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E’ possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie? Risponde lo chef Giorgio Perin

Ho conosciuto Giorgio Perin durante una serata dedicata al Nebbiolo che si è svolta pochi giorni fa al MO.OM Hotel di Olgiate Olona, in provincia di Varese. E’ ormai mia abitudine, se valuto interessanti le argomentazioni del mio interlocutore, approfondire la sua conoscenza con due chiacchiere che mi permettono di capire e soprattutto continuare ad imparare.

Chef Giorgio Perin -

Chef Giorgio Perin

La scelta di Giorgio di fare il cuoco è stata quasi una tappa obbligata. In quegli anni gli indirizzi scolastici privilegiati erano infatti rivolti alle scuole professionali che permettevano un ingresso immediato nel mondo del lavoro. Nato a Verbania, optò per la scuola Alberghiera di Stresa inizialmente senza alcuna ambizione di carriera.

Stagione dopo stagione, lontano dagli affetti e dalle amicizie, il percorso ha incominciato ad entusiasmarlo. La fortuna di poter lavorare accanto a grandi Chef del Novarese, gli ha permesso di formarsi imparando i fondamenti della cucina classica che poi ha mantenuto negli anni come pilastri del suo metodo lavorativo. Come si suol dire, da cosa nasce cosa.

Detto ciò vi presento l’Executive Chef dell’Hotel MO.OM Giorgio Perin.  A lui la parola.

  • Giorgio, Secondo te è possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie?

Non solo è possibile, ma è necessario se si vuole produrre un buon risultato che accontenti sia la clientela che la casa per cui si opera. Non è forse quello che normalmente si fa in ogni famiglia? Si cerca di contenere i costi e di soddisfare tutte le esigenze. Un risultato che si può ottenere attraverso un’accurata selezione dei prodotti, un’adeguata calibratura delle merci, e un metodo di cottura che eviti gli sprechi riducendoli al minimo o addirittura annullandoli.

  • Meglio la ristorazione di ‘ieri o quella di oggi’?

Credo che non ci sia il meglio dell’una senza il meglio dell’altra. Mi spiego. Oggi si tende a ricercare sempre nuovi gusti, nuovi abbinamenti, e nuovi metodi di cottura per accontentare sia i palati che le necessità di restringere il tempo di attesa e di consumazione dei piatti. Non dobbiamo però dimenticare che nella cucina ‘di ieri’ ci sono gusti, profumi e genuinità che nessuna novità di oggi potrebbe mai far scordare. Molte ricette di oggi sono rivisitazioni dei piatti di ieri, i più genuini e naturali.

  • Consiglieresti a tuo figlio/a di percorrere la tua strada?

Ogni lavoro, se fatto bene, è passione impegno e fatica, così come ogni persona è artefice del suo destino. NO, non ho consigliato ai miei figli il mio lavoro, ne loro hanno mai espresso la volontà di farlo. Personalmente sono felice che si sentano realizzati nelle loro scelte.

Chef Giorgio Perin

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  • Secondo te perché le donne fanno più fatica ad affermarsi nell’alta ristorazione?

A mio parere è difficile ma non impossibile. Questo lavoro se fatto con passione richiede grande dedizione, sacrificio e tempo. Non ne farei dunque una questione di capacità o di possibilità, ma di abnegazione di se stessi. Arrivare all’alta ristorazione può voler dire rinunciare alla famiglia, al divertimento e al tempo per se stessi. Le cose però anche in questa direzione stanno cambiando.

  • La cucina è una questione di sensi. È scientificamente provato che le donne hanno una sensibilità maggiore. Proprio per questo motivo accetteresti di lavorare a fianco a una donna?

Qualche anno fa avrei avuto delle grosse riserve se mi avessero proposto una collaborazione uomo-donna in cucina, forse per il mio carattere dominante, forse per partito preso, o forse semplicemente perché ho sempre visto il mio lavoro “Uomo”. Oggi sarei più aperto a questa possibilità, ma non lo farei per una questione di sensibilità, perché per cucinare bene, per abbinare gusti, per creare effetti cromatici, questa dote è indispensabile a prescindere dal sesso.

Cinzia, concludo queste nostre due chiacchiere rivelandoti che ho trascorso quasi un’intera vita appassionandomi ad un lavoro che mi ha richiesto grandi rinunce ma che mi ha dato enormi soddisfazioni. Grazie a questa lunga esperienza ho potuto conoscere grandi menti, altri paesi e culture. Sono tutt’ora operativo e soddisfatto dei miei risultati. Ringrazio la mia famiglia per il paziente, entusiasta, oggettivo supporto senza il quale sarebbe stato tutto molto più difficile. In Fede, Giorgio Perin.

Come non condividere le parole di Giorgio. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, è il supporto più importante nella vita. E’ il nido che ci scalda nei momenti freddi e ci sostiene nelle difficoltà. Mai darla per scontata…

La cucina dello Chef Giorgio Perin.




L’Italia, paese di terra e di mare… di contadini e di pescatori. In ricordo di Francesco Arrigoni.

Ci sono giornate così intense su cui, una volta concluse, è necessario riflettere per trarre i giusti insegnamenti. Domenica 4 Maggio è stata una di queste. Nel Monastero San Pietro in Lamosa, a Provaglio D’Iseo in provincia di Brescia, è stato consegnato a Vincenzo Billeci, assessore-pescatore di Lampedusa in rappresentanza dei lavoratori del mare, un premio in memoria di Francesco Arrigoni, giornalista e allievo di Luigi Veronelli.

Non ho conosciuto Francesco, ma in questi giorni ho letto di lui. Un uomo che amava la montagna, che viveva le sue passioni in intimità, poco avvezzo alle mode e alle onde del momento. Un uomo di carattere che non si nascondeva dietro uno status quo di comodo che purtroppo, dopo un mio risveglio dovuto ad un torpore di anni, sto riscontrando in questa società. Sono convinta che saremmo andati molto d’accordo.

