovunque, fortunata di vivere in un paese ricco di tipicità uniche al mondo.




“Due chiacchiere con… Chiara Soldati”

Il vino spesso sembra  assomigliare a colui che lo crea…

Chiara Soldati

Chiara Soldati conduce insieme al padre Giorgio  “La Scolca”,  l’azienda Vitivinicola più antica della zona di Gavi (AL).  I loro vini e spumanti sono una delle eccellenze Italiane nel mondo.

Nella mia visita alla Tenuta, guidata da Chiara ho potuto apprezzare oltre che il luogo, la semplicità di questa famiglia che mi ha concesso veri momenti di vita. Cugina del grande Mario Soldati, scrittore e regista, uomo appassionato di territori, di  storia,  di poesia, che avrei voluto conoscere,  ma soprattutto ascoltare. Conoscere lei,  è stato un po’ come conoscere lui…

  • Chiara Soldati cugina del grande Mario Soldati. Chiara conoscerti è un po’ come conoscere lui. Mi regali un tuo ricordo di Mario…

Vignaioli si nasce, tecnicamente lo si diventa, ma l’anima più profonda della terra e del vino non la si può apprendere se non vivendo, da generazioni, il lento susseguirsi delle  stagioni della vite e della vita in una simbiosi che si riscopre e si svela assaggiando i vini che nascono da questa danza che si ripete ogni anno uguale, ma sempre nuova. Molto è cambiato nel mondo “gaviese” da quando il cugino Mario Soldati nel 1977 veniva a visitare queste colline per scrivere il  Suo libro ”Vino al Vino”: la maggior parte delle proprietà di allora sono cambiate di mano svariate volte, tante da far scordare origini ed identità.

Antesignano delle odierne guide enologiche, Mario espresse allora un augurio ed un consiglio, visitando la nostra cantina ed assaggiando il nostro Gavi, che rileggo ancora oggi con molto affetto :

“ L’importante è il vino, e finora non se ne può dire che bene. Ma più importante è l’uomo, l’augurio è che l’intelligenza industriale sia così intelligente da non sopraffare mai il cuore artigianale”.

Quel cuore di cui parlava Mario  ha permesso a mio padre di raggiungere mete insperate in quegli anni sia per il Gavi in generale sia per la nostra cantina, ma soprattutto ha permesso a me oggi di essere ancora testimone e artefice di un successo in continua evoluzione.

  • Hai un cognome importante. Non è sempre facile rispondere alle aspettative della gente in questi casi. Qual è stata la tua esperienza?

Le tappe professionali che hanno caratterizzato la mia formazione e lo svolgimento della mia attività  lavorativa, sono state frutto di un percorso non casuale, ma contraddistinto costantemente dalla volontà di approfondire e sviluppare le tematiche di qualità, innovazione e promozione territoriale. La cosa più importante è sapere di avere la possibilità di provare a mettersi in gioco e sapere che c’è qualcuno che può darti questa possibilità.

  • Le nostre origini…tutto parte da li. Il tuo destino segnato nel mondo del vino. Hai mai pensato di dedicarti ad altro?

Dopo il liceo classico, ho frequentato la facoltà di Giurisprudenza con indirizzo economico e contemporaneamente ho cominciato la specializzazione nel settore vinicolo. Da 18 impegnata nel mondo del vino.  Nulla ha più senso della passione”: per vivere pienamente la propria vita ed il proprio lavoro non si può prescindere dall’avere come motore ed ispirazione una grande emozione. Il vino per me è una grande passione che si ripete ogni anno nel momento della vendemmia.

  • Eccoci, due donne… Io una semplice appassionata del vino e delle storie della sua gente qui con te, donna produttrice di successo. Che cosa mi consiglieresti per il mio percorso di conoscenza?

Non c’è modo migliore per conoscere un vino se non conoscere i volti ed i territori che ne sono l’anima più intrinseca. Da anni faccio parte del Movimento Turismo del Vino e da anni sostengo quanto sia imprescindibile per conoscere una Denominazione, un vino, un’Azienda, vivere le esperienze che fanno nascere il patrimonio di profumi e aromi che ritroviamo poi nel bicchiere.

Ho letto le Baccanti di Euripide. Ricordo bene il concetto che,  Zeus diede agli uomini il dono del vino per aiutarli a dimenticare i dolori, e anche l’affermazione che  in assenza del vino non esiste l’amore. Tutta la tragedia è pervasa da  una gioiosa esaltazione e dalla comunione con la natura  che porta alla liberazione dei sentimenti.

  • Amo la terra, i suoi prodotti e le sue tradizioni.  Puoi raccontarmi della tua terra di Gavi?

Per spiegare cosa rappresenta per me il  Gavi  non posso prescindere dal mio vissuto personale in quanto l’infatuazione  verso questo fazzoletto di terra a ridosso della Liguria si tramanda ormai da cinque generazioni e in ogni passaggio di testimone, inevitabilmente, la fusione con questa magica realtà è totale e, forse, sta proprio in questo invisibile legame il segreto di tanta caparbia passione .

Tutte le uve hanno luoghi dove, coltivate, danno il meglio di se stesse. Qualcuna riesce poi ad esprimere tutte le sue potenzialità in un luogo soltanto dove il vitigno trova l’armonia e l’habitat migliore per crescere, il terreno, il clima, l’altitudine e l’esposizione per maturare nella sua pienezza di aromi e profumi. Un po’ come ne” I Miserabili” di H.de Balzac, sicuramente il luogo influisce sull’anima profonda di cose e persone e ne condiziona azioni e pensieri, così anche per il vitigno esistono luoghi d’elezione per far crescere e maturare le singole varietà. In tempi di mercato globale, forse, rimane una delle flebili certezze dei consumatori il poter bere dei vini realmente autoctoni e di sicura provenienza territoriale.

