1

Lo sapevate che la zucca…

Ve l’ho detto mai che sono anche di origini mantovane…? Li la zucca è una vera e propria tradizione. Ricordo spesso con nostalgia quando mia nonna Gisella mi preparava i tortelli di zucca con gli amaretti e la mostarda piccante, sapori indimenticabili e irripetibili… si, perché così buoni, non li ho più assaggiati!

Zucch e melon à la sua stagion!

(La zucca e il melone vanno mangiati nella sua stagione)

Proverbio milanese

La zucca è un ortaggio originario dell’America Centrale ricco di vitamina A,  di minerali, di fibre e povero di calorie.

La sua polpa tritata è utile come lenitivo per le infiammazioni cutanee, mentre il suo estratto è indicato nei disturbi gastrici.

In cucina trova spazio in molteplici usi: dai primi piatti ai contorni, fino ad arrivare ai dolci.

Oltre a consigliare il consumo della zucca per l’alta digeribilità, si consiglia l’uso dei suoi semi per il buon apporto di ferro, magnesio e zinco… un ottimo spuntino energetico da sgranocchiare! 🙂

A proposito, quando si sentono espressioni come: ‘che zuccone che sei!’ oppure ‘hai la testa vuota!’ o ancora ‘metti un po’ di sale in zucca!’ è solo perché la parola zucca deriva dal latino ‘cocutia’ che significa testa. 😉

 




Vino cotto, mosto cotto o… tutti e due?

La ricetta: “Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

Vino cotto o mosto cotto? Direi tutti e due, ma siamo sicuri di conoscere la differenza? Per fare un po’ di chiarezza mi  farò aiutare dai produttori.

Recentemente, dopo aver conosciuto meglio entrambi i prodotti, mi sono resa conto che non tutti ne conoscono le differenze. Ambedue ottime produzioni, diverse però sia per densità che per gli usi a cui sono destinate.

Partiamo innanzitutto dal presupposto che ilvino cotto del Picenoè un vero e proprio vino. E’ ottenuto dalla bollitura del mosto dei vitigni di Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, e viene invecchiato in botti di legno di rovere. E’ un vino da dessert, utilizzato anche nella preparazione di dolci e per insaporire le carni. Oltretutto è un ottimo rimedio per curare tosse e raffreddore, e per chi come me, ama la medicina naturale, questo è già un ottimo motivo per parlarne.

Me lo ha fatto conoscere Emanuela Tiberi dell’Azienda Agricola David Tiberi di Loro Piceno, con la quale, durante una serata del girotondo enogastronomico “Per Tutti i Gusti” coordinato da Carlo Vischi, ho avuto modo di chiacchierare.

Passo ora al “vino cotto mantovano” che, nel termine dialettale, viene chiamato “vin cot”. L’ho conosciuto grazie alla cara Paola della Cantina Quistello di Mantova, prima su Twitter, e poi di persona a GourMarte, la manifestazione enogastronomica coordinata da Elio Ghisalberti.

La Cantina sociale di Quistello è una cooperativa costituita nel 1928 da un gruppo di viticoltori la cui produzione si estende lungo le rive del fiume Secchia. Un territorio ricco di antiche tradizioni viticole e gastronomiche che ben conosco e apprezzo per le mie origini paterne mantovane.

Dunque, qui ad aiutarmi a far chiarezza è il loro Presidente, che mi definisce il loro vino cotto non un vino, ma un mosto cotto; è usato come condimento per piatti di carne, per insalate, e anche per dolci.

Come stabilito da disciplinare di produzione del vin cot, la materia prima utilizzata è il mosto d’uva Lambrusco Grappello Ruberti, vitigno storico coltivato nella zona di produzione dell’IGP Quistello. E’ un prodotto con molta concentrazione di zuccheri d’uva e senza alcol.

In conclusione, tornando alla questione che ho posto inizialmente su: “vino cotto o mosto cotto?” direi proprio tutti e due. Utilizzerò il “Vin Cot di Quistello” nella preparazione di un dolce da loro stessi consigliato, e il “Vino Cotto del Piceno” come vino da dessert per accompagnarlo. 😉

“Caldidolci al Vin Cot di Quistello”

  • Ingredienti:

Un litro di latte, 3 bicchieri di farina di mais sottile, un pizzico di sale, zucchero qb, un pezzetto di burro, una manciata di uva passa, pinoli qb, un goccio di Vin Cot di Quistello.

