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“Ciao Cinzia, come funziona il mondo che vivi?”

Oggi ho ricevuta questa mail che pubblico solo in parte. Me l’ha mandata una persona che conosco da tempo attraverso qualche commento sui social network. Quando l’ho letta ho pensato che non sarebbe stata sufficiente una risposta scritta per spiegargli come la pensavo. Certe cose vanno dette ‘a voce’, o meglio ancora, ‘di persona’. Ritengo questo contatto fondamentale per la conoscenza e per la comprensione in ogni situazione che mi interessa approfondire.

Ciao Cinzia, scusa il disturbo, approfitto per chiederti alcune informazioni (in quanto profano), su come funziona il mondo che vivi, su come scrivere articoli sul mondo del vino e sulla ristorazione in genere. Sono entrato in amicizia con una direttrice di una testata web che mi chiede di “lanciarmi” scrivendo qualcosa inerente all’enogastronomia e inviando foto, che poi mi pubblicheranno. E’ un po’ che ci penso, anche perché sono in una situazione di grande crisi lavorativa e cercavo di trovare altri sbocchi, o almeno cominciare a diversificare un po’. Non so minimamente come funziona, mi chiedevo come “gira” il meccanismo, visto che bisogna muoversi visitando cantine/enoteche/eventi…etc. Vedendo quello che svolgi ti chiedo se mi puoi istruire un po’, per non essere totalmente impreparato quando entrerò in certi argomenti, soprattutto quelli di carattere economico…

Chi mi conosce sa quanto apprezzi l’uso dei mezzi digitali, questo per la possibilità che mi offrono di amplificare ciò che reputo opportuno condividere.  Ma attenzione, in primis amo scoprire con tutti i miei sensi quello che voglio conoscere, capire ed approfondire. E’ per questo che l’unica risposta che mi sono sentita di dare, è stata quella di scrivere un numero di telefono e una parola: chiamami.

Ci siamo sentiti poco tempo dopo. La prima cosa che gli ho detto è che il ‘ritorno economico’ sia pur giusto, deve avere la sua reale corrispondenza nella qualità del servizio offerto. “Non si vende nulla se non si garantisce la particolarità della prestazione”. E’  fondamentale l’esperienza, la preparazione, e la mente aperta alle nuove tecnologie.

La strada da percorrere è lunga. Alcuni arrivano prima, alcuni arrivano dopo e alcuni si perdono… ognuno segue il suo percorso. La cosa importante è rimanere se stessi, guidati dalla propria passione e non dalle onde del momento. Questo fa la differenza, la differenza fa il percorso…

Certo, lungo la strada imparando si cresce, questa è la naturale evoluzione delle cose, che però non deve oscurare le scelte inizialmente intraprese. Il carattere, l’istinto, la semplicità sono doti essenziali che, insieme all’umiltà, mettono in rilievo la persona. Saper tenere i piedi ben saldi per terra, continuare ad imparare, conoscere le persone, condividere esperienze e saper trarre in ognuna i giusti insegnamenti. Non ci sono segreti, l’importante è rimanere se stessi.

A conclusione gli ho raccontato di come ho iniziato a scrivere visitando e raccontando la storia di una vignaiola di Aosta, della tanta strada percorsa negli ultimi tre anni, delle molte esperienze, delle tante persone conosciute, delle delusioni ma anche delle emozioni. Come tutti ho dei sogni e delle speranze, e con queste ogni giorno vado avanti…




In Italia ci sono circa 7450 km di coste ma la pesca sta morendo. Qualcuno me lo spiega?!

Fino a poco tempo fa mi occupavo di organizzazione e di ottimizzazione delle risorse, in realtà me ne occupo ancora, perché applico questi principi a tutto quello che faccio.

Oggi la mia provocazione parte da qui.

Negli ultimi mesi sono stata a Taranto, a Crotone, a Pozzuoli, a Fiumicino… insomma sono stata in posti di mare, ma soprattutto in posti dediti alla pesca. Per capire meglio questo settore, ho tentato di avvicinarmi cercando di organizzare un’uscita notturna con i pescatori, per seguire il loro lavoro, per capire parlando e vivendo con loro. Purtroppo il maestrale non mi ha favorito, bloccando ripetutamente i miei piani.

Sono una testa dura, qualcuno direbbe una testa calda, in realtà sono una passionale e un’idealista, e non mi arrendo facilmente. Proprio per questo ho continuato ad approfondire l’argomento… per capire. L’ho fatto a Napoli, a Taranto, a Crotone e a Fiumicino. Mi fermavo e parlavo con loro, alcuni erano diffidenti, mentre altri, dopo aver capito il mio reale interesse, mi spiegavano.

Persone combattute, deluse, stanche, quasi arrese dallo stato delle cose, persone da ascoltare. Sono ben conscia che vivere le difficoltà di ogni giorno è cosa ben diversa che scriverne e parlarne.

Amo il mio paese e la sua gente, parlando con loro vivo il territorio, da nord a sud. Mi sostiene la passione e l’entusiasmo, anche se a volte è messo a dura prova dalle delusioni. Ma è questione di un attimo, perché basta una spallata per ‘farmi reagire e agire’ con l’unico mezzo che ho: ascoltare le persone e farmi interprete della voce della gente, quella che lavora, i veri Italiani.

Detto questo passo al punto, perché io voglio capire…

  • In Italia ci sono circa 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo. Qualcosa non quadra, qualcosa che io non riesco a capire, soprattutto in un periodo di crisi come questo, in cui ottimizzare ciò che ci rimane dovrebbe essere questione prioritaria. Qualcuno mi definirà noiosa, persino logorroica nel sottolineare continuamente, in ciò che scrivo, gli stessi concetti.
  • In Italia la moda, il turismo, l’agricoltura, la pesca, l’enogastronomia sono settori trainanti, e in quanto tali vanno favoriti al massimo i loro percorsi. Purtroppo non è così. Continuo a non capire…

Questi sono giorni caldi, giorni di profonda crisi. Non si parla altro che di giochi di poteri di politicanti stipendiati dall’Italia che lavora, che se lo ricordino bene! Io non voglio parlare di loro, mi logora, mi da la nausea, lo trovo inutile e frustrante. Io voglio parlare delle nostre produzioni, degli Italiani, dei loro disagi.

Ribadisco un numero importante, una nostra ricchezza che come tale va valorizzata. Abbiamo 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo.

Mi dicono che a Mazara del Vallo negli ultimi anni da 380 pescherecci ne sono rimasti 80, a Fiumicino sette anni fa ce n’erano 45, ora ce ne sono 25, a Crotone sta succedendo la stessa cosa. I pescatori sono in ginocchio. Si sta distruggendo una delle realtà economiche più importanti.

Mi dicono che a fine Settembre per un mese ci sarà il fermo biologico per il ripopolamento dei mari. Un fermo per la pesca a strascico che però riguarda solo i pescherecci. Non ferma la piccola pesca. Ma vi chiedo, è realmente piccola? Una volta la piccola pesca usava reti alte un metro e mezzo, oggi arrivano a 12 metri. Una volta si fermavano a 3 miglia nel mare, oggi si fermano a 10…

Perché non fermare tutti, e non per un mese, ma per un anno! E poi, perché permettere uscite di 14 ore in mare! Andrebbero permesse al massimo 8 ore! Sono parole dei pescatori, quelli che amano il mare, quelli che non lo sfruttano.

Il loro primo problema è il caro gasolio, il secondo è la burocrazia e le istituzioni che non li aiutano come dovrebbero, il terzo è l’abusivismo…




Due chiacchiere con… Eugenio Peralta. Un uomo o una locusta?

Blog: L’uomo è una locusta

Eugenio Peralta, uno dei fondatori del sito-blog “L’uomo è una locusta”.

Ci siamo conosciuti a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esprimere la nostra esperienza nell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete. Come con tutti gli altri relatori del gruppo, ho voluto approfondire la sua conoscenza con una mia intervista, o meglio, con le mie: “Due chiacchiere con… ”

Oggi è il suo turno, vi presento Eugenio Peralta!

Conquistato come me e come molti altri dal fascino dell’enogastronomia, ha maturato un interesse sempre più vivo per le materie prime e per le storie che stanno dietro a una tradizione culinaria. Per il suo sito ha scelto una definizione un po’ azzardata, “L’uomo è una locusta”, vediamo di capire il perché…

Il National Geographic definisce le locuste insetti parenti delle cavallette, che, aggregate ad un gruppo, formano sciami fitti e voraci capaci di devastare intere piantagioni con ingenti danni all’agricoltura. A questo punto mi chiedo: “Ma veramente l’uomo è una locusta?”

La parola a Eugenio, un uomo o una locusta?!

Sono sicuro che molti dei miei conoscenti risponderebbero senza alcuna esitazione “una locusta”, ma in realtà scogliere il dubbio è impossibile perchè i due concetti coincidono: come recita il presupposto fondamentale della nostra associazione, ogni essere umano è portato per natura a consumare inerosabilmente tutte le risorse a sua disposizione, lasciando terra bruciata dietro di sé. Proprio come una locusta, appunto.

  • ‘L’uomo è una locusta’, direi un paragone un po’ azzardato…

Il paragone ha indubbiamente qualcosa di inquietante, ma se applicato alla (buona) tavola può avere anche risvolti molto piacevoli. Io e le altre Locuste fondatrici abbiamo scoperto per caso questa comune vocazione allo “spazzolamento di tovaglie” nel corso di un viaggio lungo la costa adriatica, nella lontana estate del 2003, e in qualche modo abbiamo tentato di condividerla con un pubblico più o meno vasto: prima creando un tradizionale sito statico – locuste.org – poi declinandolo in tutte le modalità suggerite o imposte dalle regole del web 2.0, da Twitter a Facebook passando per l’immancabile blog.

  • Quali sono i contenuti del vostro sito-blog?

I contenuti sono recensioni di ristoranti, con tanto di voti, giudizi e classifiche di merito. Attività innegabilmente simile a quelle di altre centinaia di siti, blog e comunità dedicati allo stesso argomento, spesso molto più rispettabili di noi. In quanto Locuste, però, nel nostro lavoro adottiamo qualche peculiarità distintiva: prima di tutto un parametro di valutazione molto particolare, basato sulla “quantità”, ossia sull’abbondanza delle porzioni. In tempi di nouvelle cuisine, le Locuste difendono con forza il principio che al ristorante si deve mangiare, e non soltanto assaggiare… senza per questo trascurare le altre fondamentali caratteristiche del locale da valutare: la qualità degli ingredienti e delle preparazioni, il servizio (inteso anche come ambientazione e location), e naturalmente il prezzo.

  • Che cosa rappresenta per te “L’uomo è una locusta” ?

Sito e blog per me sono sempre stati un hobby, per quanto a volte dispendioso in termini di tempo e di impegni, mentre il giornalismo con il tempo è diventato almeno in parte il mio lavoro: per questo non ho tardato a unire l’utile e il dilettevole, cercando per quanto possibile di arricchire i nostri spazi web con interviste originali, riflessioni sugli spunti più interessanti offerti dal settore, reportage dalle principali manifestazioni enogastronomiche, dal Vinitaly al Salone del Gusto. L’approccio, comunque, è rimasto in gran parte quello scanzonato e goliardico degli esordi: per rendersene conto basta partecipare a uno dei nostri raduni al Crotto da Gusto, vero locale-totem dell’associazione.

  • Le vostre recensioni hanno mai avuto seguito?

