Due chiacchiere con… una Mamma Bionica!
Direte, mamma bionica, ma in che senso ?! Nel senso che Laura Pantaleo Lucchetti è una mamma specialissima con ben sei figli! Ma non solo, oltre che mamma lei è una cara amica e collega, visto che entrambe collaboriamo con il Cavolo Verde, rivista enogastronomica on-line.
Alcuni già la conoscono, tanti altri ancora no. Ho deciso di presentarvela: eccola, da “Una mamma e sette laghi”, il suo blog personale.
- Ciao Laura, ricordo la prima volta che ti ho conosciuta… Inizialmente attraverso la lettura dei tuoi scritti, poi, di persona, a Olio Officina Food Festival 2013. Una donna semplice, dolce e grintosa. D’altronde non potrebbe essere diversamente con una famiglia così numerosa, una vera e propria “impresa familiare.” 😉 Io sono figlia unica con un figlio unico, ma ho un profondo senso della famiglia. Sono stata sposata per molti anni con un uomo con sette fratelli, quindi una vaga idea me la sono fatta. Certo, gestirla è tutt’altra cosa.
Laura, cosa significa oggi avere sei figli? Sospira prima di rispondere…
Mia cara, innanzitutto ti ringrazio per queste bellissime parole e per avermi dedicato questa pagina. Ho preso un bel respiro e mi sono pure seduta (inaudito!). Allora, andiamo per gradi. Essere genitori di prole numerosa non è mai stato facile, penso. Solo che ci sono un po’ di distinguo da fare.
Una volta tutte le madri di famiglia non particolarmente agiate, sia che avessero un figlio solo sia che ne avessero dieci, lavoravano o dentro o fuori casa. Chi faceva la magliaia, chi andava all’opificio, chi nei campi… è storia, e se uno si documenta bene (prendi ad esempio Carlo Maria Cipolla, il mio personale vate della storia economica) se ne fa una ragione. E’ che oggi il modello prevalente di famiglia è quello atomico, perché si vive lontano da quelle di origine. Un tempo, invece, nonni e genitori vivevano nella stessa cascina, nella stessa contrada, nello stesso paese, e c’era sempre una zia o una matriarca ad occuparsi dei bambini e del desco mentre i giovani – donne e uomini – andavano a lavorare. La casalinga, anche linguisticamente (prendi un qualsiasi dizionario etimologico e te ne accorgi), nasce con il primo Novecento, con gli spostamenti dai luoghi natii, ed ha un successo strepitoso con la ricostruzione e con, consentimelo, gli agi che questa ha portato. Il modello atomico si rinforza negli anni con i problemi annessi: le nuove famiglie hanno una disperata necessità di creare ex novo un sostegno organizzativo che precedentemente faceva parte integrante della società e non era mai stato messo in discussione. Le donne, così, smettono di lavorare dovendo occuparsi tutto il giorno di prole e casa. E cominciano a diventare schiave delle pulizie domestiche, delle mode mediatiche e dei figli…
Facciamo un salto generazionale. Oggi a livello organizzativo come siamo messe? La verità è che facciamo pochi figli, e questo non dipende solo ed esclusivamente da motivi economici. Dipende da fattori organizzativi che spesso e volentieri esulano dalle possibilità della sola donna: o è la coppia ad organizzarsi o la vedo dura, e comunque senza aiuti esterni è particolarmente complicato far quadrare tutto. Ripeto, non è solo questione di soldi. E, se me lo consenti, il cliché casa perfetta gioca a sfavore del numero di figli. La donna si fa un punto d’onore ad avere tutto in ordine farmaceutico. Mi spiace ma io non ci sto. Non si può pretendere che una casa funzionale alle esigenze di una famiglia con bambini sia perfetta. Ecco perché mi sono creata questa “finzione” del bionico: bisogna, in una famiglia moderna, avere tante periferiche a portata di mano per le varie necessità familiari. Se la casa non è lustra alla perfezione, se i bambini hanno qualche macchiolina sulla maglietta, se i jeans li stiriamo addosso, a chi interessa veramente? Solo alla suocera o all’amica snob. Chi ti vuole veramente bene passa sopra anche alle ragnatele.
Per concludere, oggi, forse, è più difficile portare avanti una famiglia numerosa perché le pretese dall’esterno sono troppe, esagerate. La vita frenetica e mondana, le mode mediatiche ti impongono dei ritmi sconvolgenti. Puoi benissimo farcela con tanti figli, anche a lavorare fuori casa (o dentro, come faccio io che scrivo per mestiere), ma a patto di sopportare su di te l’opinione altrui, spesso invadente, quasi sempre contraria. A partire dai familiari. Pensa che noi non andiamo in vacanza da sette anni, stiamo benissimo così immersi nel nostro verde e andando al lago quando ci è possibile… e ci viene rimproverato come se facessimo mancare ai nostri figli un bene primario. E’ tutta una questione di prospettive.
- Ora chiudo gli occhi e immagino di vedervi tutti insieme seduti a tavola a pranzare. Ho una visione allegra, e non posso che sorridere… Non vedo però che cosa hai preparato. Me lo descrivi?
