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Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste!

Edoardo Ferrera, un cuoco aspirante oste che ho conosciuto a Imperia, in una giornata di prima estate in cui splendeva il sole. Dopo giorni vissuti nella quiete di Apricale – borgo medievale tra i più belli d’Italia situato nell’entroterra di Bordighera – avevo bisogno del mare, dei suoi colori e della sua gente. 

Un incontro con un cuoco viaggiatore che ha appreso l’arte della cucina dalla nonna Tecla, nella vecchia osteria di famiglia situata in un angiporto, uno dei tanti vicoli nel centro storico di Genova. Col passar del tempo, le frequentazioni della gente del porto, lo hanno portato ad imbarcarsi come marinaio della Marina Militare italiana sulla nave scuola Amerigo Vespucci.

Era il 1984. La passione per la cucina non tardò a farsi sentire.

Dopo le tante esperienze – non solo culinarie – fatte in giro per il mondo (Edoardo è anche un batterista di rock blues), è tornato nella sua Liguria, dove gestisce il ristorante ‘Il Refettorio Cenacolo del tempo sospeso”. Un luogo in cui celebrare il gusto dimenticandosi del tempo. 

Edoardo, un uomo gentile e ospitale, ma schietto e di carattere.  A lui la parola.

  • Cuoco e aspirante oste, partiamo da qui. Raccontami di questo tuo percorso. A che punto sei arrivato?

Arrivato? Cara Cinzia, se mai partito! È un percorso metamorfico credo naturale, per chi come me di Mestiere di Bottega vive. Un cuoco ha una visione perimetrale al governo del fuoco e dello spazio dove ripone il suo fare, l’oste invece deve avere una visione periferica e più completa. Questo mi affascina e mi fa vivere il mio Spazio con visione e modus operandi diverso. Mi dà l’obbligo che una Bottega impone… Presenza, costanza, gestionalità integrata all’economia domestica, fino ad amministrarne accoglienza e promozione globale del proprio fare.

  • Insisto spesso affinché il racconto del piatto sia fatto a dovere. Una presentazione che va oltre al semplice nome. Conoscere l’origine delle materie prime, il legame con i territori e le alleanze che si creano con i produttori, fa la vera differenza. Un modo per fare cultura del cibo. È per questo motivo che ora ti chiederò di raccontarmi un piatto che ho apprezzato particolarmente: le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate. Una preparazione conosciuta dai più, che impone ricerca e ingredienti di qualità. 

Le Trenette al Pesto con Fagiolini e Patate per noi genovesi è un fattore cromosomico, un rigoroso rito da osservare almeno una volta alla settimana. Il Pesto è in qualche modo  GENOVA, rappresentandone in maniera iconografica semplice la sua Superba magnificenza. Genova, “superba per gli uomini e per le mura”, come la definì il Petrarca, è lo splendido capoluogo dell’assolata Liguria. Sai Cinzia, si potrebbe camminare all’infinito nel suo centro storico tra gli incantevoli “caruggi”, gli stretti vicoli fiancheggiati da case altissime, senza mai stancarsi. Ogni muro, ogni casa, viuzza e palazzo, ogni villa, parco e fortificazione, conserva intatto il fascino dell’antica Repubblica marinara genovese. “Città d’arme e di commerci”, le sue bellezze artistiche sono conservate all’interno dei palazzi nobiliari detti rolli, e nei molti musei cittadini. Genova appunto, capitale del “pesto” e del buon cibo, come potrei tralasciarne traccia nei miei menù? Da sempre e per sempre ci saranno!

Edoardo Ferrera: “Trenetta, pesto, fagiolini e patate. Concepita a Lucera per essere accompagnata con il vero Pesto alla Genovese. Prodotta da due varietà di grano con caratteristiche diverse e complementari, il Saragolla e l’Hathor, sperimentate a lungo in azienda e coltivate in agricoltura biologica. Il Saragolla ha proteine e glutine e dà alla pasta corpo e sapore; l’Hathor è un incrocio tra Korasan e Senatore Cappelli e ha un profumo molto intenso.”

  • Giornalismo enogastronomico. A volte garbato e a volte impertinente. A volte persino saccente. Qual è la tua esperienza a proposito?

Esistono “regole del gioco”, le devi conoscere, tutto qui.  A volte incontri penne garbate dall’animo gentile, a volte penne che stanno per finire l’inchiostro, e che pertanto cercano in qualche modo di lasciare il loro segno… Ma anche questo fa parte del gioco delle parti, nessuno ti obbliga a farne parte.

  • Filippo, tuo figlio, e la sua passione per le ostriche. Un giovane attivamente coinvolto nella brigata di cucina del tuo locale. Mi spieghi com’è nato in lui l’interesse per questo mollusco? E, vista la sua conoscenza, quali i consigli per l’assaggio in sicurezza?

Nasce dalla dote innata che Filippo ha… l’essere curioso. Dote per altro fondamentale del nostro mestiere, che ti permette di andare sempre e comunque alla ricerca anche dell’ovvio. Grazie all’amico romano Corrado Tenace – che oltre ad essere un grande selezionatore è un profondo conoscitore dell’Ostricoltura – Filippo, letteralmente preso per mano, ha potuto conoscere sul campo questa pratica. Un mondo fatto di genti di Terra, Mare, Fiumi e Lagune. Oggi è lui stesso che ha firmato la nostra carta delle ostriche ricercando con grande sensibilità cognitiva tutte le nostre proposte, creando un percorso davvero intenso e prezioso.

L’assaggio in sicurezza…?! Credo che si debba sempre saper valutare il professionista che si ha di fronte. L’ostrica, come tutto il pesce crudo, a livello di sicurezza alimentare è cosa delicata, pertanto, già il locale stesso (pulizia e ordine) danno segnali importanti su come possano essere mantenute.

Edoardo Ferrera: “Una personale interpretazione di uno dei primi piatti di quella Italia Verace che amo: la Puttanesca alla romana. Volendo giocare con le materie prime abbiamo anteposto alle uova e farina, una verace seppia lavorata e trafilata come una tagliatella. Il rimando organolettico viene poi dato da un’infusione di pomodoro cotto sottovuoto con colatura di alici e capperi per trentasei ore, è servito alla brocca al commensale. L’effetto a mio giudizio è coinvolgente ed al contempo sensuale.”

  • Negli anni scorsi ho avuto modo di conoscere Wainer Molteni e di scriverne a proposito del suo libro: “Io sono nessuno – Storia di un clochard alla riscossa”. Un racconto a cui ti sei ispirato e che ti ha permesso di realizzare un menù: “A Pane e Acqua”. Un’idea nata con lo scopo di aiutare il Centro Ascolto Caritas di Imperia, e i senzatetto che sostiene. Me ne vuoi parlare?

