1

Riflessioni dopo Olio Officina Food Festival 2015

 

Da pochi giorni si è conclusa la 4’ edizione di Olio Officina Food Festival, l’appuntamento milanese diretto dall’oleologo e scrittore Luigi Caricato che vede protagonista l’olio da olive. Un format dedicato ad approfondimenti, dibattiti e degustazioni, che ogni anno puntano a diffondere buona cultura del cibo per favorire il consumatore verso una scelta informata e consapevole.

Durante la giornata a cui ho partecipato, molti gli spunti di riflessione su cui confrontarsi per la promozione di un’importante produzione italiana che vive una stagione difficile. Qui di seguito mi soffermerò su alcuni momenti che a mio parere meritano attenzione e ragionamenti ponderati.

  • La gestione dell’olio al ristorante.

Uno degli argomenti chiave per una proposta che favorisca l’olio extra vergine di oliva di qualità. Il ruolo della ristorazione in questo caso è di rilevante importanza.
Educare il cliente verso una scelta consapevole dipende molto da come viene presentato un prodotto. Questo presuppone una formazione degli addetti e un confronto con il mondo delle produzioni attraverso meeting e corsi formativi che predispongono a tale compito.

  • Il blending.

Con Marcello Scoccia, vice presidente ONAOO (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Olio di Oliva) si è parlato di blend, cioè l’arte di assemblare cultivar per ottenere profili sensoriali che soddisfino il cliente. Anche se non piace a tutti,  il blending non va inteso come una sofisticazione. Tale compito infatti è assolto da assaggiatore esperti.

La gestione dell'olio al ristorante.

La gestione dell’olio al ristorante

  • Monodose di olio extravergine di oliva al ristorante.

Un’idea interessante più volte discussa, che le aziende agricole possono adottare per proporsi ai consumatori attraverso la ristorazione. Una monodose a prezzo simbolico per farsi conoscere e diffondere così le produzioni di oli extra vergine di qualità, dando la possibilità ai consumatori di fare ordini direttamente alle aziende.

  • Tappo antirabbocco.

Qui tocco un tasto dolente. C’è infatti chi lo reputa solo una presa in giro per il consumatore, visto l’utilizzo di oli di scarsa qualità che ‘a volte’ vengono utilizzati nelle cucine durante le preparazioni dei piatti. Personalmente, per evitare che una bottiglia con note etichette venga più volte riempita con oli discutibili, promuovo senza dubbio l’adozione di questo tappo. Sul resto la professionalità del ristoratore fa la differenza. Come ha sottolineato una persona del pubblico presente al dibattuto, in Giappone, paese che apprezzo sempre di più, preferiscono di gran lunga privilegiare investimenti in cultura del settore. Chi vuol capire intenda.

  • Cibo e bambini.

Con Giovanna Ruo Berchera, insegnante di cucina, si è parlato di bambini che rifiutano il cibo per motivi non legati al gusto. Giocare con gli alimenti legandoli ai racconti, crea emozioni che inconsapevolmente vengono custodite nelle memorie. Coinvolgerli nelle preparazioni, oltre a divertirli, li aiuta a superare e vincere le diffidenze. Sfido chiunque a non ricordare un cibo della memoria legato ad un ricordo d’infanzia…

  • Eros e cibo.

L’olio alimenta l’eros. Questo il tema della 4′ edizione di Olio Officina Food Festival. Anche il pane è eros. Simona Lauri, consulente e tecnico per la panificazione, insieme a Giuseppe Capano, chef e consulente di cucina, ha raccontato un cibo che amo molto, artigianale e appagante, che mi da piacere e benessere riportandomi ai valori di una volta. Il mio consiglio è di scegliere accuratamente i panificatori che privilegiano farine di qualità. In cambio avremo prodotti da forno che renderanno le nostre giornate più ricche di bontà e di salute.

 Il pane, un corpo caldo che è vita e passione. Simona Lauri

Massimo Occhinegro, consulente esperto di marketing internazionale

Massimo Occhinegro, esperto di marketing internazionale

 




Le ‘Grotte di Sileno’ della chora tarantina, una terra di confine piena di magia e misteri non ancora violati.

