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“Ma il caffè in polvere si deve conservare in frigorifero, o no !?

Recentemente mi sono sentita rimproverare perché non tenevo il caffè in frigorifero…

Sinceramente la cosa mi ha colto di sorpresa. D’istinto la mia prima risposta è stata: “Ma che dici?”  Vista però la determinazione del mio interlocutore, ho deciso come al mio solito di approfondire l’argomento andando a fondo alla questione.

Sentiamo un po’ di pareri…

  • Lucia Galasso, Direttore Scientifico presso Museo della Civiltà Contadina e dell’Ulivo e apicoltrice

– Che io sappia in frigorifero si conserva meglio sia l’aroma che il sapore (io sempre in frigo).

  • Samuele Vergari di Foodwinebeer.it  

– No, io lo tengo al buio e in un luogo fresco e asciutto.

  • Raffaella Fortunato di cookartmagazine.com

– C’è una linea di pensiero che va in questa direzione. Io lo tengo in un luogo asciutto e in un barattolo con tappo a vite.

  • Teresio Nardi, Capo Condotta Slow Food – Oltrepò Pavese

– Io lo conservo nella dispensa, in un luogo asciutto e nel barattolo.

Vuole il caso che, a son di chiedere qui e la, mi sono imbattuta nello stand del Caffè Corsini a TUTTOFOOD 2013, la fiera dell’agroalimentare a Milano. 

Qui ho posto il quesito a Enrico Gigliarelli Direttore Vendite,  e a Santi Anedotti Direttore Commerciale dell’azienda. Grazie allo loro esperienza pluridecennale ho potuto appurare che, la cosa importante per la conservazione del caffè, è la chiusura ermetica del contenitore.

Riducendo il contatto del prodotto con l’aria se ne permette la conservazione e il mantenimento dell’aroma.

Per quanto concerne invece la questione “frigorifero”, ho assodato che le basse  temperature raffreddano gli oli presenti nel caffè non favorendo il miglior risultato finale. L’ideale è conservarlo ad una temperatura di 12/13 gradi. (Vi ricordate le belle dispense di una volta…)

Bene, sembra finalmente chiarita la questione, quindi mi preparo un bel caffè,  perché il caffè, è una cosa seria!  😉

 

 





Il vino artigianale di Andi Fausto, un uomo fuori dalla mischia

Andi Fausto,  titolare dell’Azienda Agricola a conduzione biodinamica situata a Montù Beccaria.

Nel mio gruppo amatoriale “Le Vigne-tte” si commenta spesso di vino, di natura, e di territorio. Devo dire che ho il piacere di condividere pensieri con “grandi” personaggi. Grandi direte…?!  Per me lo sono, per il loro credo nella terra e nelle persone. La grandezza appartiene ai semplici, non ha bisogno di scintille o di clamore… appartiene a chi vive nella verità, nell’etica, e nell’onestà.

Ebbene, qualche giorno fa mentre si discuteva di vini naturali è intervenuto l’amico Teresio Nardi, fiduciario della condotta Slow Food:  “In Oltrepò c’è un piccolo produttore che lavora con pochissima chimica in vigna (verderame e zolfo) e, per alcuni vini, senza aggiunta di bisolfito. Ottiene prodotti fuori dagli schemi standard non sempre apprezzati dai degustatori ufficiali, ma che vale la pena di assaggiare. Si chiama Andi Fausto”.

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Fausto Andi

Come dico spesso, e qui mi ripeto, seguo sempre i consigli delle persone che stimo nei miei percorsi di conoscenza, tanto che, seduta stante presi il telefono, e, dopo una bella chiacchierata fissai un incontro. Conoscere Fausto è stato un vero piacere, anche se devo ammettere che, nonostante chi mi conosce stenterà a crederlo, ho trovato chi chiacchiera più di me! 😉

L’azienda agricola biodinamica Andi Fausto nel corso degli anni ha recuperato vigneti autoctoni e vigne storiche grazie alla tradizione vinicola familiare tramandata. Durante la mia visita mi ha colpito molto il racconto della nascita della bottaia didattica. Capire l’importanza del legno è di fondamentale esperienza.

Fausto mi ha raccontato come, il famoso bottaio “Cassi” di Casabianca di Montù Beccaria, gli ha insegnato a gestire le problematiche del legno importanti per l’influenza che si vuole dare al proprio vino. Questi insegnamenti l’hanno portato nel 2007 a conoscere Pietro Garbellotto, che, dopo avere ascoltato e apprezzato i contenuti delle richieste di Fausto, ha realizzato la sua bottaia didattica. Pietro Garbellotto, uno degli imprenditori veneti più conosciuti a livello mondiale nel settore vinicolo è scomparso nel 2011 a 88 anni; l’artigiano bottaio di Conegliano (TV) soprannominato “il re delle botti”.

