Giacomo Leopardi, mio poeta prediletto scriveva: “Sono convinto che anche all’ultimo istante della nostra vita ognuno di noi può cambiare il proprio destino…” Io ci credo fermamente. Per farlo l’unica è lasciarsi andare, e vivere tutto quello che si può vivere…
Non fraintendetemi, non faccio cose folli, ma se mi trovo davanti ad un’opportunità la colgo al volo. Ho imparato a farlo negli ultimi due anni vita, e vi assicuro che ne vale veramente la pena. Nello stesso modo, quando mi si propone una persona da conoscere, che mi viene presentata per la sua unicità, non mi tiro mai indietro. E’ un viaggio nelle anime, spesso molto intimo ed emozionante. Il risultato è un arricchimento personale di conoscenza e di esperienza, che regala veri momenti di vita… Fu così che un giorno un’amica mi parlò di Marco Bernava, vignaiolo italiano in terra di Spagna.
Lo conobbi dapprima al telefono, e poi successivamente per mesi e mesi con uno scambio di mail. A volte con veri e propri disappunti, a volte con prese di posizione… Un’amicizia vera e sincera che è cresciuta col tempo, e che mi ha portato ad affezionarmi sempre più alla persona che stavo imparando a conoscere, e ad apprezzare. C’eravamo ripromessi alla prima occasione possibile d’incontrarci. Ebbene qualche settimana fa, la stessa amica che mi mise in contatto con lui, con una scusa mi spinse a recarmi all’esterno dello stabile in cui mi trovavo per una piccola cosa da risolvere. Non avete idea della mia espressione quando lo vidi sulla porta. Lo abbracciai forte, felice ed emozionata come da tempo non mi capitava…
Vi presento Marco Bernava, il mio caro Marco, un uomo di terra e di vino…
- Marco, la prima volta che ti parlai al telefono ti chiesi di raccontarmi un po’ di te. Le tue parole mi bastarono a capire. Immagina di tornare indietro nel tempo, era il 19 Dicembre del 2011. “Ciao Marco sono Cinzia, mi hanno parlato di te, raccontami…?”
“E’ una bella domanda! – mi dissi – come farò a riassumere tutte le mie inquietudini in una telefonata senza apparire un folle?”. E ora mi ritrovo con lo stesso dilemma, ma il titolo della nostra chiacchierata riassume bene alcuni degli aspetti centrali del mio “raccontarmi”. Ho 35 anni, sono nato a Milano e sono laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie con una tesi sperimentale in viticoltura ed enologia. Ho degustato personalmente e professionalmente l’Italia vitivinicola da nord a sud fino a maturare l’idea della sfida più grande ed avvincente: “Diventare produttore vitivinicolo!”.
Ecco il mio essere orgogliosamente italiano, agronomo e winemaker. Ma come grande amante del sistema naturale in cui vivo, e di cui l’agricoltura ritengo sia la vera strada dell’esserne parte integrante, ho deciso di fare un passo oltre i miei studi e diventare anche agricoltore, viticoltore e cantiniere. Ho deciso di farlo in terra Catalana (Spagna), dove lavoro nei vigneti e nella nostra cantina di proprietà, guidato dalla passione per il vino, insieme alla mia compagna Ruth (la vera catalana), e mio fratello Gino.
- Dove ha origine la tua passione per la terra e per la viticoltura?
Sono profondamente convinto che ogni essere umano abbia la necessità del contatto con la terra e con la natura. Sai perché una persona quando va in montagna e vede un bosco, o vede un campo coltivato e rigoglioso, o un bel frutteto, si sente così bene che spontaneamente esclama: “Che meraviglia di posto”? Per il colore verde che ci da questa sensazione. È infatti dimostrato che la semplice vista del verde della vegetazione, viene associata nei meandri ancestrali del nostro cervello all’abbondanza: “Vegetazione significa acqua, significa presenza di animali, significa cibo”. Ecco perché quando evadiamo dal cemento e dall’asfalto, ci sentiamo bene.
“Noi siamo parte della natura, ma ne abbiamo perso la coscienza”.
Con questo preambolo rispondo al perché della mia passione per la terra: “La sento parte di me!” In più studiare i sistemi ecologici, gli esseri vegetali e gli animali da un punto di vista biologico e poi tecnologico e applicativo, ti concede il lusso di capire meglio il mondo naturale e il ruolo dell’essere umano come facente parte di questo mondo. Il comprendere poi come poter approfittare in modo intelligente delle risorse naturali per creare alimenti ti svela l’intersecarsi dei cicli biologici e l’essenza dell’ecologia. Inoltre, le mie origini familiari sono legate all’agricoltura, e credo che nei miei geni si sia risvegliata questa voglia di riprendere i capitoli iniziati dai miei nonni.
La mia passione per la viticoltura é presto detta. Le piante del genere Vitis hanno un fascino speciale, una fisiologia molto complessa che le rende dei vegetali con un’ecologia interessantissima e con potenzialità enormi. L’addomesticazione delle piante di vite durante i secoli é uno dei bagagli culturali e tradizionali più importanti che abbiamo. I risultati che oggi giorno possiamo apprezzare degustando vini, derivano da un percorso lungo e tortuoso. E di questo percorso fa parte anche l’enologia con le sue pratiche tanto naturali quanto complesse, proprio in virtù della loro naturalità.
- C’è una persona che ha influito nelle tue scelte?
I miei genitori hanno studiato per lavorare nel settore dei servizi a Milano; si sono sempre sacrificati perché io e Gino già da piccoli, potessimo godere del colore verde, potessimo nuotare nel mare o nei laghi, potessimo evadere dalla città, e potessimo mantenere il legame con la natura. Loro, e le origini contadine dei miei nonni, hanno mantenuto vivo in me l’amore per la terra, e hanno sicuramente influito sulla scelta di dirottare il mio viaggio sul settore primario.
I miei studi mi hanno da subito avvicinato alla viticultura e all’enologia, una delle branche dell’agroalimentare più avanzate a livello di studi e di conoscenze acquisite. Effettivamente, curiosando nelle molteplici stanze del settore primario, un quadro mi ha colpito in modo fulmineo… amore a prima vista direi: “Il Vigneto!” E a marcare definitivamente l’interesse nell’approfondire la mie conoscenze sul sistema vigneto, è stato un uomo durante una conferenza: Attilio Scienza. La sua visione del terroir viticolo, e del ruolo della gestione agronomica nel sistema vino derivante anche dai principi del grande Mario Fregoni, mi hanno catturato da subito. Riconosco che sono la base della rielaborazione del “mio” fare vino.
- Mi racconti il tuo percorso professionale in Italia?
Tortuoso e breve direi. Dopo la laurea ho avuto la fortuna di collaborare con il Di.Pro.Ve. della Facoltà di Agraria di Milano. Per il mio modo di essere, credo che la carriera accademica non mi si addiceva soprattutto a 25 anni. La volontà di toccare con mano la quotidianità della vitivinicoltura mi ha spinto a cercare lavoro come agronomo d’azienda. Dopo alcune brevi esperienze in Friuli e in Toscana sono approdato nelle Marche, e ho iniziato a lavorare con Antonio Terni alla Fattoria Le Terrazze. Qui ho potuto collaborare alla creazione di grandi vini, con grandi tecnici, con una grande squadra di persone, ed un grande Antonio. La mia sete di esperienze mi ha portato anche nel sud Italia nella zona del Vulture, per poi ritornare nella bergamasca. Ma ormai dovevo fare i conti col mio vero obiettivo, e con la mia sete ormai non più domabile di costruire il mio progetto personale.
- Cosa ti ha portato a produrre vino in terra di Spagna?
Il mio legame con la Spagna (meglio detto con la Calalunya) è datato 1996, anno in cui ho conosciuto Ruth. Questa terra ha grandi potenzialità a mio avviso, molte inesplorate. Per un giovane inquieto e agli inizi come me, era una terra “possibile” per iniziare un progetto così importante. L’ Italia con lo sviluppo del settore degli ultimi vent’anni è divenuta terreno difficile per i piccoli promotori, soprattutto se giovani e “ignoti”, a meno di non spingersi in zone dove l’insediamento di un forestiero risulta difficile per ragioni più sociali che non economiche (e parlo di realtà vissute e ben note date le mie origini). La Spagna lascia qualche porta aperta all’insediamento in parte per fattibilità economica di determinati investimenti, e in parte per una volontà amministrativa e politica di voler mantenere giovani nelle zone rurali (volontà questa, dettata da esigenza e non sicuramente da altruismo e giustizia; la Spagna è rurale, e i voti in zona rurale hanno un peso diverso da quello delle regioni urbanizzate).
Senza addentrarmi in discorsi che ci distoglierebbero dall’argomento vino, riassumo la mia risposta con un gioco filologico e che risulta essere romantico: “In lingua italiana distinguiamo la “viticultura” (ossia il bagaglio culturale legato al mondo viticolo) dalla “viticoltura” (la coltivazione della vite); in lingua spagnola e catalana, esiste solo la “viticultura”. Ed io sono un tecnico che si ritrova in un posto senza “viticoltura”!
- “Io vivo il vino.” Sei sanguigno e combattivo come me. Nel tuo vino si sente il carattere che ti contraddistingue. Quando l’ho bevuto la prima volta ho avuto come una proiezione nella mia mente ricordando i tuoi racconti sulle difficoltà, le fatiche e le emozioni per produrlo. Raccontami il tuo vino?
Se il mio lemma è “in vino vivendo”, il lemma della Cantina BERNAVÍ è “interpretando il terroir”. Credo che in parte ti puoi dare una spiegazione sul perché!
“Il vino è lo specchio di chi lo fa, tecnicamente, sentimentalmente e filosoficamente. Io cerco di trasmettere alla bottiglia la mia interpretazione delle potenzialità delle nostre vigne, sia scegliendo i vitigni, che valutando le annate“
Sin dal momento in cui ho deciso le varietà da reimpiantare ho fatto una scelta interpretativa. La gestione agronomica si deve modellare ogni anno sull’andamento climatico e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ed il lavoro in cantina deve rispettare le risposte che ogni anno ogni varietà ci regala (nel bene e a volte nel male!), proprio per creare un vino originale, che è variabile in quanto prodotto naturale. É proprio la naturalità del prodotto vino che mi ha spinto a non accogliermi a nessun disciplinare di produzione, e che mi fa schierare chiaramente contro tutto il rumore a livello europeo sulle norme di qualificazione dei vini. Il vino di BERNAVÍ vuole essere sincero e immediato come me, come noi!
Siamo noi tre a lavorare e per questo la cantina porta il nostro nome. Per questo i nomi dei nostri vini sono tanto immediati.
Un bianco vendemmiato di notte per sfruttare il libeccio fresco, e con la luna che fa risplendere i terreni calcarei: Notte Bianca. Un rosso, giovane frutto del lavoro di tre anime e del coupage (taglio) di tre varietà tanto diverse quanto complementari, con vinificazioni ad hoc per ognuna di esse: 3D3. In itinere le riserve in botti di gran volume, che racconteranno le concentrazioni eccezionali di cui capace questo terroir…
“Il calice di vino deve raccontare il duro lavoro in vigneti gelidi d’inverno e torridi d’estate, in condizioni tanto estreme quanto affascinanti; deve raccontare di schiene curve sulle viti cercando di capire le necessità di ogni pianta, dalla potatura alla vendemmia…” Marco Bernava
Commenti alla pubblicazione riportata su Facebook
Tommaso Ponzanelli:
Ma cosa vuol dire winemaker?
Cinzia Tosini:
Tommaso eccomi… Winemaker tradotto significa fare il vino. In Italia rispecchia la figura del Consulente enologico che da le direttive nella produzione… ma ne riparleremo… 😉
Tommaso Ponzanelli:
Appunto, non mi piace il termine winemaker. Senti come suona meglio vignaiolo, enologo… tutta un’altra storia.
Cinzia Tosini:
Tommaso.. condivido! E infatti… se ne riparlerà a breve con Marco Bernava in un suo approfondimento! Ora è impegnato… sta seguendo il rimontaggio in cantina! 😉
Alessandra Basso:
Splendida intervista Cinzia… Avendo amato molto Goethe e la sua Teoria dei Colori, mi sono identificata moltissimo nel sentire di Marco… a proposito del colore verde…” Il colore della Natura… in cui ogni occhio si riposa… perfetto connubio di giallo e di blu… Quando ciò avviene… non si può e non si vuole andare oltre…”
Cinzia Tosini:
Alessandra grazie, Marco è sulla mia stessa linea d’onda. Lui è un romantico come me, romantico in senso lato. Ci si immerge nelle sue parole e si viaggia, un contadino-poeta-scrittore che vive della natura.
Marco Bernava:
Tommaso forse hai ragione… ma pensa che “winemaker” mi piace intenderlo letteralmente: “chi fa il vino”… enologo ha sfumature diverse ed altrettanto interessanti : “chi studia il vino” (oinos logos)… dipende dai punti di vista e dal ruolo che si ha: effettivamente i consulenti sono enologi e poco spesso “makers” (in molte aziende sono i cantinieri i veri operatori!)
Marco Bernava:
Alessandra, mi fa piacere che ti sia identificata con la storia… il concetto del colore verde che dicevo a Cinzia é il risultato di uno studio fatto da biologi e antropologi: verde ci segnala abbondanza come quendo eravamo “animali”… nel senso di esseri viveti integrati in un ecosistema non artificiale.