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Critica enogastronomica in discussione? Facciamo chiarezza con Elio Ghisalberti.

Oggi vi parlerò di una tavola di incontro e di confronto, in cui oltre a celebrare il gusto, si dialoga su questioni legate al cibo e al vino, e ai suoi protagonisti. Una tavola che spesso condivido con Elio Ghisalberti, amico e giornalista enogastronomico, ormai abituato – o forse rassegnato – all’ascolto delle mie battaglie del momento. Più che battaglie, sono cause che difendo, spinta dalla passione e da vero credo per ciò che di volta in volta sostengo. Nell’ultimo nostro incontro, si è discusso sulle questioni sollevate nella puntata di Report del 27 marzo 2017: “Sotto le stelle”. Un’inchiesta di Bernardo Iovene che, per i non addetti ai lavori, ha come si suol dire… sparato nel mucchio.

L’enogastronomia, un settore che vede l’Italia al centro del mondo grazie alle capacità e al carisma di professionisti e produttori. Direi che qualche merito (e anche di più) vada loro attribuito. Con questo non voglio dire che tutto vada bene, anzi, sul fatto che qualcosa debba essere aggiustata nulla da eccepire. La cosa che mi preme, più che le polemiche, è la chiarezza e la voglia di ascoltare una voce esperta fuori dal coro di tanti, che un po’ di confusione la fanno davvero. Per chi non lo conosce, Elio Ghisalberti ha iniziato il percorso nel mondo del giornalismo enogastronomico nei primi anni ottanta alla scuola di Luigi Veronelli, per poi collaborare con il Gambero Rosso (mensile e guide dei ristoranti e dei vini) e con L’Espresso per la Guida ai Ristoranti d’Italia. E’ ideatore e curatore di GourMarte, la Fiera delle produzioni enogastronomiche di qualità esclusivamente made in Italy interpretate dai migliori cuochi. Attualmente firma per L’Eco di Bergamo la pagina settimanale “Sapori e Piaceri”.

  • Elio, oggi allarghiamo la nostra tavola a chi ha voglia di approfondire le criticità emerse nella puntata di Report di cui abbiamo recentemente parlato. Nel dirti “ti lascio la parola” già mi fischiano le orecchie. Una volta tanto dirai… A parte le battute, partiamo da ciò che ho più a cuore: le produzioni italiane di qualità. La visibilità dei nostri chef può molto in questo senso. Intendo nella scelta di materie prime italiane e nella menzione delle stesse sulle carte dei loro ristoranti. Primo impegno di questi professionisti è quello di essere custodi del made in Italy, grazie alla ricchezza di prodotti, di vitigni e di cultivar di olivo del nostro paese. A quanto pare non è sempre così. Qual è la tua opinione in merito?

Chiariamo prima di tutto un punto, visto che giustamente sottolinei l’importanza dell’italianità in cucina, chiamiamoli cuochi e non chef. Altraelio-ghisalberti cosa, non li definirei custodi ma interpreti, perché questo è il ruolo più attinente che, in questo concordo, rappresenta la figura professionale. Detto questo ritengo che il primo impegno professionale del cuoco è quello di fare una cucina buona e sana, di essere serio, preparato, onesto, pulito. Se questi principi sono applicati nel valorizzare le materie prime e la cultura gastronomica italiana e del territorio in cui si opera tanto meglio, merita un plauso, non possiamo che gioirne. Occhio però a non esagerare con i peana a chi sceglie questa via ed al contrario con la mortificazione di chi segue un’altra filosofia. La tendenza ad esaltare la cucina del territorio porta con sé alcune conseguenze, prima fra tutte quella della mistificazione. Quanti cuochi cavalcano questo tema solo perché fa presa sull’informazione e sul pubblico? Chi negli acquisiti e nella pratica quotidiana di cucina, ha sempre privilegiato i fornitori seri della porta accanto non sente il bisogno di sbandierarlo ai quattro venti, lo fa punto e basta. Se poi certi prodotti arrivano anche da molto lontano qual è il problema? L’importante è la coerenza, sempre. Hai mai fatto caso all’acqua minerale che viene servita al tavolo di un ristorante che so, di Torino, il cui cuoco dichiara di acquistare personalmente i conigli a Carmagnola? Magari arriva dall’Alto Adige o dalle valli bergamasche: è coerente tutto ciò?