Cantina dell'Azienda Agricola Fausto Andi

Cantina dell’Azienda Agricola Fausto Andi

Durante la visita in cantina, quando Fausto mi ha chiesto che vino volessi assaggiare la mia risposta prontamente è stata: “Rosso e di carattere!” Ho degustato l’Alianum vendemmia 2007, 18 gradi, un vino artigianale come lui lo definisce ottenuto dalla Moradella,  un vitigno storico che ha recuperato. Un vino rosso, caldo, particolare e avvolgente, che ho apprezzato molto.

Nei suoi racconti mi ha colpito un’espressione che ha usato e che condivido pienamente – la perdita della capacità di osservazione del contadino – quella saggezza interpretativa nell’osservazione del cielo e delle condizioni metereologiche che tanto influivano sullo svolgimento delle attività agricole.

Un uomo “fuori dalla mischia”, e non solo per il suo pensiero…  Questa definizione corrisponde al nome di un suo progetto di assistenza. La  finalità è di promuovere l’integrazione di persone attraverso un laboratorio che riunisce gruppi dediti alla trasformazione di prodotti dell’azienda, e di circuiti a coltivazione biologica.

Il laboratorio di agricoltura sociale nato nel 2006, permette ai “collaboratori” in un ambiente familiare lo svolgimento delle attività per la produzione di confetture, vellutate di verdure, succhi di frutta, oltre che al singolare decoro delle bottiglie destinate ad una distribuzione mirata.

“Tu fai e lasciali parlare”

Andi Fausto

 




“Ridare identità ai Contadini”

Oggi voglio fermarmi a riflettere…  A volte è necessario per fare il punto sulle proprie esperienze.

E’ ormai risaputo… amo visitare le realtà produttive, parlare con i Contadini, quelli con la C maiuscola. Ascolto le loro storie, i loro racconti, i loro sfoghi… Sono stanchi, arrabbiati, combattuti…  I meccanismi contorti della politica e della burocrazia li attanaglia a tal punto da toglier loro la voglia di lottare. Tutto ciò porta a isolarli disperdendo energie, quelle buone, quelle che qualcosa ancora potrebbero. Alcuni sono demotivati a tal punto da perdere la passione, altri affondano, non riuscendo a sostenere le spese di gestione. Ogni volta che sento morire un’azienda agricola è una ferita al cuore, una sconfitta per l’Italia.

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  • Gli agricoltori “hanno bisogno di tornare a credere”!
  • Si devono “individuare persone capaci in cui possano riporre fiducia”, è da li che si può, e che si deve ripartire.
  • Si devono creare “reti che li uniscano con una nuova mentalità”.
  • E’ importante che “vadano nella stessa direzione senza sparpagliarsi”.

Per molti sono una sognatrice, una donna che fa poesia, che, spinta dall’entusiasmo e dalla poca esperienza, crede ancora che quest’Italia ce la possa fare. Lo vedo nei loro occhi quando arrabbiata da ciò che sento, propongo soluzioni. Troppi intrecci malavitosi hanno rovinato ciò che i nostri nonni e i nostri padri hanno costruito con fatica.

Dibatto spesso su questo argomento, perché il bandolo della matassa va trovato!  Perché forse continuare a parlarne può indurre qualcuno a crederci! I segnali ci sono eccome, i giovani si stanno proiettando sempre più verso questo settore. Proprio oggi leggevo su un articolo l’aumento del 26% delle iscrizioni all’Università per i corsi di laurea in scienze agroalimentari. E’ per questo che ho deciso di riportare alcune riflessioni sul mondo contadino fatte nelle varie discussioni che spesso mi trovo ad imbastire, per capire se una strada da percorrere c’è ancora… Io ci credo!

Il mestiere del contadino, come quello del marinaio e del soldato, contiene in se stesso un alimento per l’anima: non si tratta che di liberarlo.”

Jean Guitton

  • Teresio Nardi, Fiduciario della condotta Slow Food Oltrepò Pavese: “Vengo dalla terra, ho lavorato 38 anni nella scuola e dai giovani ho avuto molto; ai miei allievi ho sempre dato sincerità, buon esempio e ho trasmesso loro passione per il lavoro. Ora posso dedicare la mia passione alla terra dove sono nato e cresciuto; lo faccio perché mi piace, non chiedo nulla a nessuno e tutto questo mi gratifica molto…”

Il nostro modello economico ha guastato tante cose, tutto è visto in funzione del reddito e tutto come strumento produttivo. Il terreno non è capitale! Io ho sempre insegnato che una grande componente del terreno è terra naturale – natura, non rinnovabile e quindi da conservare con amore e attenzione, altri più autorevoli di me lo hanno detto, ma quante volte negli ultimi cinquant’anni c’è stato un progetto politico in questo senso. Altra considerazione: il contadino dev’essere visto come guardiano dell’ambiente e del territorio, motivato a questo e valorizzato nel suo lavoro per questo motivo. Ancora: il terreno deve produrre cibo! Non energia o aree fabbricabili o capannoni… Ancora: il cibo è un bene fondamentale (a me hanno insegnato fin dalla nascita che il cibo non si spreca) non è merce di scambio. Tutto questo i veri contadini lo sanno e vivono male la situazione attuale.

