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Nostalgia di Budapest… nostalgia di gulyás, la zuppa ungherese

Si sa, ogni volta che si torna da una vacanza, breve o lunga che sia, ci assale quella malinconia che i viaggiatori come me conoscono bene. Quel pizzico di tristezza che scaturisce dalla nostalgia dei luoghi e dalle esperienze vissute. Nonostante ciò, come ripeto spesso, l’importante è ‘andare’ per conoscere e dilatare il tempo. Oggi va così… già, sono da poco rientrata da Budapest, la ‘Parigi dell’Est’, dal 1873 la capitale dell’Ungheria. Una metropoli conosciuta per le sue fonti termali che il Danubio – ‘il re dei fiumi’ – divide in due: ‘Buda’, la parte più alta e storica; ‘Pest’, la parte più bassa e moderna. Un’elegante capitale europea nata dall’unione di tre città: Buda, Pest e and Óbuda – in cui ha sede il parlamento e la sinagoga più grande d’Europa, e la più antica metropolitana ‘continentale’ (1896).

La cosa più bella di Pest è la vista su Buda’ (proverbio ungherese).

Ebbene, in questa fredda sera di febbraio ho deciso di superare la malinconia post-viaggio preparandomi un piatto che amo molto: il gulyás ungherese tradizionale (gulasch). Una zuppa di antiche origini a base di carne di manzo e verdure che un tempo veniva cucinata all’aperto in grosse pentole poste direttamente sul fuoco. Una scelta quanto mai azzeccata, visto che, negli Stati Uniti e non solo, ogni 4 febbraio si celebra la zuppa con il ‘National soup day’. Qui di seguito riporto la ricetta che mi è stata data dal cuoco dell’Ungarikum Bisztrò, un locale tipico nel centro di Budapest in cui ho avuto il piacere di cenare.

Gulyás ungherese tradizionale

Ingredienti:

  • 400 grammi di manzo a cubetti
  • due pomodori
  • due carote a rondelle
  • un peperone giallo tritato
  • due cipolle tritate
  • 2 patate a dadi
  • mezzo gambo di sedano
  • uno spicchio d’aglio tritato
  • un cucchiaio di paprika dolce
  • due cucchiai di olio extra vergine di oliva
  • due litri d’acqua
  • sale e pepe

Preparazione:

Soffriggere il trito di cipolle, quindi aggiungere la carne rosolandola a fuoco vivo. Unire sale, pepe e semi di cumino macinato, mescolando di continuo. Aggiungere il pomodoro, il peperone, l’aglio e la paprika. Allungare con circa due litri d’acqua, e cuocere a fuoco moderato per circa 90 minuti. Quando la carne è quasi pronta aggiungere le altre verdure e cuocere per altri dieci minuti.

Il Gulyás ungherese tradizionale va servito con dei piccoli gnocchetti di pasta chiamati ‘csipetke’. Si preparano facendo un impasto con un uovo, cento grammi di farina e un pizzico di sale. Cuocerli in acqua bollente per alcuni muniti, scolarli e unirli alla zuppa.

Viszontlátásra (arrivederci) Budapest!

Hungarikum Bisztró – Budapest, Steindl Imre u. 13
www.hungarikumbisztro.hu




Il Gulash ungherese

di Agostino Zampieri

Ciao Cinzietta, ho pensato di mandarti una ricetta che mi ricordasse le mie origini venete molto vicine alle tue, visto che i miei genitori sono della zona di Oderzo, a Treviso. Poi, pensandoci bene, ho preferito inviarti la ricetta di un piatto le cui atmosfere mi ricordano un viaggio che ho fatto recentemente a Budapest.

Budapest è una città bellissima divisa in due dal Danubio, ‘Buda e Pest’. Una città ricca di storia, di ponti suggestivi, di  magnifici palazzi, e di acque termali.

Un popolo dalle grande storia, anche in cucina…

Budapest

Budapest

Ti parlerò del Gulash, e più precisamente del Gulash ungherese, visto che ne esistono un’infinità di varianti. Nonostante sia una ricetta oramai internazionale, i risultati finali sono molto differenti tra loro. Tra l’altro negli ingredienti c’è anche il vino rosso che piace a te, e questo è un valore aggiunto non da poco.

Questo piatto tipico di Budapest, pieno di profumi e piccante al punto giusto, lo si trova un po’ ovunque, come la paprika che è il suo ingrediente base.  Tra i ricordi, le fotografie, e i souvenir di questa splendida città, ho anche una bottiglia di Tokaji Szamorodni Szraz (secco) che attende l’occasione giusta per essere aperta…

 

Ingredienti:

 

Per il brodo vegetale da preparare in anticipo:

2 cipolle medie, 2 patate, 2 carote, 2 coste di sedano in 2 litri di acqua

 

Per il Gulash: 

500 gr polpa di manzo a tocchetti (meglio tagli anteriori)

3 cipolle piccole

4 patate medie

½ bicchiere di vino rosso corposo

200 gr di polpa di pomodoro

1 cucchiaio di paprika dolce

½ cucchiaio di paprika piccante (a piacimento)

4 cucchiai di olio

50 gr di burro

1 cucchiaio di farina

Sale e pepe q.b.

 

Preparazione:

Tagliare le cipolle a cubettini sottili e soffriggerle delicatamente in olio e burro. Appena prendono colore aggiungere la carne infarinata a tocchetti mescolando continuamente fino a che prende colore. Aggiungere sale e pepe facendo sfumare il vino, quindi unire la paprika, la polpa di pomodoro, e l’eventuale farina rimasta. Continuare a mescolare aggiungendo al bisogno il brodo caldo. Far cuocere a fuoco basso per circa due ore.  

 

Nel frattempo cuocere le patate, che, una volta intiepidite, dovranno essere sbucciate e tagliarle a tocchetti piccoli. Verranno aggiunte nel brodo, insieme alla carota, pochi minuti prima di servire a tavola.

 

 

 

 




Le Cozze Arraganate alla Tarantina

Ricetta: “Cozze arraganate alla Tarantina”

Col tempo ho imparato a vivere le città che visito passeggiando lentamente, di giorno e di notte, guardando gli scorci più nascosti, e gli attimi di vita vera…

Qualche sera fa, nella bella e suggestiva Taranto, guardavo i pescatori occupati nel riordino delle loro barche. Li ascoltavo mentre allegramente fra loro scambiavano battute. A dir la verità qualcosina ho capito, almeno credo… Leggete un po’ qua cosa si dicevano:

“Catà, quann’u marit arriv’a quarantina, lass’a mugghier e s’n ve a cantina, quann’a mugghier arriv’a quanrant’ann lass’u marit e s’pigghi’a Giuann.”

Tradotto credo significa: “Cataldo, quando il marito arriva alla quarantina trascura la moglie e se ne va in cantina, quindi alla moglie a quarant’anni non resta che trovarsi un… Giovanni”.  La saggezza popolare eh… 😉

Ogni volta che mi soffermo a guardarli, penso fra me e me, a quanto vorrei vivere per una notte la vita vera dei pescatori su un peschereccio. Prima o poi sono certa che lo farò. Questa è ormai la mia vita, la vita bella che mi ha rapito il cuore…

Per ora mi accontento di assaggiare il loro pescato. Qui di seguito riporto una semplicissima ricetta tipica tarantina che ho assaggiato al Ristorante Ponte Vecchio, in una notte splendida dall’atmosfera unica…

Cozze arraganate alla Tarantina

Inizio col dirvi che “arraganate” in tarantino vuol dire “gratinate”.

Dunque, acquistate delle cozze, io ne prenderei a vagoni visto che le adoro!  Mi raccomando però, che siano belle fresche!

Una volta pulite apritele a crudo, e predisponetele a mezzo guscio in una teglia.

Quindi preparare l’impasto per il ripieno amalgamando bene a del pan grattato con l’olio d’oliva, in questo caso Pugliese, e che sia buono mi raccomando! Unire del pepe, prezzemolo, e pecorino quanto basta (no sale).

Una volta impastato bene il tutto riempite le cozze, e passate la teglia nel forno per 10 minuti a 220 gradi.

La mia amica Maria Palumbo, tarantina DOC, consiglia come alternativa, per chi ama sentire appieno il sapore delle cozze, di non unire il formaggio… Gusti son gusti! 🙂

Io le ho assaggiate con il pecorino… vi assicuro, una delizia!

La Produzione delle Cozze Nere Tarantine è la più antica e la più grande a livello mondiale.

I Tarantini hanno impiantato, e di conseguenza insegnato alla gran parte del mondo la coltivazione delle cozze. Quelle di Taranto, riconosciute anche per la forma, sono diventate ora più salate perché si coltivano nel Mar Grande. In realtà la Vera Cozza Tarantina è quella del Mar Piccolo, zona attualmente impraticabile per l’inquinamento. (cit. Mimmo Modarelli)

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Ristorante Ponte Vecchio

Piazza Fontana, 61, Taranto




“Lo Zighinì… e i Prigionieri del Sinai”

La ricetta : “Lo Zighinì”

Oggi ho voluto che una cara amica raccontasse un piatto tipico Eritreo per riportare all’attenzione  la situazione  di un popolo che ormai da anni vive  in una situazione drammatica. Cornelia Isabelle Toelgyes con costanza,  impegno e dedizione attraverso un gruppo chiamato  “Per la liberazione dei Prigionieri nel Sinai” cerca di attirare l’attenzione pubblica su questa tragedia umana. Ce ne sono molte, vicine e lontane… ognuno a modo suo può tendere una mano.