Le Grotte di Sileno, un sito archeologico in cui viene prodotto olio, vino e frutta antica. Qui troverete l’orto di ‘Columella’, la capanna preistorica, ma soprattutto l’accoglienza della Magna Grecia (ξενία).

Sileno, un essere mitologico dell’Antica Grecia educatore di Dioniso (Bacco). Raffigurato come un vecchio ubriaco a cavallo di un asina, è protettore delle vigne e del vino.

L’ho conosciuto nelle sue grotte, o meglio, nella zona limitrofa di un’azienda agricola di Castellaneta in provincia di Taranto in cui, durante gli scavi archeologici, sono stati ritrovati impianti di vigneti preromani e le raffigurazioni di Sileno. Testimonianze che attesterebbero la vocazione di questo territorio alla produzione di vino.

Da qui l’origine del nome dell’azienda agricola di cui Raffaele Rochira è socio: Le Grotte di Sileno.

Con Paolo Barberio Az. Agr. Campanello  Raffaele Rochira Le Grotte di Sileno

Paolo Barberio Az. Agricola Campanello – Raffaele Rochira Az. Agricola Le Grotte di Sileno

Una tenuta che ha acquistato dopo aver superato un momento difficile della sua vita. Nonostante non sia nato agricoltore, le sue origini lo hanno richiamato alla terra. Determinanti gli studi in Toscana. La passione per il territorio e la caparbietà della sua gente nel promuoverlo, gli è stato negli anni avvenire di grande insegnamento.

Nonostante l’Italia sia da sempre un paese vocato alla terra e all’agricoltura, le complicanze burocratiche ostacolano chi si vuole, con grandi sforzi, dedicare ad essa. Un tasto ahimè dolente, che purtroppo sento ribattere ogni qualvolta io visiti una realtà agricola.

4 - Una vite di cento anni. Monumenti della natura.

Una vite di cento anni. Monumenti della natura.

  • Raffaele, partiamo da qui. Come vivi il tuo territorio?

E’ difficile operare in un contesto caratterizzato da assenza di amore e carenza di opportunità economiche; in particolare nella visione, da parte di alcuni cittadini, condizionati da  rappresentanti delle Istituzioni, che, per diversi motivi, non credono o non vogliono credere nel settore primario.

L’importanza di comunicare il territorio attraverso il recupero delle nostre radici storiche è la vera presa di coscienza per non perdere la nostra identità per una nuova vision culturale ed economica.

Le grotte di Sileno

Le Grotte di Sileno – Porta antica

  • Vino, olio e frutti antichi. Queste le tue principali produzioni.

Esatto. Quello che cerco di fare è raccontare con i nostri prodotti, la natura e la cultura di questa fantastica terra amata sin dalla notte dei tempi, da filosofi, scienziati, imperatori e principi. Racconto la mia Terra, la Puglia, la chora (terra) tarantina, dove  gli ulivi migrano in senso metaforico e non.

Una terra di confine piena di magia, ricca di misteri non ancora violati. Quello che cerco di fare è  suscitare emozioni a chi decide di “viverla”.

L'ulivo maritato con la pietra

L’ulivo maritato con la pietra

  • Mi hai parlato del tuo orto antico: l’orto di Columella.

L’idea nasce dal fatto che, quando ho acquistato l’azienda ho trovato intatto l’orto di Columella (Generale e Agrimensore Romano che assegnava ai veterani delle legioni romane, di ritorno dalle missioni, delle terre). Novanta are (novemila metri quadri) delimitati da muri a secco che nel lato Nord sono alti fino a quattro metri per proteggere dai venti freddi settentrionali l’orto e gli alberi da  frutto.

Visto che in maniera fortuita si era conservata questa antica struttura, perché non reinserire le antiche piante e gli antichi semi ricostruendo integralmente l’orto e realizzando così un esempio di archeologia viva del territorio? Così ho fatto.