Wainer è una persona speciale, la sua storia mi ha colpito parecchio. Il suo libro – “Io sono nessuno” – me ne ha ribadito il suo essere persona vera, genuina e profonda.

Così nasce il progetto “A pane e Acqua”, una degustazione scritta da ciò che semplicemente ho visto per strada; ciò che gli invisibili raccolgono e pescano dal nostro scarto. Come ben sai, però, queste operazioni di chiarity viaggiano sul sottile confine tra il filantropismo e il divenire portatori sani d’italico paraculismo.  È per questo motivo che proponiamo il menu solo a quei tavoli che in qualche modo sono anch’essi “invisibili”. Quelli con cui nasce un contatto al tavolo, una garbata e temporale confidenza. Tavoli che scelgo solo io. Pensi che forse è un salire in cattedra troppo arrogante? Può essere, ma sono o non sono lo Chef!

  • Dopo aver letto il tuo pellegrinare per il mondo (a dire la verità un po’ ti invidio), mi chiedo se il tuo sbarco a Imperia sarà duraturo…

Sono un Marinaio nell’animo, è vero. Per natura la mia prua non chiede mai sosta alla banchina guardando terra, ma solo sempre verso il mare aperto. Tanto per dire che il mio motto è: “La meta è la Partenza”. In questo caso però è diverso. C’è un progetto chiamato Filippo Ferrera, c’è una nuova rotta da tracciare. Non chiedermi però di darti tempi. In questo momento qui al Cenacolo di Oneglia il Tempo l’ho Sospeso! In futuro chissà… finché c’è da fare io non mi annoio mai.

Cinzia, voglio salutarti con un vecchio proverbio milanese che il buon Gualtiero citava spesso: “Quand l’ost l’è su la porta, el gh’ha de fa nient in cà.” 

Edoardo Ferrera: “Un piatto che è nato pensando a Montale e la sua Raccolta Ossi di Seppia. Ardesia, Sassi di Battigia fanno da anfiteatro e contenitore per il nostro Polpo, a cui vengono estratti i succhi naturali, e poi ristrettì in gelatina albuminica naturale ricavata da lische di Nasello. Il piatto è molto semplice, perché accompagnato con patate e fagiolini all’olio extra vergine d’oliva Taggiasca 190 del Frantoio Sant’Agata e dei fiocchi di Sale affumicato.”

“Il Refettorio Cenacolo del Tempo Sospeso”  Via Des Geneys, 34 – Imperia  www.ilrefettorio.it

 




Storie di ristorazione familiare… perché l’unione fa la forza, anche nel gusto.

Papà Vittorio e mamma Silvana, con Alex, Valentino e Ilaria: Gusto Tondo

Come dico spesso, il passaparola delle persone di fiducia nella scelta della ristorazione e delle produzioni, rappresenta la mia guida più importante. Consigli utili che mi guidano, e che mi portano a visitare belle realtà artigianali. E’ questa l’Italia vera, quella artigiana, il cuore del nostro paese. L’Italia del cibo e del vino, fatta di famiglie, di uomini e di donne, di territori e dell’arte del fare e di comunicare.

È con questi pensieri che, seguendo il consiglio di un amico, sono arrivata a “Gusto Tondo”, una stuFamiglia Ranuiozzicheria italiana situata a Cermenate, in provincia di Como. Un’intera famiglia  impegnata nella gestione di un luogo di ristoro, che mi ha permesso di prendere la palla al balzo, o meglio una pizza, per scrivere di ristorazione familiare. Sono tante le belle storie di famiglia legate al gusto. Energie e passioni che unendo le forze fanno quadrato. Fare ristorazione richiede impegno ed orari che spesso non favoriscono l’armonia familiare. La cosa saggia, ove possibile, è lavorare insieme, unendo la passione per la cucina al calore del focolare domestico.

Quella di Gusto Tondo è una storia che nasce in Calabria con papà Vittorio occupato per ben quarantanove anni nel suo bar a Sant’Agata di Esaro, in provincia di Cosenza, e mamma Silvana in un ritrovo per i giovani del luogo. Dopo gli studi dei figli nel settore linguistico-alberghiero, la decisione di trasferirsi in Lombardia è stata una scelta d’obbligo. Lavorare per lo più nella stagione estiva non era sufficiente.

E’ così che sono arrivati a Cermenate, e, dopo alcune esperienze lavorative, insieme si sono uniti in un progetto di ristorazione alla portata di tutti, ma di qualità. Pizze, taglieri, stuzzicherie e panini fatti da loro, in un ambiente giovane e accogliente in cui le tracce della storia dei protagonisti è ben visibile. Entrando nel locale mi hanno colpito alcune coperture fatte con piccole sezioni di tronchi di faggio e ontano, incollate ad una ad una da papà Vittorio. Una vecchia radio e alcuni oggetti qui e la, mi hanno dato la sensazione della loro voglia di ricominciare, senza perdere però, le tracce della loro storia.

Pizza Bella di mammaUn venerdì sera passato chiacchierando a tavola sulle scelte relative ai prodotti che intendono usare in cucina. Una ristorazione concepita come collegamento tra consumatori ed aziende agricole, precedentemente visitate e verificate da loro. Offrire materie prime italiane di qualità, dando nel contempo ai clienti la possibilità di acquistarle. Generazioni diverse che uniscono la tradizione e l’artigianalità del mondo del gusto che ha voglia di semplicità e di ritorno alla tradizione.

A proposito… mentre parlavamo, mi hanno preparato una pizza fatta con una buona farina e ottimi ingredienti. “Bella di mamma”, da un’idea di mamma Silvana: pomodori San Marzano, cipolla stufata, salsiccia al finocchietto selvatico, e, dopo cottura, scaglie di Pecorino di Pienza (Siena). In abbinamento ho scelto un Licurgo Sangiovese DOC Riserva Montecucco dell’Azienda Agricola Perazzeta di Montenero d’Orcia (Grosseto).

Una bella serata di gusto passata in famiglia…

Gusto Tondo Famiglia Ranuio – Info 328 7882554
Twitter @gusto_tondo – Instagram @GUSTO_TONDO

Via Alcide De Gasperi, 29
Cermenate (CO)




Oggi mando in cucina il cuoco… vi presento Lukasz, un cameriere!

Oggi voglio parlare di camerieri di sala, si, di quelle persone che al ristorante fanno la differenza. Ci accolgono, spesso ci intrattengono, e ci servono raccontandoci piatti, cibi e bevande. Sono pronti alle nostre richieste, e per lo più preparati alle nostre domande. Figure professionali di cui ritengo si parli troppo poco.

