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Pane al pane, vino al vino… Assaggi in Tenuta Quvestra

Pane al pane, vino al vino… tanto per dire che non ho alcun dubbio sul pane e sul vino che ho assaggiato alla Tenuta Quvestra. Un’azienda agricola di circa dodici ettari situata a Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia. La mano di Miriam e Simone – giovani gestori e sommelier – nella preparazione del pane, e la saggia guida enologica del caro amico Mario Maffi – memoria storica ed enologica dell’Oltrepò Pavese – mi hanno portato a pensare ancora una volta a quanto sia bello tornare in questa terra.

La verità è che lontano dalle vigne e dagli amici non so stare…

Già… soprattutto quando si tratta di rivivere nella quiete paesaggi collinari ricoperti da vigneti. Ritrovarsi con gli amici davanti a un bicchiere di buon vino, poi, rende questi momenti unici e speciali. È stato così anche questa volta, durante la visita a questa realtà vitivinicola situata nel cuore della Valle Versa, dove la vite è coltivata nel rispetto dell’ambiente circostante. Sei i vitigni: Pinot nero, Croatina, Chardonnay, Riesling Renano, Barbera e Merlot.

E come sempre, dopo aver passeggiato in vigna, si va in cantina.

Già… perché l’uva nasce in vigna e il vino in cantina. È qui, in questo luogo ricco di storia e di vita, che si completa sul serio la conoscenza del vino. Il vitigno, il clima e il territorio, sono elementi che il viticoltore con sapienza e maestria consente di far esprimere al meglio, soprattutto in questi anni di evidenti cambiamenti climatici. Un percorso che ancora una volta ho vissuto accompagnata da chi il vino lo produce e lo personalizza.

Come scriveva il grande Mario Soldati…

“Perché, fare sul serio la conoscenza di un vino non significa affatto, come forse si crede, assaggiarne due o tre sorsi, o anche un bicchierotto. Significa innanzi tutto, sulla località precisa e ben delimitata dove si pigia il vino che vogliamo conoscere, procurarsi alcune fondamentali notizie geologiche, geografiche, storiche, socio-economiche. Significa, poi, andare sul posto, e riuscire a farsi condurre esattamente in mezzo a quei vigneti da cui si ricava quel vino. Passeggiarvi, allora, in lungo e in largo. E studiare, intanto, la fisionomia del paesaggio intorno, e la direzione e la qualità del vento; spiare sulla collina l’ora e il progredire dell’ombra; capire la forma delle nuvole e l’architettura delle case coloniche; ancor di più, significa conversare con la persona che presiede alla vinificazione, proprietario, enologo, fattore… Significa passeggiare a lungo anche nelle cantine, sottoterra, o nei capannoni, fra le vasche di cemento: scrutare le connessure delle botti, fiutare l’odore del vino che ancora fermenta, individuare la presenza, talvolta dissimulata, di apparecchi refrigeranti o, peggio, pastorizzanti. Infine assaggiando, in paziente, lenta alternativa, o con frequenti intervalli, paragonare l’uno all’altro i sapori delle annate.Da ‘Vino al vino’

E così si assaggia, con poesia e rispetto, come abitualmente io vivo il vino.

Dopo alcune degustazioni – ma non troppe – mi sono soffermata a discutere con Mario su una mia perplessità inerente alla valutazione dei vini fatte dai degustatori delle guide enologiche. Mi spiego… Mi sono sempre chiesta come sia possibile che le commissioni tecniche d’assaggio possano degustare, e conseguentemente valutare, centinaia di vini – e a volte oltre – senza rischiare una stanchezza sensoriale e una conseguente assuefazione. Ebbene, Mario grazie alla sua lunga esperienza, non ha potuto che confermare questo mio dubbio, garantendomi che dopo l’assaggio di circa una ventina di vini, si può ‘solo’ escludere la presenza di difetti.