Capperi

Capperi

  • Mi hai fatto visitare la ricostruzione della capanna preistorica dell’età del Bronzo Medio, rinvenuta a Sud dell’azienda. E’ legata ad un progetto?

Si, è una ricostruzione fedele, posta in essere con l’aiuto di architetti ed archeologi: un progetto di Archeologia sperimentale finalizzato alla promozione del territorio. Ne abbiamo in cantiere diversi, tra cui uno per la promozione di tecniche di costruzione biodinamica  la cui realizzazione passa attraverso un azione sinergica tra università, professionisti e altre imprese.

Casa di Paglia

Casa di Paglia

  • Nella tua tenuta organizzi attività archeologiche con i bambini. Un’iniziativa che ha avuto un buon esito, e che insegna loro ad amare la storia. Me ne parli?

Grazie  alla collaborazione con l’Associazione Culturale Aulon Res, composta da guide specializzate coadiuvate da  archeologi ed architetti, si organizzano visite con le scuole, e non solo. Sia i bambini che gli adulti hanno così la possibilità di vivere l’emozione di uno scavo archeologico con la scoperta di costruzioni, tombe e reperti.

Suscitare emozioni è la mission delle Grotte di Sileno, in questo caso, con il fascino della scoperta dell’antico, anche il mistero.

Pozzo antico

Pozzo antico

  • Ora parliamo di turismo. Posso dire di aver visto le basi per un buon esito di accoglienza rurale e non solo. Ho visto avviato il tuo agriturismo. A che punto sono i lavori di messa in opera?

Cinzia, siamo già operativi, nel senso che pratichiamo i principi di ospitalità e accoglienza della Magna Grecia (ξενία). L’agriturismo, come accoglienza in camera, sarà operativo per l’apertura dell’Expo 2015.

Come sempre, ma in particolar modo questa estate, organizzeremo visite guidate in azienda e nei territori circostanti disponibili ad accoglier gli ospiti delle altre strutture ricettive con percorsi tra natura e storia…

Gelso

Gelso

Fiore di Melograno

Fiore di Melograno

Le Grotte di Sileno

Le Grotte di Sileno

 Raffele Rochira  www.legrottedisileno.it

raffaelerochira@alice.it




Lo storico frantoio “L’Acropoli di Puglia” di Martina Franca

.

Martina Franca in provincia di Taranto, una cittadina elegante e ricca di storia nel cuore della Valle d’Itria. L’ho conosciuta passeggiando lungo le sue strade e ammirando lo stile barocco delle sue case e dei suoi palazzi. Una città che mi ha particolarmente colpito per la cura e l’ordine con cui è tenuta. “Qui mangi pane e barocco  intitolava nel giugno del ’97 la rivista “Bell’Italia” a proposito del suo centro storico.

Fino a ieri ero da quelli parti per un breve periodo di vacanza. Unisco sempre l’utile al dilettevole visitando le realtà agricole delle terre che visito. Me ne è stata consigliata una che però purtroppo, a causa della mia partenza, non sono riuscita a vedere: lo storico frantoio L’Acropoli di Puglia”.

Lo ha fatto per me Vito Piepoli. Condivido con voi il suo racconto.

Lo storico frantoio “L’Acropoli di Puglia”

 di Vito Piepoli

Il mese di maggio si dice la messa nello spazio esterno antistante l’ingresso del frantoio “L’Acropoli di Puglia” di Martina Franca (Taranto), in attività dal 1889, della famiglia Lucarella, dove svetta una bella statuina della Madonna di Odegitria . Con questa visione benedicente comincia la visita all’antico frantoio oleario di ben centoventidue anni in compagnia di Beatrice Lucarella.

