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Il senso di appartenenza ad una terra

Lorenzaga di Motta di Livenza, Treviso

C’è una terra a Treviso che mi ha salvato due volte. Una prima volta da bambina, e una seconda pochi anni fa. Ormai sento di appartenerle, comunque sia e comunque sarà, so che sono parte di essa. Appena posso torno da lei. L’emozione al mio arrivo la stessa, sempre, come la tristezza che mi assale alla partenza, quando devo lasciarla.

Una terra piena di ricordi…

Li rivivo passeggiando nelle vigne dell’Azienda Agricola Vecchio Olmo confinanti con la casa di famiglia dove ho passato i momenti più felici della mia infanzia.

Un vigneto di circa quindici ettari nella frazione di Lorenzaga di Motta di Livenza che la famiglia Berto, i proprietari, hanno chiamato così in onore di un vecchio olmo presente nella tenuta. Da oltre sessant’anni, dai capostipiti Maria e Pietro, e poi a seguire, dai figli Sergio e Mario, la famiglia Berto continua la  tradizione della coltivazione della vite e della produzione dei vini nel rispetto dell’ambiente. Raboso Trevigiano, Merlot, Malbech, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Refosco dal Penducolo Rosso, Pinot Bianco, Chardonnay, Verduzzo Trevigiano, Glera Prosecco, questi i loro vini.

Come avete letto, nelle loro produzioni c’è anche il Prosecco, e qui mi fermo un attimo per una riflessione.

Durante le mie ultime scorribande su e giù per il trevigiano si è discusso sia con produttori che con amici enologi di questo vino di antiche origini che, negli ultimi anni, gode di un particolare successo tra i consumatori. Questa tendenza favorevole non dovrebbe che farmi piacere. Peccato che ci sia il rischio, che ormai definirei certezza, del saccheggio alla terra trevigiana dei suoi vitigni storici vocati, espiantati e sostituiti con prosecco, prosecco e ancora prosecco. Ma attenzione, c’è prosecco e… Prosecco DOCG !  

Complice di questa situazione confusa il mercato condizionato dalla poca cultura che ahimè, chi dovrebbe, non trasmette a dovere.Vi cito solo un esempio. Poco tempo fa a Como in un ristorante che mi era stato consigliato, l’addetto alla sala nonché proprietario al mio ingresso ha esordito dicendomi: “Cominciamo con un prosecchino?”  La mia risposta secca è stata: “Cominciamo male !”  Ma vi pare il modo di presentare un Prosecco ?!  

A questo proposito approfitto per far intervenire l’amico Paolo Ianna che, partecipando attivamente alla manifestazione “Vino in Villa”,  ha avuto modo di approfondire l’argomento.

 

Paolo Ianna

Paolo Ianna

Ciao Cinzia,

A Vino in Villa abbiamo assaggiato un centinaio di Prosecco DOCG per la Guida ViniBuoni D’Italia; ne dobbiamo ancora assaggiare molti nei prossimi giorni.

La qualità, dall’avvento della DOCG dal 2010, è sempre più alta. Con l’introduzione della nuova opportunità della tipologia “Rive”,  l’orgoglio di avere un nome di prestigio per un proprio prodotto ha orientato in modo più che positivo l’impegno nel produrre con più attenzione e cura.

Potrei aggiungere che i produttori credono nella loro potenzialità, molto più che nel recente passato. Quindi, Prosecco di alto pregio la cui qualità aumenta di anno in anno.

Purtroppo si stanno espiantando vigneti che davano dei buonissimi vini rossi che, un mondo del vino orientato da guru, snob, e salottieri, non ha mai riconosciuto come tali.

Non me la sento di giudicare le scelte dei produttori che cercano solo di procurarsi fonti di reddito non legate alle bizze e ai capriccetti di qualche guida, che rilascia giudizi morali senza che vengano richiesti.

Spero di non essere stato troppo polemico.

