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“La disperazione degli uomini del sud fa fare miracoli”. Vi presento Peppino Montanaro.

Da qualche anno il destino mi porta spesso a Taranto, una città che conoscevo come molti, soprattutto per le note vicende legate all’inquinamento. Perché mai interessarmi e scrivere di una terra che alcuni hanno definito non mia? La risposta è semplice: perché sono italiana, e come tale ci credo. Ho la fortuna di vivere in uno dei paesi tra i più belli al mondo. Una nazione con un ricco patrimonio culturale, enogastronomico, e con un territorio che vanta la maggiore biodiversità tra i paesi del vecchio continente.

Un’estensione costiera di oltre 7.000 km. Una superficie forestale di oltre 10 milioni di ettari con 12 milioni di alberi, un terzo della superficie territoriale. Grazie alla varietà degli habitat e dell’aree climatiche abbiamo oltre 55.600 specie animali. Siamo una nazione con 17 milioni di ettari dedicati all’agricoltura, un settore che genera prodotti di qualità a garanzia del Made in Italy. (Fonte Corpo Forestale dello Stato – dati 2014). Investire sulla pesca, sull’agricoltura e sul turismo, è l’unica strada possibile.

La mia chiacchierata con Peppino MontanaroSono queste le riflessioni che ho fatto con Giuseppe Montanaro durante il nostro incontro. Lui, dopo avermi ascoltata, da persona attenta qual è, mi ha risposto: “Sai Cinzia, la disperazione degli uomini del sud fa fare miracoli“.

Forse abbiamo bisogno di miracoli, o forse, soprattutto, abbiamo bisogno di persone che credono nel territorio e in cui poter tornare a credere. L’Italia, che lo si voglia o no, è fatta dagli italiani, i giocatori siamo noi, la partita è aperta. La cosa importante è che le istituzioni ci mettano in condizione di gareggiare, e di tornare ad essere vincenti.

Giuseppe Montanaro, Peppino, è nato a Massafra l’11 novembre del 1940. Un lavoratore e un imprenditore dalla creatività spiccata. Un uomo attento all’ambiente che ha deciso di investire con la sua società Kikau Turismo e Cultura S.p.A. (Kikau, la prima parola detta dal figlio Filippo) nell’agricoltura e nel turismo. Un impegno concreto visibile nel recupero di complessi architettonici rurali del luogo, quali la Masseria Accetta Grande, il Villino Canonico Maglio,  la Masseria L’Amastuola, e il Villino Santa Croce.

Con i centosessanta ettari di terra di Amastuola ha trasformato a Crispiano, nel Parco regionale ‘Terra delle Gravine’ in provincia di Taranto, un terreno agricolo non più produttivo in un vigneto-giardino. Onde di filari di viti parallele intervallate in ventiquattro isole da ben millecinquecento ulivi secolari.

Un progetto firmato dall’artista e paesaggista Fernando Caruncho, in un’area di ricerca e di interesse storico archeologico posta sotto il controllo della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia, supportata dal Centro di archeologia della VU-Università di Amsterdam. Queste ricerche hanno portato alla pubblicazione del libro a cura di Gert Jan Paul Crielaard ‘Greci e indigeni a L’Amastuola’. La Regione Puglia, nel 2010, ha premiato la realizzazione di questo progetto definendolo “Buona Pratica di Tutela e Valorizzazione del paesaggio agrario, anche a fini turistici”.

Vi chiederete come sono arrivata a lui. La risposta è semplice, chi mi ha accompagnato conosce me e il tipo di persone che amo incontrare, e con le quali confrontarmi. Peppino Montanaro, con il suo vissuto e la sua esperienza, conferma il mio credo per la buona riuscita dei progetti.

La famiglia prima di tutto. La moglie Rosaria e i figli Ilaria, Donato e Filippo, con i rispettivi coniugi Giuseppe, Anna e Raffaella sono stati e sono la vera spinta che gli ha permesso di andare avanti. E’ da li che nasce la forza per superare i momenti difficili. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, da senso al proprio lavoro permettendo di costruire e offrendo un ‘nido’ nei momenti bui.