  • “Una stella Michelin cambia la vita a un ristorante e allo chef, ma anche le forchette del Gambero Rosso e i cappelli dell’Espresso possono fare la fortuna di un cuoco.” In Italia ci sono 334 ristoranti stellati con un giro d’affari che fa girare la testa. A questo proposito mi riallaccio alla trasmissione che, durante le interviste, ha messo in discussione la credibilità di guide e di critici enogastronomici da anni non più in incognito. Giudizi attendibili o sponsorizzati? Come dico spesso la differenza la fanno le persone. Il tempo insegna a seguire quelle giuste. Lascio a te continuare…

Qui mi spiazzi, hai già centrato la questione. Il mezzo può essere più o meno valido, ma è l’autista che lo rende sicuro. Anche quando gli editori erano più ricchi e magnanimi (cioè pagavano i collaboratori a sufficienza per metterli nelle condizioni di lavorare serenamente) vi era chi approfittava del ruolo per trarne vantaggio personale. È stato per così dire fisiologico che, chiusi i rubinetti, la corte dei personaggi dediti al mercimonio si allargasse. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: la credibilità delle guide (di quelle cartacee intendo) è ridotta ai minimi termini. Ma del resto, non se la passa certo meglio il mondo web che per sua natura è fuori controllo e quindi ancora meno affidabile. La credibilità è nelle serietà e nella correttezza dei singoli, e l’incognito non c’entra proprio nulla, credimi. Chi non ci mette la faccia crea un’illusione, non guadagna rispetto.  

  • Lo chef, una professione che alimenta i sogni dei giovani studenti per poi spegnerli quando lo stagista, entrando nel mondo del lavoro, è spesso costretto ad affrontare doppi turni. C’è poi chi, grazie alla bravura e alla fortuna, riesce a lavorare in un ristorante stellato guadagnando uno stipendio non adeguato ma giustificato dalla visibilità che ne deriva. Una media di quindici ore al giorno che contrasta con le quaranta settimanali previste dal contratto nazionale di lavoro. Una realtà che trova impreparate le giovani nuove leve. Fortunatamente non sempre è così. Da qualche anno insegni presso una scuola professionale alberghiera. Puoi espormi la tua esperienza nell’affrontare queste problematiche con i tuoi studenti?

elio-ghisalberti-2L’obiettivo primario di una scuola professionale è, o meglio dovrebbe essere, quello di preparare gli studenti al lavoro. Dove insegno, a me sembra che i colleghi che si occupano delle materie tecnico-professionali mettano da subito con i ragazzi le cose bene in chiaro riguardo ai sacrifici che comporta il mestiere che hanno scelto di imparare. E’ pur vero tuttavia che in buon numero gli studenti iniziano il percorso totalmente privi di questa consapevolezza, ammaliati più dal fenomeno mediatico dei cuochi star che da una reale passione per la ristorazione. Durante il percorso formativo, grazie anche agli stages che vengono regolarmente organizzati, di pari passo alla crescita della consapevolezza avviene spontaneamente, fisiologicamente, la selezione. In questo senso potersi confrontare con il mondo del lavoro sin da giovanissimi aiuta, e molto, tant’è che chi sceglie le nuove formule scolastiche a diposizione, tipo l’alternanza scuola-lavoro, dimostra non solo di avere più chance di concludere gli studi, ma di sviluppare più in fretta le proprie attitudini. Se poi la domanda contiene implicitamente una critica al trattamento riservato dai ristoratori agli stagisti ed ai giovani cuochi in genere, beh, qui torniamo alla considerazione fatta sopra a proposito della credibilità della figura del critico enogastronomico: questione di persone, non certo del movimento della ristorazione nel suo insieme. Attenzione però a dimenticare un fatto oggettivo: in cucina il lavoro è per sua natura complesso e pesante, e più in generale il mestiere nel mondo della ristorazione ha peculiarità specifiche tali da non consentire una vita sociale per così dire omologata. 