Be’, che dire… forse solo che personalmente non amo andare oltre una decina di assaggi. Per certo, durante questa discussione, mi sono dedicata in particolare a un buon Merlot dai profumi intensi e dal color rosso rubino.

Perché il vino (per me) è rosso, e il rosso fatto bene è salute!

A proposito… tornando al pane, oltre che al vino, non vi ho detto che durante le varie degustazioni Simone mi ha fatto assaggiare il ‘suo pane’ a base di croste di parmigiano. Si, avete capito bene! Croste ammorbidite in un liquido di ammollo che viene impiegato per l’impasto del pane. Un’idea nata per recuperare la grande quantità di residuo di forme di formaggio che regolarmente, in occasione degli eventi, avanzavano. Davvero bravo!

Tenuta Quvestra
Wine & Hospitality – www.quvestra.it
Località Case Nuove, 9 – Santa Maria della Versa (Pavia)




Vercesi del Castellazzo… un tuffo diVino nella storia dell’Oltrepò Pavese!

Sono un’appassionata di storia, lo so, l’ho già detto altre volte…  Bè, sono anche appassionata di dimore storiche, e qui direte:  “Hai già detto pure quello!”  E  vi ho detto che adoro le spade? Urca, ora me la sto proprio cercando, visto che ho detto più volte anche questo! Bene, appurato che sono ripetitiva quando mi piace qualcosa (è la verità!), vi dico solo che, sapendo che nell’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo avrei trovato “storia, una dimora gentilizia dell’800, e pure spade antiche”, chi mi fermava dall’andarci!

L’Azienda Agricola Vercesi del Castellazzo è condotta dall’amico Gian Maria Vercesi insieme al fratello Marco a Montù Beccaria (PV). Circa 20 ettari vitati a Croatina, Barbera, Pinot Nero, Ughetta e Cabernet Sauvignon. La loro storia  ha origini lontane. Gian Maria mi ha raccontato che la sua famiglia è proprietaria di questi terreni  fin dal 1600. Fu però il padre nel 1961 a dare impulso all’azienda vinificando le uve fino allora solo coltivate.

Conobbi Gian Maria in occasione di una serata di degustazione che avevo organizzato circa un anno fa in Oltrepò OLYMPUS DIGITAL CAMERAPavese, terra bellissima, che stavo incominciando a scoprire. Perché mai mi chiederete organizzare una serata in un territorio che non conoscevo? Bè, durante i miei “tour Vinosi”, come li chiamo io, sentivo spesso maltrattarla, o meglio, sentivo spesso una certa criticità delle persone del settore verso i loro vini, e soprattutto verso la mancanza di coesione dei produttori nel promuoversi.  In un certo senso non si può dire che le cose non stiano proprio così, ma forse qualcosa sta cambiando. Come dico spesso, andare avanti da soli non porta a nulla. Fare “sistema”, questa è la chiave giusta per aprire la porta che conduce alla reale promozione di un territorio.

Organizzare quella serata mi costò non poca energia, soprattutto per le diffidenze che mi trovai ad affrontare…  Per settimane andai su e giù da Milano a Pavia  per parlare con i produttori, per far capire loro che il mio intento era sincero. Guidata dal caro Mario Maffi  e supportata  dall’Azienda Agricola dei Doria di Montalto che ci hanno accolto, la serata finalmente si svolse.   Ma ci pensate, “una cantina dell’Oltrepò, i Doria di Montalto, che promuoveva altre cantine del territorio”. Quando raccontavo di questo mio progetto molti mi davano dell’illusa sognatrice! Mi dicevano: “Figurati se un produttore accoglie a casa sua altri produttori in un momento così difficile!”   Bene, io ci sono riuscita, forse perché ho la testa dura dei mantovani, o forse più semplicemente perché chi la dura la vince! So solo che in Terra d’Oltrepò, questa cosa è successa…

E ora appena posso,  torno in queste colline a chiacchierare con loro, con gli amici vignaioli conosciuti così…

  • Gian Maria, mi racconti cosa trasmetti del “tuo credo”,  nel tuo vino ?