La motivazione del premio a lui dedicato è la solidarietà dimostrata dai pescatori di Lampedusa, negli ultimi decenni, verso le migliaia di migranti che la legge del mare con i suoi insegnamenti, impone di portare in salvo. Un soccorso dettato dalle coscienze, che purtroppo è in contrasto con la legge degli uomini che vieta ai pescatori di intervenire in aiuto dei clandestini, in caso di emergenza.

Vincenzo Billeci intervistato dal giornalista Gianni Mura

Vincenzo Billeci intervistato dal giornalista Gianni Mura

“La chiamano emergenza. Ma come è possibile che un’emergenza duri da ben venticinque anni? Un’emergenza che tra l’altro ricordiamo ci costa 300.000 euro al giorno.” Vincenzo Billeci denuncia con queste parole una situazione che perdura ormai da anni.

Mi sento molto vicina ai pescatori. La scorsa estate ho parlato con loro a Fiumicino, a Pozzuoli, a Crotone. Volevo capire per quello che è possibile, perché in un paese come l’Italia con 7450 km di coste la pesca sta morendo. Sicuramente il caro gasolio, la burocrazia, l’abusivismo e le istituzioni non facilitano questo settore. Ma non finisce qui… Vincenzo ha raccontato che a Lampedusa pescherecci tunisini pescano a sole tre miglia dall’isola, per quasi centocinquanta giorni l’anno. La Guardia Costiera interviene ma senza grandi risultati. Continuo a non capire, ma forse non c’è nulla da capire, perché è già tutto fin troppo chiaro.

A fine premiazione mi sono soffermata a parlare a lungo con lui. Negli anni 80/90 i pescatori a Lampedusa erano seicento, ora ne sono rimasti poco più di duecento. E’ molto diverso ascoltare i problemi vissuti in prima persona da chi vive il mare e la terra. Sono i nostri politici che dovrebbero farlo, perché è da li, dalla terra e dal mare che dobbiamo ripartire. Mi chiedo spesso se saremo in grado di rimediare ai danni che gli abbiamo arrecato.

Vincenzo Billeci non è solo un pescatore, lui scrive poesie. Ne riporto una che ha scritto nell’Ottobre del 2013. Ieri, quando ci siamo salutati, me ne ha dato una copia autografata. La conserverò con cura tra le cose care.

Il mare e la terra

 




Secondo voi cosa vogliono gli italiani quando vanno al ristorante?

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo sondaggio su ciò che le persone si aspettano andando fuori al ristorante. Un piacere a cui gli italiani difficilmente rinunciano, anche in un periodo di crisi come questo. Sento spesso dire – ma come, tutti sono in crisi ma i ristoranti sono pieni! – Certo, non tutti, ma molti si.

Per quanto mi riguarda adoro farlo (sono più brava a mangiare che a cucinare). 😉 Assaggiare cibo e vino è una mia grande passione, un momento di vera beatitudine che mi regalo scegliendo con cura il luogo di ristoro. A volte seguo i consigli di amici e conoscenti, mentre a volte, soprattutto quando sono in viaggio, uso il  ‘metodo Tosini’.  Funziona così: con la scusa di una foto ‘attacco bottone’ con le persone del posto che diciamo così, mi ispirano, e poi, chiedo indicazioni sui punti di ristoro caratteristici in cui fermarmi a mangiare. I risultati sono spesso sorprendenti!

Ma ora torniamo al mio piccolo sondaggio. Premetto che mi ha sorpreso molto che pochi hanno fatto riferimento al ‘conto’. Sono convinta che in un momento critico come questo il giusto rapporto tra qualità e prezzo sia uno dei motivi principali che determina la scelta. Alcuni sostengono che è impossibile mangiare bene senza spendere cifre, che ahimè, molti non si possono più permettere.  Io credo che partendo da buone materie prime che l’agricoltura italiana ci mette a disposizione, si possa fare una cucina di qualità senza spendere follie. Ad esempio, una pasta al pomodoro se fatta bene, è un gran piatto!

Detto questo, qui di seguito, ecco ciò che è emerso (ho aggiunto anche le mie riflessioni). Certo, nulla di nuovo, ma ricordarlo forse non fa male.

Gli italiani quando vanno al ristorante vorrebbero…

  • Qualità e accuratezza nell’uso di buone materie prime. L’agricoltura italiana ce ne fornisce a iosa senza spese esorbitanti. A questo proposito mi raccomando in particolare sulla frutta. Un cestino a fine pasto, senza doverlo chiedere, è più che ben accetto! Dimenticavo… mi raccomando anche alle insalate miste, sono pochissimi i ristoratori che sanno farle come vanno fatte.
  • Cordialità, educazione e cortesia. Un sorriso è la migliore accoglienza (e non costa nulla). Avere a che fare con degli addetti al servizio gentili è un punto acquisito e a favore.
  • Accessibilità. Una caratteristica essenziale considerando gli 80 milioni di persone diversamente abili in Europa… 650 milioni nel mondo.
  • Una carta dei vini ben fatta suddivisa per regione, e non solo con i soliti nomi noti. Ci sono produzioni di piccole e medie realtà agricole di ottima qualità.
  • Siamo una terra di grandi oli, ma li vogliamo mettere sui tavoli in modo che la gente li possa conoscere! Personalmente o li mettete o ve li chiedo! A proposito, vale anche per l’aceto (e non mi riferisco certo a prodotti balsamici che nulla hanno a che fare). Tra l’altro ci sono molti che amano l’aceto di vino, ma che sia buono (io compresa). Una volta lo si trovava in ogni cantina, oggi è quasi una rarità. Torniamo a farlo!
  • Un ambiente rilassante. Mi è capitato tempo fa, in un locale rinomato per l’ottima pizza, di vedere correre su e giù gli addetti in sala. Era pieno certo, ma essere urtati per il continuo passaggio frenetico, urtava me. Amo la tranquillità… mi è fondamentale quando esco a pranzo o a cena.
  • Pulizia e servizi in ordine curati alla stessa stregua dei locali che ci ospitano per mangiare. Purtroppo capita che accada il contrario.
  • La possibilità di avere uno spazio per i propri animali domestici è cosa da molti assai gradita.
  • Il parcheggio che, in caso non previsto in prossimità, ci venga facilitato nel momento in cui prenotiamo senza farci impazzire all’arrivo per l’inattesa difficoltà.
  • Wifi libero limitando però l’uso dei cellulari di cui a volte si abusa disturbando la tranquillità altrui. Rispetto prima di tutto.