  • Preparazione:

Preparare una polentina portando a ebollizione il latte mentre si aggiunge a pioggia la farina di mais e un pizzico di sale. Rimestare bene, fino a quando la farina sarà cotta. Aggiungete sempre mescolando, lo zucchero, un pezzetto di burro, un goccio di VinCot e per ultimi l’uva passa e i pinoli.

Con la polentina ottenuta formare tanti biscottini ovali e lasciarli riposare per qualche ora. Passateli poi al forno, facendo attenzione a non seccarli.

I “Caldidolci” come dice la parola stessa, vanno serviti caldi.




“Due chiacchiere con… Fausto Delegà”

Fausto Delegà, il mio “mielologo” appassionato… L’amore per il territorio, per le tradizioni, per gli olii, per le erbe spontanee ma soprattutto per i mieli ci ha fatto incontrare.  Mantovano come me, vive a Vienna con un pendolarismo aereo tra Austria e Italia. Lui è un Italiano Doc, che vi voglio far conoscere…

  • Fausto, immagina che ci siamo appena conosciuti. Come ti presenteresti?

Come mi presenterei…? Se i mieli e gli oli potessero essere improvvisamente compresi da tutti nei loro dialetti sottili, delicati e armonici, il mondo cambierebbe. Ecco mi presenterei con questo pensiero che mi guida da un po’ di anni nelle sfide, idee e provocazioni che lancio qua e la per spostare, come dico io, il punto di vista oggi imperante in larga parte dei consumatori sui mieli ed oli.

Perché solo spostando il punto di vista, cambiando le credenze che ci dominano, specie in campo alimentare, potremmo sperare di sovvertire l’attuale situazione drammatica che vede il creatore di cibi, l’agricoltore agri tutore sempre più proposto come anonimo, sparente, nella società che crede in larga parte che i cibi appaiano miracolosamente negli scaffali e nei frigoriferi degli ipertutto, forse per una magia in cui la faccia e le mani e la genialità di chi fa cibo scompaiono per far posto al grande Brand che, se va bene, ci ha messo solo la parte finale e meno difficile del percorso per chi sa fare il caimano: il dio mercato che oggi in larga parte tutto globalizza. Ecco mi presenterei come creatore di nuovi punti di vista.

  • Com’è nata questa tua avventura di gastro-divulgatore?

L’avventura è nata tanti anni fa, a volte quando faccio il conto matematico mi stupisco un po’, ma per poco, data la mia idea che il tempo sia una stupida credenza, direi perciò che propongo le mie idee da una ventina di anni, con un percorso che è andato via via affinandosi nel tempo. Processo obbligato, direi, di aumento di conoscenze che negli ultimi anni hanno cambiato veramente gli orizzonti nelle cantine, nei frantoi, negli alveari mielosi e in tutte le produzioni buone e giuste in genere.

Potrei dire che più di vent’anni fa era convinzione affermare che il vino e l’olio erano le parole che il sole scriveva sulla terra e che il terreno era un organismo vivente di cui siamo parte. Oggi, spesso, si viene presi per matti se non si parte almeno da li per fare un passo avanti. Sono nato come divulgatore e giornalista 25 anni fa, quando Slow Food muoveva attraverso l’ARCI i primi passi, quando l’olio era meno buono e meno prolisso di oggi, quando i blog non esistevano e uno per dire qualcosa doveva scrivere, magari per l’Unità, come feci io alcune volte per i primi anni, oppure con una mia altra esperienza… fondando una radio libera.  L’avvento del web con i social e i blog di oggi, le adozioni di cibo, la creazione dei mieli padani, la neurobiologia vegetale,  hanno favorito l’inizio di un nuovo percorso di cultura.

  • Siamo entrambi di Mantova. Mi racconti un tuo ricordo di questa terra?

Mantua me genuit scriveva Virgilio. E Dante rilevava nella Commedia la cortesia dei mantovani. Gente di terra e di acqua, una città nata in mezzo ad un impaludamento del Mincio che la circonda con i suoi laghi. Città dallo skyline unico al mondo, recentemente sfigurato dal sisma, ma già in via di recupero.

Mantova è anche la città della cucina di Principi e di popolo, dove nel ‘500 grandi cuochi iniziarono a codificare le tecniche. Terra dalle produzioni qualitativamente eccelse, basti pensare ai suoi salami, cotechini, spalle, meloni igp, cipolla, e negli ultimi anni terra anche di Lambruschi estremi, eleganti, inediti e stupefacenti, vedi il Ruberti.