Abbiamo ricevuto numerose critiche, qualche mail minacciosa e un paio di annunci di querele (stranamente mai concretizzatisi!) da parte di ristoratori poco soddisfatti del nostro operato. Purtroppo il mondo non è fatto soltanto di cucine a tre stelle e anche laddove qualcosa non funziona, a nostro avviso, è il caso di parlarne, in una logica di servizio nei confronti del lettore. Spesso, insieme a molti altri blog “amatoriali”, siamo stati accusati di dilettantismo: anche in questo caso, però, mi sento di rivendicare il nostro diritto a esplorare, informare ed esprimere le nostre opinioni, per quanto poco qualificate possano sembrare.

  • Eugenio, puoi dirmi se, nonostante l’impegno e le critiche, ti senti soddisfatto?

Si Cinzia, questa mia passione mi ha consentito di incontrare nuove persone e nuove fonti di ispirazione. L’utopia è trasformare tutto questo in una parte del mio lavoro, il sogno è offrire spunti d’interesse e informazioni utili a chi ne ha bisogno. L’aspirazione a breve termine, invece, è più modesta: vorrei che la gente si fidasse delle pagine del nostro sito e smettesse di chiamarmi al telefono quando ha bisogno di un ristorante…




L’importanza di credere in se stessi… Vi presento Jenny Maggioni

Jenny Maggioni, capo redattore di Food&Beverage, mensile di enogastronomia. Ci siamo conosciute a Varese in occasione della manifestazione di Social Gusto, in cui si è trattato, con giornalisti e blogger, dell’evoluzione della comunicazione del cibo in rete.

Ricordo ancora la sua risposta entusiasta, quando, ormai tempo fa, le dissi che avrei scritto di lei: “Cinzia, wow! Che onore! Ma non sono così importante!  Grazie davvero per questa opportunità! Io sto ancora crescendo… Social Gusto per me è stata una grande occasione umana e professionale. Magari la mia storia può servire a qualcuno, visto che non ci credevo nemmeno io!

Dobbiamo imparare a credere più in noi stessi, troppo spesso ci sottovalutiamo mettendo a rischio le nostre potenzialità. La cosa importante è non perdersi seguendo l’onda del momento, perché è il nostro credo che fa di noi quell’essere unico che fa la differenza. Certo, a volte così si rischia la solitudine, ma non c’è altra strada se non vogliamo perdere quell’entusiasmo che talvolta fa scattare in noi quel guizzo di genialità spesso messo in letargo…

Ma ora vi presento Jenny, la sua strada è ancora lunga…

Jenny Maggioni ha iniziato la sua esperienza giornalistica a montagna.tv, quotidiano online dedicato per l’appunto al turismo di montagna. Qui ha imparato l’importanza del lavoro di squadra, che poi, ha applicato alle redazioni nelle esperienze successive.

Negli anni a seguire, uno stage in un sito online di eventi di Bergamo e provincia, e successivamente l’approdo al mensile e quotidiano online di enogastronomia ‘Italia a Tavola’, l’hanno condotta fino alla sua nuova avventura di caporedattore nel mensile ‘Food&Beverage’.

Un altro suo sogno avverato è stato quello di scrivere per il suo quotidiano preferito, ‘style.it’. La soddisfazione poi, di veder pubblicato un suo articolo su ‘Il Fatto Quotidiano’ nella sezione donne di fatto, l’hanno portata a credere che l’impegno, la volontà, e soprattutto la determinazione nel credere in se stessi, siano elementi fondamentali nei traguardi della vita.

Jenny, voglio dedicarti le parole dello scrittore e poeta Ralph Waldo Emerson (1803 – 1882),  leggile con attenzione…

Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Ognuno dovrebbe imparare a scoprire e a tener d’occhio quel barlume di luce che gli guizza dentro la mente più che lo scintillio del firmamento dei bardi e dei sapienti.

 È facile, nel mondo, vivere secondo l’opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l’uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l’indipendenza della solitudine. Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi.

Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tutta la storia si risolve agevolmente nella biografia di poche persone vigorose e serie.




Aldo Quinto Lazzari, “La storia dell’uomo attraverso il cibo”

Il passare del tempo è inesorabile, tic tac tic tac tic tac… spetta solo a noi decidere l’intensità di come vogliamo viverlo.  

Per quanto mi riguarda ho vissuto gli ultimi tre anni come se ne avessi vissuti dieci, e i precedenti dieci, come se ne avessi vissuti tre. Forse perché sento la necessità di recuperare tutto quello che non ho vissuto, o forse, più semplicemente, perché ora cerco di vivere tutto quello che posso.

E cosi continuo, su un percorso che non mi è ancora del tutto chiaro… incontro persone, a volte giuste e a volte sbagliate, seguo i consigli, ma soprattutto seguo il mio istinto. Così è stato, quando, seguendo un consiglio, ho incontrato Aldo Quinto Lazzari.

Un uomo non facile, l’ho capito dalla nostra prima conversazione telefonica. Un fiume in piena che mi ha travolto con i racconti delle sue tante esperienze di vita, una vita intensa con dure prese di posizione e continui cambi di rotta.

Pochi mesi fa, dopo una lunga malattia, l’ha lasciato per sempre sua moglie, Maria Rosa Gambi Lazzari, la compagna di una vita.

Sono andata a trovarlo, e, nell’intimità della sua casa, tra i tanti ricordi, tra le sue foto sparse ovunque e i suoi mille libri, ho passato un intero pomeriggio ad ascoltarlo, fino a che, arrivata sera, insieme abbiamo preparato la cena.  

Un incontro molto particolare, su cui ho dovuto riflettere, affinché prendesse un senso scriverne.

Aldo Quinto Lazzari è nato in Sabina. Durante la guerra viene mandato dalla famiglia a studiare sul Lago Maggiore. Deluso, dopo aver frequento una scuola di recitazione, si orienta verso l’aviazione, ma anche qui il suo carattere si scontra a breve con la burocrazia militare, e decide di dimettersi.

Verso la fine degli anni ’50 si avvicina al mondo agricolo ed alimentare. Affascinato dalla storia, e dall’evoluzione del cibo e dell’uomo, dedicherà gran parte della sua vita agli studi, fino a giungere alla pubblicazione della sua opera di maggior rilievo: “La Storia dell’Uomo attraverso il cibo”.