A proposito di quest’ultimo punto, visto l’uso e a volte l’abuso dei mezzi di comunicazione, mi piacerebbe trovare dei ‘Face to face Restaurant’, credo che il nome renda l’idea di ciò che vorrei: #socializzazione.

Tre regole per gli ospiti: ci si deve sedere rigorosamente a tavola con persone che non si conoscono, ci si presenta e si chiacchiera, e… cellulari spenti. Esito della serata: è facile uscire con nuovi amici, oppure… ritenta e sarai più fortunato! Che ne dite… ne parliamo? 😉

Ecco in originale le risposte al mio sondaggio:

1' parte

2' parte

4' parte3' parte

La tavola nella foto è stata allestita da Amelia Affronti, freelance fashion designer




Vi presento Alessandro Vitiello, o meglio, “solo il vin d’arte”

Alessandro Vitiello, per gli amici Sandro, un sommelier e un ristoratore ma soprattutto un amico. ‘Solo il vin d’arte’ è l’anagramma del suo nome elaborato da Giuseppe Maria Grassi, un amico che si diletta così.

Un uomo che ha nel cuore una terra, la sua Ponza. Mi commuove quando lo vedo condividere ricordi e fotografie in bianco e nero di quest’isola che ha dovuto lasciare come molti per ragioni di lavoro. Lui la racconta nel suo blog: ‘La casa dei Sacco di Ponza’.

“Quando tornavo a Ponza, dalla mattina successiva, ridiventavo il marinaio di mio padre e con la sua barchetta di cinque metri si andava a pescare insieme. Mio padre ha smesso di praticare il mare alla fine del ’92: aveva più di ottanta anni…”

Costantino Sacco a Santa Teresa negli anni '60 (a sinistra sulla prua)

Costantino Sacco, padre di Sandro, a Santa Teresa negli anni ’60 (a sinistra sulla prua)

Sandro, grazie alla sua lunga esperienza come ristoratore prima all’Osteria delle bocce di Seveso e ora al Ristorante Il Fauno di Cesano Maderno, ha molti ricordi vissuti con personaggi dell’enogastronomia italiana. Di tanto in tanto quando c’è l’occasione, sapendo quanto amo ascoltarlo, ne condivide qualcuno con me.

Oggi ve lo voglio far conoscere…

Ciao Sandro, ho scritto questi pensieri una mattina all’alba. Non avevo sonno e la mente correva. Sarà forse la voglia di viaggiare anche con le parole? Chissà… credo che noi nostalgici e romantici ci capiamo.

  • Qualche sera fa mi stavi raccontando quella volta che… Mi piace quando mi racconti aneddoti del mondo dell’enogastronomia, lo sai. Me ne riporti qualcuno che ti è rimasto in mente in particolare?

Ce ne sarebbero tanti Cinzia, a dire la verità più che aneddoti amo ricordare persone che tra Milano e dintorni hanno divulgato l’arte del buon bere. Ricordo ad esempio Antonino Trimboli – pugliese di origine – che in gioventù, nel dopoguerra, aveva girato quasi tutta la Francia ed aveva riportato in Italia una conoscenza enciclopedica del vino francese in generale e dello champagne in particolare. Parlare con lui – uomo senza peli sulla lingua – era un piacere unico.

Come del resto con quel “giacobino” di Adriano Romanò. Maestri prima ancora che venditori. Che dire poi dei fratelli Brovelli? Uomini d’altri tempi che raccontavano il vino con grande passione.

Un aneddoto. Una sera capita una coppia di amici a cena all’Osteria delle Bocce (il nostro precedente ristorante) accompagnati da un’altra coppia. In bella mostra all’ingresso c’era l’ultima selezione di whisky di Samaroli. Dopo cena, a ristorante quasi vuoto, l’amico mi chiede di portare l’whisky più strano che avessi, in maniera anonima, al suo ospite. Questo signore, dopo averlo assaggiato, mi ha raccontato tutto il possibile di questo strano distillato che avevo tirato fuori da un mobile che avevo in un’altra sala. Dopo aver bevuto abbondantemente insieme mi ha raccontato il suo lavoro. Passava il suo tempo in Scozia a selezionare whisky per conto di una multinazionale. Qualche tempo fa nel vedere il film “la parte degli angeli” mi sono ricordato di lui.

  • Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Praticamente ti ho quasi obbligato ad organizzare delle serate di cultura e degustazione per la conoscenza del cibo e del vino. Dovete sapere che Sandro è un grande conoscitore e appassionato di enogastronomia, impigrito forse solo dal poco entusiasmo delle persone nell’apprendere. Ma poi è arrivato un vulcano che…

E’ sicuramente vero che Cinzia Tosini sia un vulcano così come è vero che io coltivo anche “l’arte del dubbio”. Ho abbastanza anni per essere sicuro di non aver certezze da vendere e ogni tanto per domandarmi se serve a qualcosa o a qualcuno raccontare il mio mondo. Quando poi ti scontri con Cinzia Tosini tanti dubbi vanno a farsi benedire e si riprende.