Creatività, inventiva e tenacia. Prima di incontrarlo, ho ascoltato a lungo suo genero Giuseppe mentre mi parlava di un uomo del sud che, Con Giuseppe Sportelli, genero di Peppino e parta attiva della Societàiniziando la propria attività nel 1984 con la Kikau serramenti in alluminio, a distanza di undici anni ha trasformato l’azienda in una Società per Azioni con investimenti in settori mirati sul territorio. Alcuni progetti si sono realizzati, come per la Cantina Amastuola, e alcuni sono in corso dopo l’acquisizione di Masserie in fase di recupero. In programma accoglienza turistica, promozione del territorio, produzioni editoriali, sviluppo di attività rivolte alla vendita di prodotti artigianali e agroalimentari.

Le aziende sono fatte dalle persone. Elemento fondamentale per la crescita di un’azienda è costituito dalla qualità dei rapporti instaurati con i propri collaboratori. Con Peppino si è parlato anche di questo. Molto più che dipendenti, persone con cui lavorare insieme facendo squadra per il buon conseguimento dei risultati. Da soli non si va da nessuna parte, insieme si costruisce.

Innovazione e rispetto per l’ambiente. Adottare pratiche sostenibili a tutela di sé stessi e del territorio è prioritario. La tecnologia e la ricerca sono fondamentali per la qualità, a patto che vengano rispettate le caratteristiche naturali dei prodotti. Questa è la politica di Amastuola. Ne è esempio l’uso della camera a pressione di Scholander che, a vantaggio dell’uva, interviene con l’irrigazione solo al bisogno e nel contempo evita gli sprechi. Seguendo sempre questa linea di pensiero, viene usata una bottiglia leggera in vetro riciclato, e un tappo a vite realizzato in alluminio, materiale riciclabile al 100%, con una speciale membrana all’interno che garantisce la corretta micro-ossigenazione del vino accertata dal Dipartimento di Scienze degli Alimenti di Udine.

Il senso di appartenenza. Credere nel territorio e riconoscersi parte di esso è fondamentale per trasmetterlo a chi lo visita. Se io credo sinceramente in qualcosa riesco a trasmettere la mia passione condividendo l’entusiasmo. Io quel giorno l’ho sentito.

A conclusione della nostra chiacchierata, prima di salutarci, ho fatto una richiesta a Peppino: gli ho chiesto di esporre la bandiera italiana nell’azienda in bella vista. Questo per me, che credo nelle persone che lavorano insieme per un vero cambiamento, sarebbe un importante segno di appartenenza. All’estero è una consuetudine, in Italia lo è solo in occasione di eventi sportivi. So bene che molti non si sentono rappresentati perché in essa vedono lo stato istituzionale. Questione di punti di vista. Per me il tricolore rappresenta la terra e la gente italiana che lavora. Non so se Peppino mi accontenterà, per certo mi ha promesso che ci penserà seriamente.

Ho scritto di questo mio incontro, come faccio abitualmente, per come l’ho vissuto conoscendo il territorio e le persone. Con Peppino mi sono sentita particolarmente vicina per la condivisione dei pensieri e dello stile di vita. Oggi mi sento più vicina a lui e alla sua famiglia. Da pochi giorni, dopo una lunga malattia, la moglie Rosaria li ha lasciati. Lei fa parte dei suoi progetti, e per questo continuerà a vivere in quelle terre.

www.amastuola.it –  www.turismoecultura.it

Video a cura di Sabrina Merolla, produttrice e conduttrice di BUON VENTO




Il richiamo del mio spirito meridionale

Amo ascoltare la natura, forse è per questo che il mio spirito meridionale si fa sentire più al sud, dove percepisco intensamente i suoi richiami. Avevo diciannove anni quando me ne sono resa conto, quando ho conosciuto la Puglia, un amore a prima vista.

Una regione con uno sviluppo costiero di 800 km, il più lungo e variegato d’Italia. Lunghe spiagge alternate da falesie rocciose, calette, pinete e boschi di ginepro. Sono presenti due Parchi Nazionali: quello del Gargano e quello dell’Alta Murgia. Tre Aree Marine Protette: Torre Guaceto, le Isole Tremiti e Porto Cesareo. Sedici Riserve Naturali dello Stato e diciotto aree protette regionali. Una biodiversità da conservare e tutelare.