Terra unica in Italia, dove si producono insieme, uno al nord e l’altro al sud, il Padano e il Reggiano, due capisaldi della nostra cucina nel mondo.  E, dal mio punto di vista, terra di mieli, con una storia mellifera che inizia in epoca romana, un paese ora in provincia di Rovigo, ma allora legato a Ostiglia e a Mantova, che porta ancora il nome di Melara, Ara dei Mieli. Virgilio, figlio di apicoltori e lui stesso amante delle api e dei mieli, dedica il quarto libro delle Georgiche alle api ed al miele. In una terra così, non si può che nascere impastati di buono e di bello.

  • Da mielologo appassionato, come reputi la cultura dei mieli in Italia?

Mettiamo pure il dito nella piaga. Parto da una provocazione: se io chiedessi ai tuoi lettori in una domanda secca quanti mieli si possono produrre in Italia, intendo tipologie mellifere tra monoflora e melate, e nello stesso tempo come fanno le api a fare il miele quante risposte esatte avrei? Non credo più di una ogni dieci intervistati. Questo da il senso e la misura della questione. Ma in parte potremmo fare la stessa domanda per l’olio da olive: quante varietà di Ulivi esistono in italia? Avremo pochissime risposte esatte. Perché pochi sanno che l’Italia potrebbe regalare al mondo, e a tutti noi, quasi 60 tipologie diverse di mieli. E nello stesso tempo in pochi direbbero che le nostre cultivar di ulivo sono più vicine alle 600 varietà che alle 500. Nessuno poi probabilmente risponderebbe alla domanda del come fa l’ape a regalarci i mieli. No, non vi lascio con la domanda sospesa, o meglio solo a metà la lasciamo sospesa. L’ape fa i mieli con una tecnica assolutamente straordinaria, un immenso scambio di baci tra ape e ape, crea i mieli. Sappiatelo e vi basti… Per ora.

  • Vivi a Vienna, qual è la realtà sulla promozione del territorio rispetto all’Italia?

AUSTRIA E VIENNA.
Devo dire che l’attenzione e la voglia di capire, rispetto alla nostra cultura materiale e ai nostri prodotti che si muovono con le persone qui a Vienna e in Austria, in genere sono notevoli, sincere, e profonde. Siamo molto amati, benevolmente invidiati, ricercati e spesso… deludenti, perché gran parte della realtà immensa e potente dei nostri terroir resta bloccata tra le pastoie di uno stato che ha massacrato il commercio estero, che qui chiude le sedi di promozione, e che quando ha cercato di promuovere lo ha fatto con i soliti noti e stranoti, amici di… cugini di… finanziatori di… feste e banchetti inutili, parole e slogan perdenti.  Forse la creatività contagiante di un genio folle e lucido come Oscar Farinetti  farà storia nei prossimi anni. Comunque a Vienna ci stiamo muovendo e attrezzando per cambiar strada, metodi e finalità.

  • Per concludere mi viene spontaneo farti una richiesta… Mi racconti una ricetta a base di miele?

Prima di tutto alcune considerazioni…

Quando leggo o sento ricette nelle quali, ogni tanto, si nomina tra gli ingredienti il miele spesso mi irrito, no forse è proprio meglio dire mi inca… Perché…? Perché 99 volte su cento viene usata la parola miele in modo talmente generico e impreciso che sembra quasi che usare in quella ricetta castagno, acacia, corbezzolo o lavanda sia la stessa cosa. Questa è sana, bella e gretta ignoranza.  La stessa che fa scrivere e dire anche: “un goccio di olio di oliva…” come se vi fosse un miele unico, e un unico olio da olive a disposizione. È ora di dire un sonoro BASTA a queste stupide indicazioni.  Bisognerebbe rifiutarsi di procedere con tutte le ricette che su questi due punti, olio e mieli, propongono questa inaccettabile superficialità.

Poi una regola fondamentale. I mieli si sposano sempre bene con le sostanze grasse, dai formaggi al burro, dalla panna al lardo e infine anche con gli oli, specie quelli da olive. Altra cosa importante è che possono essere presenti a tutta cucina, dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni e ovviamente… nei dolci come ci insegna il grande maestro e amico Corrado Assenza.

Solo una cosa potrei consigliare, non una vera e propria ricetta ma un’esaltazione del gusto. Quando in estate, non avendo la fortuna di avere un proprio orto o non potendo vivere in paradisi terrestri come le nostre isole o le regioni meridionali, spesso ci si accontenta di pomodori che rimangono lontani anni luce dal loro vero gusto di “pomodoro”.  Ecco, in questi casi una dose appropriata e molto calibrata di miele di melata di abete bianco di terroir toscani, gli mette quella marcia in più che la serra non gli avrebbe potuto mai regalare. Provare per credere, ah ah ah ah…

 

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: