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Paolo, Marco e Francesco, appassionati di terra e territorio: “Contadini per Passione”

Era il 30 Giugno 2011 quando mi arrivò una mail…

Salve Cinzia,  lieto di fare la tua conoscenza,
mi chiamo Paolo, ho 29 anni, e insieme ad alcuni ragazzi appassionati di terra e territorio, nonché giovani contadini, abbiamo dato vita al progetto “Contadini per Passione”, sintesi che racchiude la voglia e la passione di comunicare le eccellenze del nostro territorio. Parte integrante del progetto, sono Marco, 28 anni, e Francesco, 26, il nostro contadino “informatico”. Ci troviamo a Ribera, piccolo e rinomato centro agricolo della provincia di Agrigento. Qui produciamo l’Arancia di Ribera DOP. Si tratta di un’arancia a polpa bionda senza semi, estremamente saporita e dolce grazie all’elevato grado zuccherino che riesce a raggiungere in fase di maturazione, varietà “Washington Navel”. L’aranceto invece, è immerso nella splendida valle del Verdura, precisamente nel basso Verdura. Una vera e propria oasi arancicola ad una manciata di km dal mare in contrada di “Cannagrande”. Una tra le zone di produzione più rinomate e più antiche, in cui è possibile far risalire gli aranceti più vecchi di Ribera.

Ti auguro una buona serata, Paolo

Dopo alcuni contatti mi accordai con Francesco, dai più chiamato Kiko, per una chiacchierata su Skipe.  La tecnologia è di grande aiuto, e accorcia le distanze…

Mi raccontò come iniziò l’avventura nel 2003, quando Paolo e suo fratello Marco ereditando dai nonni un aranceto, decisero di continuare in prima persona a condurlo. Lui, Francesco, chiamato il contadino informatico, si aggiunse in seguito. Parlammo della Sicilia, delle loro arance, dei loro progetti…

Quando gli dissi di scrivere le problematiche incontrate nel loro percorso per dare un esempio pratico ad altri giovani, mi rispose così:  “Cinzia, noi più che parlare dei problemi del settore agricolo, vorremmo parlare delle soluzioni che secondo noi potrebbero essere più utili”.

Ebbene, loro lo fanno.  Scrivono e raccontano la Terra di Sicilia nel loro aranceto “virtuale”: contadiniperpassione.it

  • Ciao ragazzi! Per un soffio non ci siamo visti al Salone del Gusto a Torino. Paolo mi aveva telefonato, ma purtroppo il mio arrivo è coinciso con la vostra partenza. Dunque, siete stati dei relatori… ormai siete famosi, e chi vi ferma più! 😉 Mi raccontate com’ è andata?

E’ andata benissimo Cinzia, davvero un’altra esperienza che arricchisce la nostra storia. Al Salone del Gusto abbiamo semplicemente raccontato la storia del nostro percorso, solo che stavolta l’attenzione maggiore era rivolta al nostro uso delle nuove tecnologie, certamente un’innovazione nel settore delle aziende agricole.

Abbiamo potuto constatare come l’ingresso dei giovani in agricoltura può davvero cambiare questo settore, e cambiarlo in meglio. Ma non si tratta in verità di un merito solo dei giovani. E’ un problema generale di idee, di idee nuove, di voglia di scommettere su questo settore affiancandolo a competenze solitamente tenute distanti da questo mondo. Noi lo abbiamo fatto e probabilmente abbiamo pure convinto al Salone del Gusto, che la nostra è la direzione migliore per i giovani, per gli imprenditori piccoli, e per quelli che vogliono migliorarsi costantemente ricercando la qualità in fatto di produzione e di comunicazione. Cerchiamo di mantenere un contatto diretto con chiunque si avvicini alla nostra storia e al nostro progetto, e ci poniamo in termini di trasparenza. I nostri toni non sono aziendalistici, piuttosto sono informali. Gli slogan non ci piacciono, ci piacciono i dialoghi puri e semplici. I social media e il blog ci permettono tutto questo.

  • Siete un esempio per molti giovani. L’amore e il rispetto per la terra permette di fare una buona agricoltura. Far conoscere le eccellenze del territorio utilizzando la comunicazione web, il nuovo modo di comunicare. Come vi dicevo qualche giorno fa, scrivere del mio credo della Terra, e di Italiani come voi, mi rende felice ed orgogliosa. Ma ora ditemi, a che punto siete con il vostro progetto?

Il progetto continua, il progetto anzi subisce continue spinte in avanti grazie all’affetto dei nostri amici virtuali che nell’ultimo anno sono stati trasformati, in gran parte, in amici reali. Questo senza fare distinzione fra partner, clienti e fornitori. Abbiamo l’idea di essere tutti una grande famiglia,  e con Slow Food tocchiamo con mano questa sensazione.

Contadini per Passione non si ferma,  e grazie alla saggia guida di Paolo non rischia di sedersi sugli allori. Questi attestati di stima ci fanno piacere perché rendono onore al nostro lavoro e a tutto il settore agricolo. In noi provocano la giusta carica per perseguire i nostri obiettivi che rimangono identici: “Permettere all’azienda di autosostenersi, comunicare le nostre idee, la nostra voglia di territorio e di relazioni importanti con chi sceglie di darci fiducia, continuare a produrre secondo i crismi della sostenibilità, della ecocompatibilità e della genuinità”.

Siamo al lavoro su un restyling del sito per offrire una migliore esperienza a quanti decidono di visitare il nostro “aranceto virtuale”,  mantenendo però la costante presenza online per dialogare con i nostri preziosi amici.

     I Contadini per Passione… non si fermano più!

Bedda Ribera, bedda a tutti l’uri, farini un paradisu ognunu spera, o terra d’oru, o terra di l’amuri, sì bedda sì, sì bedda:  O mia Ribera… Giuseppe Nicola Ciliberto




Due chiacchiere con Paolo Cuor di Leone, o… di formaggio?

 

Oggi vi voglio presentare Paolo Leone, il mio Maestro Assaggiatore di formaggi!

Laureato in Scienze della Produzione Animale e Ricercatore ed esperto divulgatore della cultura dell’alimentazione, conduce percorsi sensoriali di conoscenza per diffondere la cultura dei formaggi. Vere esperienze sensoriali che ci permettono un consumo consapevole di questo prodotto caseario, apprendendone la storia e le caratteristiche.

Conobbi Paolo tramite il mio gruppo “Le Vigne-tte”. Un gruppo dedicato a chi ama il cibo e il vino, ma soprattutto a chi ama la terra e le persone che la rispettano e la lavorano. Commenta che commenta una sera decidemmo di organizzare un raduno per incontrarci tutti di persona!  Era momentaneamente senza auto, e quindi dopo esserci accordati, lo andai a prendere a Milano. Durante il percorso oltre a raccontarci delle nostre vite, viaggiammo accompagnati dal sottofondo musicale che aveva portato con sé.  Musica di gran classe di cui è appassionato. Ve ne do un assaggio…

Tu ne te souviendras pas
De mon visage, de mon nom.
Les marionnettes d’ici-bas
Font trois petits tours et puis s’en vont…

“Tu ne te souviendras pas” – Barbara  1962

Avete sentito che meraviglia… vera poesia per le orecchie e per l’anima!

Ma ora stop alla musica, è tempo di farvi conoscere  Paolo Leone, o meglio Paolino, come lo chiamo io! 😉

  • Paolo, ti ricordi quella mattina lungo la strada, ti chiesi come fosse nata questa tua passione per il mondo caseario. Torniamo indietro nel tempo,  raccontami…

La passione per l’alimento formaggio è ben lontana, risale all’infanzia quando io e mia sorella avevamo una ‘tata’,  Maria (Mariute come era chiamata dai suoi), originaria della bassa friulana; quando tornava dalle ferie ci portava sempre un bel pezzo di Latteria, che, anche se ben incartato, emanava un tal profumo di latte, burro e… formaggio da non resistere!  Me lo ricordo ancora adesso!

Anche la passione per le storie dei formaggi nasce da lì… E’ aumentata poi sempre più quando per studio e lavoro ho iniziato a frequentare allevatori e casari. Al di là di quello che potevo (e posso) vedere io, c’erano fatti e storie che solo loro sapevano, ma che volentieri condividevano, e così pian piano mi sono appassionato e ho deciso di fare da portavoce di una piccola parte di quel mondo.

  • Posologia e modalità d’uso del…  formaggio! 