Una vita vissuta viaggiando, esplorando e studiando l’alimentazione delle varie popolazioni. Una vita intensa e piena di storie che non mi dilungherò oltre a raccontare, perché troppe le cose fatte da Aldo durante la sua vita.

Di quella sera mi rimarrà nella memoria un uomo che mi ha “ubriacato di vita”, che ha vissuto intensamente, e che ora vive tra i suoi libri e i suoi ricordi.

 Aldo Quinto Lazzari

Quando gli ho chiesto perché non andasse a vivere in campagna, lui quasi non mi ha ascoltato, il suo mondo è li, in quella casa.

Se penso a cosa mi è rimasto di questo incontro, è che più capisco i meccanismi con cui l’uomo fa girare il mondo, e più la natura e i suoi ritmi mi attraggono.

 




Non interrompiamo la strada degli Oli d’Oliva Italiani

Oggi la mia riflessione inizia rileggendo lo sfogo di un amico, Piero Romano, produttore di olio extra vergine di oliva a Strongoli, Crotone. L’ho conosciuto così, leggendo le sue parole in una mail che ormai tempo fa mi aveva inviato.

“Ciao cara Cinzia, come stai?  Sai, quando ho iniziato a percorrere la strada dell’olio d’oliva ho voluto puntare sulla qualità, convinto che, chi lavora bene, col tempo venga riconosciuto. Non avevo però ahimè considerato un dio maggiore che regna supremo anche nel mondo dell’alimentazione. Parlo del Dio Denaro, sovrano incontrastato, che, col suo potere, relega la qualità umiliandola in un angolo! Ma non solo, la meraviglia più grande è stata la delusione della ristorazione medio alta che, nonostante si spacci per paladina della qualità, finisca per adottare scelte olistiche assai discutibili.”

Parole di un produttore messo in ginocchio come tanti a causa di un mercato fatto di prodotti di dubbia provenienza e qualità, che la poca cultura degli oli, terreno fertile nelle scelte deviate del consumatore, influenza negativamente. 

In aggiunta, la crisi che viviamo è complice di scelte non ragionate, spesso esclusivamente dettate da prezzi ridicoli che non trovano assoluta corrispondenza nei costi reali di produzione.

Il triste quadro è completato da una parte della ristorazione, che, nonostante si elegge promotrice della qualità, utilizza dietro le quinte, e non solo, prodotti mediocri. 

Parole tritate e ritritate, riproposte da chi come me, ama e vive il mondo delle produzioni, e che, avendo modo di ascoltare i disagi dei produttori, ha a cuore la loro sorte.

Da consumatrice, da appassionata, e da comunicatrice del territorio, esprimo ancora una vota il mio pensiero, nella speranza che prima o poi, queste parole non siano solo parole al vento. 

Ripropongo qui di seguito il mio intervento nell’ultima edizione di Olio Officina, durante il quale ho espresso delle richieste ben precise che aiutino i consumatori verso una scelta più informata degli olii d’oliva: 

  • Ai Comunicatori chiedo più semplicità nelle parole. Insisto spesso su questo concetto perché ciò che è veramente importante è fare buona cultura della terra con parole semplici, per arrivare alla gente. I consumatori chiamano ancora l’olio d’oliva di qualità, “l’olio buono”. Il termine ‘olio evo’ ormai in voga, ai più è ancora ignoto (evo: extra vergine d’oliva). 
  • Agli Olivicoltori chiedo di organizzare più eventi degustativi per raccontare alle persone i propri olii. Come diceva Luigi Veronelli: “L’olio come il vino. L’ulivo come la vite.” Oltre a “Cantine aperte” perché non fare “Oleifici aperti”. 
  • Alle Enoteche chiedo di creare un angolo per una “oleoteca” che permetta la degustazione degli olii.
  • Ai Ristoratori chiedo di raccontare gli olii d’oliva che vengono portati a tavola esattamente come si fa per il vino, basta chiedere alle aziende produttrici delle schede tecniche, o meglio ancora, formare gli addetti in sala con corsi per assaggiatore d’olio. In aggiunta, vorrei vedere sui tavoli, come già avviene per i vini, delle “carte degli olii d’oliva del territorio” con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle varietà. Un’altra cosa che mi piacerebbe vedermi proporre al ristorante, è una piccola bottiglia d’olio d’oliva del territorio, che “userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa.” 
  • Ma chiedo qualcosa anche ai Consumatori. Di essere più curiosi nel provare gli olii d’oliva, ne abbiamo talmente tante varietà. Nonostante le nostre 530 cultivar Italiane e più, chiamiamo ancora l’olio d’oliva al singolare. Nel dubbio casomai, conviene orientarsi verso le DOP. Altro consiglio, quando siete in vacanza approfittate per fare visita ad una realtà agricola locale. Oltre che a vivere un’esperienza unica,  sarete molto più consapevoli sui prodotti che consumerete.

Concludo ricordando che, due cucchiai di olio extra vergine di oliva al giorno, sono un efficace presidio medico per contrastare le malattie cardiovascolari.




L’importanza di promuovere la terra e le sue risorse, anche perché, se vi guardate attorno, ci rimane solo quella!

Ora bacchetto! Calmi, sto scherzando! 😉 Lungi da me usare qualsiasi tipo di bacchetta verso qualcuno! E’ anche vero però, che davanti a certe situazioni, non riesco proprio a non dire la mia! Non è una questione di puntiglio, è che sarebbe ora che tutti imparassimo a fare sul serio nel promuovere la terra e le sue risorse, anche perché, se vi guardate attorno, ci rimane solo quella!