Cerco di trasmettere la forza del terroir evitando interventi pesanti in cantina, sull’uva, sui mosti, e sui vini che ne derivano. Cerco di toccarli il meno possibile proprio per mantenere tutto il loro patrimonio derivante dalla terra su cui vivono.

  • Non è un momento facile per nessun settore produttivo Italiano. Da esperto del territorio quale sei, mi puoi dire come si sta vivendo la viticoltura in Oltrepò Pavese? Ma soprattutto, quali sono le maggiori difficoltà attuali di voi viticoltori?

Le difficoltà sono quelle di sempre, purtroppo. Scarso rapporto tra colleghi ma, soprattutto, la quantità di vino di qualità che scompare in rapporto all’altro vino, quello taroccato, mistificato, violentato per farne un prodotto da prezzo che invade gli scaffali della grande distribuzione e che comunica al mercato quel tipo di qualità. Da qui ha origine il detto che il vino dell’Oltrepò Pavese è mediocre.  Altro problema  è che “non c’è mai tempo” e molto, tocca delegarlo agli altri…

  • Come produttore hai consigli  o suggerimenti da dare ai giornalisti e ai blogger  sulla comunicazione del mondo del vino?

Solo un consiglio: non fermarsi alle apparenze (dell’Oltrepò), approfondire senza farsi influenzare dalle mode. Ricercare, scoprire…

  • Per far capire a chi legge come ti ho conosciuto, ho raccontando della serata di degustazione che organizzai ormai un anno fa. Ho menzionato alcune parole come “diffidenza” o  come “fare sistema”.   La volontà di un cambiamento è forte in molti. Ne è testimonianza la libera Associazione di Produttori “InOtre” di cui sei membro e promotore. Me ne vuoi parlare?

InOLTRE è nata nel 2002, partendo dall’idea di partecipare al Vinitaly con un folto gruppo che non si appoggiasse alle solite collettive istituzionali.

Siamo una decina di produttori con un  duplice fine: “Primo, partecipare a fiere ed eventi per far conoscere un cospicuo numero di etichette di qualità, e fare economie di scala. Secondo, quello di degustarci, e degustare gli altri.

Abbiamo avuto alti e bassi legati spesso al tempo disponibile. Ora, però, stiamo ripartendo con eventi e degustazioni.  Ne abbiamo una in cantiere di una grande annata passata  interpretata da noi dieci, ed un’altra un po’ più complicata, che è ancora in embrione.

A Pavia i nostri vini sono in vendita in esclusiva nel Borgo, in una vineria che si chiama InOLTRE, e nel bar dell’area di servizio VEGA di Stradella. Inoltre forniamo il vino dell’Oltrepò, anche ad una bottega gastronomica  vetrina delle piccole produzioni del territorio, il GOODURIA, nella centralissima piazza Duomo di Voghera.  Per intenderci, InOLTRE 80%, resto d’Italia 20%.

Noi crediamo molto nella divulgazione dei nostri marchi sul territorio provinciale, e questa  è cosa molto più realizzabile quando si lavora in squadra…




“Due chiacchiere con… Daniele Manini”

Daniele Manini, agronomo della storica Azienda vitivinicola Doria a Montalto Pavese. Ama definirsi come colui che segue per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina.  Appassionato promotore del recupero dei vitigni storici e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.

Un onore e un piacere conoscerlo…

  •  Chi è Daniele Manini?

Un uomo che vive la vita nella ricerca della serenità e dell’equilibrio con la natura, che trova nella manipolazione della materia uva, energia ed appagamento, con la speranza di emozionare chi degusta l’arte effimera di produrre vino.

  • Daniele, cosa ti ha spinto a scegliere la facoltà agraria?