  • Di guide, di riviste e di manifestazioni ne hai seguite e ne segui ancora tante. Cosa pensi si possa fare per migliorare la comunicazione in questo settore, soprattutto dopo l’ondata social che ha travolto, anche se per alcuni stravolto, il modo di rapportarsi con la ristorazione?

Fondamentalmente credo che sarebbe utile una selezione feroce, un ritorno ai valori della conoscenza, della competenza, e perché no anche delle buone maniere e del buon senso. No ho alcuna speranza che ciò avvenga. 

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Ringraziando Elio riprendo la parola.

In conclusione cosa resta da dire… Forse solo che – nonostante io ami il giornalismo d’inchiesta – fare del sensazionalismo senza approfondire a dovere i temi trattati serva solo a creare confusione tra i consumatori.




Digital Storytelling. Il racconto digitale ed emozionale del territorio.

Associazione Italiana Travel Blogger – AITB

Durante l’ultima edizione della Bit, la Borsa Internazionale del Turismo di Milano, ho avuto il piacere di ascoltare l’intervento di alcuni membri dell’Associazione Italiana Travel Blogger. Una rete che promuove la professionalità, e che per questo si è data un codice etico per dare qualità ai contenuti. Trovandomi in linea con il loro pensiero, ho preso la palla al balzo per sottolineare ancora una volta un concetto che mi sta molto a cuore, ma che purtroppo a molti non fa comodo capire. Mi spiego…

Parliamo di Digital Storytelling, il racconto digitale ed emozionale del territorio fatto da persone legate alla comunicazione che gestiscono un blog. Un’attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali. L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza ricTweet onoscere l’impegno intellettuale, e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività. Un pensiero che riscrivo per l’ennesima volta, per rimarcare a chi non comprende, o meglio, ha convenienza a non comprendere, che gestire e dare contenuti ad un blog, oltre ad avere costi, richiede molte energie.

Sentirsi riconoscere l’attività svolta grazie alla spinta della passione e dell’entusiasmo, non significa assolutamente che chi la esercita ne approfitti. Semplicemente si tratta di un equo compenso che giustifica le spese e il lavoro svolto. Sfruttare la passione altrui è moda assai diffusa. Certo, sarebbe più facile avere alle spalle un editore, ma visti i tempi di scarsa riconoscenza, molti di noi lavorano e scrivono sulle proprie testate, con coerenza responsabilità e indipendenza.

A questo proposito mi riallaccio all’Associazione Italiana Travel Blogger, che ha regolamentato l’attività dei propri associati adottando un codice etico basato sui principi di indipendenza, responsabilità, rispetto, onestà ed accuratezza. Un’autodisciplina tesa a garantire l’attività dei travel blogger, su cui riflettere e da cui prendere spunto per altre categorie di questo settore della comunicazione.

Fatta questa premessa, passo la parola a Monica Nardella, founder del blog di viaggi “Turista di mestiere” e Presidente all’Associazione Italiana Travel Blogger.

Cinzia, la decisione di fondare AITB è giunta dopo una lunga riflessione. I travel blogger, quando ho iniziato io nel 2010, erano persone innamorate del viaggio che volevano condividere le proprie esperienze e, perché no, esser d’aiuto ad altri viaggiatori in procinto di partire con consigli e informazioni aggiornate in tempo reale, e, soprattutto, gratuite. Eravamo dei pionieri e non lo sapevamo. Eravamo generosi, entusiasti e sempre con un biglietto in tasca. Poi la rete ci ha scoperti. Attorno ai nostri blog si sono create delle community fidelizzate di viaggiatori desiderosi di dare il proprio contributo o semplicemente di lettori con la voglia di viaggiare restando comodamente seduti su un divano. Sono iniziate le domande, i commenti, i confronti. Ognuno di noi, per assecondare questa passione, sottrae tempo ad altro. A una passeggiata, a un film, a una sana dormita. Ma lo facciamo perché ci piace e perché ci sentiamo (siamo) utili, a tutti: lettori, viaggiatori, territori.