Qualche giorno fa mi sono sentita dire: “Cinzia, il cameriere di una volta non c’è più.” Secondo me è vero in parte; ci sono camerieri preparati e a volte improvvisati. Saper servire un piatto o una bevanda, con garbo e con la giusta presentazione, aggiunge qualità al locale e piacere all’ospite. Comunque sia, oggi inizierò a parlarvi di questo professionista iniziando da lui, si, da Lukasz Komperda, un cameriere diLukas sala che ho avuto modo di conoscere durante una cena all’Osteria del Pomiroeu di Seregno, in provincia di Monza e Brianza.

Sono certa che alcuni di voi penseranno ad una scelta più che scontata: parlare di un cameriere di un locale stellato da la certezza di non sbagliare. Non è proprio così. Io scrivo di gente impegnata, che, attraverso la conoscenza, mi permette di imparare e di approfondire tematiche che ritengo utile condividere.

Per certo vi racconterò di un giovane uomo che ha catturato la mia attenzione per la cortesia, per i modi, e per la preparazione. Un giovane come tanti che a sedici anni, durante le vacanze estive, ha iniziato a lavorare in una pizzeria sul Lago di Viverone, in Piemonte. Un autodidatta che conclusi gli studi scientifici, per anni ha svolto la sua attività nell’ambito dei catering formandosi grazie all’impegno e al tanto lavoro. Questa è la prova e la dimostrazione che la voglia di imparare parte soprattutto da noi.

Ho incontrato Lukasz qualche giorno fa, per conoscerlo meglio e per capire le difficoltà della sua professione.

Lukasz, sei nato in Polonia nel 1986 ma in giovane età ti sei trasferito con la tua famiglia a Ivrea, in Piemonte. Dopo aver concluso il liceo scientifico e aver fatto le prime esperienze nella pizzeria di cui mi parlavi, un incontro fortuito con un ospite durante una cena, ti ha fatto approdare al catering iniziando così la tua avventura nella ristorazione. Continua tu…

Cinzia, come già ti ho raccontato, ho visto l’incontro con questa persona quasi come un segno del destino. Nella vita difficilmente si trova subito il percorso professionale che realmente si vuole intraprendere, o meglio, quel desiderio di trovare gli spazi, le situazioni, le emozioni che fanno sì che la giornata sia soddisfacente. Vivere la ristorazione significa essere immerso a 360 gradi nel lavoro. Per questo motivo quello che si fa deve essere appagante per l’animo. In caso contrario diventerà controproducente per se stessi e per le persone che ci circondano.

Nel 2010, dopo varie esperienze nei catering e nei ristoranti di Torino e dintorni, sono approdato a Seregno, dallo chef Giancarlo Morelli. Una vera svolta per la mia vita, perché da quel momento mi si è aperta una finestra su ciò che vuol dire sul serio la conoscenza enogastronomica, e non solo. Sono partito dall’acquisizione di nozioni sulla materia prima, per poi passare alle tecniche di cucina, alle modalità di servizio, e all’abbinamento dei sapori di un piatto.

Insomma, sono passato dall’essere un semplice portapiatti ad un vero cameriere. Già, cameriere… quella figura che da anni vive nell’ombra. Sono tempi in cui l’attenzione è concentrata sullo chef e sulla cucina. Purtroppo ci si dimentica che ogni ristorante è quello che è grazie ad una squadra. Servono gli attaccanti… ma si deve avere anche un buon portiere per vincere le partite.

Ti scrivo alcune affermazioni che hai fatto durante la nostra chiacchierata. Me le approfondisci?

  • “Il cameriere di una volta non c’è più.”

Il cameriere di oggi che lavora nei ristoranti stellati o meno, deve sapersi reinventare. Deve ampliare a tutto tondo le sue conoscenze se vuole fare strada. È un mestiere dove non ci si può improvvisare…

  • “Un mestiere in cui devi prima raschiare il fondo.”

Bisogna partire dal fondo per apprendere le basi, imparando da chi da anni fa questo lavoro. Insomma, per spiegarlo con una metafora: le case si costruiscono dalle fondamenta e non dal tetto. Ogni esperienza, anche se negativa, aiuta a formare le persone, se queste ultime sanno mettere nel proprio bagaglio la luce anche dove c’è ombra.

  • “L’Alma, la scuola internazionale di cucina italiana, prepara alla professione ma non forma realmente gli studenti alla vera vita professionale.”

Ritengo che intraprendere la carriera partendo dal frequentare luoghi come l’ALMA, la scuola Internazionale di Cucina Italiana di Colorno, sia sbagliato, in quanto è una teoria che si allontana troppo dalla pratica.

  • “Nel Canavese la ristorazione è morta.”

Io provengo da una zona del Piemonte, il Canavese, dove non ci sono segnali di crescita, una linea piatta che si ripercuote anche sulla ristorazione.

Concludo con una domanda. Col senno di poi rifaresti il percorso che hai fatto per diventare cameriere di sala?

Dopo questo breve approfondimento posso dirti con assoluta certezza che rifarei tutto il percorso svolto fino ad ora. Oltre a formarti nel lavoro, la figura del cameriere secondo me ti aiuta a farlo anche al di fuori.  Stando così a stretto contatto con persone di tutte le estrazioni sociali, ti aiuta a comprendere meglio la realtà che ti circonda, perché con questo lavoro si conosce l’arcobaleno della società.

 

Foto in testata presa dal web




Nadia Moscardi, ristoratrice abruzzese: “Dopo il terremoto non mi spaventa più nulla…”

In testata legumi adagiati su crema di buccia di patate con verdure croccanti, rapa rossa, cavolo viola, verza, spinacino e scaglie di tartufo.

Imparare a superare le difficoltà tempra il carattere e permette di scindere il superfluo dall’essenziale. Un terremoto come quello de L’Aquila, che a molti ha raso al suolo ogni certezza costruita negli anni, cambia la prospettiva delle cose. Così è stato per Nadia Moscardi, cuoca di ‘Elodia, il ristorante di famiglia a Camardia frazione de L’Aquila, raso al suolo dalle scosse e poi ricostruito. “Cinzia, noi siamo una famiglia unita, questa è la forza che ci ha permesso di andare avanti.” Condivido in pieno il suo suo pensiero. La famiglia è il vero punto fermo da cui trarre energia. Non è necessariamente una questione parentale, per me è soprattutto una questione di verità e di affetti sinceri, su cui contare nei momenti difficili.

Elodia, il nome di sua madre. Quarant’anni di attività che oggi continuano con un percorso legato ad una tradizione familiare Nadia Moscardigastronomica, portata avanti nel segno della Natura. Ho incontrato Nadia e la sua cucina, fatta di radici ed erbe spontanee, all’undicesima edizione di Identità golose 2015. Conclusa la sua presentazione, ho avuto modo di conoscerla attraverso scambi di vita e di esperienze, come è mia consuetudine fare, per capire meglio le persone e conseguentemente il loro operato.

A lei la parola…

  • Nadia, nel tuo intervento a Identità Golose hai citato diverse piante spontanee che raccogli personalmente nei campi. Mi riferisco al rosolaccio, alla piantaggine, al sedano d’acqua, ai semi di panace o ancora ai semi di lunaria. Da appassionata di erbe e di radici devo ammettere che alcune non le conoscevo. Perché non mettere a frutto questo tuo sapere insegnando alle persone a riconoscere queste piante, e soprattutto ad utilizzarle?

Questa è una bellissima idea! Sarebbe molto bello organizzare una giornata sul Gran Sasso con una bella passeggiata tra i boschi e i prati per raccogliere erbe, radici e fiori, e poi tornare nel mio ristorante per cucinarli. 

  • Sono convinta che il segreto per stare in salute sia nella natura. Se ti dico che ‘ci si cura mangiando’ cosa mi rispondi?

Credo fortemente in questa tua affermazione. La nostra salute dipende molto da quello che mangiamo. Siamo purtroppo presi da una vita troppo frenetica per curare al meglio la nostra alimentazione. Le erbe spontanee sono ottime per la nostra salute, specialmente mangiate crude. In questi giorni sono in elaborazione altre ricette con questi vegetali miracolosi.

  • Dopo alcune ricerche, come ti dicevo di persona, ho incominciato ad apprezzare sempre di più i semi, gli oli e le farine ottenute dalla canapa, una pianta che contribuisce a sanare i terreni inquinati, dai molti impieghi e dalle tante virtù terapeutiche. Sono certa che ho stuzzicato il tuo interesse.  Mi prepari un piatto con i suoi derivati quando verrò a trovarti?

Hai decisamente stuzzicato il mio interesse, infatti mi sto documentando molto sulla canapa e vedremo cosa succederà…

  • La pastinaca, un’antica radice bianca tipica aquilana che coltivi nel tuo orto. Mi dai qualche consiglio per cucinarla?

Cinzia, si può realizzare una crema di pastinaca facendo un frullato della radice e patate lessate, condita semplicemente con sale, pepe e olio extravergine di oliva. Oppure si possono fare del cips di pastinaca facendo delle sfoglie sottili della radice fritte.

  • A proposito della tua ‘amatriciana bianca’… mi spieghi di che cosa si tratta?

L’amatriciana bianca è un piatto della tradizione aquilana; sono spaghetti o maccheroni alla chitarra fatti con un condimento di guanciale e pecorino, con l’aggiunta di pepe o peperoncino. È una ricetta originaria della città di Amatrice che oggi si trova nel Lazio, ma che fino al 1927 è stata in provincia de L’Aquila. Una preparazione semplice in cui sono  fondamentali ingredienti di altissima qualità: il pecorino e il guanciale dei monti abruzzesi.

Si rosola in una padella di ferro il guanciale tagliato a striscioline, con un pizzico di pepe o peperoncino; si aggiunge la pasta e poi abbondante pecorino abruzzese. Il mio consiglio, per avere un risultato più cremoso, è quello di unire il pecorino e poca acqua di cottura in padella prima di versare la pasta.

Amatriciana bianca

Amatriciana bianca di Nadia Moscardi

www.elodia.it




I ricarichi sul vino al ristorante non devono dipendere dalla loro ‘tovaglia di seta’!

Oggi voglio parlare dei ricarichi sul vino fatti dai ristoratori e dai wine bar.  Ricarichi che io definirei indisciplinati, come del resto gli italiani e molto di ciò che li riguarda. Direte: “Cinzia, ma cosa c’entrano le loro tovaglie di seta?” C’entrano eccome se i ricarichi, a parte quelli scontati e più che legittimi, vengono fatti per distribuire le spese relative al locale stesso. Con ‘tovaglie di seta’ mi riferivo per l’appunto a questo.

Ora vi spiego. Qualche giorno fa, seduta a tavola con degli amici giornalisti del settore di lunga data, si è accesa una discussione e… dibatti che dibatti, sapete che cosa mi è stato risposto quando ho contestato questo stato d’essere? Che io ho quell’entusiasmo che loro hanno perso nel combattere ciò che andrebbe corretto, ma che ormai è entrato nella consuetudine.

Mettetela come volete, ma io trovo assurdo che i ricarichi sul vino nella ristorazione vengano fatti in modo indiscriminato e incontrollato penalizzando il vino e limitandone il consumo. Sapete che cosa vi dico: “Bisogna fare la rivoluzione, intesa come grande cambiamento, anche nell’enogastronomia!”

Come sempre parlo da consumatrice appassionata e informata che ama confrontarsi. Proprio per questo ho chiesto ad alcuni amici che vivono questo settore in prima persona, il loro parere sulla questione. (L’elenco delle risposte è in ordine alfabetico).

Marco Chiesa, wine consultant.

Tutti noi ci aspettiamo ricarichi bassi sul vino, poiché il vino in Italia rimane un prodotto “popolare” da sempre sulla tavola e quindi si trova ingiusto, per esempio, che il vino da 5 euro a scaffale, venga venduto a 15/18 euro e che il vino da 10 euro venga venduto a 30. Ma se ragioniamo, ogni bottiglia di vino ha un costo di gestione che comprende: spazio cantina, oneri finanziari tra acquisto e incasso, tempo cameriere/sommelier per gestione, servizio, smaltimento, bicchieri e lavaggio, eventuali cambi al cliente o rimanenze se venduto a bicchiere. Insieme alla catena Accor calcolammo anni fa che il costo di gestione di una bottiglia in una struttura efficiente come un albergo 3/4 stelle di catena internazionale costa circa 10 euro. Il ristorante medio italiano è molto più inefficiente, facciamo 12. Se compro un vino a 5 euro, per restare in pari devo venderlo a 17, se poi voglio guadagnare allora almeno un 40% di margine sarebbe corretto. I conti sono presto fatti e si capisce perché molti ristoranti chiudono: non li sanno fare, i conti.

Se ci pensiamo un piatto di pasta ha un costo di produzione inferiore all’euro, ma noi lo paghiamo 8/10 e nessuno batte ciglio. Perché con il vino non succede? Il vino è penalizzato proprio quando viene venduto come servizio a prezzo basso, quando per stare nei conti il gestore compra vini a due euro e li rivende a 10, perdendoci comunque. Io credo che in Italia i prezzi dei vini al ristorante siano decisamente bassi e quasi sempre calcolati male. Basta fare un giro all’estero per capirlo. Mi fermo ma potrei parlare molto sull’argomento…

Gianni Galantino, ristoratore. Ristorante Da Giulia – Milano

Il vino non ha solo costi d’acquisto ma anche costi relativi alla conservazione e alla gestione della cantina. Faccio alcuni esempi. Se acquistiamo una bottiglia di vino al costo di 6 euro lo dobbiamo vendere a circa 18/20 euro. Se acquistiamo a 25 euro lo dobbiamo vendere a 50 euro. In caso contrario ci perdiamo. Cinzia, devi tenere presente poi, che ci sono vini che sanno di tappo o che per presa d’aria diventano imbevibili o marsalati.