Ognuno di noi, a modo suo, può fare qualcosa per la nostra economia, per promuovere i nostri prodotti, per far conoscere le ricchezze e le bellezze del nostro territorio. Il consumatore può molto, iniziando a scegliere dove e come fare la spesa, facendo attenzione alla stagionalità, all’etichetta, e alla provenienza. So bene che è un periodo di crisi, ma acquistare meno, e più di qualità, fa bene a noi e alla nostra Italia.

La ruota che faceva girare il nostro sistema economico, ormai, si sta fermando! In questo momento, sono di fondamentale importanza le sinergie, il fare bene insieme! Se qualcuno crede, che correndo da solo le cose possano andargli bene a lungo, si illude! Chi corre da solo, prima o poi, solo rimane!

Fatta questa premessa, vi farò cenno di alcuni episodi che mi hanno fatto storcere il naso durante i miei giorni passati a Crotone. Sono situazioni in cui ci si imbatte sovente in Italia; siamo un paese ricco di risorse che all’estero ci invidiano, ma purtroppo non abbiamo ancora imparato a valorizzarle come meritano.

  • 1′ Caso – Amo le colazioni, è il mio pasto preferito. A Crotone, terra di grandi produzioni, in un albergo tre stelle in cui ho soggiornato, la prima mattina pronta per godere di quanto ‘credevo’ mi aspettasse, mi sono trovata davanti a prodotti confezionati veramente tristi. Quasi nulla del territorio, e nessuna traccia di frutta fresca; per me che l’adoro è un vero affronto. Offrendo più frutta, sia negli alberghi che nei ristoranti, si potrebbe fare molto per gli agricoltori!
  • 2′ Caso – Durante un pomeriggio, tra una visita e l’altra, mi sono fermata per bere qualcosa. Ebbene, visto che ero un po’ indecisa, ho chiesto qualche consiglio alla persona che era venuta a prendere l’ordine (anche per sentire cosa mi avrebbe offerto). La risposta è stata: “Vuole uno spritz?” Ma anche no ho risposto! Dovete sapere che li c’è una bevanda analcolica tipica calabrese al caffè fatta con acqua sorgiva del Monte Covello, situato nel territorio di Girifalco in provincia di Catanzaro. E’ perfetta per ogni ora, dissetante, e dal gusto davvero gradevole. E’ la “brasilena”. Perché non proporre quella! Ovviamente gliel’ho sottolineato, e l’ho ordinata.
  • 3′ caso – Amo molto il gelato, se poi abbinato alla frutta è un vero e proprio pasto. Ebbene, non potevo credere ai miei occhi quando un giorno ordinandone uno simile, mi è arrivata una coppa con le pesche sciroppate! Pesche sciroppate in Agosto?! Noo! Non aggiungo altro…
  • 4′ caso – Calabria, terra di grandi olii. “Ma li vogliamo mettere sui tavoli!” Ho dovuto dirlo proprio con le stesse parole all’addetta alla sala che si occupava del servizio. Oltretutto sarebbe doveroso non riempire con altri oli bottiglie con note etichette, anche perché, guardando lo stato della bottiglia, è facile capire se la cosa avviene. Qui entrerebbe in causa il famoso tappo anti-rabbocco, ahimè bocciato. L’unica è affidarsi alla serietà del ristoratore.

Un’altra cosa che mi piacerebbe vedermi proporre al ristorante, è una piccola bottiglia d’olio d’oliva del territorio, che “userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa.” Stessa cosa mi piacerebbe vedere applicata per il vino che non si finisce di consumare, viste le giuste limitazioni del Codice della strada.

In aggiunta, vorrei vedere sui tavoli, come già avviene per i vini, delle “carte degli olii d’oliva del territorio” con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle varietà. Qui faccio una nota di merito al Gruppo di Azione Locale di Crotone, il Gal Kroton, che fra pochi giorni presenterà la carta degli olii di oliva aderenti al loro sistema alimentare locale.

Detto questo, ricordando che in Italia abbiamo oltre 530 cultivar di olive, molto si sta facendo, ma molto si può ancora con l’impegno di tutti, con l’aiuto delle amministrazioni, e con la giusta comunicazione del territorio.

Lancio qui il mio sfogo, ma non crediate, lo faccio dovunque me ne venga data l’occasione. Come durante la 1’ edizione della “Fiera delle Eccellenze Strongolesi” organizzata dall’operosa Pro Loco,  alla quale è seguito un dibattito coordinato dal giornalista Giuseppe Pipita de “Il Crotonese”.

Invitata al tavolo, dopo i saluti inviati tramite un messaggio da Giuseppe Scopelliti Presidente della Regione Calabria, e alla presenza di – Vincenzo Pepparelli Presidente della Camera di Commercio di Crotone, Natale Carvelli Presidente di Gal Kroton, Michele Laurenzano Sindaco di Strongoli, Simona Mancuso Assessore comunale alle attività produttive e Francesco Fiorita capogruppo di minoranza del Consiglio Comunale di Strongoli – ho detto la mia, come blogger comunicatrice del territorio e dei suoi produttori, su quanto si potrebbe fare cominciando da queste piccole cose che ho evidenziato poc’anzi. Per quanto riguarda l’aiuto ai produttori, lo snellimento della parte burocratica a cui sono pesantemente sottoposti, e l’aiuto nel sostenerli nelle spese per la partecipazione a fiere ed eventi promozionali, sarebbe cosa gradita.

Siamo un paese ricco di risorse che all’estero ci invidiano, quindi forza, sta a tutti noi valorizzarle!




Oggi si parla di #SocialMedia con… Rosy Battaglia

Rosy Battaglia, blogger e giornalista freelance. Attiva nel campo dell’indagine sociale, ambientale, culturale e politica. Collabora a tutt’oggi con varie testate giornalistiche (Lettera43, Terre di Mezzo Street Magazine; Radiopopolare, Redattore Sociale).

Si occupa, inoltre, di Comunicazione e Social Media, come consulente, formatore in ambito non profit e Social Media Manager/Editor. L’ultimo progetto seguito come Social Media Editor è stato il festival del Giornalismo Digitale “Globalnews”.