…le persone e i loro racconti di cucina popolare

Lo Zighinì… di Cornelia Isabelle Toelgyes

Lo zighinì piatto tradizionale Eritreo, è uno spezzatino di carne piccante cotta con cipolla ed una miscela di spezie chiamata berberè. Un’amica mi ha dato la ricetta di sua madre che fino alla fine degli anni settanta era quella che veniva utilizzata al mercato di Asmara. Il padre usava berberè a colazione, a pranzo e cena, e chiedeva che questo fosse preparato al massimo una volta ogni quindici giorni. In casa l’odore di berberè era talmente forte che impregnava tutto con relativa disperazione dei ragazzi che non riuscivano a toglierselo di dosso. Lo zighinì si mangia tradizionalmente sulla injera, la focaccia tipica eritrea, in modo che questa si imbeva di sugo.

  • Zighinì  (spezzatino piccante)

Fare appassire in una padella antiaderente coperta 1 grossa cipolla e 2 spicchi d’aglio tritati. Dopo 5 minuti aggiungere 1 cucchiaio di burro chiarificato (realizzato facendo sciogliere del burro fresco in una pentola a bagnomaria su fiamma media e costante), 3 cucchiai di berberé (miscela di piccante),  1 bicchiere d’acqua e sale.

Fare restringere lentamente, poi aggiungere 500 g di pelati e, se c’è bisogno, un altro bicchiere d’acqua. Continuare a sobbollire per 15 minuti. Aggiungere 500 g di manzo e finire di cuocere per 1 ora finché la carne è cotta e il fondo ristretto.

  • Berberè (miscela piccante)

20 peperoncini abissini (ce ne sono di almeno 5 tipi, ma senza grosse differenze, purché siano belli rossi)
1 cucchiaino di semi di coriandolo
10 chiodi di garofano
60 semini di cardamomo (quelli neri per intenderci)
½ cucchiaino di semi di sedano di montagna (ajowan, dal sapore di timo intenso e piccante)
15 bacche di pimento

  • Injera  (focaccia eritrea)

Preparata mescolando in una ciotola:

500 g di farina di frumento
500 g di farina di mais
250 g di semola di grano duro
25 g di lievito (o 100 g di lievito madre)
500 g d’acqua

Coprire e far riposare a temperatura ambiente 2 o 3 giorni, quindi  lavorare l’impasto fermentato con acqua q.b. fino a farlo diventare fluido e omogeneo. Scaldare una padella antiaderente e versate il composto in modo da avere uno strato di 3-4 millimetri, come per una crepe. Quando inizia a rapprendere devono comparire le bollicine che danno la caratteristica consistenza spugnosa al pane. Coprire e lasciare cuocere per circa 3 minuti evitando che prenda colore. Lasciar raffreddare su un canovaccio evitando di sovrapporre le focaccette finché non sono fredde. Servire coperte da qualche cucchiaiata di zighinì.

“I prigionieri del Sinai… la situazione ad oggi”

Nel novembre del 2010 Don M. Zerai è venuto a conoscenza che nel deserto del Sinai si trovavano oltre 250 persone (eritrei, etiopi, somali, sudanesi, nigeriani) in totale stato di schiavitù, in mano a dei trafficanti di esseri umani.

Allora il riscatto che veniva chiesto alle famiglie si aggirava intorno agli 8000 dollari. Per estorcere il denaro, venivano torturati con corrente elettrica ed altro. Mentre erano sotto tortura si chiamavano i congiunti tramite un cellulare per far sentire le urla dei loro cari.

Se non erano in grado di pagare, venivano uccisi direttamente, oppure, nel peggiore dei casi, gli venivano espiantato gli organi che poi venivano immessi nel mercato clandestino internazionale. Le donne venivano violentate e spesso rimanevano incinte dei loro aguzzini.

Oggi la situazione non è cambiata. Anzi, peggiorata. Sappiamo che ora nelle mani dei trafficanti si trovano ancora ca. 2000 persone. Il turn over non cessa per via della grave situazione politica dei paesi del corno d’Africa. Oggi il riscatto arriva fino a 60.000 dollari a persona e sappiamo che ci sono anche alcuni bambini nelle loro mani, non esenti da torture…anzi.

La tragedia non finisce qui. Una volta liberati, spesso vengono arrestati nuovamente dalla polizia egiziana per immigrazione clandestina e deportati nei paesi d’origine, dove li attende il carcere duro. Generalmente non possono sopravvivere più di un anno.

Se per caso riescono raggiungere Israele, pensando di trovare la salvezza, la loro sorte cambia poco. Generalmente i richiedenti asilo politico vengono arrestati. Se così non è, sono lasciati comunque al loro destino e con l’aria razzista che tira in questo periodo in Israele, vi lascio immaginare in che condizioni devono vivere. Vi ricordo che siamo nel 2012. Le Istituzioni Internazionali, i Governi Europei e gli USA sono al corrente di questa tragedia, ma si fa finta di nulla. Forse è così che si vive meglio. Ma non noi…

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