Sono convinta che leggendo il titolo di questo articolo molti di voi penseranno ai soliti discorsi sui vini cosiddetti naturali, lo penserei anch’io. Scrivere di vini senza aggiunta di anidride solforosa (SO2), la cui azione antisettica e antiossidante in una stagione difficile come questa è considerata determinante, sicuramente ai più sembrerà azzardato. Sto parlando di un additivo chimico utilizzato in moltissimi alimenti che, se assunto superando le dosi consentite, ha effetti tossici sulla nostra salute. Una sostanza il cui uso richiede attenzione, e che, conseguentemente, impone una continua ricerca verso un’alternativa naturale. Giuseppe Sportelli di Amastuola, un’azienda agricola di Taranto che recentemente ho visitato, ha commentato una nostra discussione a tal proposito con una frase che fa riflettere, perché in essa è contenuta la verità: “Cinzia, il segreto è nell’uva”.
Entro in merito.
Qualche settimana fa, durante un pranzo sul lago con un caro amico, la mia attenzione è stata catturata dall’ascolto di un vino prodotto senza l’uso di solforosa, o meglio, con l’uso di uno stabilizzatore per il processo di vinificazione a base naturale prodotto da un’azienda chemical free di Quartino, in Svizzera. Poche le notizie certe, ma in cambio qualche utile contatto per approfondirle. Da li sono iniziate le mie ricerche. Ho incominciato contattando alcuni amici produttori per capire se ne fossero a conoscenza. Tranne qualche caso isolato, poche le informazioni. Ho proseguito con alcune telefonate fino ad arrivare ad Alessandro Schiavi, enologo e socio dell’azienda agricola Mirabella di Rodengo Saiano a Brescia. Da qualche anno sta sperimentando questo prodotto con un vino già in commercio. Raggiunto al telefono la sera stessa mi sono accordata per un appuntamento. Due giorni dopo, nonostante il maltempo, sono andata a trovarlo.
Dopo avergli spiegato che cosa mi aveva portato a lui, mi ha raccontato del suo percorso orientato verso una ricerca di pratiche, sia in vigneto che in cantina, rispettose dell’ambiente e del consumatore. Nell’azienda nata nel 1979 in cui è socio, viene utilizzata energia proveniente da fonti rinnovabili (55 tonnellate in meno di gas carbonico emesso annualmente). Le sue sperimentazioni con EPYCA® di Bioma, il prodotto oggetto delle mie ricerche, sono fatte in collaborazione con l’Università di Viticoltura ed Enologia di Milano. Il risultato è la produzione di “Elite” extra brut, Franciacorta DOCG, il primo Metodo Classico italiano senza solfiti (inferiori a 10 mg/litro, limite di dichiarazione) e allergeni.
A lui la parola.
- Alessandro, come sei venuto a conoscenza di questo prodotto che stai sperimentando?
Sono venuto a conoscenza di Bioma tramite un parente del nostro socio Giuseppe Chitarra, un prodotto che nel corso degli anni ha cambiato diversi nomi, ora si chiama EPYCA®. Tendo a sottolineare che il solo prodotto non è sufficiente ad ottenere un buon vino o spumante, ma deve essere associato a particolari tecniche enologiche altrettanto importanti.
- Mi spieghi di che cosa si tratta e come agisce?
E’ un insieme di polifenoli di origine vegetale estratti dall’uva che interagiscono sia con il metabolismo microbico del vino nelle diverse fasi di lavorazione, sia con le componenti ossidanti esogene (ossigeno, perossidi, raggi uv, ecc.)
- Oltre ad utilizzarlo con Elite, il tuo metodo classico Franciacorta già in commercio, mi dicevi che hai iniziato la sua sperimentazione con altri vini. Me ne vuoi parlare?
Come dicevo sopra EPYCA® è una delle componenti del progetto Franciacorta “Elite” extra brut. Sto utilizzando EPYCA® red in una bellissima azienda della Bergamasca su vini vendemmia 2104 Cabernet Sauvignon e Merlot che ho vinificato parallelamente sia in botti di acciaio che in botti di legno da 500 litri. I risultati sono interessantissimi nonostante l’annata 2014 sia stata molto complicata a livello di sanità e ossidabilità di uve e di vini. L’ideale sarebbe organizzare una degustazione, perché “i vini parlano da soli”.
- Si parla molto di vini naturali. Quali sono le differenze sostanziali con i tuoi vini?