Ecco, siamo arrivati al nocciolo della questione: il generico “territori” sta per enti, proloco, strutture ricettive,AITB. ristoranti, musei. Un circuito enorme che ha inteso perfettamente le potenzialità dei travel blogger, la nostra capacità di creare curiosità, di dare visibilità a una destinazione (con una foto, un articolo o con un live sui social) e di orientare addirittura delle scelte. AITB nasce perché i travel blogger non debbano più sentirsi dei moderni Don Chisciotte alle prese con (alcuni) operatori del turismo pronti a coinvolgerci nella promozione dei propri territori con “pretesa” di professionalità durante tutte le fasi del progetto, ma al contempo convinti che basti invocare la passione per quel che facciamo per ricompensare il nostro lavoro.

Lavoro che inizia nel momento stesso in cui veniamo contattati, ma forse, anzi sicuramente, molto prima. Perché se un Ente, ad esempio, si rivolge proprio noi, non accade per caso. Significa che siamo emersi dal mare magnum di altre pagine. Che siamo ben indicizzati, che il nostro target è definito e risponde alla chiave di ricerca. E questo è successo perché scriviamo bene, perché il nostro blog è accattivante, è navigabile, è responsive. Perché alla base di un blog di successo non c’è più solo la passione. Ci sono tempo, sacrificio, rinunce e, anche, investimento economico per quel dietro le quinte che non si vede ma che sostiene la nostra pagina e quegli strumenti sempre più specialistici con cui realizziamo reportage belli e coinvolgenti.

AITB nasce dunque per tutelare i travel blogger che sanno di essere dei professionisti e chiedono di esser trattati come tali in ogni fase della collaborazione e ha come obiettivo dichiarato quello di garantire a chiunque si rivolga ai propri associati di interagire con persone che hanno deciso spontaneamente di lavorare sotto l’egida di un codice etico a riprova della propria onestà intellettuale. La strada all’inizio sembrava impervia e piena di insidie ma la risposta dei blogger e quella degli operatori del turismo ci stanno dando ragione e ci stimolano a perseguire gli obiettivi prefissati con entusiasmo e determinazione. Ne vedremo davvero delle belle!

Associazione Italiana Travel Blogger   www.travelbloggeritalia.it




La passione, la guida dei blogger. Guai a chi la perde, ma guai anche a chi ne abusa!

Credo che ormai tutti sappiano che cosa sia un blog, un diario in rete nato da una passione, in cui scrivere e condividere attraverso i social network, ciò che amiamo vivere. Un fenomeno che si è sviluppato dalla fine degli anni ’90, e che ha contribuito a cambiamenti radicali nel modo di comunicare sul web. Uno spazio personale libero da vincoli, in cui dare sfogo ai propri pensieri e alla propria creatività. Un vero e proprio contenitore, pieno di vita e di emozioni.

Per quanto riguarda il mio, intendo il blog, non so quanto durerà. E’ solo una fase della mia vita che mi ha permesso di conoscere e di imparare, rialzandomi dopo una caduta. Per certo, so che custodirò una parte delle storie che ho vissuto, stampandole su pagine di carta, insostituibili compagne di viaggio, di un tempo futuro.

Tutto questo per dire cosa? Forse per dire che è la passione che ci guida? Certo, guai a chi la perde, ma guai anche a chi ne abusa! Sentendomi presa in causa, col rischio di essere ripetitiva, continuo a scriverne su questo mio spazio personale, per chiarire che la passione non va usata, ne fraintesa.