“Lui era Domenico il nonno di mio padre, poi Vincenzo, il papà di mio padre” ci dice Beatrice indicandoci delle foto in alto, poste subito all’interno del frantoio di famiglia. Entrando è cambiata la temperatura, si sta abbastanza freschi. Essendo collinare Martina, da un lato si scende e dall’altro si sale… quindi come frantoio è interrato. Non è molto grande, è rimasto com’era, nel centro della cittadina. E’ un frantoio semi – ipogeo, come conformazione e struttura. E’ “semi” proprio perché non è posto in cavità sotterranee ma leggermente al di sotto del livello stradale. La produzione è a freddo con macine in pietra e torchi idraulici.

L’azienda è mèta di visite turistiche e di gruppi di scolaresche per la riscoperta degli antichi mestieri e per far conoscere le diverse fasi di produzione quale la frangitura, la gramolatura, la spremitura, la conservazione e l’imbottigliamento. Continuiamo ad osservare all’interno del frantoio e ci lasciamo attrarre da segni e particolari a latere dell’attività principale. Vi sono dei ganci sul soffitto.

La maggior parte di questi ganci potevano avere più funzioni o appendere i caciocavalli e salumi in genere da stagionare. I ganci ad anello invece servivano per attaccare gli animali alle catene. Per la staffa di cavallo c’è  un duplice significato, il primo è quello di portafortuna. Il secondo riguarda l’uso del cavallo quale animale da ‘giro’, ovvero il quadrupede utilizzato dal frantoiano per far girare le molazze.

Anticamente, il luogo di trasformazione delle olive in olio era denominato “trappeto”, dal latino trappetum, ossia frantoi scavati nella roccia che testimoniano un’economia fiorente di un lontano passato, o anche dal greco trapeo  = pigiare o trepo = torcere o anche trapetes che significa appunto frantoio dal numero delle macine che anticamente erano tre, più piccole di diametro delle attuali, posizionate in basso e trainate da cavalli murgesi, asini, tipici della zona, o da buoi.

foto 2

L’Acropoli di Puglia

La produzione viene fatta proprio come tradizione comanda, prima la frangitura delle olive sotto la macina e poi la pasta ottenuta viene posizionata sui fiscoli, a forma di ciambelle, originariamente impagliati, che vanno l’uno sull’altro a comporre la “torre” , pronta per la spremuta sotto il “torchio”. Quattro presse presenti nel frantoio e, a dire della nostra guida, durante il periodo di produzione sono necessarie almeno  quattro – cinque persone per portare avanti la lavorazione.

Per fare una macina e comporre almeno una “torre” ci vogliono almeno tre quintali di olive e, secondo Beatrice, quest’anno l’annata dovrebbe essere abbastanza buona per la raccolta nelle tenute di famiglia che sono ubicate in agro di Martina Franca e Crispiano. Ciò che in realtà incide molto a livello di costi è il mantenimento della campagna. Soprattutto difficili da recuperare poiché si cerca di mantenere un prezzo medio di vendita al pubblico anche se è indispensabile per il consumatore capire che se si vuole mangiare bene e genuino il prodotto di qualità ha un costo.

Beatrice ci ricorda che, passando ad un altro prodotto della terra, dall’uva si ricavano eccellenti vini bianchi (bianco Martina) e rossi (Primitivo del Salento) tipici del territorio della Valle d’Itria. Anche il mercato del vino a livello globale è diventato difficile. Mi è capitato di avere un incontro con degli importatori russi, dice Beatrice, che chiedevano di pagare il vino sfuso a cinquanta centesimi al litro (un’assurdità!).

Tornando all’olio, la guida ci rassicura sul fatto che le olive raccolte e macinate presso il frantoio di famiglia non si raccolgono da terra anzi lei stessa ci dice che non si devono raccogliere da terra, perché “l’oliva è una spugna che al contatto con la terra non fa altro che assorbire l’humus, l’umidità e la muffa. I nostri terreni non sono trattati con diserbanti nocivi arando il terreno con l’uso di trattori per  eliminare le erbacce e impastare il terreno. La raccolta avviene per lo più per sfilamento dall’albero delle olive, ma se utilizziamo il braccio meccanico le olive vengono immediatamente raccolte dalle reti. E’ una faticaccia. Il nostro principale cultivar è caratterizzato da olive “coratina” ma anche da “leccina-nociara” innestate nella stessa pianta, il tutto frutto di alberi secolari. La raccolta viene effettuata nei mesi di novembre-dicembre, anche se molto dipende dal tipo di clima che si è avuto e dalla presenza di abbondanti o scarse piogge; la potatura avviene poco dopo la raccolta, con il sistema della potatura corta “.