Una presentazione di tutto rispetto direi! Rosy mi fai quasi paura! 😉

Ovviamente scherzo, ma solo  perché l’ho conosciuta personalmente durante “Social Gusto”, la manifestazione svoltasi poco tempo fa a Varese, che, oltre a promuovere la cucina Italiana di qualità, ha dedicato uno spazio a giornalisti e blogger per esporre le loro esperienze nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia.

Una persona deliziosa nella semplicità e nella simpatia. Pensate che a fine conferenza ci ha deliziati con il suo tiramisù! Dico spesso di andare oltre le vetrine dell’apparenza, le sorprese sono inaspettate, a volte in positivo e a volte in negativo. Comunque sia, ci permettono un giudizio ed un’esperienza diretta e reale, ben lontana dal virtuale.

Detto questo entro in merito per farvi conoscere meglio Rosy, e per parlare di #comunicazione e #socialmedia, essendo io un’appassionata della comunicazione digitale.

Rosy, a te la parola… 🙂

  • Cibo, giornalismo e comunicazione ai tempi del web 2.0.”  Qual è la tua visione delle cose?

Direi che il web ha ampliato e diffuso la cultura del cibo, creando community e influencer per tutti i gusti. Ma da “La Cucina Italiana” ai food blogger  il vero paradigma è che, ai tempi dei social network, la condivisione di passioni è enormemente facilitata e alla portata di ognuno di noi. E questa mi sembra una cosa buona e giusta. 

  • Ti definisci “food blogger mancata.” Perché mai?

Nel mio Bat-blog, dove parlo di argomenti “tosti” dall’ambiente all’impegno sociale e civile c’è in bella vista la categoria “Food and Green”, corrispondente a due mie grandi passioni: cucinare per gli amici e curare il mio angolo verde. Mi sono accorta strada facendo che non riesco a raccontarle come avrei voluto, sono passioni che in una vita “ipersocial” ho riservato alla mia sfera privata, all’intimità.. Quindi nonostante io ami profondamente il cibo, la convivialità e la condivisione, sul web mi autocensuro. Anche se qualche foto di piatti e fiori su Instagram e Facebook ogni tanto “mi scappa”.

  • I Social Media in Italia non sono ancora opportunamente usati come dovrebbero. La risposta di molti è: “Non ho il tempo!” Una risposta che non considera la reale importanza di questi mezzi per la promozione dei prodotti, o per  migliorare la reputazione aziendale attraverso la condivisione di contenuti. Sei tu l’esperta, qual è la tua esperienza?

Confermo,  i social media in Italia non sono usati come dovrebbero esserlo. Dalle Piccole e Medie Imprese al Non Profit ma anche dai semplici cittadini e dalla Pubblica Amministrazione.

La cura della comunicazione e dei contenuti nelle piccole realtà, oltremodo, viene ancora poco considerata in termini di investimento. Eppure proprio il mondo dei Social Media, dai blog ai social network, permette davvero di far conoscere progetti e prodotti a platee, fino a qualche anno fa, inimmaginabili e a costi davvero irrisori. Certo è che non si può relegare la loro gestione all’improvvisazione. La comunicazione è un lavoro, e come tutte le professioni richiede tempo, passione e continua formazione. Chi ha intrapreso questa strada, individuando risorse all’interno della propria struttura o rivolgendosi a professionisti, sta già raccogliendo i frutti in termini di good reputation e visibilità.

  •  Sono donna romantica nel senso più lato del termine, amante delle tradizioni e della terra. Ma sono presente su… Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest, Tumblr, Path, LinkedIn, Foursquare, You Tube… insomma lancio in rete e condivido tutto quello che amo e in cui credo. Nonostante questo sono fermamente convinta che  i social che abbiamo l’opportunità di utilizzare, debbano unire e non sostituire la conoscenza diretta, esperienza indispensabile per vivere le realtà, e per conoscere i loro prodotti. Condividi…?

Condivido in pieno questa visione. In rete è possibile creare community su argomenti, battaglie, passioni. Ma i social network non sono il nostro unico mondo, sono solo un’altra rappresentazione delle nostre personalità e visioni. Non dobbiamo dimenticarci delle relazioni in carne ed ossa. Anche se è vero che dalla rete possono nascere amicizie ed amori, collaborazioni e network che, in ogni caso, per essere “sublimati” devono passare dalla sfera virtuale a quella reale…

  • Twitter e i suoi 140 caratteri, maldigerito da molti, io direi, non capito. Diciamo che l’imposizione della sua sinteticità mette molti in difficoltà, oltretutto non facendo trasparire grandi emozioni. Un cinguettio rapido dalle mille potenzialità che troppi ancora sottovalutano. Hai dei consigli da dare?

Concordo con la tua analisi, Twitter ha delle potenzialità incredibili, in termini di velocità e indicizzazione dei contenuti e può essere davvero molto utile sia per informarsi che per promuovere eventi e idee. Il punto è questo, Twitter più che un social network è un information network ma in Italia non è ancora molto usato in questa modalità. L’approccio è un po’ ostico è vero, ma una volta fatto proprio questo concetto, si può cominciare ad apprezzare anche la concisione a 140 caratteri.

  • Parliamo degli #hashtag, il famoso cancelletto # che, messo davanti ad una o più parole unite, permette di aggregare le citazioni di chiunque lo utilizza. Io ormai ne faccio un uso abbondante, anzi di più. Da quanto poi, non è più ad uso esclusivo di twitter, esagero… ma a fin di bene!  A questo punto ti chiedo: “Qual è in questo momento la parola della tua vita davanti alla quale metteresti un hashtag ?”  😉

In nome omen per cui ti dico #battagliera. Le sfide da raccogliere sono tante nella professione come nella vita. E io non mi arrendo.
 