Il formaggio è un alimento quasi completo, al punto che basterebbe aggiungere soltanto un piatto di verdure, magari a foglia verde, per soddisfare le esigenze in nutrienti di un pasto. Ma su questi aspetti lascio la parola agli esperti del settore… (sempre che non pensino che il Quartirolo sia un formaggio magro!).

Quanto al ‘come’,  il primo concetto che si deve tenere a mente quando si vuole mangiare formaggio, (uno o più) con soddisfazione sensoriale, è che bisogna estrarlo dal frigorifero in anticipo rispetto al momento della degustazione, il tempo necessario affinché raggiunga una temperatura adeguata, ovvero almeno 16° C- 18°C.  Poi va preparato, pulito se necessario, tagliato per bene (poi ti spiego…),  messo nella giusta sequenza di sapore.  Insomma, con il cacio non si scherza!

  •  “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.  Cosa pensi degli abbinamenti con i formaggi.   Meglio gustati in purezza o… abbinati a… ?

Ecco in questo sono un pochino integralista…  Siccome suppongo che il formaggio sia buono, perché abbinarlo a qualcosa? Casomai posso utilizzare le pere o altra frutta o altri prodotti, come ‘separatori’ di sapori.

Nel caso (toh… un caso, e che caso!)  volessi assaggiare dei formaggi saporiti, per esempio dei caprini, e se la stagione me lo consente, trovo che i lamponi freschi e maturi, siano un ottimo cibo da alternare. Allo stesso modo sono eccellenti fette sottili di mela verde, che possono pulire la bocca anche dai sapori di formaggi vaccini grassi e stagionati.  Comunque si possono trovare una quantità quasi infinita di abbinamenti, basta assaggiare e sperimentare.  Però… evitate di propormi l’abbinamento con  “composta di cipolle rosse di tropea caramellate all’aceto balsamico, zenzero e…”  Capito !?

  • Recentemente ho scoperto la Fontina DOP visitando una realtà Valdostana che la produce in Alpeggio. In queste vallate ad un’altezza media di 2000 metri gli animali vengono alimentati in pascoli ricchi di una particolare vegetazione che conferisce al latte caratteristiche ben più peculiari dell’allevamento a fondo valle. Nonostante questo, non si può distinguere dall’etichetta una fontina d’alpeggio e una di fondo valle, visto che la marchiatura è la stessa, e non è permesso dal disciplinare aggiungere nulla oltre la specifica della DOP. Cosa ne pensi, e come valuti per la conoscenza del consumatore la parte descrittiva delle etichette?

Questo è l’argomento di una battaglia che combatto da tempo. Proprio in questi giorni comunicavo a degli studenti questi concetti. Bisogna che i consumatori capiscano dove sta la qualità, e le etichette, lo permetterebbero. Anche l’uso di marchi sulle forme (in Francia succede già da tempo) possono indicare la provenienza di un formaggio. Se però i produttori si mettessero d’accordo e facessero azione comune, forse… potrebbero ottenere qualcosa. So che non è facile.  Ma…  la battaglia continua!

  • “Formaggi e birre artigianali”.  Una moda o… ?  

Tutto è moda, nulla è moda…

La birra, anzi le birre (cit.) presentano una varietà di profumi, aromi, sapori e gradazioni alcoliche, che si possono perfettamente abbinare con qualsiasi alimento; in particolare l’abbinamento con i formaggi, che per varietà e complessità non sono da meno delle birre,  rappresenta una delle ‘sfide’ tra le più appassionanti. Ogni qualvolta mi si presenta l’occasione di organizzare una degustazione di ‘birre e formaggi’, soprattutto con Schigi o Kuaska, due guru italiani delle birre, non posso esimermi ! Anche se ne esco sempre abbastanza brillo…

  • Ormai mi conosci…  Dimmi che formaggio mi proporresti ?

Il Blu di bufala, blu perché ha le muffe blu-verdi come quelle che si usano per fare il Gorgonzola. Lo ho associato a te perché è saporito e persistente! Se mangiato durante il pasto direi che è perfetto abbinarci un Buttafuoco! Se invece si mangia alla fine del pasto… accompagniamolo con un passito da uve brachetto (così gli esperti di vino hanno un motivo per prendersela con me!)

  • Mi hai fatto venire voglia di tagliarmene un pezzetto!  Ma aspetta un po’, leggevo che insegni a “tagliare”  il formaggio… Questa è bella,  mi vuoi spiegare?

Partendo dall’assunto che ognuno deve mangiare tutte le parti rappresentative di un formaggio, questo fatto si verifica solo se lo tagliamo correttamente. Poiché la maturazione delle forme avviene per quasi tutti i formaggi (l’eccezione è costituita dagli erborinati),  dalla periferia (la crosta) al centro della forma, sarebbe un’esperienza sensoriale incompleta “il mangiare solo la parte centrale, o solo quella più esterna” di un formaggio.  Perché se non lo conosco, e non lo so tagliare, posso decidere che le croste non sono importanti.

Ti racconto un aneddoto per rendere meglio il concetto; ho i brividi al ricordo avendolo letto persino su un blog Italiano di cucina molto seguito.  Ci sono quelli che tolgono la crosta dei formaggi a crosta fiorita,  per renderli più presentabili (sic!). Ho precisato ‘Italiano’ , perché prova ad immaginare di scrivere una frase simile su un blog… francese ? Come minimo ti aspettano fuori dalla redazione e ti prendono a torte di camembert in faccia!

Per concludere, se si tagliano bene si possono presentare bene e conservare meglio. Ti aspetto per una dimostrazione pratica!

  • In questi anni di esperienza hai avuto modo di assaggiare moltissimi formaggi. Ardua risposta, ma coraggio!  Dimmi se qualcuno ti ha colpito in particolare?

Me ne hanno tirati molti, ma non mi ha mai colpito nessuno…  Ahahahaha A parte gli scherzi, senza ombra di dubbio, quello che mi ha colpito di più è stato il Tchoukou, il formaggio dei Tuareg. Si tratta di un formaggio non salato e ‘secco’.   Questa tipologia è pressoché unica rispetto alle nostre abituali, sia per dimensioni che per aspetto, ricorda una sfoglia.

Curiosamente mi trovo a constatare che, anche uno degli altri formaggi che mi ha colpito, non è salato. Si tratta, come forse avrai intuito, del Pannerone (lodigiano), famoso soprattutto per il suo sapore dolce-amaro e per le note di burro che si percepiscono al naso prima, e in bocca poi.

Poi… potrei dirtene uno per ogni lettera dell’alfabeto,  ma mi fermerò alla lettera B. B come Bitto: “Non potrò mai dimenticare quel pezzo di formaggio d’alpeggio che al naso sapeva di frutta esotica, di ananas in particolare! Stupefacente!”

 




“Due chiacchiere con… Roberto Giuliani”

Roberto Giuliani, Direttore editoriale di Lavinium, rivista di vino e cultura online che nel 2007 ha ricevuto il Premio Veronelli come “Miglior sito di enogastronomia” con la seguente  motivazione: “Perché nel mare del pressapochismo in cui si annaspa navigando in rete, si distingue per la serietà dell’informazione e l’approfondimento delle notizie pur nell’ampia articolazione dei suoi interessi”.

 Lui, ama la scrittura, la fotografia, e naturalmente… il vino!

Lo conosco attraverso i suoi commenti… attraverso le sue prese di posizione alle quali ribatto con rispetto vista la sua esperienza. Lo definirei un esperto conoscitore appassionato della Terra.

Vivo d’intuito, la mia vita è basata sulle sensazioni. Mi capita di sbagliare ma per lo più c’azzecco. L’esperienza e il dolore ci fa acquisire un sesto senso sulle persone… Sento in Roberto la sensibilità di un uomo delicato e amante della natura. Un uomo serio e ironico in egual misura. Si, perchè come diceva Soren KierKegaard, poeta danese considerato padre dell’esistenzialismo, l’ironia è l’occhio sicuro che sa cogliere lo storto, l’assurdo, il vano dell’esistenza…

Detto questo come dico io, punto e a capo. Roberto è il tuo turno! Tocca a te rispondere, e quindi, pronti via!

  • Roberto, ti ho presentato brevemente secondo le mie intuizioni. Qualcosa da aggiungere o da ribattere?

No, semmai da sottrarre, sei fin troppo generosa.

  • Sei figlio di un musicista, come sei arrivato ad appassionarti al mondo del vino?

In realtà la musica è sempre il mio grande amore, non so stare senza, non a caso mi diletto a suonare il pianoforte e la batteria.