I vini che sto sperimentando non sono ben classificabili nelle famiglie dei bio, naturali, ecc. (i miei vini sottostanno a parametri ben più stretti di un vino bio). L’obiettivo è quello di ottenere dei prodotti legati e ben identificabili con il loro territorio e con lo stile dell’azienda che li produce, con molta attenzione ad un rispettoso trattamento dei vigneti senza “appesantire” il terreno e l’ambiente in cui viviamo (le aggiunte chimiche da questo punto di vista modificano tali parametri). Vinificazioni consapevoli e gestite da chi conosce ed osserva con attenzione l’ambiente che lo circonda (questo è il parametro più delicato: collaborare con del personale molto preciso e attento a tutti i segni della natura). Vini che senza aggiunte di allergeni possono essere consumati da chiunque, perché sani, tipici e ben conservabili.
Riprendo la parola ma la ripasso subito a Maurizio De Simone, un enologo che sta dedicando la sua vita alla ricerca storica per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo italiano unico per diversità pedoclimatiche e numero di vitigni autoctoni. Il suo sogno è produrre vini integri e stabili senza l’ausilio dell’uso dell’anidride solforosa. Da qualche anno, dopo aver incontrato Bioma, ha iniziato a sperimentare i loro coadiuvanti naturali per il controllo antisettico e antiossidativo degli alimenti. Una società di biotecnologie svizzera che agli inizi degli anni 2000 ha cominciato a studiare molecole di origine vegetale fino a mettere sul mercato un estratto di vinacciolo dell’uva e proteine vegetali, che aggiunto al vino al posto della anidride solforosa, non solo ha permesso di avere vini microbiologicamente sani, ma anche stabili rispetto alle ossidazioni, e soprattutto senza la devastante interferenza organolettica dei solfiti.
- Maurizio, puoi raccontarmi la tua esperienza dopo questa sperimentazione?
Da qualche anno si possono trovare sul mercato vini senza solfiti aggiunti, che però spesso all’assaggio risultano fortemente ossidati, e a volte con incipienti difetti microbici che ne invalidano le peculiarità organolettiche. Premesso che minime quantità di solforosa vengono prodotte dai lieviti durante la fermentazione, la soglia di 10 mg/lt di legge garantisce la quasi certezza che al di sotto di tale limite a un vino non sia stato aggiunto questo gas. In questi anni ho avuto modo di seguire vinificazioni presso numerose cantine private in Italia, Svizzera, Francia, Portogallo, California e Australia, oltre ad organi indipendenti quali l’università di Bordeaux e l’istituto di ricerca per i Rosè di Provenza. In tutti i casi si è evidenziato come i vini prodotti senza l’aggiunta di solforosa fossero naturalmente più stabili dei paralleli convenzionali, con minori tenori di acidità volatile, e nei rossi, tonalità purpuree di colore tendenzialmente più intenso e stabile nel tempo.
Tutti i vini risultano essere notevolmente diversi sotto l’aspetto organolettico, perché l’anidride solforosa è un fortissimo caratterizzante delle peculiarità olfatto gustative, e in assenza di essa, i parametri usuali di riconoscibilità sono rimessi in discussione. Questo discorso a prescindere dall’aspetto salutistico, che nel vino è sostanzialmente trascurabile rispetto ad altri alimenti dove le concentrazioni di solfiti sono notevolmente più alte. Quello che apre nuovi e imprevedibili scenari è il fatto che un vino senza solforosa aggiunta esprime caratteri diversi, molte volte riconducibili ai sentori delle uve di partenza, e questo potrebbe rimettere in discussione tutto quanto codificato fin ora da organi scientifici e organizzazioni del gusto, per non parlare degli aspetti comunicativi e pubblicitari che ruotano intorno a questo fantastico mondo.
Attualmente tantissime cantine seguono i miei protocolli di vinificazione che consistono nel sostituire l’utilizzo della anidride solforosa con questi coadiuvanti. La grande maggioranza di esse hanno una linea dedicata a vini prodotti senza solfiti aggiunti che sono particolarmente apprezzati nei mercati del nord Europa e anglosassoni. Questa tecnica consente di avere vini in bottiglia che non superano i 10 mg/lt di Solforosa Totale, limite oltre il quale è obbligatoria la scritta in etichetta “CONTIENE SOLFITI”. Un aspetto che mi ha sorpreso è che questa tecnica, applicabile alla stragrande maggioranza di tipologie di vino, se è legata ad una sensibilità etica di produzione, favorisce l’origine di vini più sani e meno invasivi sulla salute umana.
Maurizio De Simone – Pro.Vit.E. Società Professionisti del settore viticolo ed enologico – Montalcino (SI)
Riprendo la parola.
Conclusa la nostra chiacchierata, una volta tornata a casa, ho incominciato ad approfondire le ricerche su Bioma, un’azienda chemical free situata in Canton Ticino nata nel 1990. Come sempre ho bisogno di parlare direttamente con le persone interessate. Il Direttore Scientifico Elio Bortoli insieme al Direttore Operativo Moreno Buzzini hanno risposto alle mie domande.