Il prodotto viene apprezzato ed esportato negli Stati Uniti, in Europa nei paesi dell’Est, ed in molti paesi europei soprattutto in Inghilterra e Francia. In Italia viene adottata la vendita attraverso il sistema del door to door ovvero spedito direttamente presso le famiglie. Nel frattempo la visita continua e osserviamo alcune cisterne interrate piene di “oro giallo”, dove l’odore dell’olio fresco appena franto viene avvertito ancor prima della vista, cogliendone un profumo che inebria piacevolmente i polmoni, prima ancora che la coppa calata nell’olio ci venga avvicinata al naso.

Dopo un anno di conservazione, ci viene riferito, il prodotto rimane sicuramente di qualità, però non è più quel verde intenso, non ha quel sapore che pizzica, ma maturando perde un po’ qualcosa, com’è natura. Conosciamo Vincenzo, il secondo dei tre figli, anche lui attivamente impegnato nell’azienda di famiglia occupandosi principalmente del settore marketing e commerciale. Il filtraggio dell’olio grezzo viene effettuato con metodo “a bambagia”, proprio come si faceva una volta, con l’ovatta. Più che un filtraggio è una vera e propria sgrossatura.

La famiglia Lucarella oltre al frantoio ha una azienda agricola che produce anche altri prodotti alimentari di pregio, in vendita in una location ubicata in piazza Umberto oltre ad una linea di prodotti cosmetici naturali a base di olio extra vergine di oliva. “Produciamo anche un condimento balsamico, che ha quindici o ventuno anni di invecchiamento” – ha concluso Beatrice – che all’assaggio ci sembra più che un aceto, un vino da dessert e il mosto cotto di uva bianca, il “vin cotto” dalla particolare consistenza, prodotto col vecchio disciplinare. E a noi non ci resta che salutare e augurare al frantoio “L’Acropoli” lunga vita, per il gusto del nostro palato e la bellezza della nostra pelle.

 

 




Carlo Ravasio, un muratore che a Bergamo fa Olio e Vino

Quando ho chiesto a Carlo Ravasio il suo mestiere, lui senza esitare mi ha risposto: – Cinzia, faccio il muratore! – Sbigottita l’ho guardato un po’ perplessa. La realtà, quella vera, è che molte persone che incontro hanno due vite (io compresa).

Si cresce e si cambia, gli stessi eventi che a volte ci travolgono fanno scoprire in noi potenzialità nascoste che risvegliano le nostre passioni e trasformano la nostra vita. Il quesito è – qual è la vita vera? – Credo, anzi sono convinta, che sia quella che ci fa battere il cuore, che ci tiene vivi, e che ci fa svegliare la mattina con la voglia di fare.

Carlo Ravasio è un imprenditore dell’edilizia cresciuto nelle terre di un antico borgo rurale, un tempo adibito all’allevamento di capre: Cavril (caprile in bergamasco). La sua attività lo ha portato ad investire nel villaggio abbandonato della sua infanzia a Sotto il Monte Giovanni XXIII, ben determinato a riportarlo in vita.

Questo recupero ha fatto nascere una farmhouse, un agriturismo con una terrazza da cui ho goduto, seduta su una panchina, la bellissima vista su Bergamo. Ma non solo, ha fatto rinascere anche la vecchia cantina in cui riposano le bottiglie dei vini prodotti dall’azienda agricola annessa Sant’Egidio.  Una storia familiare di origine contadina iniziata nel dopoguerra con l’acquisto della prima vigna: ‘Ronco di Sera’.