Questo è il caso delle uve di Cortese che, anche se coltivate in molte località di Asti, Alessandria e persino Cuneo o Pavia, solo a Gavi e negli undici comuni circostanti, esprimono un vino dall’aristocratica personalità , intenso, durevole ed elegante.

Osservando i vigneti, un occhio attento, può capire molto di quello che i grappoli conferiranno una  volta divenuti vino, diciamo che la pianta è un po’ lo specchio dell’anima di quello che conterrà la bottiglia.

Per questo è importante preservare l’autenticità di un vitigno come il Cortese, autoctono e autore di un vino bianco che riesce a sprigionare la sua forte personalità sia  da giovane, nell’annata di produzione, sia spumantizzato, in purezza,  con  un ventaglio di profumi speziati  e un gusto mandorlato persistente che evolve in bocca con raffinata eleganza.

L’apertura del mondo oggi ci permette di degustare vini bianchi di ogni provenienza, persino le più lontane ed impensate, con esplosioni di gusti e aromi di grande potenza, ma il Gavi di qualità riesce a superare mode e tendenze proprio grazie ad una personalità forte e raffinata, poco ruffiana, ma di grande carattere che conquista proprio per il suo dualismo di vino delicato ma dalla struttura decisa e persistente.

Al di là del nome “Cortese” del vitigno, che può ingannare l’immaginazione dell’assaggiatore, il Gavi  è dotato di caratteristiche tipicamente mascoline.

  • E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente  il consumatore?

Sicuramente è necessaria un’opportuna informazione al cliente. Purtroppo questo non sempre è possibile, e non sempre le informazioni giungono al destinatario correttamente. Nei numerosi viaggi all’estero, mi sono accorta che sicuramente gli stranieri sono molto più attenti e preparati su questa materia rispetto al consumatore italiano.

  • La parola “spumante” a detta di molti sembra fuori moda. Vengono usate definizioni che a mio parere non fanno vera cultura  del vino. La parola a te…

Lo spumante classico, rifermentato in bottiglia, trova le sue più remote radici nei vini spontaneamente frizzanti o spumosi degli antichi i quali conoscevano certamente la differenza qualitativa, dovuta alla presenza o meno dell’anidride carbonica, fra i vini fermentati in recipienti chiusi e quelli fermentati in recipienti aperti. Si ritiene quindi che questi vini più o meno spumeggianti secondo l’ermeticità del recipiente usato – dall’otre, all’anfora, poi dalla botte alla bottiglia – abbiano rallegrato fin dai tempi più antichi le mense e reso solenni le cerimonie. Il vino  che ci da emozione e gioia, per natura un vino mosso, direi uno Spumante Metodo Classico. Napoleone diceva del vino : nella vittoria lo meriti, nella sconfitta ne hai bisogno.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese della tecnologia, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

La ricchezza del panorama enologico italiano consiste proprio nella grande ricchezza varietale e nella distribuzione produttiva diversificata in molte realtà con capacità produttive differenti. Il mantenimento della nostra rete rurale è garantita anche dalla presenza di tante piccole aziende che investono sul territorio e contribuiscono a mantenere attive anche aree di difficile coltivazione. Penso ad esempio alle Cinque Terre o alla Valle d’Aosta.

  • E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione per aiutare i produttori in modo concreto nell’immediato?

In Italia manca un vero “sistema paese” che possa promuovere, sviluppare, sostenete il settore vino, come ad esempio osserviamo in Francia. Le iniziative sono tante, alcune anche molto interessanti, ma manca una visione d’insieme, una reale sinergia. Gli sforzi e le iniziative sono distribuiti tra diversi soggetti non sempre gestiti da una regia che sappia imprimere una forza d’impatto efficace.

  • Che consigli daresti ad un giovane che vuole iniziare in questo settore, sia come tecnico che come produttore?

Sicuramente il consiglio che mi sento di dare è quello di giungere a questa determinazione dopo aver visto e comparato diverse realtà produttive nazionali ed estere sfruttando l’opportunità di stage in azienda. Collaboro da diverso tempo con l’Università Cattolica di Piacenza, nell’ambito del Master di Enologia, marketing e territorio, apprezzandone la visione e l’indirizzo concreto di formazione. Al termine del percorso formativo, consiglio di specializzarsi in uno specifico ambito di competenze. Il futuro professionale e produttivo si basa sulle eccellenze, su ciò che potrà fare la differenza in un mondo ormai globalizzato.

 




“Due chiacchiere con… Nicola Sorrentino”

Incontrare dopo dieci anni una persona con cui si è collaborato ottimamente è sempre un vero piacere. Mi è successo poco tempo fa in una nota manifestazione a Milano. Mi riferisco al Prof. Nicola Sorrentino, specializzato in Scienza dell’Alimentazione, Idrologia, Climatologia e Talassoterapia, argomenti a me molto cari.  Due chiacchiere non potevano proprio mancare.

Dal 1982 si occupa di problemi legati all’alimentazione ed attualmente è docente di “Igiene nutrizionale e Crenoterapia” presso la Scuola di Specializzazione in Idrologia medica dell’Università degli Studi di Pavia. Autore di numerosi libri (Cosa mangiamo, Le diete lampo,  La Dieta dei Vip, La Dieta Baso, Psicodieta, Dizionario degli alimenti, Cellulite, ecc.). Collabora con numerosissime testate giornalistiche e televisive.