Torre Santa Sabina

Torre Santa Sabina

E’ in questa terra che ho passato le mie ultime vacanze, tra Taranto Bari e Brindisi.

La mia è una vita intensa, passata tra natura conoscenza e scoperta.  La verità è che quando amiamo ciò che facciamo, non si distingue più il tempo passato tra vacanza e lavoro, perché una cosa non esclude l’altra.

Torre Santa Sabina

Torre Santa Sabina

In questi giorni ho rivisto vecchi amici, e ne ho incontrato di nuovi. Molte le emozioni, come il giorno in cui, nel mare di Taranto, durante un giro in barca un’improvvisa burrasca mi ha fatto capire quanto possa essere forte e impetuoso il mare.

In quegli attimi ho visto la paura, ma anche il coraggio di una donna, Aurora, che mi ha fatto conoscere oltre al suo lato sensibile e delicato, quello deciso e determinato di una donna che sa reagire alle difficoltà.

Molo Sant'Eligio (Marina Taranto)

Mare in burrasca – Molo Sant’Eligio (Marina Taranto)

Passata la burrasca non mi sono fatta mancare delle friselle all’acqua di mare preparate come una volta facevano i pescatori salentini.

Friselle all'acqua di mare

Friselle all’acqua di mare

Insieme a Caterina, una donna che ho conosciuto casualmente passeggiando lungo la spiaggia di Torre Santa Sabina, ho visitato  località che da tempo desideravo vedere. Dopo aver parlato a lungo, incoraggiandomi a scendere tra gli scogli per fare un bagno, un’unica raccomandazione: “Cinzia, vivi questo luogo con lo spirito meridionale.

Il nostro tour è iniziato a Polignano a Mare, un paese suggestivo che sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare. Molti lo ricordano per aver dato i natali a Domenico Modugno, io lo ricorderò soprattutto per la poesia dei suoi paesaggi.

Polignano a Mare

Polignano a Mare

Uno scorcio di Polignano a Mare

Uno scorcio di Polignano a Mare

La Scogliera di Polignano a Mare

La Scogliera di Polignano a Mare

Mentre viaggio mi piace condividere in rete foto e pensieri. E’ così che le persone che mi seguono nei miei itinerari, oltre a trasmettermi il calore e la nostalgia dei paesi che per necessità hanno dovuto lasciare, mi consigliano e mi indirizzano. Un modo più intenso di vivere il viaggio.

Grazie alle indicazioni di Emanuela a commento di una foto, a Polignano ho assaggiato per la prima volta la granita con panna e caffè del ‘Supermago del Gelo’, una gelateria storica fondata da Giuseppe Campanella nel 1935.

Granita panna e caffè dal Supermago del Gelo

Granita panna e caffè dal Supermago del Gelo

La tappa successiva è stata a San Michele Salentino, in provincia di Brindisi. Un paese dove i ragazzi sfogano la loro voglia di poesia con veri ‘attacchi poetici’ scritti sui muri.

Attacchi poetici a San Michele Salentino

Attacco poetico a San Michele Salentino

Attacco poetico

Attacco poetico a San Michele Salentino

Attacco poetico

Attacco poetico a San Michele Salentino

Dopo la poesia la storia. A Brindisi, come in tutte le cittadine della Puglia, ce n’è molta. Qui ho visitato il Duomo e le Colonne, alte ben 19,20 metri, simbolo della città e fine della via Appia.

Il Duomo e le Colonne di Brindisi

Il Duomo di Brindisi e le Colonne simbolo della città

Questa è la Terra delle Gravine. L’amica Rosana Tinella mi ha fatto conoscere quella di Mottola. Una gravina composta da una serie di grotte scavate nella roccia, che ospita ben tre chiese rupestri ricche di graffiti di epoca alto medievale.

Gravina di Mottola

Gravina di Mottola

Tra una visita e l’altra non mi sono fatta mancare un piatto di strascinati e orecchiette maritate al sugo di pomodoro fresco con cacio ricotta, accompagnate dalle tradizionali fette di cocomero. Caterina mi ha spiegato che questo mix di pasta di formato diverso è preparato insieme di proposito per un miglior esito del piatto.