Farmhouse trovata! E con che vista! #Cavril #Agriturismo #SottoilMonte #Bergamo

Ronco di Sera

Tre ettari di vigneti e uno di oliveto da cui produce olio extra vergine di oliva da cultivar Frantoio, Casaliva, Leccino e Pendolino, e il vino che porta sulle tavole del suo agriristoro biologico. Ronco di Sera, prodotto con un taglio di vino Merlot variabile tra il 60-70% e Cabernet Sauvignon per la rimanente parte, Tessére ottenuto da uve Merlot, Turano da uve Cabernet Sauvignon, e infine Marinele, da uve Moscato giallo.

Durante la cena in cui l’ho incontrato, Carlo mi ha espresso la volontà di far conoscere come merita il suo territorio e le sue produzioni avvalendosi di materie prime di piccole medie aziende agricole della zona di accertata qualità.

Da un’idea spesso nascono progetti, che se condivisi, uniscono e permettono di fare bene. Questa determinazione ha fatto nascere l’associazione delle  ‘Sette Terre’, un gruppo di viticoltori uniti dalla volontà di valorizzare e promuovere la produzione vitivinicola bergamasca da molti non ancora considerata tale.

Impegno, passione, qualità, valore, crescita, studio e programmi: questi i sette punti cardine che uniscono i produttori che si vogliono associare. Sette, simbolo della perfezione legato al compiersi del ciclo lunare, per gli Egizi simbolo di vita.

La sera che l’ho incontrato, ho avuto il piacere di assaggiare un piatto contadino tipico della tradizione: il Pancotto alle verdure con uovo poché (uovo in camicia). Un piatto da alcuni considerato povero, per me un piatto ricco, perché tramandandolo di generazione in generazione ci permette di tenere viva la memoria storica della nostra bell’Italia.

Un albero senza radici non ha linfa vitale, esattamente come un paese che non mantiene viva la sua memoria…

 

 




Stasera si mangia broccoli! Mi raccomando, ma con il gambo!

Stasera sapete cosa faccio? Vado in cucina! Qualcuno storcerà il naso… forse perché chi mi conosce sa che amo più mangiare che cucinare.  😉

Come diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbachsiamo quello che mangiamo –  più chiaro di così! Personalmente amo ricercare la storia, le tradizioni, ma anche le proprietà terapeutiche del cibo, perché mangiare bene è il segreto per stare in salute.

La cosa importante è scegliere buone materie prime, possibilmente #madeinitaly visto le ottime produzioni che abbiamo, ma mi raccomando, ottimizzando ed evitando gli sprechi.

Gambo del broccolo

Gambo del broccolo

Oggi sono stata al mercato e ho comprato due broccoli, dell’insalata, un po’ di frutta secca, un pezzetto di provolone e un buon olio extra vergine di ‘olive italiane’ (controllate che sia scritto).

A tal proposito quando siete in vacanza approfittate per andare a visitare un’azienda agricola che lo produce; se vi piace compratelo, e poi a casa comodamente fatevelo spedire. Tra l’altro, consumando lo stesso olio che avete assaggiato in vacanza vi sembrerà di rivivere i bei momenti vissuti.

Ma torniamo ai broccoli. Ora li uso per prepararmi un piatto di pasta e un’insalata mista. A proposito, sono ricchi di vitamina C che però ahimè con la cottura in acqua in parte si perde.  Per ovviare a ciò l’ideale è cuocerli al vapore.

Detto questo, una volta lessati li unisco all’acciuga soffritta con l’aglio, o in aggiunta a del tonno. Userò  questo preparato per condire la pasta. Mi raccomando, non risparmiate sulla ‘qualità della pasta’, incide molto sul risultato di un piatto!

Bene, è rimasto il gambo del broccolo. Adoro il suo sapore!  Una volta pulito va tagliato a rondelle sottili e va unito a una bella insalata, a del provolone a tocchetti, e a tanta buona frutta secca!