Il vino come interesse professionale è arrivato in età matura, circa 15 anni fa. L’ho sempre bevuto ma senza approfondirne la conoscenza più di tanto. I vini laziali che acquistavo da giovane appartenevano al periodo in cui ancora vigeva la produzione quantitativa, era difficile “innamorarsi” del vino a quell’epoca, almeno per me. Il mio primo amore, uno dei vini che mi fece aprire gli occhi su un mondo dalle infinite possibilità espressive, fu una bottiglia di Nebbiolo d’Alba alla fine degli anni ’80.

Poi feci tre viaggi in giro per la Francia, e lì ebbi conferma di quanto c’era da conoscere e apprezzare.

Mi diplomai sommelier all’AIS di Roma e iniziai ad approfondire il nostro territorio partendo dalla Toscana per arrivare fino a Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli e via via tutte le altre regioni italiane. Cominciando anche a scrivere per riviste locali fino a quando, nel 2000 ebbi l’opportunità di collaborare alla neonata rivista Lavinium.

  • Web o meglio World wide web, secondo me una delle invenzioni più potenti al mondo. La libertà di poter comunicare, di avere uno spazio proprio in cui condividere le proprie passioni, in cui raccontare il proprio credo… E’ così che ormai giornalisti, blogger, web writer più o meno esperti, dicono la loro. Caos o… ?

Come spesso accade, quando si ha a disposizione uno strumento gratuito da usare in quasi assoluta libertà, un certo caos si crea, anche perché siamo ormai milioni di persone ad utilizzarlo, ma rappresenta comunque un fenomeno largamente positivo, l’importante è imparare ad usarlo con intelligenza. Il fatto che tutti possano avere uno spazio per esprimersi, ma anche per approfondire la conoscenza senza confini territoriali, dalla musica, alla storia, all’arte, alla cultura in genere, è qualcosa di fantastico. Purtroppo non tutti ne fanno questo uso, e ciò genera appunto un certo caos, del resto non c’è alcuna regolamentazione.

Un altro limite, almeno oggi, sta proprio nella gratuità sempre e comunque, cosa che impedisce ai professionisti di trarre il giusto guadagno dal proprio lavoro sul web, salvo rari casi.

  • “Il consumatore (termine molto vago e grossolano), va educato a capire che ciò che mangia e beve condiziona fortemente la sua salute,  le sue energie, le sue capacità in generale”.  Parole tue Roberto, che condivido pienamente. Ritengo però che, se allo stato attuale seppur con i mezzi informativi presenti, sia ancora molto evidente la mancanza di cultura del cibo e del vino, ci sia un problema di comunicazione. Cosa ne pensi?

Il problema di comunicazione esiste, certamente, ma soprattutto è la cattiva comunicazione a fare danni, a partire dalla pubblicità ingannevole diretta e indiretta con cui ogni giorno siamo martellati sin da bambini. Poi esistono le cosiddette “cattive abitudini”, chi è cresciuto con la coca-cola, le merendine, i cibi confezionati, non ha solo problemi culturali ma dei “vizi” che non è facile eliminare. Per esperienza diretta ho potuto verificare quanta resistenza hanno molte persone a qualsiasi argomentazione che metta in discussione le loro abitudini. Questo non significa che sia inutile cercare di far capire alla gente che mangiare sano è fondamentale, informarla sui danni che può fare alla salute un certo tipo di alimenti, ma a mio avviso non è sufficiente, anche perché, come ben saprai, c’è anche chi “rema contro”, sminuendo l’importanza di evitare prodotti troppo raffinati come zucchero, sale, farina ecc. e cercando di dimostrare che non c’è alcuna differenza fra prodotti industriali e prodotti biologici. Ma l’argomento è complesso e non possiamo approfondirlo qui.

  • Amo ascoltare le storie delle persone, è la mia passione! Amo andare alla radice di ogni cosa. A proposito di questo mi viene in mente un tuo commento inerente ai semi. Cito testualmente: “E’ ESSENZIALE acquistarli da chi li coltiva da sempre, diffidate se non potete sapere l’origine. Molti vivai in realtà li acquistano dalle industrie che li producono in laboratorio. Grazie a questo abbiamo perso i pomodori di Pachino, i cui semi non sono più quelli originari ma provengono da Israele. Quello dei semi è un problema enorme, anche perché molti sono ibridati, ovvero non sono riproducibili, oppure sono OGM. Viene da ridere a pensare al biologico se non c’è un controllo sui semi…”  A questo punto mi chiedo, ma come fa la gente a fidarsi della definizione di “Biologico” quando legge queste cose?

Viviamo in un mondo governato dal Dio denaro, questo ci impone di essere diffidenti e sospettosi. Non sono le etichette a garantire la qualità e la veridicità di un prodotto, purtroppo, per le ragioni appena dette, pertanto ritengo che il biologico non sia una garanzia assoluta. Anche perché, avendo occupato una fetta di mercato sempre più interessante, il bio si è trascinato dentro anche l’industria. Puoi immaginare quanto sia improbabile avere una produzione veramente biologica su centinaia, a volte migliaia di ettari. Ecco, un modo è sicuramente quello di rivolgersi al piccolo produttore, magari a km zero, al coltivatore diretto o comunque a quegli esercenti che si rivolgono alle piccole realtà agricole locali.

  • Altro argomento scottante, vogliamo parlare dello zucchero? Hai posto recentemente la domanda sotto una mia nota. Mi vuoi rispondere qui?

Come ho accennato prima, lo zucchero è un problema serio: impossibile quantificarne l’uso, basti pensare che in una lattina di coca-cola c’è l’equivalente di parecchie bustine di zucchero raffinato, o che in qualunque prodotto dolciario viene utilizzato in notevole quantità. Non è un caso che il diabete sia diventata una malattia sempre più frequente, che colpisce ancora di più in giovanissima età, ovvero nella fase in cui si prendono più zuccheri raffinati in assoluto, attraverso bevande, merendine, caramelle e quant’altro piace alla maggior parte dei bambini figli di quest’epoca consumistica.

C’è gente che mette anche tre cucchiaini di zucchero nel cappuccino, sebbene il latte abbia già una propria dolcezza che compensa l’amaro del caffè. “Cattive abitudini”, appunto… Usare almeno zucchero integrale di canna (non quello grezzo, che subisce praticamente gli stessi procedimenti di raffinazione di quello bianco ottenuto dalla barbabietola), quando siamo noi ad aggiungerlo nelle pietanze, può ridurre un po’ il danno, oltre a fornire ancora buone dosi di minerali e vitamine del gruppo B. E poi, se avessimo la sana abitudine di usare l’olfatto sempre, noteremmo come lo zucchero raffinato ha un odore fortemente dolciastro ma finto, mentre quello integrale è profumato e molto meno dolce.

  • Se ti dico che…  “forse bisogna tornare indietro per andare avanti”,  cosa mi rispondi?

Su questo tema posso dirti subito che sono un convinto sostenitore della teoria della decrescita di Serge Latouche, siamo arrivati ad un punto limite, anzi, in gran parte lo abbiamo oltrepassato. Stiamo prosciugando il pianeta e rendendo invivibile la vita agli animali, alle piante e agli uomini. La nostra società è basata sull’aumento ininterrotto dei consumi e sulla massimizzazione dei profitti. Non è un caso che, ancora oggi, sentiamo dire da tutte le correnti politiche che per risollevare il Paese bisogna tornare a produrre e incrementare i consumi, questa è pura follia. Bisogna puntare ad una nuova economia e ad una nuova società, che abbia altre basi su cui fondare il proprio benessere, quello vero e non quello indotto dai falsi desideri e bisogni con cui il sistema ci impone di vivere.

  • Bè, direi di finire con un brindisi!  Ormai un pochino mi conosci, amo i vini rossi di carattere e di struttura. Cosa mi offri?  E… a proposito, da amante della musica quale sei, metti un giusto sottofondo, ma mi raccomando, dimmi il titolo e l’artista… Son curiosa io! 😉

Credo di poter aggiungere “di grande finezza”, perché sono sicuro che una persona come te, che ama il piacere della vita e apprezza le sue sfumature, ricerchi anche l’eleganza in un vino. La mia proposta, rigorosamente italica, mi spinge ad occhi chiusi verso il Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva di Ar.Pe.Pe., un vino strepitoso, 100% nebbiolo (detto localmente chiavennasca) che nasce da vigne terrazzate e impervie alla base delle Alpi Retiche, nella sottozona Sassella.

La musica di sottofondo? In questo caso più che di sottofondo sarà una compagna di emozioni: Waltz For Debby, una delle più belle composizioni di un raffinato pianista jazz come Bill Evans.