Simone Liloni, sommelier. Trattoria Pegaso – Gavardo (BS)

Tema scottante questo… debbo dire che io cerco di essere il più onesto possibile sui ricarichi sia al bicchiere che alla bottiglia. In zona molti se ne approfittano e non poco. Ti faccio un esempio. In una buona pizzeria vicino casa mia danno a bicchiere come vino dolce un Zibibbo liquoroso della Florio, vino ordinario, piacevole anche se troppo dolce per i miei gusti. Ebbene, il vino costa al supermercato nel formato da 0,75 4,50 euro.  Al bicchiere lo vendono a 4. Considerando che da una bottiglia ricavano sette bicchieri, dunque ben ventotto euro, guadagnano  ventitré  euro puliti! Questo è solo uno dei tanti esempi.

Altro problema del vino alla mescita è la ripetitività delle etichette, alla fine, grosso modo, girano sempre quelle tre o quattro per tipologia. Io propongo vini un po’ controcorrente a bicchieri, magari anche semisconosciuti che però i clienti mi richiedono.

Isabella Monguzzi, titolare dell’Enoteca Vincanto – Senago (MI)

Dietro certi rincari ci sono i bicchieri, la loro sanificazione e tutto quello che comporta la mescita; poi, trovi delle location che fanno pagare l’ambiente e magari (anzi spesso) ripiegano su prodotti scarsi con rincari da strozzinaggio. Ma come si suol dire l’occhio vuole la sua parte e spesso, quando il cliente è  immerso in un ambiente originale e/o fiabesco, non gli importa ciò che beve! Questo è quello che hanno insegnato certi ristoratori ai clienti!

Gianluca Morino, produttore. Cascina Garitina – Nizza Monferrato (AT)

Questi rincari sono una grandissima penalizzazione per il vino.

Matteo Scibilia, ristoratore. Osteria della Buona Condotta – Ornago (MI)

Un ristorante tre stelle ha ricarichi diversi da chi non ne ha, infatti arriva anche a decuplicare il costo della bottiglia, ed è evidente il perché. Ad esempio, se hai bicchieri riedel hai un costo in più, come è chiaro che se hai un sommelier avrai un costo più alto da spalmare sul conto del cliente. In ogni caso tutto ciò che è presente in un ristorante ha un ricarico, il food cost è una regola fiscale. Cinzia questo lavoro è diventato costoso e difficile, siamo sommersi da costi e tasse. In Francia i ricarichi dei vini sono altissimi. Hanno ragione loro…

Tano Simonato, ristoratore. Ristorante Tano passami l’olio – Milano

Nella normalità i ristoratori ricaricano di due volte in trattoria, e tre volte nel ristorante. Qualche top restaurant anche quattro volte. Le spese sono tante… costi per il personale, affitti alti, tasse su tasse, materie prime costose…

Robert Spinazzè, produttore. Terre di Ger  – Frattina di Pravisdomini (PN)

I ricarichi onesti permettono un giro dei consumi. Purtroppo non sempre è così. Mah, ci sarebbero da fare discussioni infinite.

Chiara Soldati, produttrice. La Scolca – Gavi (AL)

La consuetudine di ricarichi importanti sui vini è ormai pratica diffusa e consolidata. In Italia sicuramente tale fenomeno è molto più evidente rispetto ai paesi esteri. Ritengo che un equilibrato ricarico sia legittimo, ma in molti casi si trovano vini a prezzi non giustificati. Ritengo che una buona politica dei prezzi aiuterebbe sia la categoria dei ristoratori che il mondo del vino. Una politica dei prezzi equilibrata aiuterebbe la diffusione di un consumo di qualità e forse non penalizzerebbe il mercato italiano già in crisi per molteplici fattori.

Aiutare la territorialità, studiare adeguate politiche “by glass”, fare sistema tra diversi soggetti concordando adeguatamente i prezzi di uscita, sarebbe una buona regola per razionalizzare il mercato. Cinzia, hai mai notato come certi vini che in carta risultano al top dei prezzi a volte vengono venduti sottocosto nelle offerte della GDO?

Alessandro Vitiello, Ristoratore e sommelier. Ristorante Il Fauno – Cesano Maderno (MB)

Cinzia, sono d’accordo con te. Sicuramente ogni locale ha libertà di decidere come meglio crede e a seconda di quanto aggiunge ‘gratis’ al bicchiere di vino, io però sono convinto che il ‘mondo vino’ ne avrebbe da beneficiare se si condividessero delle ‘linee guida’ che permettano al cliente di bere sapendo che il prezzo di un bicchiere o di una bottiglia è correttamente proporzionale al prezzo deciso dal produttore.

Riprendo la parola.

Che cosa rimane da dire? Io continuo a pensare che questi ricarichi dovrebbero essere regolamentati affinché non sia il vino a pagare gli eccessi delle spese derivanti dalla gestione della ristorazione. Resta il fatto che da consumatrice informata quale sono, vorrei capire caso per caso quanto viene maggiorato il suo costo.

Questa consapevolezza rientrerebbe nel mio grado di soddisfazione nella valutazione di un ristorante. Con tante linee guida che ci sono, mi chiedo come sia possibile che non ce ne sia una aggiornata e consultabile on line che dia la possibilità di effettuare nell’immediato questa verifica. Chissà…

Passione Vino




Una storia di ristorazione macchiata dal passato

In testata pesce spada a bassa temperatura, 62 gradi, con castagna caramellata al Gran Marnier, passata di cannellini e zeste (buccia) di arancia caramellata. Chef Guglielmo Paolucci.

Davide Lacerenza, patron del Ristorante La Malmaison di Milano. L’ho conosciuto durante una recente manifestazione sullo street food. Cosa mi ha colpito di lui? Il modo in cui raccontava le sue materie prime, in particolare dando consigli e approfondimenti su crostacei e molluschi che, attirando particolarmente l’attenzione del pubblico, hanno dato vita ad uno degli interventi più riusciti della giornata.

E’ per questo che ho voluto conoscerlo meglio accettando l’invito a cena nel suo ristorante. Ma non sapevo tutto, si, non sapevo di precedenti legati alla sua vita privata che ahimè condizionano la sua storia di ristoratore.

Ieri sera, persone che mi conoscono e che tengono a me, sapendo come la penso sui protagonisti dell’enogastronomia, si sono preoccupati scrivendomi in privato. Io ero li solo per conoscere meglio una persona e i piatti del suo bravo e giovane cuoco, Guglielmo Paolucci. Punto.