Devi sapere che abbiamo iniziato a organizzare serate dedicate al vino e al cibo dall’autunno dell’84: trent’anni fa. Non c’era internet e le nostre news viaggiavano con la posta ordinaria, eppure c’era tanta attenzione, e spesso avevamo problemi a gestire i tanti che volevano partecipare. Io poi mi sono divertito a mettere in piedi tanti corsi per associazioni o istituzioni della zona. Prima ancora che insegnare ci si divertiva. Ancora adesso vale questa regola.

Alessandro Vitiello

Alessandro Vitiello… Sandro

  • Passo ad una domanda legata alla tua attività. Come definiresti il consumatore medio di oggi, nel senso di cosa si aspetta e cosa cerca?

Il consumatore medio oggi subisce il tempo che viviamo. Noi che abbiamo vissuto gli anni della “Milano da bere” facciamo fatica a volte a dare un senso a quanto succede. Il consumatore rimane attento e curioso, pronto a considerare con rispetto quanto di buono e di nuovo viene proposto. Ha però aggiunto, o meglio ritiene più importante che in passato, il giudizio sul giusto valore delle cose che vengono servite.

Si può anche pagare tanto una bottiglia di vino ma è importante che valga i soldi spesi. Non è più sufficiente che chi la vende sia “un uomo da prima pagina”. Non nascondiamoci però che sono anni complicati; saper fare bene in cucina e saper trovare grandi vini ad un prezzo corretto è diventato fondamentale.

  • Dico spesso che il ruolo del ristoratore, presentando i piatti e servendo il vino, può essere definito un veicolatore di pillole informative fondamentali per trasmettere al consumatore cultura enogastronomica. Esagero? Non credo. Sono convinta che partendo dalla tavola, senza tediare l’ospite, si possa fare molto in questo senso.

Hai perfettamente ragione: il mestiere della ristorazione può essere una grande opportunità per divulgare tante buone abitudini, non solo alimentari. Non a caso al ristorante o mangiando in compagnia, noi si parla spesso di cibo e di convivialità.

Mi viene in mente Garcia Marquez – Il generale nel suo labirinto – che fa domandare ad un ospite di Simon Bolivar: “Ma perché gli europei quando sono a tavola parlano di cibo?”. Cosa rispondere? A tavola mentre si parla di cibo si ragiona su tutta la condizione umana. D’altronde anche la liturgia cristiana ragiona in questi termini: la storia di Gesù sulla Terra finisce con un’ultima cena.

  • Ora, a conclusione di questa nostra chiacchierata, una delle tante, mi piacerebbe che mi scrivessi un ricordo della tua terra. Com’è Ponza a primavera?

Ponza è il mio “luogo dell’anima”. Ho passato gran parte del mio tempo qui in Brianza, ma se devo definirmi, di me dico che sono ponzese. Che vuol dire? Niente e tutto. Noi ponzesi non siamo ne meglio ne peggio degli altri. Siamo un’altra cosa. Si dice che il carattere di una persona si forma nei primi anni di vita; io il mio l’ho costruito guardando il mare. Dal cortile di casa mia, nelle giornate di tempesta pensando a mio padre che pescava tra le onde o nelle belle mattine di primavera, quando alla bellezza del paesaggio si aggiunge il profumo delle ginestre.

Quelle cose lì te le porti attaccate dentro e non le perdi più. Ponza in primavera è il posto più bello del mondo. Non solo per la bellezza dei luoghi, ma anche e soprattutto per i suoi sapori. Andare in giro per le colline a raccogliere asparagi selvatici, assaporare la bontà di certi carciofi cresciuti in quel terreno vulcanico che gli conferisce un sapore molto deciso è un’emozione irripetibile.

E il mare? In primavera si mangiano le granseole più buone, seppie e calamari in quantità e pesce da zuppa che in questo periodo ha un sapore speciale. Potrei andare avanti per ore a raccontarti, ma se ne hai modo, regalati una settimana a Ponza in primavera, ti garantisco che avrai problemi a ritornare.

Sandro, ti prometto che lo farò…

Fotografie di Alessandro Vitiello




Non spegnete i sogni dei romantici: l’Osteria senz’Oste, una bella realtà che si vuole punire

In Italia troppo spesso la parola d’ordine è punire e non correggere.

Dobbiamo pensare che a  volte partendo da un’idea, da un sogno buttato la, nascono grandi progetti. Sono tempi difficili; la gente vuole evadere, vuole spensieratezza, vuole cose vere e genuine come una volta… quando si stava bene.

Non sono solo ricordi nostalgici di chi tanto giovane non lo è più, no, è semplice voglia di un’atmosfera che un pochino si è persa. Credo, anzi sono convinta, che sia questo il motivo per cui una realtà come l’Osteria senz’Oste piace molto alla gente.

Una luogo per viandanti nella splendida Valdobbiadene che ho visitato nel Novembre del 2011 dietro consiglio di un amico e chef, Simone Toninato. Lui conoscendomi aveva capito che era un posto adatto a me, un posto per romantici.

L'Osteria senz'Oste

L’Osteria senz’Oste

Ebbene, qualche giorno fa mio cugino Ilario mi ha chiamato allarmato dicendomi che a Treviso e non solo, ci si sta muovendo per aiutare Cesare De Stefani, l’ideatore di questo progetto sanzionato per 62 mila euro dovute secondo il fisco, per attività imprenditoriale in nero relative all’anno 2008.

Luca Zaia, Presidente della regione Veneto a proposito della questione ha auspicato l’uso del buon senso, della stessa idea Leonardo Muraro, Presidente della provincia di Treviso.

Perché in Italia si deve soprattutto punire e non correggere? A gran voce chiedo a chi può di trovare una soluzione a questa assurdità, prima che un posto così bello chiuda e spenga i sogni di noi romantici.