Questo è il mio pensiero, che ahimè, purtroppo, non corrisponde alla realtà delle cose. I blogger, amati e criticati, quelli che si impegnano personalizzando ciò che fanno,  quelli che mettono nel loro operato non poche energie, che si spostano con i loro mezzi, armati di macchine fotografiche e della tecnologia necessaria per condividere. Sono loro che impiegano tutto il tempo libero, spesso le loro vacanze, studiando e scrivendo nelle ore più inaspettate.

Alcuni diventano così bravi da essere ricercati e contattati da chi ha bisogno di farsi conoscere, spesso senza riconoscere. Questo è il punto. Vi racconto qualche episodio che mi ha coinvolto, e che mi ha fatto quasi passare la voglia di continuare in un mondo in cui i furbi prevalgono. E’ stato un attimo, perché non ho ancora finito.

Primo caso. Un paio di anni fa sono stata contatta per raccontare le storie di vita del personale di un noto castello di Bergamo in cui si fa ristorazione. Dopo averli conosciuti e aver trovato le loro storie interessanti, ho accettato l’incarico. Erano necessari ancora un paio di incontri per raccogliere il materiale che mi serviva. A giustificazione di ciò, ho chiesto loro un rimborso spese per il tempo e i viaggi in macchina. Nessuna risposta, quindi collaborazione sospesa.

Secondo caso. Circa un anno fa, sono stata coinvolta in un blogger-tour-corso di tre giorni legato alla promozione del territorio nel Veneto, precisamente a Treviso, una città che amo molto per le mie origini. Ho scritto ‘corso’ perché insieme a noi era presente un fotografo che ci guidava. Era stato concordato solo il rimborso delle spese di viaggio. Sono passati mesi, sono continuate le promesse, ma nulla.  Mi ero quasi rassegnata, quando, verso la metà di Agosto, mi è stato di nuovo promesso il rimborso delle spese sostenute entro lo scadere del mese. Ancora nulla, o meglio, quasi una presa in giro. La mia e quella di tanti è passione, e quella di questi signori come la chiamiamo?!

Ieri, dopo un mio sfogo, in privato molti mi hanno raccontato di vivere le medesime situazioni. Riporto le parole di un’amica: “Cinzia, se ne scrivi, forse farai un favore a tutti noi, tante cose passano in sordina, ora va di moda parlare dei blogger più male che bene.

Ho promesso che l’avrei fatto.




Visibilità, non sfruttiamo questa parola…

La notte porta consiglio… è così. Agisco col cuore, sempre, troppo, spesso a mie spese…  ma forse è il caso di cambiare, anzi no, non voglio cambiare, voglio rimanere quella di sempre, ma ponderando meglio le mie scelte. Come ora, dopo l’ennesima proposta in cui viene scambiata la mia collaborazione con promesse di visibilità.

Sono po’ stanca di questa parola, perché quella che ho, intendo la visibilità, ho tentato di guadagnarmela da sola, condividendo, con progetti, col mio pensiero, col mio lavoro.  Ora io tento di darla ad altri, quando lo ritengo opportuno, quando so che potrebbero fare bene.

La blogger, come mi chiamano oggi, ha molto lavoro alle spalle (non amo molto questa definizione, ma visto che ‘per ora’ lo sono, preferisco chiamarmi farm blogger per il richiamo che sento con la terra). Gli ultimi anni sono stati intensi… anni passati a ricercare, a vivere le realtà, ad ascoltare le persone, ma soprattutto anni passati ad imparare… non finirò mai di farlo.

Vivo tra schedari, appunti, registri… uso tutti i mezzi tecnologici che mi consentono di usare la rete condividendo ciò che faccio. Questi sono i blogger, a volte chiamati in cambio di promesse di visibilità… spesso senza rimborso spese (per farvi un esempio ne sto aspettando ancora uno concordato per le spese di viaggio dall’Ottobre scorso).  Capite che forse qualcosa non va.