Il caso…  Dopo un sensazionale periodo nei corsi regolari dell’Aeronautica Militare di Pozzuoli ed in particolare nel magnifico  “Corso Falco IV”, mi sono trovato a riprogrammare la mia vita.  Ha scelto il mio istinto sostenuto dall’esperienza pregressa, e l’amore incondizionato per la natura tutta… In definitiva un modo diverso di mettere a servizio la propria esistenza.

  • Ti definisci Maestro di Cantina. Puoi spiegarmi meglio le differenze di questo ruolo rispetto alle figure tradizionali?

La completezza del ruolo. L’enologo inteso in maniera tradizionale conosce il vino ma non in profondità la cantina e la vigna, non si interessa di accoglienza, marketing e gestione aziendale.

Non esiste una figura professionale adeguata per il cantiniere che benché spesso esperto manipolatore di alimenti,  non trova collocazione adeguata nel mondo professionale se non come operaio agricolo.

Per legge quindi chiunque può fare il cantiniere anche se praticamente nessuno si può permettere di avere in cantina personale non qualificato. L’agronomo propriamente detto, vede il terroir e la vigna ma nella sostanza nessuna esperienza a valle, spesso a partire dal significato enologico di uva.

Non esiste altra figura se non il “Maestro di Cantina” insieme alla proprietà, nell’assumere il ruolo di “promotore e comunicatore”.  Accoglie l’enoturista quasi fosse lo sportello unico in luoghi dove gli assessorati al turismo e all’ambiente non hanno presidi.

Per la parte economico-gestionale è la figura di riferimento per la sicurezza sul lavoro, l’Haccp, la Iso 9000, il controllo di processo e il controllo analitico.  Analizza e gestisce i flussi dei costi in entrata e della gestione  dei prodotti in uscita, quasi come garante della qualità aziendale sia in capo al prodotto che alla gestione. Questo vale per le aziende di piccole e medie dimensioni. Non è un caso che spesso siano i proprietari conduttori ad assolvere più ruoli contemporaneamente,  a causa del fatto che non esiste una figura professionale siffatta in Italia.

  • La tua terra d’origine è Viterbo. Come sei arrivato in Oltrepò Pavese?  Puoi descrivere la tua esperienza maturata in questo territorio nel corso degli anni vissuti qui?

Sono arrivato nel 1998 appunto per calibrare la ISO 9000.  Tramite lo strumento Iso appropriato ho riprogrammato l’azienda per i tempi a venire e per il lungo periodo. Mi sono trovato poi ad assumermi la responsabilità della direzione della cantina, ed a costruirmi, quasi come prototipo, la funzione complessa ed appagante del “ Maestro di cantina”.

Questo territorio per lunghi anni è stato un soggetto ignoto perché tutta la mia energia era calata a sostenere l’attività aziendale e l’acquisizione di professionalità. Chiuso nel mio mondo, cercando la strada migliore per l’azienda Doria e per me, quasi una lunga gravidanza enologica.

  • Sei fautore del recupero, ove possibile, della tradizione storica della viticoltura. Ne è esempio l’utilizzo delle botti di castagno italiano. Come valuti i risultati di questa tua esperienza?

Interessanti e necessari…  la considero archeoenologia o meglio enoarcheologia. Sono fermamente convinto che se non si mette in evidenza il passato e non lo si mette in chiaro (nessuna scuola enologica ha corsi specifici a tal riguardo) non si può parlare di tradizione enologica italiana.

Le nuove leve come possono avere la percezione di cosa sia il vino, inteso come patrimonio culturale ed essenza della cultura enogastronomica italiana, se trovano solo tecniche e tecnicismi nei corsi di enologia. E’ come se un artista non studiasse Storia dell’Arte.  Il vino è Arte… non sono in grado di vederlo come prodotto tecnologico o bevanda.