 

Paolo non è stato affatto polemico, ha solo espresso una verità che condivido pienamente. Le nostre parole sono spinte dalla passione e dall’amore per il territorio nel senso più lato del termine. Un territorio con una zona di produzione storica ben definita, garante di qualità e di Superiorità.

Come ha sottolineato lui stesso, l’introduzione della tipologia “Rive” riservata agli spumanti, è pura espressione di territorialità essendo legata ad un prodotto proveniente da uve di un unico comune o frazione di esso. Questo termine nella parlata locale, indica vigneti situati in terre scoscese.

 




“In giro per campi con Fausto Delegà… a raccogliere Silene e Luppolo”

Lui li raccoglie, e io raccolgo lui, o meglio, i suoi racconti! 🙂

Oggi si parla di Silene e Luppolo.  Pronti via!

Qualche giorno fa ho visto le fotografie del raccolto che Fausto  ha fatto girando per campi nella sua bella Austria. Essendo entrambi appassionati di erbe spontanee ogni occasione è buona per parlarne e… per mangiarle! 😉 Con la bella stagione poi, passeggiare per boschi è cosa buona e utile. Oltreché far bene al fisico, passeggiare fa bene al cuore, alla mente, e…  al portafoglio!

Cinzia: Fausto, ciao! Ho visto che sei andato a passeggiar per campi a Lobau, ma dove si  trova?  

Fausto: Ah ah ah, ciao Cinzia! La zona della Lobau é un Nature Park legato al Danubio, zona bellissima con una natura incontaminata.

Cinzia: Che bello! E dimmi, che cosa hai raccolto?

 Fausto: Adesso ti racconto. Oggi ho raccolto un po’ di silene e un po’ di luppolo. In Italia il Silene è conosciuto anche con il termine di Stridoli, o Sgrigiui nel nostro dialetto mantovano. (Per chi non lo sa io e Fausto siamo entrambi di terra di Mantova).   Il Luppolo invece è conosciuto da molti con il termine di bruscandolo.

Cinzia: Mi viene l’acquolina solo a guardarli!  Ma come li prepari?

Fausto: Oltre che mangiarli tal quali come si fa con gli spinaci, sia il silene che il luppolo sono ottimi ingredienti per risotti e frittate.  

Cinzia: Fausto, mi puoi dare qualche consiglio su dove andare a raccoglierli…

Fausto: Cinzia, direi proprio che puoi andare in ogni luogo di campagna sano e pulito. Il Silene lo trovi anche in montagna.  Il Luppolo invece è presente in tutte le ripe di fosso del nord Italia. Attenzione però, quando il silene va a fiore le foglie della gamba diventano coriacee e non sono più buone.

Cinzia: Interessante! Sai, adesso che ci penso bene, mi torna in mente che poco tempo fa mia zia Nadia ha raccolto proprio dei bruscandoli nella mia Lorenzaga di Motta di Livenza a Treviso. Sapendo quanto mi piacciono le erbe spontanee di campo, quella sera ha pensato bene di cucinarli facendomi una buonissima frittata!

Aggiungo infine, ma non per importanza, che sia il Silene che il Luppolo sono piante aromatiche dalle proprietà calmanti e rilassanti. Una tisana fatta con queste erbe favorisce il sonno, e la tranquillità. 😉   





I radici e fasioi della Jija

La ricetta : “I Radici e i Fasioi”

Apro le finestre e il mio sguardo si perde… ricordi di campagna, di risate di bambini, di profumo di fieno, di piedi scalzi sull’erba, di vendemmie festanti e di sonni tranquilli.

Solo chi ha avuto un’infanzia passata così, mi può capire. Può capire quella voglia di tornare con la mente ai ricordi, perché la Terra chiama, riportando ad essi.

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Ogni anno, esattamente il 29 Giugno – ricorrenza di Santi Pietro e Paolo – venivo accompagnata da mia nonna Jija in campagna, nella piccola Lorenzaga di Motta di Livenza a Treviso. Finite le scuole, finito il collegio, finiti i ritmi severi della vita cittadina, finalmente arrivava la fatidica data. Trecento km e via… e tutto cambiava. Non più palazzi ma campi di vigne, pannocchie, oche, galline… una festa! Appena arrivata mi aggiravo da sola a piedi scalzi sull’erba, come in esplorazione, come per riappropriarmi della mia natura, della mia dimensione…

E ora sono qui, ancora una volta, dopo tanti anni, perché la Terra chiama, e non la si dimentica… E’ l’una di notte.

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Affacciata alla finestra contemplo il paesaggio.  In compagnia del canto delle cicale e dei fruscii degli alberi la mente viaggia…

Ricordo mia nonna Jija, una donna contadina conosciuta da tutti per la tenacia e per la determinazione. Ricordo le mattine, quando mi svegliavo all’alba. Col canto del gallo tutto riprendeva il normale ciclo naturale.

La guardavo nella mungitura, nella preparazione del burro, mentre con la falce tagliava l’erba…  La vita in campagna è di grande insegnamento, i momenti vissuti così di grande intensità.

Non dimentico i sapori, quelli di una volta… Il latte appena munto, il pane con il burro fresco, e… i radici e fasioi!  Una purea di fagioli con cui si condisce il radicchio fresco.  Vi assicuro, una vera prelibatezza!

Mia nonna durante l’estate preparava spesso questo piatto, uno tra i miei preferiti. Oggi la voglio ricordare così.

Radici e fasioi

   Preparazione:

  • In un tegame mettere i fagioli borlotti (fasioi) precedentemente ammollati per dodici ore circa.
  • Unire della cipolla tritata, due patate a pezzi, un gambo di sedano a tocchetti, due ossa di maiale, della cannella in polvere, sale e pepe quanto basta.
  • Fare cuocere lentamente fino a che i fagioli saranno morbidi. Quindi, estrarre le ossa e passare il tutto fino ad ottenere una crema densa e omogenea.
  • Nel frattempo far rosolare dei pezzettini di lardo, che a fuoco lento rilasceranno il loro naturale grasso da usare come primo condimento del radicchio.
  • Servire in tavola il radicchio (radici in dialetto), con  la salsa di fagioli che verrà cosparsa sopra come tocco finale.

A proposito di questa ricetta, è usanza locale dire mentre la si mangia: “Magnar e morir”




Il mio incontro con il Prof. Manzoni, l’enologo dai famosi incroci

Fu Cristina Garetto, protagonista di una delle mie storie, ad accennarmi di lui e dei suoi famosi incroci…

Dovetti ammettere di non conoscerlo, ma dai racconti che mi fece, m’incuriosì da subito.  Chiamatelo istinto, sensazioni, ma qualcosa mi attirava nella conoscenza di quell’uomo. Seppi che era stato seppellito nel cimitero della mia Lorenzaga, piccola frazione di Motta di Livenza, mia terra d’origine, mio unico legame col passato.

In quel cimitero c’è una parte della mia famiglia ormai scomparsa, lì ci sarò anch’io, così ho deciso. A volte passeggio al suo interno e guardo le foto sulle lapidi, guardo gli sguardi, e chissà mi dico… lì non temo nulla, li sono tra persone che ho conosciuto. Quel piccolo cimitero tra vigneti e pannocchie è sempre aperto.

Questa è una serata strana, è l’una di notte, sono qui sul mio scrittoio, ma in realtà sono lì con la mente e sto passeggiando sulla ghiaia… Mi sento come teletrasportata, quasi divisa tra due entità. Mentre sto scrivendo lo sto guardando, sono lì davanti alla piccola cappella di famiglia…”

Nel pomeriggio in cui venni a conoscenza di lui, decisi di cercarlo. Volevo però avere quell’unico contatto possibile come d’abitudine faccio prima di scrivere sulle persone. Io sono cosi. Il contatto con la voce, con la pelle, con il luogo di appartenenza mi è fondamentale.