 

 

 




Ritorno alle origini de “La Cucina Italiana” con… Anna Prandoni

Anna Prandoni, Direttrice de “La Cucina Italiana”. Ci siamo incontrate a Social Gusto, la manifestazione che ci ha permesso di esporre le nostre esperienze, sia pur diverse, nell’evoluzione della comunicazione in tema di enogastronomia. Una giovane donna che, nell’ascolto del suo intervento, ho trovato sicura e determinata.

Devo ammettere di essere più brava a mangiare che a cucinare, convinta che, si può amare l’enogastronomia nei suoi molteplici aspetti. Personalmente la cosa che più mi affascina, ovviamente oltre che assaggiare, sono le sue tradizioni e i suoi protagonisti. Mi piace andare alle origini. Per questo motivo, quando Anna ha regalato a ciascuno di noi relatori una copia della 1’ edizione de “La Cucina Italiana” del 1929, ho colto il gesto con molta emozione.

Oggi, oltre a farle qualche domanda per conoscerla meglio, vorrei citare alcuni passi di quella copia che ho menzionato poc’anzi. Un’edizione del 15 Dicembre 1929, la prima di ben 84 anni fa. Mi viene naturale paragonarla ad una signora elegante al passo con i tempi, di stile e amante delle tradizioni, che non trascura i dettagli, e che considera il cibo un elemento distintivo della nostra memoria e del nostro territorio.

Anna Prandoni

Insieme a Anna Prandoni a Social Gusto con Laura Pantaleo Lucchetti, Rosy Battaglia, Silvia Giovannini, Samanta Cornaviera e Jenny Maggioni – Giardini Estensi – Varese.

Anna, a te la parola…

  • Dunque sei Direttrice di un giornale, moglie e cuoca e… ho dimenticato qualcosa?

Sono anche una grande appassionata di danza classica e contemporanea, una famelica lettrice di romanzi e saggi, una Twittomane, e una viaggiatrice indefessa.

  • Dico spesso che sono una spina nel fianco dei cuochi. Li provoco un pochino perché ritengo che spesso si ecceda con i “fuochi d’artificio nei piatti”.  Tornare un po’ alla tradizione facendo cultura del cibo e del vino anche al ristorante, è cosa utile e buona. Due parole in più quando vengono serviti i piatti, o un vino, o i magnifici nostri olii d’oliva non guasterebbero proprio…

Sono d’accordo, ma allo stesso tempo ritengo superflue e debordanti le spiegazioni eccessive, soprattutto quelle che ti raccontano come devi degustare un piatto. Se senti il bisogno di ‘spiegarmi’ come devo affrontare la tua creazione, siamo in un ambito diverso dal nutrimento. Entriamo nel mondo della creazione artistica. E allora non sono al ristorante, come comunemente inteso, ma in un luogo dove assisto e partecipo ad una performance enogastronomica.

Finché non riusciremo a far capire al pubblico questa grande differenza, non saremo in grado di spiegare il perché di un conto astronomico, e nemmeno la valenza di Carlo Cracco rispetto alla trattoria tradizionale che cucina molto bene. Attenzione: non ho detto che preferisco l’uno all’altra: dico solo che bisogna a tutti i costi sottolineare le differenze per apprezzare al meglio entrambi.

  • Chef superstar, non se ne può più! Va bene che è il loro momento, ma caspita,  mi viene spontaneo chiedermi quando cucinano? Recentemente scherzando con alcuni di loro mi son chiesta quando faranno un film? Titolo: “Lo Chef che aspettava le sue… stelle” 😉  Esagero?

No. Ultimamente il nostro chef, scherzando, ha detto ad un suo collega stellato: più di tre non te ne danno, la quarta non l’hanno ancora inventata. Questo bisogno di affermazione è però ancestrale, secondo me: per decenni i cuochi sono stati relegati nelle loro cucine, a fare un lavoro duro in giorni e orari in cui le persone normali si divertono. Adesso che sono stati sdoganati, è anche comprensibile il loro sano bisogno di stare fuori dai loro antri.

Comunque la maggior parte di loro, nel segreto del confessionale, confermano di volerci tornare prestissimo. Poi, una precisazione: come dice Pierangelini rispondendo alla domanda ‘Chef, ma se lei è qui chi cucina stasera al suo ristorante?’. ‘Gli stessi che cucinano quando io sono al ristorante’. Sfatiamo un mito: lo chef vero, il capo di una brigata di cucina in un ristorante strutturato, non cucina mai: sta al pass, controlla i piatti, e si occupa dell’ideazione e della strategia del ristorante. Il bravo chef è quello che è in grado di trasmettere ai suoi collaboratori la sua storia e la sua tecnica, e renderli capaci di replicare i suoi piatti, anche senza di lui.

  • E’ l’era della nuova comunicazione Food blogger a go go! Con tutto il rispetto per la passione, tutti scrivono di cucina ormai. Che dire…

Che per fortuna nel mondo del cibo c’è posto per tutti. Il mercato, il web, i lettori valuteranno e daranno ragione ai contenuti migliori, così com’è sempre stato.

  • E ora passo a qualche citazione. Sto leggendo la prima edizione de “La Cucina Italiana” del 15 Dicembre del 1929: “Si può affermare che da qualche tempo la cucina familiare è in decadenza.” Direi più che attuale…

Attualissima. La prima copia è la mia coperta di Linus: ogni volta che devo fare una presentazione, o mi accingo a scrivere qualcosa la consulto: trovo sempre un passo, uno spunto, un accenno che mi da il ‘la’ per scrivere cose sagge e sensate anche oggi.

  • Continuo: “Si può star bene in salotto e stare bene in cucina; la dispensa deve avere per ogni donna (aggiungo ogni uomo) la stessa importanza del guardaroba come la cucina quella del salotto”.  Questo a sottolineare quanto sia importante ricercare la qualità negli ingredienti. Prodotti di cattiva fattura a bassi prezzi non ci devono ingannare…

Concordo. E non ci dobbiamo mai limitare alla sola cucina: la nostra rivista è da sempre anche un punto di riferimento per l’arte del ricevere. Non si cucina per ‘esercizio di stile’, ma per fare un dono d’amore alle persone più care. E quindi non si può servire una ricetta cucinata con amore su un piatto brutto o senza tovaglia, o senza accompagnarlo da una conversazione leggera e appropriata.