  • Faccio spesso questa domanda e vorrei anche un tuo parere. In Italia ci sono molti piccoli produttori.  Mi capita spesso di sentire gli esperti del settore sostenere che queste piccole realtà, non riuscendo per lo più a sostenere le spese della tecnologia, non possano fare vini di qualità. Cosa ne pensi?

Michelangelo aveva solo uno scalpello ed un martello…  La Conoscenza è sinonimo di qualità ed è sempre perfettibile finché vita non ci separi dalla nostra passione: il vino.

  • E’ un momento difficile per la viticoltura. Se ti trovassi faccia a faccia con il ministro delle politiche agricole, che misure chiederesti a suo sostegno nell’immediato?

Rispetto. Vorrei riconosciuto il ruolo di Tutore dell’ambiente poiché il sistema ambiente italiano è fragile, e da sempre tutelato da chi con dedizione quotidiana fa manutenzione del meraviglioso paesaggio italiano.

Vorrei che il produttore del vino, quello vero che non ha mai udienza nei salotti romani, quello che sta tutti i giorni sul territorio e che da solo gestisce tutta la filiera vite-uva-vino assumendosi tutti i rischi, “generatore” di ricchezza per il Sistema Paese, e che per questo suo magnifico lavoro di gestione abbia quell’IVA agevolata che D’Alema ci ha tolto dimentico del ruolo sociale ed ambientale, che i padri fondatori della Repubblica Italiana avevano attribuito alle classi agricole, spesso derubricate a zappaterra dalla classe arricchita spesso ex-agricola italiana.

  • Ad un giovane che vuole investire la propria energia e passione in questo settore, sia come produttore che come tecnico, cosa consiglieresti per iniziare?

Valutare bene le personali risorse, intendo quelle energetiche, e tante ne servono… Ascoltare con severità e criticità ma sempre con umiltà chi ha più esperienza, porsi sempre “in continua formazione” rispetto al vino ed ai suoi contorni.

Deve vivere con la consapevolezza di essere spesso incompreso da un mondo che gira intorno al vino e che vive in un brodo fatto di realtà vere e false, esperienze vere e presunte, conoscenze e spesso credenze, e molte bugie che creano una miscellanea di umori, e quindi, che avrebbe bisogno di un super psicopatologo.

Nel caso in cui decidesse di affrontarle tutte insieme, che viva con serena alterità la sua personalissima esperienza enoica…

“Il caro Daniele… Ricordo quando una sera, a cena insieme a Montalto Pavese, lo vidi prendere in braccio la sua bella bambina. La alzò in alto e mi disse: “Vedi Cinzia, io voglio che lei cresca imparando ad emozionarsi…”. Mi commuovo ancora quando il pensiero va a quell’immagine…  Se questa mia avventura servisse anche solo a conoscere persone così, io so per certo che la mia strada è giusta, perchè come dico io,  ci sono tanti modi di arricchirsi, e questo per me, è il  migliore…”

 



I… “Doria di Montalto”!

 I Doria di Montalto… non so, ma detto così mi sembra quasi di raccontare  la storia di una famiglia medioevale… di castelli, di sfide e di duelli!

E qui scatta la molla… Si, perché dovete sapere che amo molto la storia, e in particolare amo tutto ciò che ha un vissuto da raccontare.  Quando nel mio girovagare vedo anticaglie è come se fossi calamitata, e se qualcuno è con me sente dirmi: “Aspetta un attimo che devo guardare…”  Non per niente in casa mi circondo di libri antichi, candelabri, leggii, spade, sciabole e coltelli. Quando poi entro nelle dimore storiche la faccenda si fa davvero seria. E’ come se vivessi un dejà vu , come se tornassi a casa…  So solo che un giorno entrando dai Doria di Montalto quell’atmosfera mi avvolse…

Dovete sapere che l’Azienda vitivinicola Doria ha iniziato la sua attività nel 1800.  Pietro Doria, telegrafista durante la seconda guerra mondiale e sopravvissuto allo sterminio della Divisione Acqui a Cefalonia, una volta tornato dalla prigionia diede nuovo impulso all’attività. Gli fecero seguito fino al 1996, i figli Bruno e Adriano.  Dopodiché le redini passarono in mano ad Andrea e Davide,  guidati dalla madre Giuseppina Sassella Doria.