Andai alla ricerca per conto mio, ma nonostante avessi girato in lungo e in largo non lo trovai. Si era fatto tardi, e per il momento rinunciai. Dopo cena avevo promesso di andare a bere il caffè da Renzo e Anna, vicini di casa della zia in campagna e amici di sempre. Renzo mi conosce fin da bambina. Ricordo che ogni estate dopo i mesi passati dalle suore essere portata in campagna era il paradiso. Lui alla mattina passava a salutarmi e mi prendeva in giro. Per non parlare di cosa gli toccava ogni anno in occasione dei fuochi d’artificio della festa del paese. Ero letteralmente terrorizzata, ma lui regolarmente si offriva di distrarmi per evitare i miei singhiozzi. Il paradosso è che ora io li adoro, e appena posso vado a vederli dovunque.

E di nuovo che chiacchiero e mi perdo… dov’ero? Ah si! Dicevo che quella sera davanti a un caffè raccontai a Renzo della mia impresa fallita. Ad un tratto lui mi disse: “Vuoi che torniamo insieme?” Erano le ventuno passate. Bè, certo non mi tirai indietro, in particolar modo perché l’indomani sarei dovuta ripartire. Era l’ultima occasione per cercarlo.

Ci avviammo in auto, entrammo con una pila, e lo cercammo fino a trovarlo. Il loculo era basso. M’inginocchiai guardandolo. Vidi uno sguardo fiero e orgoglioso che non mi stupì. Ero decisa a scrivere di lui, e cosi feci.

Preside della Scuola Enologica di Conegliano, divenne famoso ricercatore sperimentando nel corso degli anni ‘20 – ’30 incroci di vitigni nelle proprietà della Famiglia Collalto. Documentò i suoi studi con una settantina di pubblicazioni. A felice testimonianza dei suoi incroci abbiamo il vitigno più interessante, l’Incrocio Manzoni Fotocamera Luigi Manzoni6.0.13.

Il Prof. Luigi Manzoni utilizzò del polline di Pinot Bianco e fecondò i fiori di Riesling ottenendo così la combinazione. I numeri stavano a indicare il filare e la posizione della pianta.

La Scuola Enologica di Conegliano ha voluto recentemente riordinare il congruo materiale del Manzoni presente nel suo Reparto di Scienze. Pensate che sono riusciti ad assemblare da un suo geniale progetto una particolare fotocamera a banco ottico in legno, che, collegata ad un microscopio, veniva utilizzata per le microfotografie scientifiche. Queste fotografie ottenute dal Manzoni in laboratorio dopo giorni e giorni di meticolosi tentativi, sono considerate a tutt’oggi insuperate, e questo la dice lunga.

Nel leggere i suoi scritti scaturiva la personalità di un uomo caparbiamente determinato nel raggiungere i suoi obiettivi. Devo ammettere che in questo mi rispecchio molto in lui.

Grazie alla sua ricca documentazione ora posso dire di averlo conosciuto. Sì, perché ci sono tanti modi di conoscere le persone. Sono sempre più convinta che scrivere le proprie idee, i propri progetti, e le proprie emozioni, ci dia in dono un pizzico d’immortalità.




La storia di Cristina… una donna proiettata nel futuro con uno sguardo al passato

Si dice che dietro un grande uomo, c’è una grande donna… Bè, io ho avuto modo di constatarlo.

Tutto iniziò un pomeriggio in campagna nella mia Lorenzaga di Motta di Livenza, tra il fruscio delle pannocchie agitate dal vento, il canto delle upupe, e l’allegro vociare di Erica e Giulio, i miei cuginetti che si rotolavano nell’erba. Dopo uno sguardo alla finestra in contemplazione di tanta semplice bellezza di vita, mi misi a guardare dei video di alcuni produttori locali.

