mi ha proprio stupito! Ora vi spiego il perché…
Quando vedo pubblicate sui social network fotografie di piatti senza le minime spiegazioni mi stizzisco alquanto. Mi piace capire quello che vedo, ed è per questo che la curiosità di conoscere non mi trattiene dal chiedere informazioni in merito alle creazioni dello scorribande cuciniere di turno.
Bene, questa volta il fotografo-cuoco-creatore ad essere pizzicato è Enrico Fiorentini.
Devo confessarvi, visto che io stessa quasi non ci credevo, che, dopo un paio di volte in cui ironicamente gli ho sottolineato la mancanza, per rimediare ha voluto dedicarmi un piatto, ma non solo, me lo ha anche raccontato senza che io glielo chiedessi! 😉
Leggete qui di seguito come lo ha descritto…
Cinzia, la fettuccina allo zafferano trafilata al bronzo, è una produzione limitata dell’Az. Agr. Vigna di More, un’azienda marchigiana molto piccola, anzi piccolissima, di cui la titolare è una delle persone più semplici e genuine che io abbia mai incontrato.
La prugna rossa in questo periodo è al suo massimo, con l’equilibrio tra aspro e dolce è estremamente sugosa. La fava di cacao impreziosisce e dona quel carattere di croccantezza e autorevolezza nei confronti dello zafferano, nobile spezia ricavata dal cuore dei fiori. Il finocchietto selvatico infine, è l’erba spontanea per eccellenza in questa stagione, dona freschezza, leggerezza e piacevole sensazione di pulizia al palato.
Ti ho dedicato questo piatto perché secondo me hai molte similitudini con tutte queste qualità che ho appena elencato. Una sobria eleganza e una sofisticata semplicità… un connubio di qualità che potrebbero sembrare contrastanti, mentre invece sono l’una la compensazione dell’altra.
Cinzia, posso iniziare col dirti che mi piaceva stare in cucina visto che i miei, per motivi di lavoro, erano spesso assenti. Il sabato era giorno di mercato, si faceva la spesa, e poi, tornati a casa, si pulivano le verdure. Mi piaceva la manualità e la trasformazione dei prodotti in pietanze, era affascinante, e lo è ancora. Ricordo un vecchio libro di cucina trovato in un cassetto, “Il Carnacina”. Inizialmente mi risultava quasi incomprensibile, poi, in occasione delle festicciole a fine scuola ai tempi delle medie, l’ho utilizzato cimentandomi in qualche ciambella marmorea non propriamente lievitata, al pensiero sorrido ancora…
Quando giunse il momento di scegliere l’indirizzo della scuola superiore mi è venuto spontaneo orientarmi verso l’alberghiero. Non ero conscio della vita di sacrifici alla quale andavo incontro. Già dal primo anno fui coinvolto dal mio chef dell’epoca, Marco Olivieri, in piccoli eventi extra scolastici. A distanza posso dirti senza alcun dubbio che ho avuto fortuna, perché si trattava di un serio professionista che svolgeva il suo lavoro con passione. Ecco la parola chiave per chi si avvia verso questa carriera, la passione e il feeling, requisiti fondamentali per chi vuole cucinare.
Non nascondo che mettevo più impegno nel lavoro che nella scuola, ovviamente quando ce n’era l’opportunità; per questo colgo l’occasione per ringraziare la mia famiglia che costantemente mi ha sempre appoggiato. Finiti gli studi ho iniziato con le prime esperienze, da Peck, da gli Orti di Leonardo, da Il Duca di Milano, fino alla Costa Smeralda e alla Toscana, per poi continuare all’estero, con l’incontro di nuove culture e di cucine etniche. Una continua metamorfosi dell’essere uomo e chef che era in me.
Con i viaggi all’estero sono cambiate molte cose nella mia vita, è subentrata la solitudine, la malinconia, la lontananza. E’ stato allora che mi sono concentravo più sul lavoro, chiudendomi in me stesso, nel mio mondo, sicuramente con un impatto diverso sull’essere, diventando meno social, meno comunicativo, più chiuso, orso e lunatico. Quando tornavo, dopo un lungo soggiorno all’estero, mi ritrovavo quasi catapultato in un ambiente che non riconoscevo più. Quando giungeva il momento di ripartire mi invadeva l’ansia e l’angoscia… Un susseguirsi di forti emozioni che sfogavo in cucina, forse, perché col tempo, cresce l’emotività…
Era questo che volevo da Enrico, volevo che uscisse l’uomo e così è stato. Leggendo le sue parole, oltreché ad emozionarmi, ho capito un pochino di più che cosa significa oggi essere uno chef affermato. Un mestiere duro che, visto dall’esterno, non rende realmente l’idea delle difficoltà. Come dico spesso, per capire le persone e il loro lavoro, l’unica è viverle, direttamente sul “campo”.
Enrico ama molto anche la musica. Questa è quella che ha voluto regalarmi, una musica che sa di mare, di estate, e di passeggiate sulla sabbia a piedi scalzi…
Enrico e’ introverso…estroverso…tutto e il contrario di tutto…Enrico e’ Enrico…Un grande creativo, e ve lo dice uno che lo conosce in profondo!
Nicola, e pensare che mi stava antipatico… Il bello di conoscere ‘sul serio’ le persone è che spesso sono diverse da come appaiono. Quando ad esempio dico che sono una donna di silenzi, ‘quasi’ nessuno mi crede. Le persone dei ‘quasi’ un pochino mi hanno capita. Insisto, impariamo ad andare oltre le vetrine…
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