 Cruditè di pesce

Cruditè di pesce

Un uomo di origini pugliesi che ha vissuto in una Milano difficile, che ha lasciato a quindici anni la scuola per lavorare nei mercati di frutta e verdura, alzandosi alle tre di notte, nel gelo d’inverno e sotto il sole d’estate. Poi, di notte, un lavoro in discoteca per coprire le spese.

“Cinzia, non dimenticherò mai da dove sono arrivato, i ricordi mi danno sempre la gioia di sorridere. Sono nato in un quartiere storico alla periferia di Milano, il Giambellino, nel 1965. Li ho vissuto gli anni peggiori.  Più della metà dei miei amici e compagni di scuola sono morti per droga, mentre altri sono finiti in galera. Ora che ho qualcosa di mio che veramente mi da soddisfazione, svolgo il mio lavoro con amore e passione, questo è quanto.”

Di certo gli ho dato dei consigli. Ci sono molti cambiamenti da fare nel suo locale. Come ho detto a Davide ieri sera, a volte per cambiare bisogna dare una vera svolta alla propria vita, facendo scelte difficili e voltando pagina sul serio. Capitolo chiuso.

 Vi lascerò solo le immagini che mi hanno colpito il giorno in cui l’ho conosciuto.




E’ possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie? Risponde lo chef Giorgio Perin

Ho conosciuto Giorgio Perin durante una serata dedicata al Nebbiolo che si è svolta pochi giorni fa al MO.OM Hotel di Olgiate Olona, in provincia di Varese. E’ ormai mia abitudine, se valuto interessanti le argomentazioni del mio interlocutore, approfondire la sua conoscenza con due chiacchiere che mi permettono di capire e soprattutto continuare ad imparare.

Chef Giorgio Perin -

Chef Giorgio Perin

La scelta di Giorgio di fare il cuoco è stata quasi una tappa obbligata. In quegli anni gli indirizzi scolastici privilegiati erano infatti rivolti alle scuole professionali che permettevano un ingresso immediato nel mondo del lavoro. Nato a Verbania, optò per la scuola Alberghiera di Stresa inizialmente senza alcuna ambizione di carriera.

Stagione dopo stagione, lontano dagli affetti e dalle amicizie, il percorso ha incominciato ad entusiasmarlo. La fortuna di poter lavorare accanto a grandi Chef del Novarese, gli ha permesso di formarsi imparando i fondamenti della cucina classica che poi ha mantenuto negli anni come pilastri del suo metodo lavorativo. Come si suol dire, da cosa nasce cosa.

Detto ciò vi presento l’Executive Chef dell’Hotel MO.OM Giorgio Perin.  A lui la parola.

  • Giorgio, Secondo te è possibile mangiare con buone materie prime senza spendere follie?

Non solo è possibile, ma è necessario se si vuole produrre un buon risultato che accontenti sia la clientela che la casa per cui si opera. Non è forse quello che normalmente si fa in ogni famiglia? Si cerca di contenere i costi e di soddisfare tutte le esigenze. Un risultato che si può ottenere attraverso un’accurata selezione dei prodotti, un’adeguata calibratura delle merci, e un metodo di cottura che eviti gli sprechi riducendoli al minimo o addirittura annullandoli.

  • Meglio la ristorazione di ‘ieri o quella di oggi’?

Credo che non ci sia il meglio dell’una senza il meglio dell’altra. Mi spiego. Oggi si tende a ricercare sempre nuovi gusti, nuovi abbinamenti, e nuovi metodi di cottura per accontentare sia i palati che le necessità di restringere il tempo di attesa e di consumazione dei piatti. Non dobbiamo però dimenticare che nella cucina ‘di ieri’ ci sono gusti, profumi e genuinità che nessuna novità di oggi potrebbe mai far scordare. Molte ricette di oggi sono rivisitazioni dei piatti di ieri, i più genuini e naturali.

  • Consiglieresti a tuo figlio/a di percorrere la tua strada?

Ogni lavoro, se fatto bene, è passione impegno e fatica, così come ogni persona è artefice del suo destino. NO, non ho consigliato ai miei figli il mio lavoro, ne loro hanno mai espresso la volontà di farlo. Personalmente sono felice che si sentano realizzati nelle loro scelte.

Chef Giorgio Perin

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  • Secondo te perché le donne fanno più fatica ad affermarsi nell’alta ristorazione?

A mio parere è difficile ma non impossibile. Questo lavoro se fatto con passione richiede grande dedizione, sacrificio e tempo. Non ne farei dunque una questione di capacità o di possibilità, ma di abnegazione di se stessi. Arrivare all’alta ristorazione può voler dire rinunciare alla famiglia, al divertimento e al tempo per se stessi. Le cose però anche in questa direzione stanno cambiando.

  • La cucina è una questione di sensi. È scientificamente provato che le donne hanno una sensibilità maggiore. Proprio per questo motivo accetteresti di lavorare a fianco a una donna?

Qualche anno fa avrei avuto delle grosse riserve se mi avessero proposto una collaborazione uomo-donna in cucina, forse per il mio carattere dominante, forse per partito preso, o forse semplicemente perché ho sempre visto il mio lavoro “Uomo”. Oggi sarei più aperto a questa possibilità, ma non lo farei per una questione di sensibilità, perché per cucinare bene, per abbinare gusti, per creare effetti cromatici, questa dote è indispensabile a prescindere dal sesso.

Cinzia, concludo queste nostre due chiacchiere rivelandoti che ho trascorso quasi un’intera vita appassionandomi ad un lavoro che mi ha richiesto grandi rinunce ma che mi ha dato enormi soddisfazioni. Grazie a questa lunga esperienza ho potuto conoscere grandi menti, altri paesi e culture. Sono tutt’ora operativo e soddisfatto dei miei risultati. Ringrazio la mia famiglia per il paziente, entusiasta, oggettivo supporto senza il quale sarebbe stato tutto molto più difficile. In Fede, Giorgio Perin.

Come non condividere le parole di Giorgio. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, è il supporto più importante nella vita. E’ il nido che ci scalda nei momenti freddi e ci sostiene nelle difficoltà. Mai darla per scontata…

La cucina dello Chef Giorgio Perin.




Secondo voi cosa vogliono gli italiani quando vanno al ristorante?

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo sondaggio su ciò che le persone si aspettano andando fuori al ristorante. Un piacere a cui gli italiani difficilmente rinunciano, anche in un periodo di crisi come questo. Sento spesso dire – ma come, tutti sono in crisi ma i ristoranti sono pieni! – Certo, non tutti, ma molti si.