 




Un grido d’aiuto dagli agricoltori: “Lasciateci lavorare!”

Oggi voglio dare spazio allo sfogo di un amico viticoltore che fa eco a tante altre voci. Burocrazia, burocrazia e ancora burocrazia! E’ questo che continuamente mi sento dire dai produttori. Dobbiamo fare gli amministrativi o gli agricoltori mi dicono… mah, dico io!

Mi chiedo se qualcuno di questi burocrati impositori di tanta carta da compilare si rende conto cosa vuol dire produrre? Di quanta fatica, tempo, e impegno comporta lavorare la terra? Ma non solo dato che il tempo libero devono occuparlo per promuoversi in fiere e in manifestazioni per farsi conoscere, ma soprattutto per far conoscere i loro prodotti.  Ricordo anni fa di aver letto che in Giappone un’azienda ha imposto ai propri dirigenti di fare esperienza diretta in produzione tra gli operai… sarebbe opportuno anche qui da noi, e in molti settori direi!

Sostengo da sempre con grande convinzione che per giudicare il lavoro degli altri, per capirne le difficoltà, i problemi e le soluzioni, bisogna semplicemente farlo! Anziché occupare i comodi uffici, uscite e parlate con i produttori!  Dovete vivere le realtà! Dovete ascoltarli! Siete voi i nostri rappresentanti, e quindi e ora di muoversi, di tirare su le sorti di quest’Italia ferita e messa in ginocchio! La terra è quello che ci rimane, chi la lavora rappresenta la nostra unica speranza di salvarci da questa crisi! Aiutiamoli a lavorare!

Perdonerete il mio sfogo, ma gli Italiani, quelli veri, quelli che lottano lo fanno in ogni modo, anche così, lanciando un grido d’aiuto! Ed è per questo che ora passo la parola a uno di loro… all’amico Marco Bernava.

  • Marco, cosa chiederesti alle istituzioni sia a livello nazionale che europeo nell’immediato per aiutare i produttori?

Lasciateci fare e vendere!” Perché far vino è un’arte… è poesia e tecnica allo stesso tempo, e gli artisti devono avere spazio per fare bene, devono avere libertà di movimento. 

Ci siamo incastrati in un sistema che non funziona Cinzia, e non solo in viticoltura ma oserei dire in tutto il settore agrario. Concentrandomi sulla viticoltura e sull’elaborazione di vino, credo che come nel resto del settore primario una delle grosse colpe sia della UE e dalle politiche dei Paesi membri: “Direttive che si traducono in normative e controlli che senza mezzi termini definisco tanto inutili quanto dannose, un sistema di aiuti all’impianto/espianto incoerente, un sistema doganiere che non dovrebbe esistere ed invece vincola tutte le trattative intracomunitarie, norme di etichettaggio pesanti, sistemi di qualificazione dei prodotti un po’ aleatorie … e molto altro che potrei aggiungere…”

La mia esperienza come tecnico ed ora come produttore mi fa capire sempre più i viticoltori con il loro pianto per i prezzi bassi, per la loro impotenza sul mercato perché l’offerta frazionatissima (e senza voce collettiva, non inganniamoci), davanti a colossi che dettano prezzi di acquisto delle uve tenendo in conto solo la loro logica di profitto (frutto di un sistema globalmente incorretto), non considerando minimamente i costi di produzione del viticoltore.

Capisco sempre più quanto in passato si sia distorto e viziato il settore. Mi fa male pensare a come viene percepito il vino da certi settori della società, a causa di scelte politiche errate nella sostanza. Mi rende triste vedere come bisogna accontentare l’amministrazione con determinate pratiche burocratiche che assumono più i connotati di un rito vudù piuttosto che di una gestione amministrativa. La mia esperienza mi porta a concludere che voglio vivere bene come tecnico una parte dell’agricoltura affascinante e dinamica e che vivrò lottando come produttore e commerciale di se stesso, nella speranza (o illusione) che il sistema si semplifichi.

Non dico che debba essere un settore anarchico, ma nemmeno che io debba dedicare la metà del mio tempo a lavorare per l’amministrazione pubblica. Certo è che il settore deve avere un apparato legislativo corretto e coerente che vincoli ciò che è dannoso alla salute (trattandosi di un prodotto alimentare) e ciò che è frode reale, ma lasciando che i produttori possano creare originalità e che la possano offrire e vendere con agilità.

Lascio andare solo due esempi in Europa: l’etichettaggio e il sistema di qualificazione dei vini da un lato, e le pratiche enologiche autorizzate dall’altro. Sono paradossi di come NON si dovrebbe gestire a livello supra-nazionale il settore. Basicamente perché sul mercato ci dobbiamo confrontare con il “nuovo mondo” del vino, dove le regole sono più lasse e dove hanno capito che nel fondo l’equivalente di ogni muro che la UE ci costruisce e che dobbiamo saltare non fa altro che incrementare i costi di produzione, quindi diminuire la competitività sui mercati internazionali, e far risultare cari i vini a volte anche sul mercato nazionale. Risultati: da una parte importiamo vini economici e dall’altra limitiamo il consumo interno di prodotto nazionale, confondendo in sostanza il consumatore e allontanandolo dal gaudire di un prodotto che fa parte della nostra cultura da secoli immemori.

Poi non dimentichiamo che la viticoltura e l’enologia sono alla base della gestione di molti territori dei nostri Paesi: gestione paesaggistica, gestione ambientale, tessuto socioeconomico (pensiamo oltre ai produttori anche all’indotto enoturistico). Questo ruolo sociale dovrebbe essere ulteriormente premiato e non bastonato dalle politiche sia comunitarie che nazionali. Dovrebbero lasciar lavorare e fomentare lo sviluppo del settore vitivinicolo e di ciò che gravita intorno a lui, soprattutto nelle zone vocate, dove ogni alternativa economica risulterebbe essere o un fracasso o un’aberrazione ed una distruzione del territorio. Mi riferisco concretamente al tema eolico in Spagna e per quanto ne so anche in Italia: interessi di multinazionali dipinti coi colori dell’ecologia e della sostenibilità, venduti al territorio inerme come è quello agricolo, distruggendone la vocazione e trasformandolo in un paesaggio pseudo-industriale massificato e violentato dalla speculazione (in campagna ancora non era arrivata).

Ma questa è un’ altra storia Cinzia: se vuoi ne parleremo! 

 




Cinzia Tosini Vs Adriano Liloni: “Un incontro al… peperoncino!”

Oggi vi presento Adriano Liloni, un “Sovversivo del Gusto”!

Ricordo la prima volta che l’ho conosciuto… Me lo avevano segnalato per il suo locale a Moniga del Garda, “I Sovversivi del Gusto”.  Più che un locale, una vetrina per la promozione del territorio. L’idea mi piaceva, e quando questo accade, statene certi che presto o tardi devo verificare con i miei occhi…

L’occasione capitò presto e furono subito scintille!  Peperino lui, peperina io, non poteva essere altrimenti.  Dopo i vari combenevoli mi invitò la sera a cena nel suo ristorante, Il Pegaso a Gavardo (BS). Certo era che… non avevo idea della serata che mi aspettava! 😉

Al mio arrivo trovai ad aspettarmi Franco Liloni, il fratello di Adriano nonché pittore, scultore, archeologo e reporter di Telecolor, una televisione locale. Passammo la cena a chiacchierare… Franco scoprì una Cinzia a tratti ascoltatrice, a tratti chiacchierona, e a tratti spigolosa.  Tutto andò bene fino a che il nipote di Adriano, addetto alla sala, mi chiese: “Per iniziare vi porto delle bollicine?”  Mmmm che nervi!! Risposi: “Ah bè… partiamo bene, io non bevo bevande gassate!”  Un po’ stranito mi guardò e se ne andò. Cinque minuti dopo tutta la gente in sala fu interrotta da un annuncio di Adriano: “Abbiamo un’ospite in sala che contesta il termine bollicine, si chiama Cinzia Tosini. La invito ad alzarsi e a spiegare a tutti il motivo della contestazione”. In quel momento l’avrei strozzato!!

Chi mi conosce veramente sa quanto io sia timida… Nonostante questo mi sono alzata spiegando che non mi piaceva il termine bollicine perché ritengo non faccia buona cultura del vino. Mi fermai li, ma decisi che ne avrei scritto un pezzo a breve,  e cosi feci… Il locale pian piano si svuotò mentre noi tre ci raccontavamo le nostre vite, i nostri sogni e i nostri progetti.  Posso dirvi solo che bacchetto spesso a gran voce Adriano per le sue prese di posizione a volte eccessive nei termini. Ma chi lo conosce sa che è un uomo che crede nella terra, nei produttori e nella gente che lavora bene.

Adriano, detto questo ora tocca a te rispondermi…

  • Adriano Liloni un Sovversivo del Gusto, ti vuoi presentare a chi ancora non ti conosce?

Sono un passionale ingestibile; ho creato tout court questa associazione partendo dalla mia zona, la Vallesabbia e il Garda.

  • Adriano, chi sono i Sovversivi del Gusto?

Sono un piccolo gruppo di valligiani produttori di formaggi, di mieli e di vini. Tutto è nato in sordina con raduni serali. Poi, il 2 Luglio del 2006 in un mio momento di pazzia affittai l’isola del Garda e creai il primo evento con tanto di battello.

  • Che scopo vi prefiggete raggiungere?

Lo scopo era di riunire produttori della zona. In seguito infiltrazioni giornalistiche hanno portato ad un effetto domino che neanche immaginavamo… Come la presentazione del primo volume dei Sovversivi a Milano al programma di RAI Radio 2 di Vergassola. Gli eventi continuano, ed annualmente vengono ripetuti in location diverse.

  • Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato?

Le difficoltà ci sono state e ci sono tuttora. Non essendo collegati a grandi movimenti ed essendo assolutamente autonomi, nelle galassie della comunicazione enogastronomica non è poi così facile. Nonostante questo il secondo volume dei Sovversivi del Gusto ha raggiunto Parigi e per un caso fortunatissimo ha vinto il Cookbook Awards per la fotografia di settore, un premio internazionale di grande rilievo.

  • Come vedi l’Italia dei piccoli-medi produttori in questo momento? E cosa pensi possano fare nell’immediato le Istituzioni competenti?

Le istituzioni competenti? Quali? Quelle statali? Aspetta e spera… L’Italia non è paese da piccoli artigiani e piccoli imprenditori.  Per quanto riguarda gli aiuti si preferiscono fare progetti faraonici per grandi aziende…

  • Sono donna appassionata di vino ma soprattutto del suo mondo, mi racconti come vivi tu il vino?

Come vivo il vino e il buon cibo?  Secondo te?   😉

  • Raccontami del tuo locale, Il Pegaso. Com’è nato ?

E’ nato nel dicembre del lontano 1987.  Dopo varie esperienze lavorative nel settore, siamo sbarcati io e mio fratello in questo nascosto locale che dopo dodici gestioni fallimentari stava chiudendo i battenti… Tanta volontà, pochi soldi e tante idee. Un mix pericoloso che dura quasi da un quarto di secolo… Abbiamo puntato su una cucina alternativa di monte e di mare con ricette di nostra creazione. Anni di percorso in salita e impegno e siamo ancora qua nonostante la grande crisi nel settore. Clienti storici che ritornano, siamo praticamente invecchiati assieme… Alcuni di loro hanno fatto qui le loro cerimonie di cresima o addirittura di battesimo, me li sono visti crescere anno dopo anno. Una fidelizzazione che ci gratifica e che ci da la forza di andare avanti…




Due chiacchiere con… Mario Maffi, un vero Italiano.

Conobbi Mario Maffi – Enologo e Direttore Tecnico dell’Azienda Agricola Montelio – grazie a un suo invito per una visita alla cantina. Lo ascoltai e mi ascoltò per ore. Un uomo semplice come pochi – dallo sguardo schietto e sincero – legato al territorio, alla sua storia e alle sue tradizioni. Un vero Italiano.

L’Azienda Agricola Montelio, il cui nome ha origine dal greco Helios Monte del sole, si trova a Codevilla, in provincia di Pavia. Fu l’Ing. Angelo Domenico Mazza, grande appassionato di viticoltura, a dare inizio all’attività con l’acquistò dei primi terreni nel 1848. Dal 1982, la Direzione tecnica è affidata all’enologo Mario Maffi. Nato a Varzi, è un grande esperto e conoscitore dell’Oltrepò Pavese.

Qualche settimana fa sono tornata a trovarlo. Una persona che stimo molto, uno degli uomini migliori che ho conosciuto in questi ultimi anni.

  • Le nostre origini… tutto parte da li. Come è  iniziata la tua avventura nel mondo del vino?

Sono nato in mezzo alle vigne perché mio padre faceva il viticoltore.  Il mio hobby preferito però era disegnare case. Quando andai a Tortona per iscrivermi a Geometra, destino vuole che dimenticai un documento a casa. Strada facendo incontrai la mia professoressa d’italiano di Retorbido, che, sentita la mia scelta, mi sconsigliò vivamente. Mi esortò invece ad iscrivermi all’Istituto agrario nonostante i miei voti migliori fossero in costruzione e topografia. Finita la scuola l’Ing. Spalla mi propose una collaborazione nel suo studio. Scoppiai letteralmente a piangere quando dovetti rinunciare… avevo da poco ricevuto una chiamata; dovevo partire per il  militare. Non era proprio destino, e mi arresi alla sorte. Una volta tornato mi specializzai in Enologia.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese per le nuove tecnologie, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Questo discorso può avere un senso solo con i vini bianchi. Per i vini rossi no. Il vino rosso nasce in vigna. Ho un caro amico che sta vivendo un momento difficile per problemi di salute, un insegnante di musica impegnato nel sociale. Lui, Giuseppe Colombo, ha deciso insieme a tre amici  di produrre del vino buono, e si è rivolto a me. Un giorno in un contesto piemontese di quelli importanti,  in una degustazione di undici vini degustati alla cieca, ha riscosso molto successo nonostante la piccola dimensione della realtà.  Il vino rosso, partendo da una buona uva, può essere prodotto tranquillamente con ottimi risultati.

  • Cosa ritieni possano fare le istituzione nell’immediato per aiutare i produttori in modo concreto?

Serve meno burocrazia, serve un investimento forte sui giovani, mirato e non sparpagliato, per creare imprenditorialità.

Finita la guerra il Friuli Venezia Giulia ha dato i soldi alle famiglie contadine. Ma dovevano investire minimo su otto ettari, e con mutui trentennali agevolati. Se decidevano di chiudere prima l’azienda, dovevano restituire i soldi…

  • E’ ormai tendenza diffusa classificare i vini in biologici, biodinamici, organici… Non pensi che si possa confondere ulteriormente  il consumatore?

Dire biologico è quasi una moda visto che l’italiano medio non è educato al termine.  Finché io vedrò un cartello di vigneto biologico vicino a zone fortemente inquinate, non posso credere nel biologico. Il biologico potrebbe avere una logica se ci fosse un regolamento severo che garantisse la sua applicazione.

Andrebbe fatta una mappatura dei terreni esenti da fonti di inquinamento importanti, e una mappatura delle zone poco piovose. Non possono venirmi a raccontare che nella valle dell’Adige con 1300 mm di pioggia all’anno possono fare il biologico con i parametri di Bruxelles.

Il nostro vino all’Azienda Montelio,  rientra in una categoria che chiamo “verso il rispetto dell’ambiente”. Cerchiamo di fare un’agricoltura integrata. Abbiamo lasciato dei boschi intorno alle vigne, ed abbiamo consentito ad  un gruppo naturalistico di costruire, accanto alle piante, nidi artificiali per facilitare il ritorno di cinciallegre e codirossi.

Ricreare un ambiente naturale, questa è la cosa veramente importante…

 

 




“Due chiacchiere con… Luigi Caricato”

Ho avuto il piacere di conoscerlo ed ascoltarlo nell’ultima edizione di Olio Officina, il Food Festival da lui diretto e ideato per approfondire e divulgare attraverso percorsi olistici, la cultura degli oli. Chiarire qualche dubbio è sempre utile… quindi,  pronti via!

Luigi Caricato di professione… Oleologo. Scrittore e giornalista ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva, oltre a un romanzo, L’olio della conversione. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere.

  • Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale” periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.
  • Dal febbraio 2009 dirige il mensile on line in lingua inglese “Teatro Naturale International”.
  • Dal 18 novembre 2010 cura il blog “Olio Officina“.
  • Luigi Caricato, oleologo-divulgatore che racconta a 360° gli oli d’oliva. Come è nata questa tua avventura nel mondo dell’olio?

E’ una avventura nata da una radicata tradizione familiare. Sono figlio e discendente di olivicoltori e frantoiani. Quindi provengo da coloro che sono i veri artefici dell’olio. Sono nato tra l’altro nel Salento, a pochi chilometri da Lecce, in una terra tappezzata di olivi e che nel passato ha vissuto un intenso traffico d’olio verso ogni angolo d’Europa. Grazie al commercio dell’olio nel Seicento è stato possibile realizzare le grandi architetture barocche, proprio in virtù dei cospicui guadagni derivati dalla vendita dell’olio.

Comunque, a parte questa appartenenza, debbo allo scrittore Giuseppe Pontiggia il mio impegno totale a favore del mondo dell’olio. E’ stato lui a spingermi a occuparmene. Mi definiva il “Papa dell’olio”, anche per via dei miei studi teologici. E così nel corso degli anni ho scritto tanti libri, e ho iniziato a intraprendere una lunga serie di percorsi virtuosi che sicuramente hanno lasciato un segno importante.

  • Adoro gli ulivi, piante secolari dall’aspetto rugoso, sentinelle di anni di storia. Qualcuno stenterebbe a crederlo visto che sono conosciuta per la mia parlantina… ma ti assicuro che alla loro vista un  rispettoso silenzio s’impone in me. L’ulivo mi trasmette pace e armonia. Dire ulivo al singolare però non è proprio corretto. La realtà è che ne esistono moltissime varietà suddivise a livello sensoriale per caratteristiche olfattive e gustative. Puoi darmi una mappa olistica aggiornata?

E’ proprio così. E’ la stessa sensazione che provo anch’io, soprattutto quando sono a contatto con gli olivi secolari. Non è un caso che tanti poeti hanno scritto versi che sono grandi elegie. Ed è anche corretto che non si debba pensare all’olivo solo al singolare. Le varietà di olivi sono tantissime, migliaia.

L’Italia vanta il primato assoluto: 538 sono le cultivar che l’Ivalsa, l’Istituto di propagazione legnosa, ha censito. Non è soltanto un aspetto importante per l’alto valore della biodiversità in sè. Significa anche disporre di una possibilità concreta di ottenere dalla spremitura delle tante, differenti olive, oli peculiari e unici. Una mappa sensoriale l’ho tracciata nel mio ultimo libro, “Olio: crudo e cotto”, edito da Tecniche Nuove, ma alla prossima edizione di Olio Officina Food Festival ci saranno sorprese al riguardo.

  • Come reputi la cultura degli oli in Italia?

Sono sfacciatamente ottimista. Perché sono convinto che, in fondo, con la forza della volontà e con l’impegno si possano ottenere ancora grandi risultati. Io li ho ottenuti, e li vedo. Rispetto al passato sono soddisfatto. Dobbiamo del resto confrontarci con i decenni passati e attendere il futuro, lavorando sodo. Oggi non siamo contenti, perché oggettivamente se il consumatore sceglie in funzione del prezzo più conveniente vorrà dire che non esiste una vera cultura di prodotto, nel senso pieno del termine. Però è diverso, oggi c’è un maggiore senso di responsabilità. I produttori sono diventati più bravi.

Ora tocca agli chef, e soprattutto ai ristoratori, acquisire una maggiore consapevolezza, e studiare, studiare tanto: sperimentare soprattutto nuove formulazioni alimentari con l’olio extra vergine di oliva protagonista di primo piano. L’olio,  ma anche tutti gli altri condimenti, debbono tutti insieme assumere il ruolo di ingrediente importante, e non essere confinati nell’ambito di alimenti marginali sui quali sorvolare come è avvenuto finora.

  • Ascoltando un tuo intervento,  ricordo un concetto che  sottolineavi spesso: “Gli Oli di Oliva considerati come veri e propri presidi di medicina preventiva”.  A questo punto mi sorge spontanea la domanda: “Posologia e modalità d’uso?”

Sì, sono “presidi di medicina preventiva”, perché nessun alimento può guarire, ma può senza dubbio contribure a migliorare il nostro stato di salute.

Posologia: sempre, tutti i giorni, senza saltarne uno. L’olio ricavato dale olive contribuisce a migliorare la percezione delle altre materie prime, ed è anche un veicolo sano di sapori.

– Le modalità d’uso: con moderazione, sempre, perché anche i grassi migliori restano comunque grassi, e non si può eccedere. Per questo, con oli di alta qualità si ottiene un alto effetto condente e, di conseguenza, ne deriva anche la necessità di utilizzarne ogni volta un poco, la quantità giusta, finalizzata a insaporire e rendere più edibile e gustoso il cibo.

  • Spremitura a caldo, a freddo, prima spremitura… Ci chiarisci questi concetti?

Esiste soltanto un’unica spremitura, oggi, con le nuove tecnologie; e nonostante un regolamento comunitario permetta di riportare in etichetta le diciture “spremitura a freddo” (per gli oli ottenuti con macine e presse) ed “estratti a freddo” (per gli oli ricavati da tecnologie estrattive più moderne, tramite centrifughe) in realtà non esiste più una estrazione a caldo. Sono terminologie che resistono nell’immaginario, ma non più aderenti alla realtà.

  • Visto che l’Italiano medio si approvvigiona direttamente dallo scaffale del  supermercato, quale consiglio ti senti di dare per una scelta consapevole?

Il miglior consiglio è di andare direttamente dai produttori. Almeno quando siamo in vacanza e possiamo incontrarli direttamente presso le aziende sarebbe un bel gesto di solidarietà. Se non si garantisce una sopravvivenza agli olivicoltori, crolla tutto il sistema. Nel caso delle famiglie, sarebbe il caso di portare con sé i bambini, così da metterli in contatto diretto con la realtà.

Poi, altro consiglio, visto che la maggioranza dei consumatori acquista in gran parte nei supermercati, meglio non assecondare gli istinti peggiori affidandosi al sottocosto: oltre che immorale, il sottocosto può nascondere inganni. Ciò non significa che certi prezzi bassi non siano giustificati, se provengono dall’estero, dove i costi di produzione sono inferiori, ma va detto che la migliore scelta è posizionarsi preferibilmente sui prodotti così detti “premium”, di fascia medio alta. In fondo si tratta di utilizzarne poco, e quel poco di grasso deve essere necessariamente il migliore.

  • Come valuti la comunicazione specialistica sugli oli in Italia?

La comunicazione specializzata in materia di olio potrei anche valutarla bene, ma di fatto non esiste. Siamo purtroppo carenti in comunicazione, e spesso a fare comunicazione non sono i comunicatori veri, i professionisti, ma soggetti improvvisati che credono basti solo metter in fila una serie di parole e investire danaro per comunicare. C’è da dire che la stampa generalista si ferma solo in superficie e si limita a pubblicare i comunicati stampa, quindi notizie costruite a immagine e somiglianza di chi non sa comunicare. Siamo perciò molto indietro in materia di comunicazione dell’olio e di ciò che vi ruota attorno. E’ una grave carenza culturale che meriterebbe di essere colmata.

  • L’olio migliora con l’invecchiamento?

No, la vita dell’olio è breve. Più alta è la qualità, e meglio si conservano gli oli, più se ne allunga la vita. Pensare a oli d’invecchiamento è un errore.

  • A differenza dei corsi di assaggiatore di vino, quelli degli oli non sono ancora diffusi quanto dovrebbero.  Secondo te qual è la causa?

In realtà sono diffusi. Più che altro si svolgono a macchia di leopardo e non ci si rende conto dell’incidenza di quanti corsi di assaggio si svolgano in Italia. Manca sicuramente un atteggiamento analogo ai sommeliers, propenso a educare all’analisi sensoriale degli oli anche la gente comune, gli appassionati. Il problema semmai è che vi sono associazioni di produttori finanziate dall’Unione europea e che svolgono l’attività di organizzazione di corsi, penalizzando così le vere scuole di assaggio. Ciò determina uno squilibrio e le conseguenze sono le si notano nei pochi corsi per appassionati.

  • Qual è il ruolo degli oli in cucina?

Accompagnare tutti, o quasi, gli altri ingredienti, amalgamandoli. I grassi sono veicolatori di sapori e anche di sostanze nutritive e caloriche. L’olio ha inoltre una funzione plastificante e di attenuatore del gusto salato, ma anche una funzione antiaderente e insieme lubrificante, oltre alla funzione di rosolare e di esercitare un effetto anti indurimento nei prodotti da forno.

  • Adoro intingere il pane nell’olio… Qual è il modo corretto di assaggiarlo per valutarne la qualità?

Attraverso l’assaggio dell’olio direttamente nel bicchiere. L’olio con il pane lo si gusta, ma nel bicchiere lo si degusta per valutarne tutta la bontà.

  • E ora per finire che ne dici di consigliarmi una ricetta “oleosa”?

Le ricette sono tante, e ognuno ha la sua ricetta del cuore. Ora, se dovessi dirne una soltanto, tornerei alla semplicità assoluta. Da salentino quale sono, anche se vivo ormai dal 1984 a Milano, dico la frisella, ovvero questo pane biscottato in forno bagnato per poche decine di secondi in acqua, quindi ricoperto di pomodori tagliati a tocchi, su cui si versa sale, origano e olio. Si potrebbe aggiungere di tutto: rucola, cipolla, capperi… Credo che occorra partire dalla semplicità per trarre il massimo beneficio.

 




“Due chiacchiere con… Giustino Catalano”

Ho conosciuto Giustino Catalano commentando un suo scritto di erbe spontanee, argomento a me assai caro.  Qualche botta e risposta, e giù al telefono a chiacchierare… Simpatico ed appassionato, ma soprattutto innamorato della terra!  I suoi racconti mi hanno portato a lui…

Educatore del Gusto, Tea Tester professionista, Fiduciario e Docente Slow Food e Formatore Orti e MIUR. Responsabile Presidio Salsiccia Rossa di Castelpoto. Sommelier Professionista FISAR e assaggiatore ufficiale di vari prodotti. Consulente Eno-gastronomico alla ristorazione. Ambasciatore dell’Accademia della Gastronomia Storica.

Discendo dal lato paterno da un famiglia di produttori e mediatori di vini ed olii che fornivano la Moet Chandon del liquer de expedition sino agli anni ’30 dello scorso secolo. E dal lato materno sono pronipote di un pasticcere modicano e nipote di un esperto di pasticceria. Cresciuto all’ombra di queste persone cerco di portare avanti le passioni che sono nel mio DNA con studio, serietà e costanza. Se avete pari interessi siete i benvenuti, a prescindere dal colore della pelle, le idee politiche e lo status sociale.  Il mondo, come il piacere, è di tutti…”

  • Giustino Catalano, una vera fortuna per me incontrarti… la tua presentazione parla da se. Ma in fondo chi sei?

Sono un consulente enogastronomico. Parola che vuol dir tutto e non vuol dir niente. Sono solo un appassionato della mia terra e della gastronomia intesa a 360°.

  • Scrivi storie di prodotti. Raccontami…

Ritengo che un prodotto che non narra la fatica e l’ingegno (quella che chiamo l’affettività umana) che c’è dietro, non è un prodotto.

  • Ti piace il tuo lavoro?

Una sola cosa posso dire con certezza. Mi sveglio alla mattina e sono contento del lavoro che dovrò fare perché il mio lavoro mi piace tantissimo. Il cuore mi batte per le cose nuove che scopro ogni giorno.

  • Hai sogni che vorresti realizzare?

Non ho sogni. Io vivo la vita per quello che mi manda e per quello che riesco a realizzare di giorno in giorno.  A 50 anni non si hanno né sogni né rimpianti. Si vive in allegria.

 




“Due chiacchiere con… Fausto Delegà”

Fausto Delegà, il mio “mielologo” appassionato… L’amore per il territorio, per le tradizioni, per gli olii, per le erbe spontanee ma soprattutto per i mieli ci ha fatto incontrare.  Mantovano come me, vive a Vienna con un pendolarismo aereo tra Austria e Italia. Lui è un Italiano Doc, che vi voglio far conoscere…

  • Fausto, immagina che ci siamo appena conosciuti. Come ti presenteresti?

Come mi presenterei…? Se i mieli e gli oli potessero essere improvvisamente compresi da tutti nei loro dialetti sottili, delicati e armonici, il mondo cambierebbe. Ecco mi presenterei con questo pensiero che mi guida da un po’ di anni nelle sfide, idee e provocazioni che lancio qua e la per spostare, come dico io, il punto di vista oggi imperante in larga parte dei consumatori sui mieli ed oli.

Perché solo spostando il punto di vista, cambiando le credenze che ci dominano, specie in campo alimentare, potremmo sperare di sovvertire l’attuale situazione drammatica che vede il creatore di cibi, l’agricoltore agri tutore sempre più proposto come anonimo, sparente, nella società che crede in larga parte che i cibi appaiano miracolosamente negli scaffali e nei frigoriferi degli ipertutto, forse per una magia in cui la faccia e le mani e la genialità di chi fa cibo scompaiono per far posto al grande Brand che, se va bene, ci ha messo solo la parte finale e meno difficile del percorso per chi sa fare il caimano: il dio mercato che oggi in larga parte tutto globalizza. Ecco mi presenterei come creatore di nuovi punti di vista.

  • Com’è nata questa tua avventura di gastro-divulgatore?

L’avventura è nata tanti anni fa, a volte quando faccio il conto matematico mi stupisco un po’, ma per poco, data la mia idea che il tempo sia una stupida credenza, direi perciò che propongo le mie idee da una ventina di anni, con un percorso che è andato via via affinandosi nel tempo. Processo obbligato, direi, di aumento di conoscenze che negli ultimi anni hanno cambiato veramente gli orizzonti nelle cantine, nei frantoi, negli alveari mielosi e in tutte le produzioni buone e giuste in genere.

Potrei dire che più di vent’anni fa era convinzione affermare che il vino e l’olio erano le parole che il sole scriveva sulla terra e che il terreno era un organismo vivente di cui siamo parte. Oggi, spesso, si viene presi per matti se non si parte almeno da li per fare un passo avanti. Sono nato come divulgatore e giornalista 25 anni fa, quando Slow Food muoveva attraverso l’ARCI i primi passi, quando l’olio era meno buono e meno prolisso di oggi, quando i blog non esistevano e uno per dire qualcosa doveva scrivere, magari per l’Unità, come feci io alcune volte per i primi anni, oppure con una mia altra esperienza… fondando una radio libera.  L’avvento del web con i social e i blog di oggi, le adozioni di cibo, la creazione dei mieli padani, la neurobiologia vegetale,  hanno favorito l’inizio di un nuovo percorso di cultura.

  • Siamo entrambi di Mantova. Mi racconti un tuo ricordo di questa terra?

Mantua me genuit scriveva Virgilio. E Dante rilevava nella Commedia la cortesia dei mantovani. Gente di terra e di acqua, una città nata in mezzo ad un impaludamento del Mincio che la circonda con i suoi laghi. Città dallo skyline unico al mondo, recentemente sfigurato dal sisma, ma già in via di recupero.

Mantova è anche la città della cucina di Principi e di popolo, dove nel ‘500 grandi cuochi iniziarono a codificare le tecniche. Terra dalle produzioni qualitativamente eccelse, basti pensare ai suoi salami, cotechini, spalle, meloni igp, cipolla, e negli ultimi anni terra anche di Lambruschi estremi, eleganti, inediti e stupefacenti, vedi il Ruberti.

Terra unica in Italia, dove si producono insieme, uno al nord e l’altro al sud, il Padano e il Reggiano, due capisaldi della nostra cucina nel mondo.  E, dal mio punto di vista, terra di mieli, con una storia mellifera che inizia in epoca romana, un paese ora in provincia di Rovigo, ma allora legato a Ostiglia e a Mantova, che porta ancora il nome di Melara, Ara dei Mieli. Virgilio, figlio di apicoltori e lui stesso amante delle api e dei mieli, dedica il quarto libro delle Georgiche alle api ed al miele. In una terra così, non si può che nascere impastati di buono e di bello.

  • Da mielologo appassionato, come reputi la cultura dei mieli in Italia?

Mettiamo pure il dito nella piaga. Parto da una provocazione: se io chiedessi ai tuoi lettori in una domanda secca quanti mieli si possono produrre in Italia, intendo tipologie mellifere tra monoflora e melate, e nello stesso tempo come fanno le api a fare il miele quante risposte esatte avrei? Non credo più di una ogni dieci intervistati. Questo da il senso e la misura della questione. Ma in parte potremmo fare la stessa domanda per l’olio da olive: quante varietà di Ulivi esistono in italia? Avremo pochissime risposte esatte. Perché pochi sanno che l’Italia potrebbe regalare al mondo, e a tutti noi, quasi 60 tipologie diverse di mieli. E nello stesso tempo in pochi direbbero che le nostre cultivar di ulivo sono più vicine alle 600 varietà che alle 500. Nessuno poi probabilmente risponderebbe alla domanda del come fa l’ape a regalarci i mieli. No, non vi lascio con la domanda sospesa, o meglio solo a metà la lasciamo sospesa. L’ape fa i mieli con una tecnica assolutamente straordinaria, un immenso scambio di baci tra ape e ape, crea i mieli. Sappiatelo e vi basti… Per ora.

  • Vivi a Vienna, qual è la realtà sulla promozione del territorio rispetto all’Italia?

AUSTRIA E VIENNA.
Devo dire che l’attenzione e la voglia di capire, rispetto alla nostra cultura materiale e ai nostri prodotti che si muovono con le persone qui a Vienna e in Austria, in genere sono notevoli, sincere, e profonde. Siamo molto amati, benevolmente invidiati, ricercati e spesso… deludenti, perché gran parte della realtà immensa e potente dei nostri terroir resta bloccata tra le pastoie di uno stato che ha massacrato il commercio estero, che qui chiude le sedi di promozione, e che quando ha cercato di promuovere lo ha fatto con i soliti noti e stranoti, amici di… cugini di… finanziatori di… feste e banchetti inutili, parole e slogan perdenti.  Forse la creatività contagiante di un genio folle e lucido come Oscar Farinetti  farà storia nei prossimi anni. Comunque a Vienna ci stiamo muovendo e attrezzando per cambiar strada, metodi e finalità.

  • Per concludere mi viene spontaneo farti una richiesta… Mi racconti una ricetta a base di miele?

Prima di tutto alcune considerazioni…

Quando leggo o sento ricette nelle quali, ogni tanto, si nomina tra gli ingredienti il miele spesso mi irrito, no forse è proprio meglio dire mi inca… Perché…? Perché 99 volte su cento viene usata la parola miele in modo talmente generico e impreciso che sembra quasi che usare in quella ricetta castagno, acacia, corbezzolo o lavanda sia la stessa cosa. Questa è sana, bella e gretta ignoranza.  La stessa che fa scrivere e dire anche: “un goccio di olio di oliva…” come se vi fosse un miele unico, e un unico olio da olive a disposizione. È ora di dire un sonoro BASTA a queste stupide indicazioni.  Bisognerebbe rifiutarsi di procedere con tutte le ricette che su questi due punti, olio e mieli, propongono questa inaccettabile superficialità.

Poi una regola fondamentale. I mieli si sposano sempre bene con le sostanze grasse, dai formaggi al burro, dalla panna al lardo e infine anche con gli oli, specie quelli da olive. Altra cosa importante è che possono essere presenti a tutta cucina, dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni e ovviamente… nei dolci come ci insegna il grande maestro e amico Corrado Assenza.

Solo una cosa potrei consigliare, non una vera e propria ricetta ma un’esaltazione del gusto. Quando in estate, non avendo la fortuna di avere un proprio orto o non potendo vivere in paradisi terrestri come le nostre isole o le regioni meridionali, spesso ci si accontenta di pomodori che rimangono lontani anni luce dal loro vero gusto di “pomodoro”.  Ecco, in questi casi una dose appropriata e molto calibrata di miele di melata di abete bianco di terroir toscani, gli mette quella marcia in più che la serra non gli avrebbe potuto mai regalare. Provare per credere, ah ah ah ah…

 




“Pesavo 192 kg… ora ne peso 74” La Storia dello chef Pietro Parisi.

Come sottolinea il Prof. Nicola Sorrentino, specialista in scienza dell’alimentazione, l’obesità è uno dei principali problemi della salute pubblica del millennio. Gli Italiani adulti obesi sono circa 4 milioni, quelli in sovrappeso 16 milioni.  Un bambino su tre è in sovrappeso, uno su dieci è obeso. Questo grasso superfluo non solo deturpa la nostra silhouette, ma spalanca le porte a malattie cardiovascolari, all’ipertensione, al diabete, a difficoltà respiratorie, all’osteoartrosi, e ad altre patologie ben note.

La Storia di Pietro Parisi, chef e patron di  “Era Ora”,  il suo Ristorante a Palma Campana

 

  • Ciao Pietro, raccontami di te.

Sono un ragazzo di Napoli ex obeso, pesavo 192 kg, attualmente il mio peso è di 74 kg.  Inutile dire che in passato ho provato diete, farmaci, sondino gastrico, ricoveri per dimagrire… tutto con scarsi risultati, e per poco tempo. La svolta decisiva è arrivata dopo l’ausilio della chirurgia mininvasiva.

  • Come hai vissuto il problema dell’obesità?

L’ho vissuto per molti anni, diciamo almeno per una quindicina. Da ragazzino non ci davo peso, ma crescendo ha incominciato a crearmi veri problemi, sia di convivenza con i miei coetanei, che mentali. Venivo deriso per il mio fisico, e questo mi portava ad estraniarmi dalle compagnie.  Mi ritrovavo in una solitudine esistenziale che sfogavo con grandi abbuffate di cibo.  Avere una ragazza era difficile, mi sorridevano certo, ma si allontanavano.  Tutto era complicato, dal vestirsi al rapportarsi con le persone. La mia adolescenza non è stata facile…

Una sera ho rischiato anche la vita per colpa di una sonnolenza improvvisa dovuta all’obesità, che mi ha portato ad urtare ed uscire fuori strada con la macchina. Qualcuno mi puntò il dito accusandomi di usare stupefacenti… tutt’altro!  Ma è più facile giudicare che capire…

Mi torna in mente il ricordo di un amico che mi accompagnava nei miei lunghi itinerari gastronomici notturni, tra cornetti, impepate di cozze, pizze fritte e cannoli…  Il conseguente aumento di peso mi portava molti problemi  tipo piaghe sotto la pancia, piedi sempre gonfi, grande sudorazione, difficoltà  nei movimenti.

Cinzia, era difficilissimo alzarsi la mattina. Tanta svogliatezza, mal di testa, mal di schiena… Mi viene quasi da sorridere quando penso che ora non riesco a stare a letto per più di 7 ore. Sono un grillo nel lavoro, girarmi e rigirarmi con disinvoltura è una meraviglia. Piaceri scontati per molti… ma non per me.

  • Come vivevi il rapporto quotidiano con le persone?

Vedo in televisione e sui giornali tante persone che avendo difficoltà nel dimagrire cadono nella disperazione. Nello stesso tempo vedo persone non obese che ci considerano degli incapaci, dei deboli, per la nostra difficoltà nel sostenere un regime dietetico. La conseguenza è l’emarginazione.

Mi capitava di andare in un ristorante e sentirmi dire dal cameriere se avevo bisogno del supporto di due sedie.  Non avete idea di come vivevo il disagio ogni volta. La realtà è che l’obesità crea grandi barriere,  e porta chi la vive, quasi a nascondersi.

  • La tua forza di volontà, validi ed indispensabili supporti medici, la passione per il tuo lavoro… elementi che ti hanno portato a dare una svolta decisiva alla tua vita. 

Si, ora la mia vita è totalmente cambiata.  E’ stato un percorso difficile.  Ho avuto la forza di decidere e dire finalmente basta optando per un intervento sia pur con le difficoltà del prima e del dopo. Ho riacquisito quella sicurezza in me che avevo perso, e ora, con la mia esperienza, sono più che mai determinato a dare speranza a chi vuole come me percorrere questa strada.  Una cosa però è certa, la mia passione per il cibo, per le tradizioni, per il territorio che trasmetto nel mio lavoro di cuoco, è costante e inalterata.

  • Pietro, ora sei chef e patron del tuo Ristorante “Era Ora” a Palma Campana. Nonostante la tua giovane età, per tradizione familiare sei immerso in questo mondo fin da bambino. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho iniziato a 7 anni, nel laboratorio di pasticceria dello zio materno quasi giocando. Poi come succede spesso è scoccata la scintilla, ed è stato subito amore. Ma ci pensate, spettatore della preparazione della sfogliatella riccia ripiena di ricotta di bufala con salsa allo Strega… bè, stregato sul serio!

Gli studi e le esperienze poi hanno fatto il resto. I miei progetti ora sono orientati verso proposte per una buona tavola, con prodotti sani,  privilegiando il km 0, e acquistando da piccoli produttori. Con il servizio di Market Gourmet Shop di Era Ora, li proponiamo ai consumatori, un nuovo modo di fare la spesa.

Ho chiacchierato a lungo con Pietro. E’ giovane ma determinato, la passione  per le tradizioni, per i territori e per la riscoperta dei bei sapori di una volta ci accomuna.  Le nostre origini sono diverse, ma come dico sempre, io mi sento a casa ovunque, fortunata di vivere in un paese ricco di tipicità uniche al mondo.

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