Dietro questo luogo dove la porta è sempre aperta c’è una storia di uomini, tra cui quella di un circense di Berlino che ho incontrato nel 2011, in un  pomeriggio passato bevendo Prosecco davanti alle colline di Valdobbiadene.

Chi non conosce questa Osteria può vederla qui, attraverso le fotografie e il racconto che ho fatto dopo la mia visita.

Clicca qui > Un’eterna romantica all’Osteria senz’Oste

Valdobbiadene in Autunno

Valdobbiadene in Autunno




Vorrei un’Agricolazione… chiedo forse troppo ?!

Esattamente così, vorrei un’Agricolazione con tanti prodotti agricoli. Chiedo forse troppo?!

A quanto pare si, dato che oltre ad una spremuta tra l’altro troppo cara, visto i 3 euro richiesti ben distanti dal prezzo di vendita alla fonte delle arance, a qualche dolce, ad un caffè o a un cappuccino, la proposta della ristorazione dedicata non va proprio oltre!

Insomma, non capisco, e di conseguenza provoco! Qualcuno mi spiega il motivo per cui solo negli alberghi, per lo meno in quasi tutti, ci debba essere in questo senso un’offerta migliore! Mah! Si potrebbe aiutare tante realtà agricole utilizzando semplicemente i loro prodotti per una buona e sana colazione, il mio pasto preferito e anche quello più importante della giornata.

Purtroppo gli italiani a causa del ritmo di vita frenetico che conducono la trascurano molto. Forse è per questo che l’offerta della ristorazione alla mattina è molto limitata… ma non giustificata! Almeno al sabato e alla domenica mi piacerebbe vedere ben altre offerte!

La dottoressa Catherine Kousmine, nata in Russia nel 1904, consigliava ai suoi pazienti di fare una colazione da re, un pranzo da principe, e una cena da povero. Per quanto mi riguarda farei la regina tutte le mattine! 😉

Vi racconto questo piccolo episodio. Poco tempo fa mentre mi recavo in montagna in Svizzera, lungo l’autostrada e più precisamente a Bellinzona, mi sono fermata a fare colazione. Credo che sia stata la migliore colazione che mi sia stata mai proposta. Praticamente c’era di tutto. Frutta fresca e secca, prodotti da forno, yogurt, spremute, frullati, centrifughe, tisane… Insomma, un vero spettacolo di colori e di prodotti artigianali che mi hanno fatto pensare… “Chissà quanti agricoltori così vengono aiutati…”

 




Maurizio Gily. Una questione di vizio di forma, e non di verità.

Mi presento, mi chiamo Maurizio Gily. Sono un agronomo specializzato in viticoltura ed enologia e un giornalista pubblicista. Dirigo una rivista tecnica del settore, Millevigne, collaboro con Slow Food, e sono consulente di imprese vitivinicole e di amministrazioni pubbliche. 

Maurizio Gily, un uomo di terra e di vino, una persona che stimo. Accusato di vizio di forma nell’esprimere una notizia vera, è stato condannato ad un risarcimento per aver leso di conseguenza, l’onore di un collega giornalista.

Questa le parole del giudice: “…non vi è questione in ordine al fatto che il dott. Gily nello scrivere abbia riportato notizie vere…”.  Ma la forma vince, per lo meno lo ha condannato, per ora…

Riporto parte dell’articolo di Millevigne “La cicuta di Velenitaly

di Maurizio Gily

Più di cinque anni dopo il caso “Velenitaly”, la bomba atomica calata su Vinitaly dal settimanale l’Espresso, che denunciando, correttamente, alcuni casi di frode e sofisticazione,  parlava, non altrettanto correttamente, di centinaia di migliaia di bottiglie di vino avvelenato (veleno mai trovato),  e, in un altro articolo, del caso brunellopoli, accostando in una gran confusione l’inquinamento da agenti cancerogeni (mai trovati)  con l’inquinamento da Merlot nel Sangiovese (che ovviamente non uccide nessuno), un giudice del tribunale di Rovereto mi ha condannato a risarcire il giornalista dell’Espresso che avevo attaccato su Millevigne. Ne avrei leso la reputazione. Euro cinquemila, più le spese legali.

A detta del giudice il mio è stato un “attacco personale”  che avrebbe travalicato il diritto di critica ledendo l’onore del collega, che vale una condanna al risarcimento, sia pure decimata rispetto alla richiesta della controparte, che era partita da dieci volte tanto (50.000 euro). Eppure non ho fatto uso di turpiloquio, né ho accusato qualcuno di qualcosa che non aveva fatto: ho solo scritto che una notizia non era vera (non la frode con annacquamento e arricchimento dei mosti, quella era vera, ma l’avvelenamento), dopo che due ministeri e un magistrato inquirente sull’inchiesta in questione lo avevano già detto in comunicati ufficiali, da me diligentemente riportati.  Non ho neppure parlato di mala fede, ma solo di eccesso di fantasia (“fantasie horror” per la precisione) nel riportare notizie raccolte in una procura ed elaborate in modo creativo (ad esempio parlando di sostanze cancerogene, ma senza citarne alcuna, anzi citandone alcune che non lo sono, oltre a non esserne accertata la presenza nel prodotto in questione).

Morale: nel paese riconosciuto al 57esimo posto al mondo per la libertà di stampa, secondo la classifica di “reporter senza frontiere”, preceduto da molte nazioni non famose per le loro democrazie, la verità va detta con moderazione. Pardon, con continenza. Soprattutto quando si vanno a toccare aziende, gruppi e persone con le spalle più larghe delle vostre.  Come Millevigne contro Espresso- Repubblica: una pulce contro un carro armato.