  • Nicola, alimentazione italiana, promossa, bocciata o… rimandata?

Assolutamente promossa.  Il “modello” alimentare che nel corso degli anni si è venuto a delineare come il più appropriato in termini di rischio e prevenzione dell’Obesità, delle malattie cardiovascolari,  e delle malattie in generale, è quello Mediterraneo:  la nostra alimentazione italiana.  Povera di acidi grassi saturi e di proteine animali, ricca di carboidrati, fibre e antiossidanti naturali, la Dieta Mediterranea  è riconosciuta universalmente per i suoi benefici su linea e salute. Oltre ad essere gustosa. Questo regime alimentare si basa sul consumo di prodotti della tradizione mediterranea: cereali (pane, pasta, polenta), latte e derivati, pesce, frutta, ortaggi, legumi e olio d’oliva. Alimenti semplici e genuini, colti nella loro stagionalità, ricchi di antiossidanti, antiradicali liberi e di grassi soprattutto insaturi. Alimenti con proprietà antinvecchiamento, ideali per tenere a bada i livelli di colesterolo, la pressione arteriosa, la glicemia e per mantenere in salute cuore, cervello, arterie e vene.

  • Mi definisci il tuo concetto di  “dieta”?

Partendo dal presupposto, che un regime alimentare sano è basilare per tutti e che dovrebbe essere uno stile di vita, per chi deve dimagrire, una dieta deve essere essenzialmente l’abitudine ad alimentarsi in modo sano e controllato. Una volta assodato questo, ai miei pazienti spiego sempre che seguire una dieta non è comunque un atto punitivo, ma che si può continuare a stare a tavola con gioia. Seguire un regime ipocalorico non vuol dire saltare i pasti e sognare con nostalgia un piatto di spaghetti, significa essenzialmente riorganizzare la propria alimentazione, in base ai propri gusti ed abitudini.

  • Quali sono gli errori principali che riscontri nell’alimentazione degli Italiani?

Sono stato per circa dieci anni il coordinatore di un programma chiamato “Educare per prevenire”. Il programma, rivolto alle scuole medio-superiori dell’area milanese, è stato sviluppato con il patrocinio della Provincia di Milano, l’Assessorato all’istruzione, e grazie al supporto del provveditorato agli Studi.

 I nutrizionisti sono intervenuti con un programma educativo sull’alimentazione dedicato agli studenti, distribuendo loro un questionario da compilare. Ha avuto un ottimo impatto, e ha permesso di mettere a fuoco molti errori.  Fra questi è emerso che il problema era a casa, dove non c’era stato né supporto, né follow-up ai nostri sforzi. Occorre quindi educare anche i genitori.

Un altro punto è la pubblicità televisiva che ha come target i bambini ed è estremamente dannosa. I bambini fanno pressione sui genitori affinché comprino gli snack che vengono pubblicizzati.
Ci sono già stati sviluppi positivi come il regolamento sull’etichettatura che mira ad informare il consumatore su cosa sta acquistando, usando etichette speciali per la qualità dei prodotti, per prodotti biologici, ecc. Le etichette sono anche un mezzo per assicurare l’origine degli alimenti.

E’ chiaro che abbiamo bisogno di più campagne di informazione, soprattutto nelle scuole, per arrivare anche ai bambini, poiché è a quella età che cominciano i problemi di salute legati all’alimentazione. Bisogna educare famiglie, insegnanti, responsabili scolastici, medici di famiglia, farmacisti, insomma tutti coloro che vengono a contatto con il pubblico.

  • Qual è la tua opinione sul “cibo biologico”,   moda o realtà?

Si al cibo biologico. Recentemente la signora Obama ha lanciato un messaggio ben preciso: sostenere un’agricoltura locale, ecosostenibile e biologica. Gli USA hanno sempre fortemente influenzato i modelli di consumo soprattutto nei giovani. Nell’attuale programma dell’agricoltura americana c’è una incentivazione verso i giovani per diventare agricoltori, ma soprattutto per far conoscere cosa e come mangiare.  Programma di educazione alimentare che nel nostro paese è stato già discusso e che chiarisco nella domanda successiva.

  • Sostengo da sempre quanto sia importante nel percorso scolastico l’educazione alimentare. Molto si sta facendo,  ma molto si potrebbe ancora. Cosa ne pensi?  

Negli ultimi 40 anni le abitudini alimentari degli Italiani sono cambiate notevolmente. Un tenore di vita più  elevato ha permesso l’utilizzo di prodotti più rari e raffinati: da un lato sono scomparse le carenze nutrizionali di una volta, dall’altro ha esposto tutte le persone che mangiano più del dovuto, a gravi problemi per la salute.

Obesità, gotta, malattie di tipo cardiovascolare, ipertensione,  diabete, difficoltà respiratorie, osteoartrosi, ecc. Il 50% degli Italiani ha un sovrappeso di circa 6 kg. Questo grasso  superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a tutte le malattie prima citate.

L’Obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in soprappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso.

  • La colpa?

– Mode alimentari che arrivano da altri paesi ricche di zuccheri, di fritture e povere di verdure e fibre.
– Troppa pubblicità che influenza il gusto e la scelta dei cibi degli adulti e ancor più dei bambini che passano molte ore davanti ad un televisore. Madri che, per stanchezza o per pigrizia dopo una giornata di lavoro, prediligono cibi preconfezionati sicuramente appetitosi e di facile preparazione, ma ricchi di grassi, calorie e con uno scarso apporto di principi nutritivi.
Tutto questo contribuisce a generare nei più piccoli la nascita di un problema  grave perché i chili in più, che oltre ad essere antiestetici causano loro imbarazzo e disagio, spalancando la porta a molte  malattie. La dieta deve essere varia e deve garantire all’organismo tutti i nutrienti di cui necessita: proteine, grassi, zuccheri, vitamine, sali minerali e fibre vegetali.

  • E’ ormai consuetudine  la presenza di chef stellati negli eventi enogastronomici. La loro cucina creativa punta alla valorizzazione del piatto a volte quasi maniacale. Personalmente amo molto la nostra grande tradizione che ci ha resi famosi nel mondo,  e  sono convinta che ci sia una reale voglia di ritorno alla semplicità dei sapori.  Qual è la tua opinione in merito?

Sono assolutamente contrario a piatti con preparazioni elaborate e ad accoppiamenti “anomali” che tolgono gusto e sapore. Bisogna saper sfruttare gli ingredienti a nostra disposizione esaltandone i sapori naturali, senza appesantirli con preparazioni  strane, variando molto gli alimenti anche in base alla stagionalità.

  • Adoro ascoltare ricette raccontate, ricordo quando mi parlavi della tua pizza alla scarola…  Mi piacerebbe che me ne raccontassi una alla quale sei particolarmente legato, e che ti riporta alla memoria le atmosfere dell’infanzia.

La pizza con la scarola mi ricorda molto la mia infanzia, ma c’è un episodio che ancora oggi  dopo cinquant’anni non ho dimenticato perché  vissuto simpaticamente con gioia e divertimento. Era una domenica, e la mia mamma aveva invitato a pranzo zii e parenti.

Aveva incominciato a cucinare il giorno precedente per preparare i polipetti affogati al pomodoro. Pietanza che mia madre cucinava in modo eccellente, e che con il sugo condiva la pasta obbligatoriamente fatta a mano. Uno di quei piatti che cucinato “a fuoco lento” il giorno prima, è ancora più gustoso.

Erano circa due chili di polipetti che tra  stupore e meraviglia al momento di riscaldare il tutto, erano scomparsi! Era rimasto solo il sugo! Mia mamma era arrabbiatissima pensando ad uno scherzo. In realtà mia sorella Nives, tutt’ora in “carne”, e degna moglie di mio cognato Antonio anche lui buongustaio, durante la notte li aveva mangiati tutti!  Aveva mangiato due chili di polipetti e stava benissimo! Spero che mia sorella non legga questa storia che ha sempre negato. Certamente i polipetti non potevano sciogliersi o… volar via!

 




“Due chiacchiere con… Mattia Vezzola”

Tempo fa feci visita a Gianni Vittorio Capovilla, noto distillatore di cui vi ho già raccontato in un’altra mia storia. Discorrevo con lui di un mio progetto… qualcuno forse lo chiamerebbe sogno, ma sognare non costa nulla. Come dico spesso… se non provi nella vita non saprai mai cosa potrebbe essere stato.

Gianni mi ascoltava attento… capiva il mio entusiasmo.  D’un tratto mi disse: “Cinzia, devi conoscere un enologo che crede nel territorio, si chiama Mattia Vezzola”.  Direttore ed enologo dell’Azienda Bellavista a Erbusco in Franciacorta, Consigliere regionale e nazionale dell’Associazione Enologi ed Enotecnici Italiana, conduce con il fratello l’Azienda vitivinicola di famiglia Costa Ripa a Moniga del Garda. Fatta questa premessa, vi posso solo dire che seguo sempre i buoni consigli. Quindi sono andata, e l’ho conosciuto chiacchierando davanti ad un calice di vino… come piace a me.

  • Le nostre origini… tutto parte da li. Come è iniziata la tua avventura nel mondo del vino?

Per tradizione; la mia famiglia coltiva la vigna e produce vino dal 1936 a Moniga del Garda.

  •  Sei grande conoscitore del territorio, dei vitigni e dei vini Gardesani. Ce li puoi raccontare brevemente?

Sono quattro i vitigni:  Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera. Rispettivamente eleganza, sapidità, piccoli frutti e più frutta rossa, più complessità e più freschezza. Il vino principe è il Valtènesi Chiaretto che proviene dai quattro vitigni con maggioranza Groppello.  E’ tra i vini più setosi e papati del mondo.

  • Il vino per me è molto di più di una bevanda, il vino è storia, è pensiero, è filosofia di vita. Cos’è per te il vino?

Il vino è saper ascoltare, saper aspettare e cogliere, saper raccontare ed emozionare, è tempo passato, presente e futuro, è un modello di vita, è regola e disciplina, è rispetto della natura.  La storia di intere famiglie, di intere generazioni.

  •  Amo visitare i piccoli produttori, passeggiare con loro in vigna e sentirne le loro storie. Io vivo così il vino. Mi capita spesso però di sentire gli esperti sostenere che un piccolo produttore difficilmente è in grado di fare un vino di qualità per la mancanza di tecnologia, che queste realtà non possono sostenere. Lascio a te la risposta.

Le dimensioni non sono significative ma è importante, per potersi avvicinare alla costanza qualitativa, avere la possibilità e la competenza di saper scegliere. L’eccellenza sta nel pensiero e non nella dimensione.

  •  E’ un momento difficile per questo settore. Cosa ritieni possano fare le istituzione per aiutare i produttori in modo concreto?

Concedere istituzionalmente le responsabilità delle scelte e la guida delle filosofie a persone di provata e consolidata esperienza.

  •  Che consigli daresti ad un giovane che vuole iniziare in questo settore?

Studiare, amare, e avere la fortuna di incontrare il mondo estero.

E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente il consumatore?

 Direi di no;  il bio dovrebbe essere un pre-requisito da non dichiarare, il resto è nel conoscere e saper fare. C’è una grande attenzione da parte delle cantine alla qualità del proprio prodotto e non solo, oggi si pensa anche alla salute del consumatore e da qui un percorso di produzione non necessariamente biodinamico o biologico, ma il più naturale possibile.

  • I consorzi sono nati per unire le singole forze e tutelare i vignaioli. Spesso criticati, cosa ne pensi?

Il consorzio come primo compito ha quello di definire le regole e farle rispettare. Secondo, tutelare e valorizzare la vocazionalità del territorio e del proprio prodotto, attraverso tutti i mezzi di comunicazione a disposizione. Terzo, utilizzare, al fine di ottenere il consenso generale del consumatore e una credibilità sempre più rafforzata, le potenzialità di ogni produttore, esaltando ogni singola peculiarità, che in un quadro generale d’insieme dia forma ad un progetto definito e concreto di crescita e sviluppo. Quarto, lavorare per ottenere dalle istituzioni quei riconoscimenti e quei sostegni indispensabili, per essere sempre più competitivi sui mercati sia consolidati che emergenti. In sintesi, legare la terra al mercato.

  • Qual è la vostra realtà in Franciacorta sulla promozione vinicola?

Il consorzio, attraverso la sua organizzazione e relativo ufficio stampa, da alcuni anni si adopera per diffondere la denominazione Franciacorta con ogni mezzo che si identifichi nella qualità dell’immagine, della comunicazione, e del linguaggio, anche attraverso una forma diretta che è quella del Festival del Franciacorta itinerante.




“Due chiacchiere con… Daniele Manini”

Daniele Manini, agronomo della storica Azienda vitivinicola Doria a Montalto Pavese. Ama definirsi come colui che segue per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina.  Appassionato promotore del recupero dei vitigni storici e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.

Un onore e un piacere conoscerlo…

  •  Chi è Daniele Manini?

Un uomo che vive la vita nella ricerca della serenità e dell’equilibrio con la natura, che trova nella manipolazione della materia uva, energia ed appagamento, con la speranza di emozionare chi degusta l’arte effimera di produrre vino.

  • Daniele, cosa ti ha spinto a scegliere la facoltà agraria?

Il caso…  Dopo un sensazionale periodo nei corsi regolari dell’Aeronautica Militare di Pozzuoli ed in particolare nel magnifico  “Corso Falco IV”, mi sono trovato a riprogrammare la mia vita.  Ha scelto il mio istinto sostenuto dall’esperienza pregressa, e l’amore incondizionato per la natura tutta… In definitiva un modo diverso di mettere a servizio la propria esistenza.

  • Ti definisci Maestro di Cantina. Puoi spiegarmi meglio le differenze di questo ruolo rispetto alle figure tradizionali?

La completezza del ruolo. L’enologo inteso in maniera tradizionale conosce il vino ma non in profondità la cantina e la vigna, non si interessa di accoglienza, marketing e gestione aziendale.

Non esiste una figura professionale adeguata per il cantiniere che benché spesso esperto manipolatore di alimenti,  non trova collocazione adeguata nel mondo professionale se non come operaio agricolo.

Per legge quindi chiunque può fare il cantiniere anche se praticamente nessuno si può permettere di avere in cantina personale non qualificato. L’agronomo propriamente detto, vede il terroir e la vigna ma nella sostanza nessuna esperienza a valle, spesso a partire dal significato enologico di uva.

Non esiste altra figura se non il “Maestro di Cantina” insieme alla proprietà, nell’assumere il ruolo di “promotore e comunicatore”.  Accoglie l’enoturista quasi fosse lo sportello unico in luoghi dove gli assessorati al turismo e all’ambiente non hanno presidi.

Per la parte economico-gestionale è la figura di riferimento per la sicurezza sul lavoro, l’Haccp, la Iso 9000, il controllo di processo e il controllo analitico.  Analizza e gestisce i flussi dei costi in entrata e della gestione  dei prodotti in uscita, quasi come garante della qualità aziendale sia in capo al prodotto che alla gestione. Questo vale per le aziende di piccole e medie dimensioni. Non è un caso che spesso siano i proprietari conduttori ad assolvere più ruoli contemporaneamente,  a causa del fatto che non esiste una figura professionale siffatta in Italia.

  • La tua terra d’origine è Viterbo. Come sei arrivato in Oltrepò Pavese?  Puoi descrivere la tua esperienza maturata in questo territorio nel corso degli anni vissuti qui?

Sono arrivato nel 1998 appunto per calibrare la ISO 9000.  Tramite lo strumento Iso appropriato ho riprogrammato l’azienda per i tempi a venire e per il lungo periodo. Mi sono trovato poi ad assumermi la responsabilità della direzione della cantina, ed a costruirmi, quasi come prototipo, la funzione complessa ed appagante del “ Maestro di cantina”.

Questo territorio per lunghi anni è stato un soggetto ignoto perché tutta la mia energia era calata a sostenere l’attività aziendale e l’acquisizione di professionalità. Chiuso nel mio mondo, cercando la strada migliore per l’azienda Doria e per me, quasi una lunga gravidanza enologica.

  • Sei fautore del recupero, ove possibile, della tradizione storica della viticoltura. Ne è esempio l’utilizzo delle botti di castagno italiano. Come valuti i risultati di questa tua esperienza?