Per pranzo – papà è tornato dalla notte e la tavola era al completo! – c’erano delle polpette di pane e ricotta ricavate dagli avanzi di cucina. Costruisco spesso pranzi e cene dagli avanzi, almeno due-tre volte la settimana. E’ divertente, sano, economico. Coinvolgo anche la fantasia dei bambini, sia nella preparazione sia durante il pasto. La mia filosofia culinaria può essere tranquillamente definita un elogio della polpetta e del polpettone! Le polpette fanno allegria, sono piccole, tonde, praticamente perfette. Agli occhi dei bambini sono il non plus ultra; ma anche a quelli dei grandi. Cosa ci vuole a fare una polpetta? Praticamente niente, o quasi. Pensa che io ne preparo una trentina ad infornata ed è raro che se ne avanzino…
- Ci siamo già trovate due volte insieme per esporre pubblicamente il nostro pensiero sulla comunicazione e sulla promozione enogastronomica in rete. Personalmente non sono molto abituata, cerco di essere me stessa dicendo semplicemente quello che penso e quello in cui credo. Tu invece, anche se fai la timida, mi stupisci sempre piacevolmente per la sicurezza nell’esporre i tuoi pensieri. Sicuramente la tua esperienza di speaker radiofonica ha molto contribuito. Mi racconti qualche ricordo di quel periodo?
Certamente. Da una puntata ”zero”, che condussi nel maggio 2008 senza prevedere onestamente il seguito, mi “scritturarono” per altri tre anni di conduzione. Facevo un programma di cucina e successivamente anche di libri per bambini – la mia vera passione! – assieme alla collega Ilariamaria. La trasmissione andava in onda su Radio Padania e continua tuttora, ma io ho lasciato per motivi vari – principalmente per la gravidanza e la nascita di Giovanni – nel luglio 2011. Conducevo la mia parte al telefono, come una sorta di moderna Lisa Biondi. Mi emozionava sempre il riscontro con l’ascoltatore e le telefonate erano aperte e ovviamente non potevo prevedere cosa mi avrebbero chiesto. Mi divertivo moltissimo ma mi preparavo anche molto bene il canovaccio sui cui giostrare la puntata. Un’esperienza che mi aiutata sicuramente ad interagire con il pubblico, ma io sono naturalmente portata alla socialità… con tutti i figli che ho, praticamente conosco tutte le mamme del quartiere!
- Bene, che ore si son fatte? Quasi quasi facciamo merenda, ma… una merenda letteraria, 😉 magari nel parco, e con tanti bambini! Dai che scherzo, ma neanche tanto, visto che io la merenda la faccio ancora! Qualche giorno fa mi è piaciuto molto ascoltarti mentre mi parlavi delle tue belle merende educative, durante le quali, oltre a leggere favole e racconti, prepari ai bambini spuntini con ingredienti semplici e genuini. Se dipendesse da me, inserirei educazione alimentare come materia scolastica obbligatoria…
Sarebbe bellissimo! Allora, la cosa è nata in maniera molto spontanea. Mio marito da un bel po’ di tempo è di guardia tutti i santi venerdì o quasi, per tutto il giorno. Quindi, soprattutto adesso che ci sono le belle giornate (come no: in questo momento sta grandinando!), mi ritrovo a dover organizzare le uscite di comitiva (!) da sola. Mia madre abita abbastanza vicina ma cura mio nipote, e mia suocera vive a venti km di distanza. Quindi mi devo organizzare proprio con le mie uniche risorse. Sei bambini al parco ti scappano da tutte le parti: così un venerdì che ero un po’ stanca mi sono portata un libro, la torta al cioccolato appena sfornata, acqua naturale e bicchieri di plastica, mi sono seduta sotto un albero al fresco con la mamma della compagna di banco di Carolina e ho iniziato a leggere un racconto di Gianni Rodari, che era delle mie parti. In breve sono accorsi un po’ di bambini incuriositi, e dietro l’offerta di un pezzo di torta si sono seduti e hanno ascoltato il racconto. Era un pezzo che mi stava particolarmente a cuore, l'”Apollonia della marmellata” dalle “Favole al Telefono”.
Parla di una signora della Valcuvia (sopra Varese) che sa fare la marmellata con tutto, persino i ricci delle castagne e i sassi. Da quel giorno ho deciso che avrei continuato con queste merende letterarie, portando con me un pezzettino di letteratura locale per ragazzi. Domani offrirò la terza di queste merende. Lo scopo è duplice: fermo restando il tenere a bada per una mezzoretta i bambini, il che fa rinfrancare un po’ le mamme, e offre lo spunto di socializzare; succede che i bambini sentono pagine letterarie un po’ fuori dagli schemi – come ad esempio “Le avventure di Pierino” di Piero Chiara – e poi, pian piano, come nel nostro caso, si attira l’attenzione mediatica. Perché quel parco dove faccio le merende, il parco Molina di Varese, è proprio maltenuto, dimenticato dall’amministrazione locale.
I giochi sono malconci. Ragazzi grandi invadono con pallonate la piazza ai bambini piccoli nonostante il divieto di giocare a pallone. Uno strapiombo senza protezione (l’anno scorso stava per caderci il figlio di una mia amica) delimita la corsia dedicata alle biciclette e agli skateboard. Siccome il mio quartiere è piuttosto umile e decentrato, viene dimenticato da tutti. Eppure quel parco è l’unico polmone verde che tanti bambini si possono permettere per tutta la stagione bella. Tante volte abbiamo chiesto interventi mirati al Comune, ma c’è stato un unico restauro un paio d’anni fa e non è risultato conforme alle aspettative. Quindi queste merende letterarie vogliono attirare l’attenzione su un problema sociale e strutturale che è urgente da ridefinire.