Detto questo, come dico io, direi proprio punto e a capo! Forse è il caso di cambiare registro.

Qui di seguito riporto nuovamente la risposta ad una domanda che mi è stata fatta poco tempo fa da Giustino Catalano (ditestaedigola.com) in merito alla questione.

  • Mondo blogger: chi lo ama, chi lo odia, e chi lo sfrutta. Ma a chi interessa in realtà la comunicazione fatta dai blogger… e perché. Cinzia, cosa ne pensi?

La passione che ha spinto molti blogger in questa direzione, me compresa, ha fatto emergere quanto la loro carica emotiva abbinata alla comunicazione digitale, possa essere d’aiuto in questi anni difficili che stiamo vivendo, sia al territorio che alle produzioni. Un fenomeno già in voga da anni all’estero. Molti lo hanno capito, e ne hanno preso spunto.

Il mondo dei blogger non è sempre facile, c’è chi agisce seguendo la passione, e c’è chi si fa trascinare da facili traguardi. Comunque sia, spetta solo ai lettori seguire chi trasmette nel tempo, quella passione che ha aiutato molti di noi a superare momenti difficili.
L’unico tasto dolente in questo contesto, è che troppi sfruttano questa passione senza riconoscere l’impegno intellettuale e non solo, nel dedicare tempo ed energie a questa attività la cui rilevanza è stata riconosciuta dalle stesse istituzioni locali.

Blogger e giornalisti, passione e professione, emozione e razionalità. Due ruoli i cui scritti hanno una carica emotiva ben diversa. Comunque sia, entrambi possono aiutare comunicando, ognuno a loro modo, il territorio e le sue produzioni. La cosa fondamentale per me è la coerenza, che va mantenuta evitando di seguire le onde di comodo del momento.

Quindi, concludendo, non chiamateci in cambio di visibilità… perché la verità è che se ci chiamate, di visibilità ne avete bisogno voi!




“Ciao Cinzia, come funziona il mondo che vivi?”

Oggi ho ricevuta questa mail che pubblico solo in parte. Me l’ha mandata una persona che conosco da tempo attraverso qualche commento sui social network. Quando l’ho letta ho pensato che non sarebbe stata sufficiente una risposta scritta per spiegargli come la pensavo. Certe cose vanno dette ‘a voce’, o meglio ancora, ‘di persona’. Ritengo questo contatto fondamentale per la conoscenza e per la comprensione in ogni situazione che mi interessa approfondire.

Ciao Cinzia, scusa il disturbo, approfitto per chiederti alcune informazioni (in quanto profano), su come funziona il mondo che vivi, su come scrivere articoli sul mondo del vino e sulla ristorazione in genere. Sono entrato in amicizia con una direttrice di una testata web che mi chiede di “lanciarmi” scrivendo qualcosa inerente all’enogastronomia e inviando foto, che poi mi pubblicheranno. E’ un po’ che ci penso, anche perché sono in una situazione di grande crisi lavorativa e cercavo di trovare altri sbocchi, o almeno cominciare a diversificare un po’. Non so minimamente come funziona, mi chiedevo come “gira” il meccanismo, visto che bisogna muoversi visitando cantine/enoteche/eventi…etc. Vedendo quello che svolgi ti chiedo se mi puoi istruire un po’, per non essere totalmente impreparato quando entrerò in certi argomenti, soprattutto quelli di carattere economico…

Chi mi conosce sa quanto apprezzi l’uso dei mezzi digitali, questo per la possibilità che mi offrono di amplificare ciò che reputo opportuno condividere.  Ma attenzione, in primis amo scoprire con tutti i miei sensi quello che voglio conoscere, capire ed approfondire. E’ per questo che l’unica risposta che mi sono sentita di dare, è stata quella di scrivere un numero di telefono e una parola: chiamami.