Interessanti e necessari…  la considero archeoenologia o meglio enoarcheologia. Sono fermamente convinto che se non si mette in evidenza il passato e non lo si mette in chiaro (nessuna scuola enologica ha corsi specifici a tal riguardo) non si può parlare di tradizione enologica italiana.

Le nuove leve come possono avere la percezione di cosa sia il vino, inteso come patrimonio culturale ed essenza della cultura enogastronomica italiana, se trovano solo tecniche e tecnicismi nei corsi di enologia. E’ come se un artista non studiasse Storia dell’Arte.  Il vino è Arte… non sono in grado di vederlo come prodotto tecnologico o bevanda.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese della tecnologia, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Michelangelo aveva solo uno scalpello ed un martello…  La Conoscenza è sinonimo di qualità ed è sempre perfettibile finché vita non ci separi dalla nostra passione: il vino.

  • E’ un momento difficile per la viticoltura. Se ti trovassi faccia a faccia con il ministro delle politiche agricole, che misure chiederesti a suo sostegno nell’immediato?

Rispetto. Vorrei riconosciuto il ruolo di Tutore dell’ambiente poiché il sistema ambiente italiano è fragile, e da sempre tutelato da chi con dedizione quotidiana fa manutenzione del meraviglioso paesaggio italiano.

Vorrei che il produttore del vino, quello vero che non ha mai udienza nei salotti romani, quello che sta tutti i giorni sul territorio e che da solo gestisce tutta la filiera vite-uva-vino assumendosi tutti i rischi, “generatore” di ricchezza per il Sistema Paese, e che per questo suo magnifico lavoro di gestione abbia quell’IVA agevolata che D’Alema ci ha tolto dimentico del ruolo sociale ed ambientale, che i padri fondatori della Repubblica Italiana avevano attribuito alle classi agricole, spesso derubricate a zappaterra dalla classe arricchita spesso ex-agricola italiana.

  • Ad un giovane che vuole investire la propria energia e passione in questo settore, sia come produttore che come tecnico, cosa consiglieresti per iniziare?

Valutare bene le personali risorse, intendo quelle energetiche, e tante ne servono… Ascoltare con severità e criticità ma sempre con umiltà chi ha più esperienza, porsi sempre “in continua formazione” rispetto al vino ed ai suoi contorni.

Deve vivere con la consapevolezza di essere spesso incompreso da un mondo che gira intorno al vino e che vive in un brodo fatto di realtà vere e false, esperienze vere e presunte, conoscenze e spesso credenze, e molte bugie che creano una miscellanea di umori, e quindi, che avrebbe bisogno di un super psicopatologo.

Nel caso in cui decidesse di affrontarle tutte insieme, che viva con serena alterità la sua personalissima esperienza enoica…

“Il caro Daniele… Ricordo quando una sera, a cena insieme a Montalto Pavese, lo vidi prendere in braccio la sua bella bambina. La alzò in alto e mi disse: “Vedi Cinzia, io voglio che lei cresca imparando ad emozionarsi…”. Mi commuovo ancora quando il pensiero va a quell’immagine…  Se questa mia avventura servisse anche solo a conoscere persone così, io so per certo che la mia strada è giusta, perchè come dico io,  ci sono tanti modi di arricchirsi, e questo per me, è il  migliore…”

 



Due chiacchiere con… Enzo Primerano

Enzo Primerano,  medico anestesista, rianimatore e terapista del dolore, ma soprattutto un amico ed un enogastronauta per diletto.  Grande appassionato del peperoncino e del rapporto tra cibo e salute, ovvero, come i cibi presenti nei nostri piatti possano svolgere un ruolo benefico.

Una delle sue citazioni preferite è:  “Non cercare di diventare un uomo di successo,  ma piuttosto un uomo di valore”.  Io lo conosco bene, lui lo è.

  • Medico anestesista e appassionato enogastronauta, passioni diverse.  Vuoi raccontarci come sono nate?

La medicina è umanità condita di conoscenze scientifiche e tecnologia, è per questo che ho sempre cercato senza trascurare queste ultime di privilegiare l’umanità. Da qui la passione per il benessere, lo sport e la buona e sana alimentazione  che ti permettono di ascoltare meglio il tuo corpo, e chi ha bisogno di te.
Spesso ciò che ci contraddistingue non è di essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma di vedere ciò che è vecchio e conosciuto da sempre e per questo trascurato da tutti. Lo diceva Nietzsche ed aveva ragione,  perché ancora oggi siamo spesso schiavi di luoghi comuni, inesattezze e false verità  che spesso arricchiscono chi fa business con la salute e ci chiudono gli occhi sulle cose semplici e poco costose.

  • Ti occupi di terapia del dolore cronico, pensi che l’alimentazione possa contribuire in tal senso?

Certamente,  l’alimentazione ricopre un ruolo fondamentale nella prevenzione dei dolori soprattutto quelli cronici. Basti pensare  a tutti quei cibi che provocano le cefalee o alcune forme di allergie alimentari. Ma, ancora più in generale alle sane abitudini alimentari: un equilibrio dietetico favorisce e consolida un equilibrio globale del corpo che ci protegge dai dolori.

  • Sei un cultore del peperoncino. Questa passione è dettata esclusivamente dalle tue origini o  è maturata col tempo?

No ignoravo il peperoncino rosso.  Lo mangiavo quando capitava ma senza eccedere o esaltarne le proprietà. Ricordo che le mie origini calabresi mi imponevano comunque di conoscere ed apprezzare molti piatti tipici a base di peperoncino. Dodici anni fa, dopo aver smesso di fumare, ho corretto le mie abitudini alimentari eliminando il sale dalla dieta e ricorrendo a insaporitori naturali come limone, erbe e peperoncino. In questo contesto scoprii che esisteva una vera e propria “Accademia del Peperoncino” che studiava, divulgava, e promuoveva tutto ciò che era inerente a questa antica pianta. Subito mi iscrissi, e da allora cerco di promuovere anch’io il peperoncino soprattutto per ciò che riguarda le sue proprietà terapeutiche.