- Bioma, un’azienda di biotecnologie che ricerca, sviluppa e fabbrica degli additivi alimentari per permettere la totale sostituzione di conservanti chimici aggiunti; nel caso del vino della solforosa, e nel caso dei salumi di nitriti e nitrati. Quali sono i risultati fin ora ottenuti?
E’ importante sottolineare che Bioma si integra nei normali processi di trasformazione alimentare senza disturbare le normali fasi di produzione tradizionali: non è quindi necessario dover rivedere e rivoluzionare la produzione con l’ausilio di importanti investimenti per nuovi macchinari e/o stravolgendo i propri processi produttivi.
Nel 1992 abbiamo vinificato la prima volta con la versione 1.0 dell’attuale EPYCA®, e in seguito, la strada fino ai nostri giorni è stata ricca di ottimi traguardi raggiunti. Oggi siamo in grado di poter offrire a coloro che intendono vinificare senza l’ausilio di solfiti aggiunti EPYCA®, una linea di prodotti per vini rossi, bianchi e rosé, bollicine e dolci, con la possibilità di arrestare la fermentazione malolattica.
- Sono arrivata a voi ricercando un prodotto estratto da matrici vegetali del tutto naturale che sostituirebbe l’uso della Solforosa nel vino con gli stessi risultati: EPYCA®. Di cosa si tratta esattamente?
EPYCA® è il frutto di un lungo lavoro di ricerca che è stato coronato da uno studio finanziato dalla Comunità Europea per tramite del progetto SULPHREE (sulphite-free organic additives to be used in wine-making-process). E’ composto da sottomolecole di tannini estratti da vinaccioli dell’uva preparate in diverse formulazioni da utilizzare nelle diverse fasi della vinificazione e del tipo di vino.
- I risultati che avete ottenuto con il progetto SULPHREE sono stati verificati da un organo di ricerca?
Il progetto SULPHREE, attuato da un consorzio nel quale erano presenti Bioma in funzione di R&D con il supporto di altri centri di ricerca, in particolare l’Università di Portici tramite il suo responsabile scientifico del dipartimento degli Alimenti Professor Ferranti e i suoi assistenti, assieme ad aziende vitivinicole EU, ha ottenuto risultati più che positivi. Tutte le applicazioni/vinificazioni effettuate sono sempre state seguite direttamente dai ricercatori e vinificatori attraverso analisi che ne hanno confermato innanzitutto l’assenza di solfiti aggiunti, ma che hanno anche evidenziando le caratteristiche organolettiche positivamente evolute.
- Parliamo di costi. Quanto incide l’utilizzo del vostro prodotto rispetto alla Solforosa?
Stiamo paragonando un prodotto estremamente valido ed affermato da anni che essenzialmente però è uno “scarto di produzione industriale”, e quindi con dei costi irrisori, con un prodotto completamente innovativo, giovane e tecnologicamente molto avanzato, che necessita di un investimento da parte dei produttori di vino. E’ importante notare però che tutti i produttori che hanno utilizzato EPYCA®, hanno comunque potuto riposizionare il prodotto sul mercato grazie a nuove etichette, e ovviamente con dei prezzi maggiori che assolutamente giustificano la qualità del prodotto finale vino. Il riposizionamento, soprattutto per quanto riguarda i costi, permette di ripagare completamente l’impiego di EPYCA® con dei multipli da 3 a 5 volte rispetto all’investimento. Vi è inoltre per i vinificatori la possibilità di presentarsi sul mercato con un prodotto nuovo, di qualità, salubre e che può soddisfare il crescente mercato delle persone intolleranti ai solfiti.
Concludo.
Ho pubblicato questo articolo nella speranza di diffondere un messaggio che possa servire da stimolo a chi come me, ama tutto ciò che riconduce alla natura e al rispetto dell’ambiente. Come dico spesso, i miei tentativi sono paragonabili a dei lanci di sassi nell’acqua: i cerchi che si formano attorno dipendono dall’interesse delle persone verso questi temi. La domanda che a volte mi sento porre e che mi fa sorridere è perché faccio tutto questo. La risposta è semplice: perché ci credo.
Ringraziamenti:
Giorgio Arrighini del Ristorante Ai Frati, Vello di Marone (BS) – Elio Ghisalberti, giornalista enogastronomico – Marco Derelli della Salumeria Derelli (BS) – Roberto Rigoni, Cantina Motto della Torre, Castione Svizzera – Alessandro Schiavi dell’Az. Agricola Mirabella, Rodengo Saiano (BS) – Maurizio De Simone, enologo – Elio Bortoli e Moreno Buzzini di Bioma Chemical Free Products, Quartino Svizzera – Giuseppe Sportelli dell’Az. Agricola Amastuola, Massafra (TA)