Che ne dite…? Io intanto mangio, buon appetito! 😉

Orecchiette con i broccoli




Un po’ di chiarezza, o quasi, in tema di presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi

Recentemente, con un amico che si occupa di ristorazione, mi sono trovata a discutere sulla presentazione della bottiglia di olio extra vergine di oliva che mi piacerebbe vedere sul tavolo in tutti i ristoranti.

Confrontandomi con altri del settore, mi sono resa conto che molta chiarezza in effetti non c’è.

Per questo motivo, visto che mi piace parlare con cognizione di causa, mi sono informata consultando Massimo Occhinegro, consulente d’impresa in ambito fiscale e di marketing internazionale, con particolare riguardo al comparto di olio di oliva nei mercati europei ed extra europei.

Tenteremo di fare un po’ di chiarezza, o quasi (leggendo capirete il perché), inserendo la Legge 14 gennaio 2013 n.14 e l’interpretazione di Massimo.

  • Legge 14 gennaio 2013 n.14

Art. 7 – Termine minimo di conservazione e presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi.

1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data.

2. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene.

3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione al titolare del pubblico esercizio di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 8.000 e la confisca del prodotto.

4. All’articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, i commi 4-quater e 4-quinquies sono abrogati.

“Chiave interpretativa” della legge in questione di Massimo Occhinegro

La legge 14 gennaio 2013 n.14 con l’articolo 7 secondo comma ha inteso abrogare la precedente legge che vietava in maniera esplicita l’uso delle “famose” ampolle dell’olio. Tuttavia sia pure in maniera confusionaria, ha voluto introdurre da un lato l’uso di bottiglie con tappi anti-rabbocco e dall’altro confermare l’obbligo del l’indicazione dell’origine nonché del lotto di produzione a cui appartiene.

L’articolo è tuttavia mal scritto e soggetto a diverse interpretazioni. La “chiave” interpretativa risiede a mio parere nel significato di “ovvero”. Nella lingua italiana “ovvero” può essere interpretato come sinonimo di “oppure”, ma in tal caso, il legislatore avrebbe forse pensato a bottiglie con sistema di chiusura anti-rabbocco, senza etichetta, il che è per logica, senza senso, da un lato, mentre dall’altro confezioni senza tappo anti-rabbocco ma etichettate con indicazione di origine, data di scadenza inferiore ai 18 mesi dal confezionamento e lotto di produzione, il che anche in questo caso tale evenienza avrebbe poco senso vista la volontà di impedire il riutilizzo delle confezioni.

Pertanto la parola “ovvero”, a mio parere andrebbe interpretata con il significato di “ossia”, (come spesso accade nella formulazione delle norme di legge) con l’intento di offrire una specifica in più rispetto a quanto scritto nella prima parte dello stesso articolo 7, comma 2.

In definitiva tutto ciò significa che le bottiglie devono essere etichettate come da norma di legge e che in più dovrebbero avere tappi anti-rabbocco. È evidente però che la formulazione di tale articolo sia stata fatta in maniera frettolosa e confusionaria come detto in premessa.

Cosa rimane da dire… mah, direi che a questo punto, l’unica cosa che mi viene da dire, è che tocca a noi prestare la giusta attenzione scegliendo la ristorazione virtuosa attenta alla qualità.




Con la mano sul cuore, scelgo l’extra vergine

Qui di seguito riporto la mia intervista, o meglio, il mio approccio con l’olio, raccontato rispondendo alle domande di Luigi Caricato, direttore di Olioofficina Magazine, per la sua Rubrica ‘Che Olio Sei‘.

Per l’articolo originale cliccare qui.

La farm blogger Cinzia Tosini racconta la sua esperienza e il suo approccio con l’olio, a partire dall’infanzia. Per lei continua a rappresentare la cosa buona, ciò che fa bene, il prodotto prezioso e ricercato che va usato con cura.

Cinzia Tosini si definisce farm blogger. Così, di fronte al dilagare dei food blogger, c’è chi, invece, parte da una visione diversa, direttamente dalla terra, dai protagonisti del cibo prima ancora di approdare in cucina e poi sulle tavole. 