“La straordinaria solidarietà che mi è arrivata da gran parte del mondo del vino, in particolare dai vignaioli italiani, mi ha convinto a presentare ricorso in appello. Da loro, e da voi, è arrivata anche la spinta ad aprire, superando il mio naturale imbarazzo, una sottoscrizione pubblica per finanziare le spese di questo ricorso, che né io, né l’editore di Millevigne siamo in grado di sostenere.”  Maurizio Gily

  • A questo LINK  c’è la sottoscrizione pubblica su buona causa.org e una serie di informazioni.

Ecco la  CRONISTORIA dei fatti:

1. L’avvocato di Paolo Tessadri mi mandò, a settembre del 2011, una diffida a rimuovere dal web il mio articolo “spazzatura via espresso” chiedendomi nel contempo 50.000 euro di danni per aver leso l’onore del suo assistito (che se ne era accorto quindi tre anni dopo). La mia risposta fu quella che avrei rimosso l’articolo dal web, e così feci, come gesto conciliatorio e in ragione del tempo trascorso, ma non rinnegando nulla di quanto avevo scritto e ovviamente precisando che non avrei pagato un centesimo. E pensavo, onestamente, che la cosa finisse lì.

2. Dopo una seconda diffida offrii a Tessadri l’opportunità di replicare su Millevigne al mio articolo, precisando che la sua replica sarebbe stata pubblicata senza commenti. Sono infatti convinto che questo sia il modo giusto con il quale un giornalista deve difendere il suo onore qualora lo ritenga leso. In verità io penso che quando un giornalista pubblica notizie che non sono né vere, né verosimili, come in questo caso,  l’onore se lo leda da solo, ma tant’é. Altra possibilità sarebbe stata quella di un incontro conciliatorio presso l’ordine, ma neppure questa fu presa in considerazione.

3. Tessadri non aderì alla mia proposta e avviò la causa civile, abbassando la sua richiesta a 25.000 euro. Il mio avvocato mi spiegò poi che tale scelta fu probabilmente motivata da una banale questione di scaglione nel costo dei bolli … la difesa di Tessadri si era forse resa conto dell’entità surreale della prima richiesta.

4. Il foro competente di Rovereto, anziché quello di Alba, dove ha sede Millevigne, dipende dal fatto che la difesa di Tessadri  non fa riferimento alla rivista, ma al web, sulla base di una sentenza di Cassazione che stabilisce che in caso di diffamazione a mezzo web il foro competente è quello della residenza del danneggiato. La mia difesa non ebbe appigli da opporre al riguardo. Da notare che il sito di Millevigne nel 2008 lo vedevano i classici quattro gatti (abbiamo anche prodotto una perizia che lo dimostra, poche decine di contatti per articolo al massimo), mentre la rivista era, allora, un tabloid a diffusione gratuita in oltre 10.000 copie, ma “attaccarsi al web” consentì a Tessadri di ottenere il processo giocando in casa.

5.  Dopo questa sentenza Tessadri potrebbe segnalarmi all’ordine, il quale potrebbe a sua volta sanzionarmi e sospendermi per violazione deontologica. Non so se lo farà ma per quel che lo conosco lo ritengo probabile.

 




Vita da Blogger… anzi, da Farm Blogger. Cinzia Tosini.

Intervista di Giustino Catalano pubblicata l’8 Gennaio 2014 su Di Testa e Di Gola.

Eclettica, solare, intelligente, curiosa, simpatica, dalla grande parlantina…. tanti gli aggettivi positivi per definire Cinzia Tosini, Farm Blogger e autrice su questo sito, ma forse il più appropriato è passionale. Avevo voglia di raccontarvela con le sue parole ed eccomi qui.

Chi è Cinzia Tosini?

Innanzitutto amo farmi chiamare solo Cinzia! E’ la prima cosa che dico quando mi presento. Per dirla tutta mi chiamo anche Emilia che è il secondo nome che mi è stato dato in memoria del mio mitico nonno friulano. Dunque, per tornare alla domanda – chi sono? – mi viene immediato rispondere che sono semplicemente una donna che da oltre tre anni sta vivendo una seconda vita.
Tutto è iniziato riprendendola in mano, dopo che, superato uno smarrimento iniziale, ho reinvestito il mio tempo nelle passioni di sempre: la terra, l’agricoltura, il vino, e le storie delle persone. Credo che la motivazione principale, sia da attribuire al fatto che da ragazzina sono cresciuta in campagna dai nonni a Treviso.
Spesso non ci rendiamo conto che la terra, se vissuta veramente, lascia il segno nel tempo, nei ricordi, e nelle anime. Purtroppo il male del nostro secolo è che corriamo e viviamo nella continua ricerca di traguardi, senza renderci conto che l’esigenza primaria è l’armonia che riscopriamo stando a contatto con la natura.

Come hai iniziato a scrivere?

La mia storia, per lo meno quella degli ultimi anni, è un continuo susseguirsi di coincidenze e incastri che pian piano mi hanno portato a scrivere (giuro, non l’avrei mai detto).
Tutto è iniziato dopo aver letto l’intervista fatta ad una vignaiola di Aosta. Le sue parole mi avevano emozionato a tal punto, da convincermi ad andare ad Aosta per conoscerla di persona. La sua, una vita difficile, un po’ come la mia. Quando mi raccontò che non aveva i soldi per stampare l’etichetta a retro della bottiglia del vino che produceva, decisi di scriverne un pezzo, che stampai, e che le regalai affinché lo omaggiasse insieme al vino.
Fu allora che mi fu chiesto di pubblicarlo, inserendolo in una mia rubrica su un sito di enogastronomia: Vino Way. Accettai un po’ titubante, ma solo a patto di poter raccontare le produzioni partendo dalle persone. In seguito, avendomi limitato il campo d’azione alla sola Lombardia, decisi di uscire continuando la mia avventura con la realizzazione di in un sito, o meglio, di un sogno di cui ero socia fondatrice: World Wine Passion. Purtroppo, una non condivisione su alcune prese di posizione, mi ha convinto a trasformare la mia Rubrica presente nel sito, in un blog personale: Storie di Persone.
Quello degli ultimi anni è stato un percorso a ostacoli, intenso e accelerato, passato scrivendo ciò che ho vissuto, ascoltando la gente, e viaggiando in lungo e in largo per l’Italia, il modo che piace a me per conoscere il territorio.