  • Concludo con questa: “Se nel secolo XIX ed al principio del nostro necessità superiori distolsero dalla cucina, occorre far tornare in auge l’arte culinaria che è il nesso essenziale dell’unione della famiglia.”

Amen! Che si tratti di famiglia ristretta, allargata, di amici o di parenti, la cucina è davvero il luogo magico, il collante indispensabile per fare di ogni consesso un momento unico e gioioso. Certo, non possiamo rovinare tutto con piatti cucinati male!

Belle risposte! Brava Anna, e… evviva La Cucina Italiana!




Due chiacchiere con un Fornaio Sovversivo, perché c’è pane e… Pane!

La ricetta: “Le Macine”

Sto andando dal fornaio a prendere il pane… lo adoro!

Avete presente quel profumo che si sente entrando in bottega… mmm, meraviglioso!  Ma attenzione, c’è pane e… Pane! 😉

Voglio fare un po’ di chiarezza! Oggi si va dal fornaio, ma per parlare di pane, di farine, di lieviti e… di pasta madre. 

La mia vittima di turno è Massimo Grazioli, un fornaio che ho conosciuto all’ultimo Raduno dei Sovversivi del Gusto.

Dal 1974, data d’apertura della sua bottega, produce con continuità prodotti da forno.

“Il pane, un sapore che ha il gusto della vita e che ti lascia senza parole, che ci accompagna e ci porta a spasso nel tempo. Massimo Grazioli”

Ma ora inforNiamo il pane, ops che ho detto, oggi… inforMiamo! 😉

  • Ciao Massimo, cominciamo dall’inizio, ma come si fa il pane?

Per fare il pane, ma che sia buono, è necessario utilizzare materie prime di qualità.Massimo Grazioli

Primo. L’utilizzo di farine integrali macinate a pietra è fondamentale.

Secondo. Dare la giusta importanza al tempo necessario a far maturare l’impasto, passo fondamentale per sviluppare profumi e aromi, e per renderlo più digeribile.  

Terzo. Il sudore e la fatica di chi fa il pane ti da la sua anima, ma in cambio vuole la tua.

Quarto. Il lievito madre.

  • Parliamo di un fungo. Eh si, proprio un fungo, “il lievito”. Dunque, si sente parlare di lievito di birra, di lievito madre… Facciamo un ripassino?

Il lievito madre è una coltura di microrganismi, funghi e batteri vari, il cui metabolismo produce una fermentazione, cioè trasforma gli amidi della farina in anidride carbonica e in alcool, facendo lievitare l’impasto.

La vera peculiarità del lievito madre, è che fra i vari funghi e batteri (le due specie sono cugine), sono presenti batteri lattici e acetici che producono una serie di acidi organici e danno al pane, fatto col lievito madre, caratteristiche uniche in fatto di aroma, digeribilità e conservazione.

A differenza, nel lievito di birra sono presenti solo funghi (Saccaromiceti) che fermentano si, ma producono pochissimi acidi organici. Lo si capisce benissimo dall’aroma del pane.

  • Ora passo ad un argomento che definirei scottante, mi riferisco alle farine. Diciamo che c’è un po’ di confusione tra il consumatore, anche perché tristemente ci sono farine di cattiva e dubbia provenienza. Vuoi parlarmene, e soprattutto, dare qualche consiglio per una scelta più consapevole?

Dal mio punto di vista è fondamentale usare quelle macinate a pietra, che siano integrali,  e che possibilmente provengano da cereali di agricoltura biologica. Da qui ha origine il vero valore del pane per chiunque decida di panificare in modo casalingo o professionale.

Ti confermo poi, che nel mondo delle farine provenienti da mulini industriali, non sempre tutto è chiaro e limpido. Direi a questo punto, che è preferibile acquistarle da piccoli mulini che macinano a pietra, oppure tramite i GAS, o infine nei negozi specializzati tipo Natura Si.

  • Nell’impasto anche l’acqua ha la sua giusta importanza. Tu che acqua usi?

Per l’acqua io uso un dispositivo che la rende più leggera togliendo anche un po’ di calcare.

  • Sale o non sale, nel senso che alcuni lo usano altri no. Quando, come e… quale va usato nel pane?

Si per il sale, e solo sale marino integrale. Io uso il sale di Pirano che è anche meno amaro. La percentuale è del 1,6 % su ogni kg di farina. Inoltre, con le farine integrali più ricche di sapore, se ne ha minore necessità.

Per concludere ti chiedo una ricetta con il pane, una della tradizione, come piace a me! 🙂

Eccoti accontentata Cinzia, ti darò la ricetta per fare “Le Macine

 

Ingredienti :

·       800 gr. di farina macinata a pietra “Le Macine” del Mulino Marino

·       200 gr. di segale integrale

·       650 cl. di acqua a 28 °

·       400 gr. di lievito naturale a maturazione pronta

·       15   gr. di sale

 

Preparazione :

  • Impastare il tutto, tranne che per il sale, e per 50 gr. di acqua che aggiungeremo solo alla fine per bilanciare.
  • Lavorare l’impasto lentamente fino ad ottenere un panetto  ben formato.
  • E’ fondamentale che la temperatura finale dell’impasto sia di circa 27/28 gradi.
  • Lasciare lievitare al caldo per più di 2 ore.
  • Quindi formare la pagnotta, e lasciarla lievitare per altre 2 ore.
  • Infornare a 210° per 60 minuti.
  • Infine spegnere il forno, lasciando all’interno le macine per altri 10 minuti a sportello socchiuso.

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La Bottega del Pane di Massimo Grazioli

dal 1974

Via Rossini 15 – Legnano (MI)

e-mail: massig61@alice.it

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