  • Sono convinta che investire nelle proprie passioni sia una vera terapia di salute.  Da medico,  cosa ne pensi ?

Il benessere è la base dell’armonia e della salute. E’ molto complesso costruire il benessere, ma in generale possiamo dire che lo si realizza con cose semplici: un corretto stile di vita, muoversi, mangiare cose sane, rifuggire lo stress,  e riunirsi piacevolmente con gente che la pensa  come te. Tutto facile da enunciare,  ma talvolta arduo da realizzare.

  • Parlando di terapie naturali, pensi che i farmaci possono essere sostituiti validamente (ovviamente non nelle patologie invalidanti)?

Certamente!!  Una corretta  alimentazione ed il corretto uso di erbe stanno  alla base della antica e moderna farmacologia e facilitano la prevenzione delle malattie.  Le antiche scritture ci dicono che furono direttamente  gli Dei ad insegnarci come coltivarle ed usarle affinché l’uomo si mantenesse in salute.

  • Mi racconti un piatto che ti ricorda la tua infanzia?  Che vino abbineresti?

Mi piace ricordare la “parmigiana di melenzane”  con melenzane rigorosamente fritte e intrecciate a listarelle, anzi  il termine parmigiana deriva da questo tipo di lavorazione (la sovrapposizione delle listarelle delle persiane in falegnameria).  Piatto tipico della cultura della Magna Grecia (basti pensare alla moussaka).

Per il vino da abbinare secondo me l’ideale sarebbe un bianco aromatico fresco,  quindi diciamo un Muller thurgau o un Gewurztraminer  oppure un Pinot grigio. Tra i rossi  servirebbe  un vino di poca struttura, leggermente fruttato e delicato…  un Valpolicella, un Sangiovese giovane oppure al limite un Barbera d’Asti.




“Due chiacchiere con… Giorgio Ferrari”

Giorgio Ferrari, Professore di Storia Contemporanea, autore e conduttore di programmi culturali per la Rai. Un onore averlo come amico, un piacere farvelo conoscere.

  • Chi è Giorgio Ferrari?  

E’ la somma dei suoi ricordi più il patrimonio genetico ereditato. Senza ricordi non siamo nulla. Così è per i popoli. Gli italiani sono la somma delle esperienze fatte nella Storia. Se si perdono, si ritorna ad essere il volgo confuso che voce non ha. Così è per il vino e per l’enogastronomia. La cucina povera che diviene ricchezza, il vino dei contadini che diventa DOC. Anche questo è Storia. Le nostre radici hanno fatto nascere il popolo Italiano, con le sue tradizioni, con la sua creatività, con le sue eccellenze conosciute nel mondo… E il territorio italiano pulsa di Storia ad ogni passo. “Perché certi piatti si fanno così in un determinato posto e non in un altro? Perché la creatività, la fantasia e le esigenze della gente di quel posto hanno creato quella cucina”.

  • Giorgio, com’è nata la tua passione per la storia?

Fin da bambino. Alle elementari la parte storica del sussidiario la leggevo tutta di un fiato. Naturalmente allora mi affascinavano le battaglie e i grandi eroi. Poi col passare degli anni ho capito che la Storia siamo noi. Ognuno ha il suo ruolo piccolo o grande.

  • Che personaggio storico avresti voluto incontrare, e perché?

Ne vorrei incontrare molti. Forse quello che mi intriga di più è Voltaire. Non ha combattuto battaglie, non è stato uno statista, ma con i suoi saggi, soprattutto col Trattato sulla tolleranza, ha cambiato il Mondo, ha innescato un moto per cui oggi godiamo di libertà (anche se spesso non la sappiamo usare) e uguaglianza dei diritti.

  • E’ ormai diffusa la tendenza nel recuperare vecchie tradizioni del passato sia in vigna che in cantina. Credi che sia solo una moda, o che ci sia una vera voglia di ritorno alla vita dei bei tempi?

Credo che sia una tendenza inarrestabile. E dovrebbe far scuola. Senza le nostre tradizioni siamo automi in balia di ogni imbonitore.

  • Per chi ti conosce bene è nota la tua passione per la vodka. Questo amore è dettato solo da una questione di gusto, o da altri fattori?

La vodka è un po’ come un panino, si consuma in fretta, entra subito in circolo e tra amici crea un immediato circuito di allegria. Per la verità il liquore che amo di più è il whiskey torbato. Ideale nelle lunghe serate invernali, magari mentre leggo un bel libro.

  • Credi che sia possibile per i giovani un futuro da investire nella terra?

Il futuro è nella terra. Ho conosciuto molti giovani professionisti che a vario titolo ci lavorano e l’amano. Se avessi un figlio lo indirizzerei li. Oggi il “mondo contadino” non è più quello che Marx definiva nella formula: “Idiotismo della vita rurale”. E’ un campo in cui ci vuole grande professionalità, oltre che passione.

  • Giorgio ormai hai un appuntamento serale fisso sulla tua bacheca facebook. Quasi un servizio sociale per coloro che in alcuni momenti di solitudine della propria vita, sanno di poter trovare sempre un amico disponibile con cui discorrere dei temi più svariati. Com’è nato tutto questo?