Perché hai deciso di scrivere partendo dalle ‘persone’?

Decisi da subito di scrivere di persone, in primis perché per parlare di enogastronomia, bisogna avere alle spalle molta esperienza, e in secondo luogo, perché mi accorsi che ascoltare il cambiamento di rotta di persone che avevano deciso di investire la propria passione nella terra e nell’enogastronomia, mi affascinava molto.

Farm blogger, perché ti sei definita così?

Dunque, questa definizione è nata dopo molte riflessioni fatte con me stessa. Mi trovavo spesso a correggere l’interlocutore di turno, quando, sentendomi definire una food blogger, non trovavo per nulla calzante tale ruolo. Confesso di essere più brava a mangiare che a cucinare.
Amo molto il cibo e il vino per le sue storie, per il territorio, per le sue tradizioni e per i suoi protagonisti. Mi piace conoscere e assaggiare vivendo le realtà sul ‘campo’, per me il modo migliore! Adoro visitare le aziende agricole accompagnata dai produttori, poi, vedere l’evoluzione e la nascita dei prodotti, mi permette di capire comprendendo meglio le problematiche legate ad essi.
E’ da queste considerazioni che è nata la definizione che finalmente mi sono sentita calzare a pennello: farm blogger.

Dopo tre anni, che esperienze senti di aver maturato?

Molte sono le esperienze, molto ho imparato, e molti ho conosciuto. Dico spesso che non è un mondo facile questo. Purtroppo gli egoismi vincono sul buon senso, rendendo spesso difficile la strada che permetterebbe di fare il giusto sistema a vantaggio di tutti.
Gli italiani devono cambiare mentalità se vogliono ripartire. Bisognerebbe incominciare dalla scuola creando da subito, con la nuova generazione, un nuovo modo di pensare. Qualcuno ora sorriderà leggendo le mie parole, non ha importanza, io ci credo sul serio in quello che scrivo, utopistico o meno.
Nonostante ciò, la mia maggiore soddisfazione è di aver creato nel tempo una fitta rete di rapporti basati sulla stima, sul rispetto e sull’amicizia. Questo per me è di fondamentale importanza, costruire rapporti basati sulla buona reputazione, soprattutto in un mondo come quello dell’enogastronomia, le cui fondamenta sono basate sulle passioni.

Blogger e giornalisti, argomento molto dibattuto. Cosa ne pensi?

Ne ho scritto recentemente sul blog, in particolar modo perché mi sento tirata in causa.
Blogger e giornalisti, passione e professione, emozione e razionalità. Due ruoli i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando, ognuno a loro modo, il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando di seguire le onde di comodo del momento.

Mondo blogger: chi lo ama, chi lo odia, e chi lo sfrutta. Ma a chi interessa in realtà la comunicazione fatta dai blogger? E perché?

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la loro carica emotiva abbinata alla comunicazione digitale, possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo, sia al territorio che alle produzioni. Un fenomeno già in voga da anni all’estero. Molti lo hanno capito, e ne hanno preso spunto.
Il mondo dei blogger non è sempre facile, c’è chi agisce seguendo la passione, e c’è chi si fa trascinare da facili traguardi. Comunque sia, spetta solo ai lettori seguire chi trasmette nel tempo, quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili.
L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza riconoscere l’impegno intellettuale e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali.

di Giustino Catalano

Con Giustino Catalano a Napoli




Vi presento Samuele Vergari, un blogger in pigiama!

Blog:  FoodWineBeer 

Da tempo si discute sul divario della comunicazione fatta tra blogger e giornalisti. Un argomento ormai tritato e ritritato che tratta due figure i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Io insisto sul fatto che, comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando ognuno a loro modo il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando le onde di comodo del momento.

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la comunicazione digitale possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo. Questo non appanna in alcun modo la figura del giornalista, che, in modo professionale assolve ad altrettanto compito. Non è una gara, non potrà mai esserlo, essendo la forma comunicativa assai diversa.

Ho fatto questa premessa per introdurre un blogger, o meglio, un Passion Blogger che conosco e seguo da tempo: Samuele Vergari, in arte ‘FoodWineBeer’.

Anche se l’approccio di Samuele non è il mio, nel senso che a differenza di lui io amo scrivere dopo aver vissuto di persona il territorio e i suoi protagonisti, rispetto la sua scelta dettata in questo momento da esigenze familiari.

Il mondo dei blogger non è sempre facile, l’ho conosciuto tempo fa, quando, seguendo le relazioni pubbliche e i contenuti di un sito di enogastronomia di cui ero socia, volevo far conoscere con una rubrica che avevo deciso di chiamare ‘Passion Blogger’, gli ‘appassionati veri’, quelli che con impegno e coerenza trasmettono la loro passione attraverso i blog (diari in rete).

Anche dopo aver lasciato quel ruolo, per una non condivisione di prese di posizione, questo mio progetto non è andato perso. A modo mio, continuo dando visibilità a chi ritengo possa ‘far bene’ nel diffondere la conoscenza delle produzioni di qualità.

Samuele Vergari è nato da una famiglia dedita all’agricoltura. La passione per il vino ereditata dai nonni produttori di Sangiovese, gli ha permesso col tempo di apprezzarlo fino a diventare un punto di riferimento per gli amici, per i consigli sulla scelta dei vini. La svolta nel 2010, quando, spinto dalla crescente passione decide di aprire un blog. Molto il lavoro per darne forma, tanti i passaggi e cambi di rotta, fino alla nascita di ‘FoodWineBeer’.  