Per quanto mi riguarda adoro farlo (sono più brava a mangiare che a cucinare). 😉 Assaggiare cibo e vino è una mia grande passione, un momento di vera beatitudine che mi regalo scegliendo con cura il luogo di ristoro. A volte seguo i consigli di amici e conoscenti, mentre a volte, soprattutto quando sono in viaggio, uso il  ‘metodo Tosini’.  Funziona così: con la scusa di una foto ‘attacco bottone’ con le persone del posto che diciamo così, mi ispirano, e poi, chiedo indicazioni sui punti di ristoro caratteristici in cui fermarmi a mangiare. I risultati sono spesso sorprendenti!

Ma ora torniamo al mio piccolo sondaggio. Premetto che mi ha sorpreso molto che pochi hanno fatto riferimento al ‘conto’. Sono convinta che in un momento critico come questo il giusto rapporto tra qualità e prezzo sia uno dei motivi principali che determina la scelta. Alcuni sostengono che è impossibile mangiare bene senza spendere cifre, che ahimè, molti non si possono più permettere.  Io credo che partendo da buone materie prime che l’agricoltura italiana ci mette a disposizione, si possa fare una cucina di qualità senza spendere follie. Ad esempio, una pasta al pomodoro se fatta bene, è un gran piatto!

Detto questo, qui di seguito, ecco ciò che è emerso (ho aggiunto anche le mie riflessioni). Certo, nulla di nuovo, ma ricordarlo forse non fa male.

Gli italiani quando vanno al ristorante vorrebbero…

  • Qualità e accuratezza nell’uso di buone materie prime. L’agricoltura italiana ce ne fornisce a iosa senza spese esorbitanti. A questo proposito mi raccomando in particolare sulla frutta. Un cestino a fine pasto, senza doverlo chiedere, è più che ben accetto! Dimenticavo… mi raccomando anche alle insalate miste, sono pochissimi i ristoratori che sanno farle come vanno fatte.
  • Cordialità, educazione e cortesia. Un sorriso è la migliore accoglienza (e non costa nulla). Avere a che fare con degli addetti al servizio gentili è un punto acquisito e a favore.
  • Accessibilità. Una caratteristica essenziale considerando gli 80 milioni di persone diversamente abili in Europa… 650 milioni nel mondo.
  • Una carta dei vini ben fatta suddivisa per regione, e non solo con i soliti nomi noti. Ci sono produzioni di piccole e medie realtà agricole di ottima qualità.
  • Siamo una terra di grandi oli, ma li vogliamo mettere sui tavoli in modo che la gente li possa conoscere! Personalmente o li mettete o ve li chiedo! A proposito, vale anche per l’aceto (e non mi riferisco certo a prodotti balsamici che nulla hanno a che fare). Tra l’altro ci sono molti che amano l’aceto di vino, ma che sia buono (io compresa). Una volta lo si trovava in ogni cantina, oggi è quasi una rarità. Torniamo a farlo!
  • Un ambiente rilassante. Mi è capitato tempo fa, in un locale rinomato per l’ottima pizza, di vedere correre su e giù gli addetti in sala. Era pieno certo, ma essere urtati per il continuo passaggio frenetico, urtava me. Amo la tranquillità… mi è fondamentale quando esco a pranzo o a cena.
  • Pulizia e servizi in ordine curati alla stessa stregua dei locali che ci ospitano per mangiare. Purtroppo capita che accada il contrario.
  • La possibilità di avere uno spazio per i propri animali domestici è cosa da molti assai gradita.
  • Il parcheggio che, in caso non previsto in prossimità, ci venga facilitato nel momento in cui prenotiamo senza farci impazzire all’arrivo per l’inattesa difficoltà.
  • Wifi libero limitando però l’uso dei cellulari di cui a volte si abusa disturbando la tranquillità altrui. Rispetto prima di tutto.

A proposito di quest’ultimo punto, visto l’uso e a volte l’abuso dei mezzi di comunicazione, mi piacerebbe trovare dei ‘Face to face Restaurant’, credo che il nome renda l’idea di ciò che vorrei: #socializzazione.

Tre regole per gli ospiti: ci si deve sedere rigorosamente a tavola con persone che non si conoscono, ci si presenta e si chiacchiera, e… cellulari spenti. Esito della serata: è facile uscire con nuovi amici, oppure… ritenta e sarai più fortunato! Che ne dite… ne parliamo? 😉

Ecco in originale le risposte al mio sondaggio:

1' parte

2' parte

4' parte3' parte

La tavola nella foto è stata allestita da Amelia Affronti, freelance fashion designer




La mia prima volta con un riccio… al Ristorante ‘Da Giulia’

La mia prima volta con un riccio è stata qualche anno fa a Milano al ristorante ‘Da Giulia’. Ma cosa avete capito?! Il riccio in questione a cui mi riferisco è, anzi era…  un ottimo riccio di mare! 😉

Non avendo mai avuto l’occasione di assaggiare questa prelibatezza, qualche anno fa un caro amico ha pensato bene di provvedere portandomi per l’appunto in questo ristorante di Milano. Una realtà a conduzione familiare i cui titolari, Gianni e Giulia entrambi di Bisceglie in provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani), sono uniti nella vita e nel lavoro da ben venticinque anni.

Dopo quella volta ce ne sono state altre, anche perché ormai sono amici con i quali, a volte di persona e a volte sui social interagisco, ma soprattutto mi delizio il palato.

Detto questo ora approfitterò dell’occasione per far loro qualche domanda, ma soprattutto per approfondire alcuni argomenti a cui tengo molto. Quando vado in un ristorante, chi mi conosce lo sa, vado con occhio critico, e non solo. La ristorazione di qualità può molto sia per la promozione del territorio che delle sue produzioni.

Giulia è troppo occupata in cucina, Gianni oggi tocca a te rispondermi! Sei pronto? Oggi parleremo di territorio, di cultura del cibo, di olio extra vergine di oliva, della doggy bag, di vino, dell’alcol test… naturalmente al ristorante.

  • Quanto c’è della vostra terra, intendo come tradizioni e tipicità nella cucina del vostro ristorante?

Mi vuoi mettere alla prova? Cinzia sono pronto! Dunque, tutta la nostra cucina si basa su piatti tipici della nostra terra natia anche se rivisitata in chiave moderna. Utilizziamo materie prime tipiche della zona come ad esempio le farine Senatore Cappelli prodotte nella Murgia barese, le semola Tumminia di Castelvetrano, il grano arso della Daunia di San Severo, l’olio extravergine d’oliva di Bisceglie, le verdure, la frutta, i crostacei e i frutti di mare provenienti da Manfredonia.

  • Insisto spesso sul fatto che pillole di cultura del cibo, possono essere fatte anche dai ristoratori spiegando l’origine delle materie prime dei piatti che portano a tavola. Condividi?