Decisi di fissare un incontro per una visita. Ero in ritardo come al solito… Nonostante i miei sforzi non riesco mai ad essere puntuale! Lungo il percosro i paesaggi catturarono in particolar modo la mia attenzione, tanto da fermarmi e scendere dall’auto per gustarmi appieno tanta bellezza.

Come diceva Luigi Veronelli in un articolo del Corriere del 2003: “È un territorio che va scoperto lentamente, e non solo per la vocazione enologica…”

All’ingresso mi venne incontro il caro Daniele Manini, agronomo dell’azienda, con cui passai un  intero pomeriggio a parlare. Il pensiero mi diverte ancora, perché Mario Maffi enologo ben conosciuto in Oltrepò Pavese, mi aveva preannunciato che fra noi due sarebbe stata una bella lotta… Si, lotta a chi parlava di più! Ebbene lo chiamai a fine serata, avevo vinto io!

Dovete sapere che Daniele si era avviato alla carriera di pilota in aereonautica. Fu un problema alla vista che lo fermò, e che lo costrinse a rimettere in discussione la sua vita. Fu allora che si orientò verso la facoltà di Agraria di Viterbo, che lo portò di li a breve ad iniziare la sua felice collaborazione con la famiglia Doria. Lui è gran fautore del recupero dei vitigni storici  e delle tecniche di cantina da ricercare nella storia e nelle tradizioni del territorio.  Inoltre si definisce come la figura che segue, per citare le sue stesse parole,  “la filiera vite-uva-vino”,  il Maestro di Cantina. Ed è proprio questo suo pensiero che l’ha portato a dare continuità alla tradizione della Cantina Doria. Con lui si è realizzato il Barbera “storico” elevato in botti di castagno italiano.  E questa sua sperimentazione ha portato una famosa “tonnellerie francese” ad interessarsi, tanto da affidare ad alcuni docenti la valutazione dei risultati che otterrà.

Io guardo le mie colline e ne sorseggio sovente il vino per non dubitare dei miei maestri… Guardo ogni volta commosso le colline pavesi, che sono il mio dolce orizzonte di pampini. La terra padana si ondula come un immenso mare sfrangiato in profili per me familiari fin dall’infanzia. Le onde sono di intenso verde, e via via si fanno violette azzurre celesti fino a confondersi appunto, con il cielo…

Giovanni Luigi Brera, il Gioânn, nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po (Pv)




Lino Maga, il vignaiolo poeta

Recentemente mi è stato chiesto che personaggio mi piacerebbe incontrare. Ce ne sono tanti, ma in particolare vorrei conoscere un vignaiolo, Lino Maga, il papà del Barbacarlo, vino rosso prodotto sulle colline nei pressi di Broni, nell’Oltrepò Pavese.

Un uomo che vive nella pace, nei silenzi, e nei ricordi degli amici che non ci sono più, un uomo che potrei ascoltare per ore. Ebbene l’ho incontrato, l’ho ascoltato, e mi ha ascoltata…

Lo chiamai un giorno in cui ero quasi bisognosa di un conforto, si era frantumato un sogno. Al telefono lui capì subito, ascoltò brevemente il mio sfogo e mi disse: “Cinzia, è una battaglia dura, mai fermarsi… le cose vanno dette”.  E così feci, e così farò…

Prendemmo accordi per incontrarci una domenica pomeriggio da li a breve. Ho vissuto l’attesa dei giorni che mi separavano dalla sua conoscenza con trepidante emozione… avrei incontrato una leggenda, una memoria storica.

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Al mio arrivo vidi una semplice insegna che mi ricordava le botteghe dei tempi passati. A fianco un portone aperto mi spinse timidamente ad entrare in un cortile. I miei occhi si spalancarono, lo scenario sembrava quasi la rappresentazione di una fotografia degli anni ’50. Vecchi attrezzi, anticaglie, tralci secolari di vite appesi, e ad un tratto lui. Mi venne incontro quasi conoscendomi.

E’ ormai risaputo che adoro tutto ciò che ha una storia, e forse per quello, nonostante Lino mi invitasse ad entrare, ero trattenuta da quell’atmosfera. Cercavo di capire ciò che vedevo, come quell’insegna che riportava la scritta “Cameliomagus”. Lino mi spiegò che era l’antico nome di Broni, località dell’Oltrepò Pavese. Ci perdemmo in chiacchiere per una mezz’oretta, poi, soddisfatta dalle risposte che avevo ricevuto, accettai di entrare.

Ero praticamente circondata dalla storia. Dovunque c’erano i suoi scritti, ma non su tele o pergamene, semplicemente su fogli che appoggiava qua e la, tra libri e bottiglie, come pensieri sparsi.  

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Incominciai a leggerli… amo la poesia degli uomini semplici. Vedendomi così attratta mi disse: “Cinzia, io non sono un poeta”.  Io dico di si, lui lo è! 

Ne ebbi la conferma quando, visto il mio interesse, aprì un vecchio mobile e prese un suo scritto del 2011, “Il Vignaiolo”. Vicini in quell’atmosfera sognante me lo lesse. Sfacciatamente gliene chiesi una copia. Mi guardò perplesso, io sorrisi, e dovette arrendersi. L’ho in mano ora mentre scrivo…

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Passammo poi nel salone della rivendita. Un grande tavolo di legno, un lampadario antico in ferro battuto, vecchie foto, e dovunque scritti di poesie… io guardavo, leggevo e chiedevo. Faticò molto a farmi sedere. Prese una bottiglia, del pane, due fette di salame, e incominciammo a raccontarci. Ero così felice ed emozionata che ad un tratto mi commossi.

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Mi raccontò delle sue battaglie, delle sue sconfitte, e delle sue rivalse. Mi riconosco molto in lui, battagliera sempre, a volte ferita, ma orgogliosamente decisa ad andare avanti per la mia strada…  Mi disse: “Cinzia, mai fermarsi, mai arrendersi !”

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Mi descrisse le lotte nei lunghi anni in tribunale, ben ventidue, tra carte bollate e avvocati per garantirsi il diritto dell’esclusività del nome del suo vino.

Dal 1983 infatti, il vino prodotto sulla Val Porrei, la collina del Barbacarlo il cui nome è depositato nella mappa catastale del comune di Broni, è ad uso esclusivo di Lino Maga. Su questa collina dal terreno tufoso ed impervio, crescono i vitigni di Croatina, Uva Rara e Vespolina (chiamata anche Ughetta). Le lavorazioni manuali e l’assenza di diserbanti e prodotti chimici, garantiscono la naturalità del prodotto.

La mia visita continuò nelle cantine poco distanti. Fui piacevolmente accolta dal figlio Giuseppe, schietto e simpatico come Lino. Ma la vera sorpresa fu, che non solo lui mi accolse! Ero circondata da mucche, cavalli, un asino, oche del Campidoglio, cani da caccia, galline… insomma, una vera fattoria! Mi misi a fotografare qui e la tentando di correre dietro a un coniglio, visto che per una volta ero senza tacchi! Dovetti arrendermi… la corsa la vinse lui!

Passammo insieme un intero pomeriggio di emozioni, di ricordi, di poesia, di natura… un pomeriggio diVino!

Il mio vino non segue le regole del mercato ma quelle del tempo e dell’esperienza, è succo d’uva della terra, del luogo che lo ha partorito,  per la gente che ama ancora il sapore della terra…

Lino Maga


                               

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