Un blog che punta più ai prodotti, che ai produttori. Il motivo presto svelato: Samuele è un vero e proprio pantofolone, o meglio, un papà di due bimbi piccoli che lo portano a rendersi indispensabile in famiglia. E’ così che scrive i suoi articoli, spesso in pigiama sul divano, tra le interruzioni dei suoi figli e i loro micro drammi. Nonostante gli impegni familiari, il piacere di scrivere di ciò che degusta a casa e nei ristoranti delle zone limitrofe, lo ha spinto a continuare. Poi, appena possibile, nei giorni di riposo, i viaggi per l’Italia gli permettono di ampliare la sua conoscenza. 

“Cinzia, le soddisfazioni sono tante, in particolar modo quella di poter conoscere, anche se in molti casi solo in maniera virtuale, una marea di belle persone legate al mondo del vino e della birra. Certo, anche in questo mondo ci sono personaggi negativi, persone che promettono e poi non mantengono, approfittatori e millantatori di ogni genere…  Io sono solo un semplice appassionato che alle spalle ha poca teoria e molta pratica. Un uomo e un padre che racconta le proprie esperienze in pigiama sul divano di casa… Samuele Vergari”

Concludo con un mio pensiero. Noi blogger, tanto criticati ma nel contempo tanto ricercati, sono convinta che qualcosa di buono lo facciamo. A modo nostro tentiamo di trasmettere quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili della nostra vita.

Ora vi chiedo: “Sono forse meglio quelli che sfruttano questa passione…?”




Con la mano sul cuore, scelgo l’extra vergine

Intervista di Luigi Caricato pubblicata il 17 Novembre 2013 su Olio Officina Magazine

Cinzia Tosini si definisce farm blogger. Così, di fronte al dilagare dei food blogger, c’è chi, invece, parte da una visione diversa, direttamente dalla terra, dai protagonisti del cibo prima ancora di approdare in cucina e poi sulle tavole.

  • Quale idea di olio lei si è fatta nel corso dell’infanzia? L’olio di quegli anni è stato quello ricavato dalle olive o un olio di semi?

La mia infanzia è legata all’olio molto più che per un’idea. Da bambina l’olio rappresentava la cosa buona, ciò che faceva bene, il prodotto prezioso e ricercato che andava usato con cura. Ero uno ragazzina gracile con una salute cagionevole, un’unica figlia di un padre dalle cure premurose. L’olio era la terapia naturale che lui non mancava di aggiungere ad ogni mio piatto. Ricordo ancora le sue parole: “Cinzia, papà adesso ti mette l’olio buono così diventi forte…” Crescendo la mia idea non è cambiata, tutt’altro, si è rafforzata. L’olio, quello buono, quello ricercato, continua ad essere protagonista nella mia cucina. Ovviamente l’olio di quegli anni e degli anni a venire, per me, è solo l’olio ricavato dalle olive. Null’altro a mio gusto personale ha mai retto il confronto.

  • Una curiosità: i sapori e i profumi dell’olio della sua infanzia coincidono con quelli che invece percepisce e apprezza oggi?

I profumi e i sapori dell’infanzia, essendo associati ai ricordi e alle emozioni, sono inimitabili e ineguagliabili. Come diceva l’antropologo Marino Niola – ciascuno di noi ha la sua madeleine, il sapore che gli ricorda la meglio età. Non è solo rimpianto dei sapori d’antan, ma uno stato di grazia da ricreare, una ricerca del tempo perduto. E quando ci riesce proviamo uno stupore infantile, una gioia bambinesca che ci fa socchiudere gli occhi di piacere… è tempo ritrovato. Tuttavia, lasciando da parte la nostalgia e scegliendo con attenzione, oggi si possono trovare ottimi prodotti dai sapori e dai profumi che fanno dell’olio extra vergine di oliva, una tipicità da promuovere e valorizzare per l’alta qualità ricercata da molti paesi al mondo.

  • Cosa apprezza di più di un olio extra vergine di oliva?

La cosa che mi piace di più in un olio extra vergine di oliva, è senza dubbio il suo profumo. Sentendolo non riesco proprio a far a meno di socchiudere gli occhi. Se è buono la mia espressione è di pura beatitudine, mentre se non lo è… bè, lascio a voi immaginare.

  • Quanto sarebbe disposto a spendere per una bottiglia di extra vergine?

Diciamo che, ovviamente senza esagerare, non bado a spese. Se penso che ci sono persone disposte a spendere cifre folli per acquistare un profumo, intendo per il corpo, mi viene spontaneo sorridere. Io non spendo cifre folli, spendo cifre ragionevoli per acquistare un prodotto di qualità che ricerco, oltre che per il buon profumo, anche per il buon gusto. Che ci volete fare… son fatta così!

  • A tal proposito, per lei la bottiglia che frequentemente acquista di quant’è? Da 250, 500, 750 ml o da litro?

Se è buono decisamente un litro, anche perché l’olio extra vergine di oliva per me non è solo un condimento, accompagnato dal pane è soprattutto il mio spuntino preferito.

  • In tutta sincerità, senza alcuna senso di colpa o imbarazzo, qual è il suo condimento preferito tra tutti i grassi alimentari?

Senza dubbio e senza incertezza, e aggiungo con la mano sul cuore, l’olio extra vergine d’oliva!

  • Basta olio. Veniamo al suo lavoro. A cosa sta lavorando?

Il mio vero lavoro, oltre che la mia passione e ormai la mia vita, è quello di raccontare ciò che la terra, attraverso l’esperienza delle persone che la lavorano e che la rispettano, permette di produrre. Il risultato di questa espressione è rappresentata dalle molte tipicità che fanno l’Italia un grande paese conosciuto nel mondo. La missione, mia, e quella tutti i veri italiani, è promuovere tutto questo.

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