Street Food, tradotto letteralmente cibo da strada. Nei tempi passati un’abitudine comune, all’estero consuetudine, recentemente in Italia rivalutato con l’uso di una terminologia inglese. Diciamo la verità, chiamandolo così da un senso di modernità che altrimenti non avrebbe, ma il succo è che trattasi di cibo tipico della tradizione locale che si consuma passeggiando o su una panchina, in modo più economico, vivendo di più il territorio.
Solo qualche giorno fa ne parlavo con Beniamino Nespor, proprietario insieme ad Eugenio Roncoroni del Ristorante e Burger Bar di Milano, “Al Mercato”.
Due giovani ventinovenni che ho conosciuto grazie a Francesco Ottaviani, un medico con cui spesso scambio opinioni ed esperienze. Conoscendomi mi ha detto: “Devi andare! Quei ragazzi hanno quella genialità che ami ricercare nelle persone!” Qualcuno la chiama pazzia, io vi dico solo che diffido della normalità. Amo le menti creative con quel briciolo di follia che permette di osare.
Al mio arrivo mi ha colpito la parte esterna del locale, quasi anonima direi… Nessuna insegna del ristorante, solo qualche sedia all’esterno e l’indicazione del Burger Bar. Poi, entrando, l’atmosfera è cambiata… L’ambiente piccolo e accogliente e la scelta di rendere visibile il lavoro in cucina mi ha messo subito a mio agio. Mi ha accolto il gentile Beniamino con il quale ho iniziato subito a chiacchierare…
- Beniamino, quando Francesco mi ha parlato di voi e del vostro locale con tanto entusiasmo, sapendo la vostra giovane età, mi sono da subito incuriosita. Com’è nata la vostra amicizia e successivamente la vostra collaborazione?
Ci siamo incontrati per la prima volta alle medie, ma poi ci siamo persi di vista. Tre anni fa un nostro amico comune ci ha rimesso in contatto perché sapeva delle nostre intenzioni di aprire un ristorante. Dopo esserci frequentati di nuovo per un po’, abbiamo deciso di portare avanti il progetto “Al Mercato”.
- “Al Mercato”, perché la scelta di questo nome?
E’ stato il primo nome che ci ha messo subito d’accordo, e comunque rispecchiava la nostra idea di creare un punto tipo mercato, dove si vede quello che si mangia mentre viene cotto. Una cosa molto diffusa nei mercati asiatici.
- Nessuna insegna all’esterno segnala la presenza del vostro ristorante. Che cosa motiva questa scelta?
Le insegne non sono necessarie, ci piace così, solo con il nostro logo in neon rosso. Non abbiamo mai fatto pubblicità di alcun tipo perchè contiamo molto di più sul passaparola. Trovo anche che dia una bella sensazione passare davanti a questo luogo anonimo dall’esterno, vedendo questa grande cucina a vista, le persone che mangiano, quelle in coda…
- Mi racconti che tipo di cucina fate?
Dalla parte ristorante facciamo cucina internazionale di base italiana. Ci piace mischiare ingredienti provenienti da tutto il mondo, idee che ci vengono pensando ai nostri viaggi, ma utilizzando delle basi e delle tecniche da cucina italiana. Cerchiamo anche di mantenere il concetto molto italiano di antipasto, primo, e secondo. Nell’hamburger bar ci divertiamo a proporre hamburger e altri street food dal mondo, ovviamente utilizzando le tecniche da ristorante. Questo ci da la possibilità di offrire sempre un prodotto di qualità.
- “Street Food”, cosa vi ha spinto a seguire anche questa strada?
Lo street food è la passione di ogni foodie. E noi, oltre che cuochi, siamo anche foodie. Ci piace andare in giro a mangiare nelle peggiori bettole del mondo, mangiare per strada, in piedi, cose a caso… Insomma, provare sempre nuove esperienze. Lo street food è quello che fa comprendere come è fatto un paese. L’esperienza di mangiare con le mani poi, è totalmente diversa da quella fatta usando le posate.
- Beniamino, quando mi hai chiesto cosa volessi mangiare ti ho risposto: “Portami quello che mangeresti tu in questo momento”. Bè, mi hai portato un mega panino rivelatosi buonissimo. Detto così ovviamente non rende l’idea. Me lo vuoi raccontare?
Hai mangiato il nostro burger fatto nella maniera preferita da me. L’hamburger “Al Mercato” è un’interpretazione nostra del classico street food americano.
Usiamo la carne di un allevamento biologico, la tritiamo dalle 2 alle 6 volte al giorno, le verdure le prepariamo tutti i giorni, la marmellata di cipolle la facciamo noi, i cetrioli sott’aceto li facciamo noi, la salsa pure, e il pane lo abbiamo disegnato insieme al nostro panettiere… Poi ci sono tutte le varie aggiunte per soddisfare ogni palato.
Chi vive senza follia, non è così saggio come crede.
François de La Rochefoucauld
Commenti alla pubblicazione riportata su Facebook
Gianluca D’Amelio:
Non è che avevamo bisogno di tutto questo senso di modernità per indicare questa pratica alimentare, assolutamente tradizionale!! 🙂
Brava Cinzietta 🙂
Cinzia Tosini:
Lo so Gianluca, ma figurati se in Italia venisse chiamato “cibo da strada”! Daiiii diaciamo la verità! 🙂 Grazie! 😉
Gianluca D’Amelio:
Allora è vero che la cultura enogastronomica è diventata roba da fighetti!! 🙁
Cinzia Tosini:
Per alcuni credo di si! Per quanto mi riguarda, posso dirti solo che adoro recuperare le tradizioni, quindi se c’è la chiave giusta, usiamola!!!! 🙂