Assolutamente d’accordo con te. E’ nostra abitudine raccontare il piatto che portiamo a tavola ai nostri ospiti per far capire loro cosa mangiano.

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

Busiati Trapanesi di semola tumminia al pesto di pistacchio e bottarga di tonno

  • Parliamo di olio extra vergine di oliva. Come dico spesso vorrei vedere sui tavoli dei ristoranti, come già avviene per i vini, delle ‘carte degli oli d’oliva’ con pillole informative che presentino brevemente le caratteristiche delle cultivar (varietà delle olive). Poi, mi piacerebbe che mi venisse proposta una piccola bottiglia d’olio d’oliva rappresentativa di un territorio che userei durante il pasto, pagherei nel conto a prezzo promozionale, e che mi porterei a casa. Utopia o speranza? 

Parlando di olio non posso dimenticare quando da piccolo mi dedicavo alla raccolta delle olive in campagna. Ricordo la sveglia di buon ora alle 4.30 e mio padre che accendeva il fuoco per riscaldarci mentre i grandi predisponevano i teli di iuta attorno agli alberi. Tempi duri ma belli.

Mi chiedi se è possibile una lista degli oli extravergine d’oliva? Alcuni ce l’hanno, la cosa importante per me è avere olio extra vergine di qualità certificato e prodotto in Italia da olive del territorio. Io come ben sai uso l’olio extra vergine di oliva Lamantea, un prodotto delle terre di Puglia. Le varietà di olive utilizzate sono l’oliva CORATINA e l’oliva OGLIAROLA, tipiche delle nostre terre.

  • Ora passiamo alla doggy bag, o meglio il pacchetto con il quale l’ospite del ristorante porta a casa il cibo che ha avanzato. Una consuetudine all’estero, in Italia una pratica molto meno in uso. Siamo forse troppo ‘signori’? Io lo chiedo, ma quanti lo fanno?

Cinzia siamo noi stessi che consigliamo di portare a casa il cibo avanzato in un contenitore già pronto per essere riscaldato. Io in primis sono contrario allo spreco del cibo, in special modo in questi momenti di crisi.

  • Stessa cosa vale per il vino, per lo meno per me. Viste le giuste limitazioni in vigore, nel caso in cui ci si debba mettere alla guida è auspicabile, quando si ordina una bottiglia e non la si finisce, di potersela portare a casa. Sei d’accordo?

Certo,  capita che alcuni si portano via la bottiglia. I clienti ormai sono consapevoli di quanto possono bere. E’ per questo motivo che ho scelto un buon numero di bottiglie da cl 375 mentre ho deciso di non servire il vino a bicchiere perché, oltre a perdere la magia dello stappare,  può far pensare anche a vino recuperato.

La cassata siciliana di Giulia

La cassata siciliana di Giulia

Concludo questa mia chiacchierata con Gianni ricordando, a proposito delle limitazioni in vigore riguardanti il consumo di alcolici, che le normative prevedono l’obbligatorietà per tutti i locali pubblici aperti oltre la mezzanotte, del  possesso di un apparecchio che dia la possibilità ai clienti che debbano mettersi alla guida di rilevare il proprio tasso alcolemico, il ben noto limite di 0,5 grammi (per i neopatentati è previsto il tasso 0).

Sarebbe opportuno che l’avessero tutti, anche quelli che chiudono prima di mezzanotte. Comunque sia sappiate che è nostro diritto chiedere di poter fare un ‘alcol test’, nel caso avessimo dubbi su quanto abbiamo bevuto.

Locandina alcolemia

Le fotografie dei piatti sono del ‘Ristorante Da Giulia’




Un po’ di chiarezza, o quasi, in tema di presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi

Recentemente, con un amico che si occupa di ristorazione, mi sono trovata a discutere sulla presentazione della bottiglia di olio extra vergine di oliva che mi piacerebbe vedere sul tavolo in tutti i ristoranti.

Confrontandomi con altri del settore, mi sono resa conto che molta chiarezza in effetti non c’è.

Per questo motivo, visto che mi piace parlare con cognizione di causa, mi sono informata consultando Massimo Occhinegro, consulente d’impresa in ambito fiscale e di marketing internazionale, con particolare riguardo al comparto di olio di oliva nei mercati europei ed extra europei.

Tenteremo di fare un po’ di chiarezza, o quasi (leggendo capirete il perché), inserendo la Legge 14 gennaio 2013 n.14 e l’interpretazione di Massimo.

  • Legge 14 gennaio 2013 n.14

Art. 7 – Termine minimo di conservazione e presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi.

1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data.

2. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene.

3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione al titolare del pubblico esercizio di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 8.000 e la confisca del prodotto.

4. All’articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, i commi 4-quater e 4-quinquies sono abrogati.

“Chiave interpretativa” della legge in questione di Massimo Occhinegro

La legge 14 gennaio 2013 n.14 con l’articolo 7 secondo comma ha inteso abrogare la precedente legge che vietava in maniera esplicita l’uso delle “famose” ampolle dell’olio. Tuttavia sia pure in maniera confusionaria, ha voluto introdurre da un lato l’uso di bottiglie con tappi anti-rabbocco e dall’altro confermare l’obbligo del l’indicazione dell’origine nonché del lotto di produzione a cui appartiene.

L’articolo è tuttavia mal scritto e soggetto a diverse interpretazioni. La “chiave” interpretativa risiede a mio parere nel significato di “ovvero”. Nella lingua italiana “ovvero” può essere interpretato come sinonimo di “oppure”, ma in tal caso, il legislatore avrebbe forse pensato a bottiglie con sistema di chiusura anti-rabbocco, senza etichetta, il che è per logica, senza senso, da un lato, mentre dall’altro confezioni senza tappo anti-rabbocco ma etichettate con indicazione di origine, data di scadenza inferiore ai 18 mesi dal confezionamento e lotto di produzione, il che anche in questo caso tale evenienza avrebbe poco senso vista la volontà di impedire il riutilizzo delle confezioni.

Pertanto la parola “ovvero”, a mio parere andrebbe interpretata con il significato di “ossia”, (come spesso accade nella formulazione delle norme di legge) con l’intento di offrire una specifica in più rispetto a quanto scritto nella prima parte dello stesso articolo 7, comma 2.

In definitiva tutto ciò significa che le bottiglie devono essere etichettate come da norma di legge e che in più dovrebbero avere tappi anti-rabbocco. È evidente però che la formulazione di tale articolo sia stata fatta in maniera frettolosa e confusionaria come detto in premessa.

Cosa rimane da dire… mah, direi che a questo punto, l’unica cosa che mi viene da dire, è che tocca a noi prestare la giusta attenzione scegliendo la ristorazione virtuosa attenta alla qualità.

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