Nacque per puro caso. Una sera scrissi che mi stavo versando una vodka e un gruppo di amici commentarono: “A noi non la offri?” La sera dopo scrissi non mi ricordo più cosa e gli stessi amici commentarono: “Ehi, questa sera non si beve?” Così è nato il mio bar virtuale. Ogni sera è aperto, cambiano gli avventori, a volte è affollatissimo, a volte è quasi deserto, ma la porta è sempre aperta per gli amici.

 



“Due chiacchiere con… Michelangelo Tagliente”

Blog: La stanza del vino

Freelance International Press, Wine blogger su  ‘La stanza del vino’, sommelier AIS. Inciampando nel mondo del vino c’è cascato dentro… e alla grande! Un vero piacere conoscerlo, perché devo dire che su questo Mondo diVino, la penso proprio come lui!

  • Domanda di rito,  com’è nata questa tua passione per il mondo del vino?

Mi sono avvicinato al mondo del vino gradualmente; fino ai 30 anni (oggi ne ho 44) non avevo né passione né grande interesse! Poi succede come quando ti innamori, è sempre difficile spiegare il perché, è qualcosa di magico che succede e ti rapisce per sempre! Verso la fine degli anni novanta ho iniziato a leggere il Gambero Rosso e ho capito che il vino non era solo una bevanda ma poteva essere “Malattia dell’anima” tanto per citare Mario Mariani! Da li in poi sono diventato onnivoro, leggevo riviste di enogastronomia a pacchi e cominciavo a bere in maniera più consapevole. Poi sul finire del 2006 ho iniziato i corsi AIS, buona base di partenza per avere un minimo di cognizione tecnica. Nel 2008 ho fatto l’esame e ho partecipato per un periodo in maniera attiva alla vita dell’associazione scoprendo che non faceva per me! In realtà come spesso capita in questi casi le passioni vengono da più lontano e magari per lungo tempo rimangono sopite per poi risvegliarsi all’improvviso; dico questo perché mio nonno da buon contadino pugliese si faceva il vino in casa e ho ricordi precisi di quando vinificava, e poi fin da piccolo ho sempre avuto una passione smisurata per i ristoranti, qualcosa vorrà dire no?

  • Come hai iniziato a scrivere storie di vino e di persone? 

Scrivere mi è sempre piaciuto; con l’avvento di Facebook ho iniziato a mettere qualche commento alle foto che facevo ai vini e da li mi è venuta l’idea, sicuramente innovativa, visto che ero il milionesimo a pensarci, di farne un blog e così a luglio del 2010 sono partito! Pensavo che la cosa sarebbe durata al massimo un paio di mesi; invece è stato un crescendo spaventoso e se ci penso mi vengono i brividi! Voglio precisare però che pur essendo il milionesimo blogger ho sempre cercato di evitare tecnicismi, punteggi, polemiche gratuite, ecc. ma ho preferito raccontare storie, di vino e di persone per l’appunto! 

  • Qual è la storia che hai scritto, e che ti ha più colpito? Perché?

In realtà sono tante, più o meno tutte, altrimenti non ne scriverei! Diciamo che magari sono legatissimo a quella di Marko Fon, perché i vini di Marko mi hanno segnato profondamente!

  • C’è un protagonista dell’enogastronomia che  vorresti conoscere?

Vorrei conoscerli tutti, perché più conosci e più impari e ti arricchisci! Naturalmente  il mondo dell’enogastronomia, come tutti i mondi, è popolato di bellissime persone e di pessimi soggetti, anche se devo dire che fino ad oggi, almeno per la mia esperienza, hanno prevalso i primi e con alcuni di loro ho stretto veri rapporti di amicizia!

  • Incontrando tanti produttori, quali sono le difficoltà comuni che più ti manifestano?

Sembrerà strano ma incontrando i produttori difficilmente parliamo di difficoltà, o meglio è un argomento che non si tocca quasi mai, perché parliamo sempre dei lati positivi del mondo del vino! Poi è ovvio che le difficoltà esistono! Invece mi trovo spesso a parlare della noiosa diatriba tra convenzionali, biologici e biodinamici!

  • Cosa pensi delle suddivisioni dei vini in naturali, biologici, biodinamici e organici? Credi che possano aiutare o confondere le scelte del  consumatore ?

Riprendo quanto detto sopra. Trovo che questa distinzione che alcuni fanno in buoni (biodinamici) e cattivi (convenzionali) sia davvero stucchevole e noiosa. Molto banalmente ti dico che ho assaggiato vini biodinamici che erano delle vere e proprie schifezze e vini biodinamici stupendi;  idem per i convenzionali, quindi come la mettiamo? I produttori seri ed attenti stanno riducendo la chimica in vigna già da tempo senza appuntarsi nessun distintivo!

  • La comunicazione enogastronomica  sul web è ormai molto affollata da blogger e giornalisti più o meno esperti. Cosa ne pensi?

Essendo il milionesimo blogger non ho molta voce in capitolo o meglio non posso permettermi di dare giudizi; dico solo che tutti hanno il diritto di dire la loro, una sorta di “Primo emendamento”; naturalmente rispettando i diritti degli altri! È come per la musica rock: se penso che ci sono stati i Rolling Stones o i Beatles è ovvio che non ha senso mettere su una band perché loro sono inarrivabili, ma credo che tutti abbiano il diritto di provarci perché nella vita non si sa mai! Poi il resto lo deciderà il tempo, chi merita resterà per gli altri sarà l’oblio! Su una cosa però non transigo, preferisco avere quattro persone che mi leggono piuttosto che offendere o screditare il lavoro dei produttori dando vita a polemiche gratuite per avere più contatti!

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