Ad un tratto la mia attenzione fu calamitata da una donna che si raccontava, Cristina Garetto. Io vivo d’istinto, lo dico sempre, è la mia guida nella vita. Bè, quel giorno il mio istinto mi indicò la direzione e mi mise in moto. Dopo una breve ricerca trovati i contatti e mi accordai con lei per un incontro. Il pomeriggio successivo ero a Tezze di Piave, nella sede principale della Cantina Cecchetto.

Come d’abitudine feci un giro li intorno. Mi piace capire dove vivono le persone e sentirne le atmosfere, è come conoscerle un po’. Dopo aver fermato i miei ricordi con qualche foto, mi diressi all’ingresso. Fu Cristina ad accogliermi, e i nostri sorrisi ci fecero subito conoscere.

Azienda Agricola Cecchetto

Azienda Agricola Cecchetto

Durante la mia visita mi raccontò dell’incontro felice con Giorgio Cecchetto, suo marito. Lei, diplomatasi all’Istituto magistrale non avrebbe mai pensato al suo destino nel mondo del vino… ma la vita ci riserva belle sorprese, basta saperle cogliere.

Mi raccontò dell’azienda e dei suoi vini. Orgogliosamente promotrice del vitigno del Raboso e del suoi territori, la Cantina Cecchetto è socia fondatrice della “Confraternita del Raboso del Piave”.

Ad un tratto mi disse che vinificavano delle uve ottenute da ben 35 ettari di vigneto a Lorenzaga di Motta di Livenza.  Non potei che strabiliare gli occhi, spiegandole che ero arrivata proprio da li.

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cantina Cecchetto a Lorenzaga di Motta di Livenza

Cristina divenuta sommelier, decise di puntare alla tradizione cercando di mantenere una forma particolare di allevamento della vite, “la  Bellussera” (coltivazione di quattro viti sostenute da un palo, che, una volta raggiunta l’altezza, vengono inclinate dando al vigneto una forma a raggiera). Ideata dai F.lli Bellussi tra il 1850 e il 1900, oggi ormai in disuso perché soppiantata da forme con maggiore densità di piante per ettaro. Tradizione a braccetto con l’innovazione, perché nel contempo guardava al futuro con la sperimentazione. Nel 2002, infatti, vennero piantate le prime 5000 viti provenienti da nuove selezioni clonali di Raboso Piave.

Dovete sapere che io adoro la storia e le tradizioni. Lo so, lo so, ve l’ho già detto in altri miei racconti… Ma questo per farvi capire il mio entusiasmo, quando ad un tratto mi raccontò che dallo studio di un testo del 1600, l’affinamento del Raboso Piave avveniva in legni del territorio… acacia, gelso, castagno e ciliegio! (“I Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di Villa” di Giacomo Agostinetti, nato nel 1597 a Cimadolmo, un paese confinante)

Vigneti Cecchetto

Vigneti Cecchetto

Per questo impegno le venne conferito il “Premio De@ Terra 2010” dal Ministro delle politiche agricole Giancarlo Galan  nell’ambito della celebrazione della Giornata Mondiale della Donna Rurale. Mi raccontò delle sue ricerche, e a un certo punto menzionò un certo Prof. Luigi Manzoni e i suoi famosi incroci. Mi disse che era sepolto proprio a Lorenzaga, nel cimitero dove c’è quasi tutta la mia famiglia, dove quando sarà il tempo ci sarò anch’io. Oh mamma mia direte, ma che discorsi fai… e va be, si fa per dire, ne ho di storie ancora da raccontare!

Ma tornando al Prof. Manzoni, dovete sapere che la cosa mi incuriosì e parecchio! Tanto che la sera stessa, io e il mio caro amico Renzo, con una pila alla mano, vagammo nel cimitero di Lorenzaga alla sua ricerca fino alle ventidue passate! Ve l’ho mai detto che sono parecchio testarda e che se mi metto in testa qualcosa difficilmente non la raggiungo? Bè, è così! Quando finalmente lo trovammo soddisfatta mi soffermai davanti al suo sguardo fiero e orgoglioso.

Fu allora che decisi di raccontare di lui… e lo farò, nella mia prossima storia.

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