Non è facile… i veri contadini: quelli che coltivano la terra, che credono nel loro lavoro, che tutelano l’ambiente e le tradizioni locali, che hanno assorbito la cultura della terra dai loro nonni e dalla storia della loro famiglia; sono anche quelli che conoscono le incertezze dei loro obiettivi, e le temono: le stagioni, le intemperie, la siccità, la grandine, il vento e tutto ciò che influisce sul ciclo di vita degli essere viventi che con tanta fatica loro allevano e tutelano. Prima temevano solo la natura che a volte è amica e altre volte è nemica; ora temono anche il “progresso” che gli sottrae terra, libertà di semente, aria pulita, paesaggio, ambiente, biodiversità; sono stati spesso ingannati dalla tecnologia. Per tutto questo è difficile coinvolgerli, conquistare la loro fiducia, far loro credere che oggi c’è qualcuno che è dalla loro parte e che vuole il ritorno alla terra, alla tutela dell’ambiente, alla valorizzazione del territorio e delle tradizioni, nonché un cibo di qualità e giusto che può venire solo dal lavoro del “contadino”.

  • Luigi Caricato, scrittore, giornalista, oleologo, ha pubblicato diversi volumi sull’olio di oliva. Collabora con varie testate giornalistiche italiane ed estere, con rubriche e articoli. Dal 2003 dirige il settimanale on line “Teatro Naturale”, periodico specializzato in agricoltura, alimentazione e ambiente.

Il guaio è che sui contadini si continua a speculare. Ci vorrebbe una riformulazione delle associazioni di categoria non  più adeguate ai tempi. Gestiscono la burocrazia e soprattutto tanto danaro, ma non dispensano idee e soprattutto non rappresentano più i propri associati. Ho un amico che è stato fondatore di una delle tre grandi associazioni esistenti, e che ora è stato tagliato fuori perché ritenuto “inutile” in quanto intellettuale. Sta proprio qui l’errore; le associazioni hanno bisogno di essere guidate da intellettuali che diano un indirizzo e che lo facciano senza clamore, come invece accade.  Io sono figlio di agricoltori e da fanciullo, e poi da ragazzo, ho lavorato in campagna; so cosa significhi, per questo, conoscendo le esigenze degli agricoltori sono profondamente preoccupato per loro. Oggi come ieri nessuno li rappresenta e tutela. La stessa comunicazione anziché aiutare l’agricoltore a fare quel passo in avanti che non riesce da solo a compiere, lo banalizza.

 Non ha senso creare una nuova associazione, ma è urgente che cambino i dirigenti, che siano agricoltori veri, loro per primi. Agricoltori nell’animo, più che nella forma. E’ un percorso a ostacoli. Io stesso per i miei scritti vengo punito con atti di ostilità, ma non demordo, perché  quando le idee sono buone, tutto prima o poi va in porto.  Oggi l’agricoltore per essere salvato andrebbe lasciato libero, ma la libertà è un traguardo difficile da raggiungere. Per superare gli ostacoli è necessario rendere gli agricoltori indipendenti, e l’indipendenza la si ottiene con la certezza del reddito. Sta qui il punto dolente: tanto il danaro (tantissimo) dato all’agricoltura, finisce nelle mani sbagliate, e così gli agricoltori non guadagnano mai la propria libertà. Non sono ottimista perché  convinto che, come per la politica, nulla cambierà nell’associazionismo. Sto raccogliendo nuove adesioni di intellettuali da cui spero di trarre quella “forza giusta” per stimolare il cambiamento. Non è facile. Anzi, è più facile cambiare l’Italia che non l’agricoltura. Si tratta di un’impresa ardua. Ma io amo le sfide, e qualcosa otterrò, ne sono certo…

  • Alfonso Pascale, Vice Presidente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, membro del Tavolo Permanente di Partenariato della Rete Rurale Nazionale in rappresentanza della Rete Fattorie Sociali. Collabora con l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA).

Le associazioni nate nel secolo scorso vivono tutte una profonda crisi di rappresentanza. Nell’adeguarsi all’attuale modello di intervento pubblico in agricoltura (aiuti PAC), che distruggono il capitale sociale delle campagne, e nel rinunciare a modificarlo, sono venute meno alla loro funzione essenziale: produrre beni relazionali e creare legami solidaristici.
La loro posizione di difesa dei meccanismi assistenzialistici di intervento pubblico nell’economia non deriva (come affermano ipocritamente) da preoccupazioni per le sorti dei propri associati. Il loro atteggiamento conservatore è dettato solo dalla volontà di difendere l’assetto delle proprie strutture organizzative, che si sono adattate nel tempo alla gestione di determinati servizi. Di gente per bene ce n’è in queste organizzazioni ma non sono in grado di fornire un reale sostegno ai contadini e al territorio perché non hanno più la cultura sindacale e professionale per farlo.

Bisognerebbe costruire nuove reti, una nuova società civile che si auto-organizzi al di fuori dei legami che storicamente si sono determinati tra sistema politico e società.

Non sappiamo più leggere la saggezza che ci hanno trasmesso i contadini …

Alfonso Pascale

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