Strascinati e orecchiette maritate con sugo di pomodoro fresco e cocomero

Strascinati e orecchiette maritate con sugo di pomodoro fresco e cocomero

Non poteva mancare una serata dedicata alla Pizzica. Una danza tipica salentina molto antica che si rifà ai movimenti che davano sollievo alle donne pizzicate dalla taranta, termine salentino per indicare la tarantola.

La Pizzica

La Pizzica

Ci sono spettacoli che la natura ci offre e che non si può perdere…

Il sorgere del sole a Torre Santa Sabina

L’alba a Torre Santa Sabina

Tramonto a Specchiolla

Il tramonto a Specchiolla

Nubi

Le nuvole tinte di rosa a Torre Guaceto

La luna a Carovigno

La luna dai riflessi d’argento a Carovigno

Se chiudo gli occhi la mente e il pensiero va a quella terra. Mi mancano i suoi trulli e le sue case bianche, il suo mare, gli scogli e le coste selvagge. Mi mancano le distese di ulivi, la terra rossa, il frinire dei grilli e delle cicale. Mi manca il profumo dei fichi arsi dal sole, i fiori dai colori brillanti, i muretti a secco e il rumore del vento…

Trullo a San Michele Salentino

Trullo a San Michele Salentino

Specchiolla

Specchiolla, Carovigno

Uliveto a Carovigno

Uliveto a Carovigno

Fiori di Brindisi

Fiori di Brindisi

Fiore di cappero

Fiore di cappero

Corallo presso il Molo Sant'Eligio a Taranto.

Corallo presso il Molo Sant’Eligio a Taranto. Effetti del cambio delle temperature che fanno riflettere…

Fiori di Brindisi

Fiori di Brindisi

Fiori di Brindisi

Fiori di Brindisi

La pianta delle farfalle

La pianta delle farfalle

Muretti a secco

Muretti a secco




Laterza, la terra delle Gravine, del Pane e degli Ulivi

La Gravina di Laterza, un canyon di straordinaria bellezza che poco tempo fa, durante la visita dell’Azienda Agricola Campanello dell’amico Paolo Barberio, ho avuto il piacere di visitare.  Una profonda incisione erosiva in provincia di Taranto che si sviluppa su una lunghezza di 12 km, con una profondità di circa 200 metri, e una larghezza media di 400.

Un luogo che mi ha lasciato senza fiato, e che ho vissuto seduta a terra ascoltando il vento con lo sguardo rivolto all’immenso delle sue pareti calcaree. Circondata da una lussureggiante vegetazione mediterranea, ho vissuto quei momenti in profonda meditazione.  Forse perché da qualche anno sto facendo un viaggio accelerato con me stessa. Credo che sia la ricerca di quel silenzio che da pace all’anima, e che si trova solo vivendo a contatto con la natura.

Riporto le parole di Thich Nhat Hanh, monaco e poeta buddhista vietnamita.

Mi piace camminare da solo per i viottoli di campagna, fra piante di riso ed erbe selvatiche, poggiando un piede dopo l’altro con attenzione, consapevole di camminare su questa meravigliosa terra. In quei momenti, l’esistenza è qualcosa di prodigioso e misterioso. Di solito si pensa che sia un miracolo camminare sull’acqua o nell’aria. Io credo invece che il vero miracolo sia poter camminare sulla terra.” 

La Gravina di Laterza

La Gravina di Laterza

Una zona a protezione speciale sito di importanza comunitaria denominata “Area delle Gravine“. L’unico posto in Europa in cui nidifica il Capovaccaio, il più piccolo avvoltoio europeo il cui nome deriva dalla sua propensione a cibarsi dei resti dei bovini. Un rapace presente da Marzo a Settembre dall’apertura alare di circa 170 cm.

Durante il susseguirsi delle stagioni sono molte le specie animali e vegetali che popolano questo territorio selvaggio. Un susseguirsi di colori e profumi che, se ne avete l’occasione, vi consiglio di visitare seguendo i diversi percorsi accessibili ai più.

E’ in questa zona che nasce l’olio extra vergine di oliva di Paolo. Una produzione da agricoltura biologica nel cuore della terra delle Gravine che continua da generazioni.

Un albero di ginepro di cinquecento anni - Azienda Agricola Campanello

Un albero di ginepro di cinquecento anni – Azienda Agricola Campanello

Laterza non è solo conosciuta per le Gravine e per gli ulivi. Il suo pane, prodotto dai panificatori laertini, è rinomato per la qualità che viene garantita e tutelata dal Consorzio omonimo.

Seguendo un antico rituale, viene cotto in forni scaldati con della legna aromatica che gli conferisce caratteristiche singolari.

Una ricetta tramandata di generazione in generazione che ha permesso al comune di Laterza di entrare a far parte dell’associazione Città del Pane.

Pane di Laterza

Pane di Laterza

www.oasilipugravinadilaterza.it




In Italia ci sono circa 7450 km di coste ma la pesca sta morendo. Qualcuno me lo spiega?!

Fino a poco tempo fa mi occupavo di organizzazione e di ottimizzazione delle risorse, in realtà me ne occupo ancora, perché applico questi principi a tutto quello che faccio.

Oggi la mia provocazione parte da qui.

Negli ultimi mesi sono stata a Taranto, a Crotone, a Pozzuoli, a Fiumicino… insomma sono stata in posti di mare, ma soprattutto in posti dediti alla pesca. Per capire meglio questo settore, ho tentato di avvicinarmi cercando di organizzare un’uscita notturna con i pescatori, per seguire il loro lavoro, per capire parlando e vivendo con loro. Purtroppo il maestrale non mi ha favorito, bloccando ripetutamente i miei piani.

Sono una testa dura, qualcuno direbbe una testa calda, in realtà sono una passionale e un’idealista, e non mi arrendo facilmente. Proprio per questo ho continuato ad approfondire l’argomento… per capire. L’ho fatto a Napoli, a Taranto, a Crotone e a Fiumicino. Mi fermavo e parlavo con loro, alcuni erano diffidenti, mentre altri, dopo aver capito il mio reale interesse, mi spiegavano.

Persone combattute, deluse, stanche, quasi arrese dallo stato delle cose, persone da ascoltare. Sono ben conscia che vivere le difficoltà di ogni giorno è cosa ben diversa che scriverne e parlarne.

Amo il mio paese e la sua gente, parlando con loro vivo il territorio, da nord a sud. Mi sostiene la passione e l’entusiasmo, anche se a volte è messo a dura prova dalle delusioni. Ma è questione di un attimo, perché basta una spallata per ‘farmi reagire e agire’ con l’unico mezzo che ho: ascoltare le persone e farmi interprete della voce della gente, quella che lavora, i veri Italiani.

Detto questo passo al punto, perché io voglio capire…

  • In Italia ci sono circa 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo. Qualcosa non quadra, qualcosa che io non riesco a capire, soprattutto in un periodo di crisi come questo, in cui ottimizzare ciò che ci rimane dovrebbe essere questione prioritaria. Qualcuno mi definirà noiosa, persino logorroica nel sottolineare continuamente, in ciò che scrivo, gli stessi concetti.
  • In Italia la moda, il turismo, l’agricoltura, la pesca, l’enogastronomia sono settori trainanti, e in quanto tali vanno favoriti al massimo i loro percorsi. Purtroppo non è così. Continuo a non capire…

Questi sono giorni caldi, giorni di profonda crisi. Non si parla altro che di giochi di poteri di politicanti stipendiati dall’Italia che lavora, che se lo ricordino bene! Io non voglio parlare di loro, mi logora, mi da la nausea, lo trovo inutile e frustrante. Io voglio parlare delle nostre produzioni, degli Italiani, dei loro disagi.

Ribadisco un numero importante, una nostra ricchezza che come tale va valorizzata. Abbiamo 7450 km di coste, ma la pesca sta morendo.

Mi dicono che a Mazara del Vallo negli ultimi anni da 380 pescherecci ne sono rimasti 80, a Fiumicino sette anni fa ce n’erano 45, ora ce ne sono 25, a Crotone sta succedendo la stessa cosa. I pescatori sono in ginocchio. Si sta distruggendo una delle realtà economiche più importanti.

Mi dicono che a fine Settembre per un mese ci sarà il fermo biologico per il ripopolamento dei mari. Un fermo per la pesca a strascico che però riguarda solo i pescherecci. Non ferma la piccola pesca. Ma vi chiedo, è realmente piccola? Una volta la piccola pesca usava reti alte un metro e mezzo, oggi arrivano a 12 metri. Una volta si fermavano a 3 miglia nel mare, oggi si fermano a 10…

Perché non fermare tutti, e non per un mese, ma per un anno! E poi, perché permettere uscite di 14 ore in mare! Andrebbero permesse al massimo 8 ore! Sono parole dei pescatori, quelli che amano il mare, quelli che non lo sfruttano.

Il loro primo problema è il caro gasolio, il secondo è la burocrazia e le istituzioni che non li aiutano come dovrebbero, il terzo è l’abusivismo…




Le ruote della vita, da calzolaio a ristoratore in un trullo di Martina Franca.

Peppino è solito dire… “Com dsc u cor toq”

Peppino, prima calzolaio e poi ristoratore. Tutto iniziò nel 1969 quando, ereditando un trullo poco distante dal centro di Martina Franca a Taranto, decise di intraprendere con sua moglie un’attività di ristorazione basata su piatti di cucina casalinga, tipici del territorio.

Il 3 giugno scorso hanno festeggiato cinquantasei anni di matrimonio.  Da questa unione sono nati tre figli, due dei quali collaborano con lui attivamente nel locale di famiglia, la ‘Trattoria delle Ruote’.

Ho conosciuto Giuseppe Ceci, Peppino, in una sera d’estate di poco tempo fa. Mi hanno portato degli amici dopo una passeggiata nella bella Martina Franca, cittadina elegante e ricca di storia nel cuore della Valle d’Itria. Il Prof. Piero Marinò la ricorda così:

“Qui mangi pane e barocco” intitolava nel giugno del ’97 la rivista ‘Bell’Italia’ a proposito del centro antico di Martina Franca. Fu il ceto dei galantuomini che, nella seconda metà del Settecento, decise di rendere  visibile la propria potenza economica avviando un processo di ristrutturazione e abbellimento delle vecchie case ‘a corte’ (piccole masseriole in paese), che costituivano le residenze dei signori.

Il paese si trasforma, come per incanto, in un autentico museo diffuso: portali barocchi e rococò, impreziositi da cartigli e cariatidi, capitelli  corinzi e piccoli  satiri, punteggiano le vie del paese. Panciuti ed eleganti balconi in ferro battuto occhieggiano dall’alto dei palazzi. Gli interni delle residenze vengono abbellite da affreschi nei saloni destinati all’accoglienza, ad incontri galanti, a piccoli concerti musicali.

Era giunta l’ora di cena, e la voglia di passare una serata in un locale tipico e ricco di storia ha fatto cadere la scelta su una Trattoria di quelle che piacciono a me, quelle con la T maiuscola, quelle dove l’atmosfera è calda e accogliente…

Con Peppino sono entrata subito in sintonia. Mentre lo ascoltavo nei suoi racconti guardavo l’espressione del suo viso tipica degli uomini vissuti con passione, tra lavoro e tanti sacrifici. A dire il vero qualcosa mi sono persa, ma solo perché il suo stretto parlare in tarantino non mi ha permesso di capire tutto.

Quella di Peppino è stata una vita di grande passione per la terra, per il cibo, ma anche per la storia. Quando ha capito che i miei interessi erano simili ai suoi, mi ha ‘letteralmente preso per mano’ conducendomi alla visita del suo museo. Una ricca collezione di reperti storici che mi hanno fatto perdere la cognizione del tempo fino a che, richiamata per la cena, ho raggiunto gli amici al tavolo. Quella sera farmi sedere è stato davvero faticoso…

Non solo Angelo, suo figlio, mi ha parlato di lui. Lo ha fatto anche un altro Angelo, in questo caso suo nipote.

Cinzia, zio Peppino è un uomo unico, un’ instancabile lavoratore vissuto all’insegna del sacrificio e del rispetto altrui.  La sua simpatia è contagiosa.  E’ un uomo umile che trasmette serenità, un buon esempio per tutti noi. Ho un ricordo di qualche estate fa , quando, nella trattoria dello zio Peppino andò in scena uno spettacolo stupendo, quanto inaspettato ed improvviso, uno dei ricordi più belli della mia vita.

Ero a cena, seduto ad un tavolo davanti al trullo con una coppia di miei amici musicisti veneti. In quell’atmosfera unica, con le cicale in sottofondo e sotto ad un cielo stellato, degustavamo  in allegria tutto ciò che di buono la dolce zia Graziella aveva preparato. I miei amici erano entusiasti e felici di aver scoperto la Puglia, sia per la cucina che per l’arte. Ad un tratto decisero di regalarci qualcosa per ricambiare. Chiesero una chitarra che noi trovammo nel giro di una mezz’ora e… ecco la magia! Iniziarono a suonare dando vita ad un concerto inaspettato.  Al tavolo cantavamo tutti, e pian pianino anche gli altri avventori si avvicinavano a noi fino a formare un solo coro di voci e di applausi.

Sotto quella luna tutto sembrava surreale…  Siamo andati avanti per ore, fino a notte fonda, perché nessuno voleva andar via, nessuno voleva rompere quell’incanto che la musica aveva creato. E’ un ricordo prezioso che ho vissuto in un luogo magico. I miei amici erano  il chitarrista Marco Anzovino e la cantante Marnit Calvi.

Anch’io non dimenticherò la sera passata li… Salutandomi Peppino mi ha detto: “Cinzia, a rumaste cuntente?” La mia risposta è stata un sorriso, e un deciso si!




Le Cozze Arraganate alla Tarantina

Ricetta: “Cozze arraganate alla Tarantina”

Col tempo ho imparato a vivere le città che visito passeggiando lentamente, di giorno e di notte, guardando gli scorci più nascosti, e gli attimi di vita vera…

Qualche sera fa, nella bella e suggestiva Taranto, guardavo i pescatori occupati nel riordino delle loro barche. Li ascoltavo mentre allegramente fra loro scambiavano battute. A dir la verità qualcosina ho capito, almeno credo… Leggete un po’ qua cosa si dicevano:

“Catà, quann’u marit arriv’a quarantina, lass’a mugghier e s’n ve a cantina, quann’a mugghier arriv’a quanrant’ann lass’u marit e s’pigghi’a Giuann.”

Tradotto credo significa: “Cataldo, quando il marito arriva alla quarantina trascura la moglie e se ne va in cantina, quindi alla moglie a quarant’anni non resta che trovarsi un… Giovanni”.  La saggezza popolare eh… 😉

Ogni volta che mi soffermo a guardarli, penso fra me e me, a quanto vorrei vivere per una notte la vita vera dei pescatori su un peschereccio. Prima o poi sono certa che lo farò. Questa è ormai la mia vita, la vita bella che mi ha rapito il cuore…

Per ora mi accontento di assaggiare il loro pescato. Qui di seguito riporto una semplicissima ricetta tipica tarantina che ho assaggiato al Ristorante Ponte Vecchio, in una notte splendida dall’atmosfera unica…

Cozze arraganate alla Tarantina

Inizio col dirvi che “arraganate” in tarantino vuol dire “gratinate”.

Dunque, acquistate delle cozze, io ne prenderei a vagoni visto che le adoro!  Mi raccomando però, che siano belle fresche!

Una volta pulite apritele a crudo, e predisponetele a mezzo guscio in una teglia.

Quindi preparare l’impasto per il ripieno amalgamando bene a del pan grattato con l’olio d’oliva, in questo caso Pugliese, e che sia buono mi raccomando! Unire del pepe, prezzemolo, e pecorino quanto basta (no sale).

Una volta impastato bene il tutto riempite le cozze, e passate la teglia nel forno per 10 minuti a 220 gradi.

La mia amica Maria Palumbo, tarantina DOC, consiglia come alternativa, per chi ama sentire appieno il sapore delle cozze, di non unire il formaggio… Gusti son gusti! 🙂

Io le ho assaggiate con il pecorino… vi assicuro, una delizia!

La Produzione delle Cozze Nere Tarantine è la più antica e la più grande a livello mondiale.

I Tarantini hanno impiantato, e di conseguenza insegnato alla gran parte del mondo la coltivazione delle cozze. Quelle di Taranto, riconosciute anche per la forma, sono diventate ora più salate perché si coltivano nel Mar Grande. In realtà la Vera Cozza Tarantina è quella del Mar Piccolo, zona attualmente impraticabile per l’inquinamento. (cit. Mimmo Modarelli)

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Ristorante Ponte Vecchio

Piazza Fontana, 61, Taranto

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