Ci siamo sentiti poco tempo dopo. La prima cosa che gli ho detto è che il ‘ritorno economico’ sia pur giusto, deve avere la sua reale corrispondenza nella qualità del servizio offerto. “Non si vende nulla se non si garantisce la particolarità della prestazione”. E’  fondamentale l’esperienza, la preparazione, e la mente aperta alle nuove tecnologie.

La strada da percorrere è lunga. Alcuni arrivano prima, alcuni arrivano dopo e alcuni si perdono… ognuno segue il suo percorso. La cosa importante è rimanere se stessi, guidati dalla propria passione e non dalle onde del momento. Questo fa la differenza, la differenza fa il percorso…

Certo, lungo la strada imparando si cresce, questa è la naturale evoluzione delle cose, che però non deve oscurare le scelte inizialmente intraprese. Il carattere, l’istinto, la semplicità sono doti essenziali che, insieme all’umiltà, mettono in rilievo la persona. Saper tenere i piedi ben saldi per terra, continuare ad imparare, conoscere le persone, condividere esperienze e saper trarre in ognuna i giusti insegnamenti. Non ci sono segreti, l’importante è rimanere se stessi.

A conclusione gli ho raccontato di come ho iniziato a scrivere visitando e raccontando la storia di una vignaiola di Aosta, della tanta strada percorsa negli ultimi tre anni, delle molte esperienze, delle tante persone conosciute, delle delusioni ma anche delle emozioni. Come tutti ho dei sogni e delle speranze, e con queste ogni giorno vado avanti…




Oggi voglio togliermi come si suol dire… “qualche sassolino…”

Da tempo volevo fermare alcune mie riflessioni su… “mediaticità e blogger”,   su… “chi sta oggi sotto i riflettori ”,  su… “i libri più esibiti e venduti del momento” e  su… “gli chef dell’alta cucina”. Ringrazio lo chef  Matteo Scibilia e Luigi Caricato per avermi dato lo spunto.

Stamane leggendo un articolo pubblicato da Luigi Caricato sul suo blog,  “Più umiltà e meno sfrontatezza dietro ai fornelli”,  ho voluto togliermi come si suol dire qualche sassolino dalla scarpa… Tutto è nato da un post dello chef Matteo Scibilia, dell’Osteria Buona Condotta di Ornago:

Ormai c’é una grande divisione nel mondo della ristorazione. Pochi e sempre gli stessi chef sotto i riflettori. Sempre gli stessi giornalisti protettori e non si capisce se per capacità o per successo sulla clientela. Questo incredibile momento di grande mediaticità del nostro settore, tra blogger e simili, sembra un circo che gira su se stesso”.

Leggo concetti importanti, ne analizzerò uno per volta.

  • Il primo: “E’ un momento di grande mediaticità  del nostro settore, tra blogger e simili, sembra un circo che gira su se stesso. Matteo Scibilia dell’Osteria Buona Condotta ”.

Dunque, nonostante è risaputo che non mi piace il termine blogger, rientro in questa categoria mediatica. Ho questo blog nato dalla passione di sempre per la terra, per i suoi prodotti, e per le Persone. Un blog nato come terapia di buona vita, dopo che la stessa mi ha travolto facendomi cadere. Mi sono rialzata così, scrivendo quello che vivo. Detto questo entro in merito; i blog sono diari in rete che nascono dalle passioni. Questi contenitori ci permettono di darne diffusione.

Viste poi le recenti polemiche, insisto sul concetto che blogger e giornalista sono figure ben diverse.  Il blogger scrive per lo più trasmettendo il proprio credo e le proprie emozioni. Il giornalista è tale, perché esercita in esclusiva questa professione; spesso scrive cronache, e non sempre  trasmette emozioni. Comunque sia, entrambe queste figure possono aiutare la promozione della terra in un momento difficile come questo, “facendo bene”. E’ fondamentale l’aiuto di tutti per la diffusione delle realtà produttive, per il territorio e per la nostra Italia.  Insisto, “non è una gara”!

Ricordo a tutti che per “noi blogger”,  l’energia e non solo quella per ciò che facciamo, è di grande sacrificio. Per quanto mi riguarda comunque sia e comunque sarà, continuo imperterrita, nonostante tutto, tenendo i piedi per terra e ricordando perché ho iniziato a fare tutto questo. Quindi, se questo momento di grande mediaticità può servire ad aiutare “tutti”, perché no!

  • E ancora… “La gente è attratta da chi sta sotto i riflettori. Luigi Caricato”.

Purtroppo è una società che si ferma a guardare più le vetrine che i contenuti.  Qualche giorno fa una persona mi ha scritto chiedendomi se ho uno zio americano per ciò che faccio. Mi ha quasi divertito la cosa visto la semplicità con cui vivo, ma mi ha fatto riflettere, su quanto possa ingannare la visione apparente delle cose. E’ per questo che, nonostante ritengo buona cosa la conoscenza sul web, mi è fondamentale conoscere dal vivo le persone. La conoscenza è mezzo indispensabile per dare giudizi concreti. Quindi se il tempo e la conoscenza non fa affiorare i contenuti, i riflettori si spengono in fretta.

  • E ancora… “In libreria i libri più esibiti e venduti sono quelli firmati (ma non necessariamente scritti) dai tromboni televisivi. Luigi Caricato”.

Vero purtroppo… libri dai contenuti leggeri, specchio della società. Forse complice è la televisione con i suoi messaggi comunicativi per lo più di poco spessore. Forse perché si sta vivendo un momento difficile e la gente vuole  evadere.  Sta di fatto che gli editori seguono l’onda del marketing. Sta a noi cavalcare l’onda giusta…

  • E ancora… “Alcuni chef innominabili, dopo aver per lungo tempo reso pornografia l’alta cucina, oggi invocano il ritorno alla cucina semplice e a prezzi accessibili. Luigi Caricato”.

Dunque io sono quella “fastidiosa” per alcuni di loro… quella “rompi”, quella che a volte li prende in giro per l’uso delle foglie che sanno di ostrica o per l’esagerata esasperazione dei piatti. Quella che ordina in posti  in cui non è consuetudine farlo una frittata di cipolle, o la mozzarella in carrozza, o le verdure in pastella dicendo loro che forse una foglia di menta avrebbe migliorato il tutto.  Io sono “l’elemento disturbante” per molti, almeno così mi dicono… Non hanno capito che le mie sono solo provocazioni per riportarli un po’ alla tradizione!

Ricordo quando una sera la persona a cena con me, ha passato ironicamente il coltello allo chef perplesso dalle mie richieste. Io rappresento come dico spesso la gente, l’appassionata che trae puro piacere dal cibo. Sono le persone come me che dovrebbero dire più la loro. Questo ovviamente con tutto il rispetto per gli esperti del settore. Preciso che con alcuni chef sono amica, li rispetto e li ammiro per la loro bravura. Sono offerte diverse, semplicemente questo.  Per quanto mi riguarda amo le tradizioni e la cucina semplice di una volta, casomai un pochino rivisitata. E’ possibile che non riesco a trovare un cuoco che mi faccia, a volte persino che non conosca, i “ciceri e tria” fatti come vanno fatti??  E’ vero, è una specialità leccese, ma perché non fare corsi di cucina regionale anziché fare i “fuochi d’artificio” nei piatti?!

Concludo con un ricordo.  Una sera ormai quasi due anni fa, ero a cena per un caso fortuito in un ristorante con allora tre stelle Michelin. Dopo le mie provocazioni iniziali che hanno contribuito a stemperare l’atmosfera steccata, il proprietario  mi ha raccontato che era stato condotto per un incontro di lavoro in un locale analogo al suo. Bè, la cosa l’aveva infastidito alquanto. Mi disse: “Ma caspita, non potevano portarmi a mangiare in un locale in cui servivano due fette di culatello e così di seguito…”  Ahhh!! Allora è così, a quanto pare la verità è che, la semplicità nei piatti piace molto anche a loro! 😉

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