  • Quale idea di olio lei si è fatta nel corso dell’infanzia? L’olio di quegli anni è stato quello ricavato dalle olive o un olio di semi?

La mia infanzia è legata all’olio molto più che per un’idea. Da bambina l’olio rappresentava la cosa buona, ciò che faceva bene, il prodotto prezioso e ricercato che andava usato con cura. Ero uno ragazzina gracile con una salute cagionevole, un’unica figlia di un padre dalle cure premurose. L’olio era la terapia naturale che lui non mancava di aggiungere ad ogni mio piatto. Ricordo ancora le sue parole: “Cinzia, papà adesso ti mette l’olio buono così diventi forte…” Crescendo la mia idea non è cambiata, tutt’altro, si è rafforzata. L’olio, quello buono, quello ricercato, continua ad essere protagonista nella mia cucina. Ovviamente l’olio di quegli anni e degli anni a venire, per me, è solo l’olio ricavato dalle olive. Null’altro a mio gusto personale ha mai retto il confronto.

  • Una curiosità: i sapori e i profumi dell’olio della sua infanzia coincidono con quelli che invece percepisce e apprezza oggi?

I profumi e i sapori dell’infanzia, essendo associati ai ricordi e alle emozioni, sono inimitabili e ineguagliabili. Come diceva l’antropologo Marino Niola – ciascuno di noi ha la sua madeleine, il sapore che gli ricorda la meglio età. Non è solo rimpianto dei sapori d’antan, ma uno stato di grazia da ricreare, una ricerca del tempo perduto. E quando ci riesce proviamo uno stupore infantile, una gioia bambinesca che ci fa socchiudere gli occhi di piacere… è tempo ritrovato. Tuttavia, lasciando da parte la nostalgia e scegliendo con attenzione, oggi si possono trovare ottimi prodotti dai sapori e dai profumi che fanno dell’olio extra vergine di oliva, una tipicità da promuovere e valorizzare per l’alta qualità ricercata da molti paesi al mondo.

  • Cosa apprezza di più di un olio extra vergine di oliva?

La cosa che mi piace di più in un olio extra vergine di oliva, è senza dubbio il suo profumo. Sentendolo non riesco proprio a far a meno di socchiudere gli occhi. Se è buono la mia espressione è di pura beatitudine, mentre se non lo è… bè, lascio a voi immaginare.

  • Quanto sarebbe disposto a spendere per una bottiglia di extra vergine?

Diciamo che, ovviamente senza esagerare, non bado a spese. Se penso che ci sono persone disposte a spendere cifre folli per acquistare un profumo, intendo per il corpo, mi viene spontaneo sorridere. Io non spendo cifre folli, spendo cifre ragionevoli per acquistare un prodotto di qualità che ricerco, oltre che per il buon profumo, anche per il buon gusto. Che ci volete fare… son fatta così!

  • A tal proposito, per lei la bottiglia che frequentemente acquista di quant’è? Da 250, 500, 750 ml o da litro?

Se è buono decisamente un litro, anche perché l’olio extra vergine di oliva per me non è solo un condimento, accompagnato dal pane è soprattutto il mio spuntino preferito.

  • In tutta sincerità, senza alcuna senso di colpa o imbarazzo, qual è il suo condimento preferito tra tutti i grassi alimentari?

Senza dubbio e senza incertezza, e aggiungo con la mano sul cuore, l’olio extra vergine d’oliva! 

  • Basta olio. Veniamo al suo lavoro. A cosa sta lavorando?

Il mio vero lavoro, oltre che la mia passione e ormai la mia vita, è quello di raccontare ciò che la terra, attraverso l’esperienza delle persone che la lavorano e che la rispettano, permette di produrre. Il risultato di questa espressione è rappresentata dalle molte tipicità che fanno l’Italia un grande paese conosciuto nel mondo. La missione, mia, e quella tutti i veri italiani, è promuovere tutto questo.

 

Seguici

Vuoi avere tutti i post via mail?.

Aggiungi la tua mail: