Winemaker significa fare il vino, ma in Italia questo termine è inteso come la figura professionale del consulente enologo. Non tornano i conti, a meno che lo stesso non lo faccia… intendo il vino! In molti casi succede, in alcuni no! Quindi forse una ridimensionata a questo termine andrebbe data.
In un recente articolo dell’amico Michelangelo Tagliente riguardo “l’appiattimento del livello qualitativo dei vini”, citando le sue stesse parole, mah, che dire… Forse, che se personalmente producessi vino, vorrei che mi assomigliasse, anzi, senza forse! Baserei la scelta di un consulente enologo su sue ben precise doti, esperienze, e pensiero. Anzi dico di più, vorrei che fosse attivamente “più presente” nel fare il vino, e cioè presente in quella serie di operazioni che non si limitano solo alla consulenza.
Allego un passaggio di un articolo di qualche anno fa letto sul Blog di Luciano Pignataro. L’ho trovato molto interessante e attuale: “Che vi credete che faccia un consulente enologo qui in Nuova Zelanda? Praticamente tutto: monta le pompe, pulisce la diraspatrice, lava il pavimento, entra nel tino per svinare, scarica la vinaccia, insomma un winemaker nel vero senso della parola! Qualche giorno dopo leggo un articolo in un magazine di vino NZ che cade “a fagiolo” sull’argomento. Parla dell’Italia e racconta come negli ultimi anni le cantine di grande fama sono più famose grazie al consulente enologo anziché ai vini ed alle sue peculiarità…”
Bè, a questo punto direi proprio di porre la domanda a chi si definisce winemaker interpretandone il significato letterale e basico di chi fa il vino. La persona in questione è il caro amico Marco Bernava.
- Marco, Winemaker significa fare il vino… o no?
Cinzia è un piacere e un onore esporti il mio pensiero.
Io in primis mi definisco winemaker, ma lo faccio interpretandone il significato letterale e basico di “chi fa il vino”. In Italia (e non solo), credo che ci siano delle figure ben definite professionalmente e soprattutto a livello di formazione. Aggiungo con convinzione che dovrebbero integrarsi e complementarsi per ottenere vini originali. Parto dall’ idea che il vino è lo specchio di un sistema “azienda vitivinicola” nel suo complesso:
- La proprietà deve essere l’ambasciatore del prodotto, l’immagine, ed il cuore.
- La parte viticola, e qui entra in scena l’agronomo insieme ai vignaioli, la vedo come l’arte di plasmare un frutto geniale.
- La parte enologica, e qui enologo e cantiniere devono essere un tutt’uno, la vedo come l’elaborazione personale della potenza del vigneto.
- Nel complesso poi il terroir in cui una cantina produce, lo definirei come la somma degli elementi che creano un prodotto originale e che devono essere in parte gestiti ed in parte semplicemente letti ed interpretati.
A volte invece mi sembra che ci sia la volontà da parte di qualcuno di fare “la prima donna” e questo arriva a rompere i meccanismi positivi e porta a non trasmettere l’originalità del prodotto finale.
A mio avviso ogni persona coinvolta nel processo produttivo dovrebbe apportare il suo essere co-autore di un vino con un fine ultimo comune a tutti: “regalare sensazioni”. Il consulente in moltissime realtà aziendali è essenziale, sia esso agronomo o enologo, ma a mio avviso deve essere interprete del terroir in cui si cala a lavorare, e non deve “mettere la firma e basta”.
Il suo ruolo lo fa partecipe della fase produttiva, ma il suo coinvolgimento con il terroir e la singola realtà, varia a seconda del suo stile e della sua etica professionale. Ci sono realtà in cui il consulente deve limitarsi a dare protocolli, fare o interpretare analisi, e prendere decisioni tecniche; ci sono altre realtà in cui potrebbe (e a mio avviso dovrebbe), coinvolgersi passionalmente con il sistema di cui entra a far parte.
Una bottiglia è come una canzone: “La puoi creare come sinfonia di strumenti o come insieme di assoli… il risultato sarà ovviamente diverso”.
Marco Bernava
Commenti alla pubblicazione riportata su Facebook
Adriano Liloni:
Non succede spesso diciamo.
Mark Norman:
Cinzia… qui l’enologo è descritto come colui che rende effettivamente i vini… Un consulente viene in aiuto… C’è confusione nei termini
Cinzia Tosini:
Adriano vero, ma a volte incontri persone che interpretano la parola nella pienezza del suo significato… Sempre che la si voglia usare… Ci sono termini Italiani assai più appropriati…
Cinzia Tosini:
Premetto che Mark è americano, quindi fa un grosso sforzo con l’italiano. Mark Norman è una carissima persona che ho conosciuto in una conferenza a Zagabria. Uomo con la U maiuscola.
Cinzia Tosini:
Mark ciao! La confusione a cui ti riferisci è forse nell’interpretazione italiana del termine.
Michelangelo Tagliente:
Grazie per la citazione Cinzia
Cinzia Tosini:
Michelangelo, citazione più che doverosa visto che tu sei stato “il direttore d’orchestra” in questa discussione… 🙂 Il mio è un approfondimento supportato dalla testimonianza dell’amico Marco Bernava. Testimonianza di uomo che vive la terra. Vedi questa foto che ho messo me l’ha mandata una notte mentre vendemmiava. 🙂
Marco Bernava:
Mark mi inserisco e grazie per il commento. Effettivamente ci sono scale diverse a cui mi riferisco: i consulenti sono a volte essenziali ma in alcune realtà si pecca di non calarsi nell’ armonia di quella che è una struttura non solo produttiva, ma oserei dire anche creativa (da qui il riferimento alla musica). L’enologo o winemaker altro no è che una parte del sistema creativo… non un assolo, ma un’ armonia: non fa il vino con il consiglio e la firma, ma lo fa amalgamandosi a tutto ciò che gli ha portato la materia prima che deve interpretare.
Tommaso Ponzanelli:
Peccato che in Italia siamo sempre più esterofili e si cerchi sempre più spesso in ogni campo di usare parole straniere (inglesi). A mio modo di vedere la parola che identifica il tecnico che fa il vino (anche se nella maggioranza dei casi segue la lavorazione magari anche a distanza) è l’enologo.
Cinzia Tosini:
Tommaso, concordo pienamente. Il vino è ricco di storia. La nostra storia Italiana vinicola non ha bisogno di inglesismi. Ha solo bisogno di essere raccontata e divulgata con semplicità e chiarezza. Lo stesso terroir, io lo lascio ai francesi. Noi abbiamo la “tipicità”!
Roberto Giuliani:
Condivido quanto dice Marco Bernava nell’articolo, ma penso che la parola, che sia enologo o winemaker, in realtà non definisce nulla di preciso, o meglio sarebbe precisa se preciso e definito fosse il ruolo. In realtà sappiamo bene che ci sono enologi che non toccano la vigna, che impartiscono appunto protocolli su come e dove intervenire in cantina, che ci sono enologi che fanno del vino un insieme di correzioni anno per anno, ovvero tannini aggiunti, acidità in più o in meno, gomma arabica e le mille pratiche chimico-tecniche che si possono fare all’occorrenza per ottenere il vino che si vuole. Pertanto non è la parola che può dare chiarezza, ma il modo di lavorare di ogni individuo, che in questo caso in particolare è molto diversificato. A mio avviso il lavoro fondamentale rimane quello in vigna, è per questo che l’enologo non può intervenire solo “dopo” aggiustando secondo anche i dettami di questa o quella moda, ma deve essere partecipe di un progetto che nasce sul territorio, sulla scelta del luogo, delle viti, dei portinnesti, delle fittezze, del metodo con cui lavorare la vigna e il terreno ecc. ecc. poi in cantina le uve sane dovranno essere manipolate il meno possibile. E questo, lo sappiamo bene, fa la differenza da enologo ed enologo. Certamente averne fatto una star di una figura professionale non è stato un bene. Se pensiamo alla musica, per fare una canzone ci vuole un paroliere, un compositore e un cantante, tutti e tre devono lavorare in sintonia per uno stesso obiettivo. L’enologo è una parte del tutto, dire che “fa il vino” è un po’ esagerato, in realtà porta avanti un processo iniziato molto prima che in cantina.
Tommaso Ponzanelli:
C’era un signore, diversi anni fa, che diceva: il vino si fa anche con l’uva!!! senza arrivare a queste considerazioni estreme si deve riconoscere che sicuramente l’uva è fondamentale ma altrettanto fondamentale è la mano di chi vinifica. Se mi chiedono di bere un vino fatto dal contadino preferisco rifiutare, sapete perché? Sicuramente sarà un vino “pigiato con i piedi” ma spesso nel deglutirlo c’è da legarsi alla sedia. Quindi che l’uva sia sana, che in vigna non ci siano state lavorazioni con sistemici ma è altrettanto vero che in cantina ci sino esperienza e conoscenza non invasiva. quando questa magia riesce a me, umile mortale, arriva il bicchiere di vino che mi avvicina al paradiso …….
Cinzia Tosini:
Roberto, come dice il caro Mario Maffi il rosso nasce in vigna. Li la sua cura è fondamentale. Per il bianco è un pochino più complicato… il lavoro continua in cantina ed è essenziale. Detto questo… è un vero piacere leggerti! 🙂
Cinzia Tosini:
Tommaso non condivido. Ho assaggiato un Aglianico di un contadino che mi ha fatto “illuminare” !!
Roberto Giuliani:
Ma infatti sono luoghi comuni, ci possono essere ottimi vini fatti in modo semplice e imperfetto come pessimi vini fatti in cantina. Il vino di una volta era sicuramente più difficile, anche perché molti buttavano dentro anche i raspi, ma c’era anche chi il vino lo faceva con un certo criterio e il risultato era lodevole.
Giustino Catalano:
Io penso che un buon vino è un vino che piace. Non credo in un vino del contadino buono perchè perfetto…alle volte e in questo concordo con Roberto Giuliani l’imperfezione è una caratteristica che ci fa piacere un vino. Pensiamo alle ossidazioni di molti vini biodinamici che accettiamo come “firma” di quel vino e osanniamo mentre le classifichiamo come difetto in altri. Semplicità credo sia la parola d’ordine per ogni cosa oggi. Cinzia Tosini…poi mi dici il contadino dell’aglianico….io vivo nelle terre d’aglianico… 😉
Riccardo Pilesi:
Tra tanti esperti ed operatori del settore con molta più’ esperienza di me forse la mia opinione potrebbe stonare, ma io sono un appassionato, un tifoso delle cose buone della tavola ed in primis del vino. Credo che tutti coloro che lavorano in questo campo debbano amare profondamente ciò che fanno per far si che questo amore si trasformi in un prodotto di qualità. Per quel che riguarda il winemaker la parola definisce la caratteristica di colui che fa il vino, con i consigli di altri appassionati che come lui si sporcano di uva e quant’altro, per dare poi a quelli come me, che hanno il piacere della tavola, un prodotto che oltre a trasmettere i profumi ed i sapori della terra dove il vino viene prodotto, sappia anche trasmettere le sensazioni di quella terra e di chi ci ha messo il sudore. Questo per me è il winemaker….non amo chi mette la firma da i consigli e poi non si sporca….
Marco Bernava:
Roberto, grazie per il contributo dal mio punto di vista azzeccatissimo! Integrazione di un ruolo in un sistema armonico di produzione e creatività…esattamente questo il concetto! Ed é sicuramente vero: l’ uva deve essere protagonista, é lei che “fa il vino” … noi dobbiamo curarla ed interpretarla nel modo corretto. Un piacere leggerti!
Marco Bernava:
Giustino, per me hai beccato un esempio perfetto con l’ ossidazione dei vini “naturali” … carattere da elogiare o difetto? Entrambe le cose non puó essere…ci sarà mica qualche cosa che non quadra?
Roberto Giuliani:
Marco e ora svelami come sei riuscito ad entrare nel tino! 🙂
Marco Bernava:
Riccardo Pilesi, la tua visione è più che condivisibile!
Marco Bernava:
Roberto… prima di smettere di fumare (ecco il segreto) sono entrato dopo l’abbonimento delle botti nuove per spazzolare le pareti delle mie botti nuove … grande … sembrava di carezzare tutte le prossime annate di riserve che faremo!!!
Cinzia Tosini:
Giustino, per me il vino è buono quando mi piace, intendo quando piace a me, forse per alcuni non è perfetto… E’ una questione sensoriale. Punto. Sai lo assaggio e contro tutte le indicazioni dei corsi fatti, con un dito che faccio roteare sulla mia guancia dico: “Buono”! (altro che schede con i numeri… mi rifiuto!) Che sia poi fatto da un contadino che vive del suo lavoro mi entusiasma ancor di più. In fondo tutti quelli che lavorano la terra sono contadini. Io stessa mi definisco tale quando in campagna ho occasione di metter le mani e pasticciare nell’orto. Poi certo, c’è chi il vino lo sa fare e chi no. D’altronde è un’arte. Ricordo il caro Josko Gravner, un contadino anche lui, mi raccontava orgoglioso gli insegnamenti del padre e dello zio, della sua voglia in gioventù di cambiare, e col passare degli anni di una riscoperta degli insegnamenti che ricordava aver ricevuto in gioventù. L’esperienza insegna, la tecnica anche… tutto deve avere la giusta proporzione. Per quanto riguarda l’Aglianico era prodotto da un contadino, padre di un amico… una delizia. Ti dico solo che io bevo pochissimo, ma quella sera mi son sbilanciata un pochino…
Cinzia Tosini:
Riccardo condivido! Innanzitutto esperti o non esperti, con tutto il rispetto né 🙂 il vino è soggettivo. E’ fondamentalmente una questione di gusto! Poi, ritengo fondamentale come sottolinei tu, sporcarsi le mani… Solo chi vive il vino ne capisce le difficoltà. Gli uomini e le donne di terra, di vino, sono gente che mi emoziona profondamente. Gente che lotta!
Roberto Giuliani
Cinzia… ehm, permettimi un’osservazione, senza alcuna polemica, ma secondo me è il gusto ad essere soggettivo e non il vino, e non il cibo, e non qualsiasi altra cosa. Chi si occupa professionalmente (e io non mi ritengo fra questi visto che non ci guadagno) di vino deve anche saperne comprendere, e conoscere, aspetti che determinano il risultato finale. Voglio dire, ad esempio, che un bianco ottenuto da vermentino, può essere buonissimo ma avere profumi che richiamano il sauvignon (uno a caso, facile facile). Ora, se mi limito a seguire il gusto, posso dire che quel vino è ottimo; se, invece, faccio una riflessione sul produttore (che ho conosciuto), sullo stile, sulle uve che ha in vigna, sul fatto che quel profumo e quel sapore hanno qualcosa di anomalo, posso dire “buono, ma…”. E’ una differenza sottile, ma sostanziale nella valutazione finale, che va oltre il mio semplice gusto, elemento troppo parziale, personale, e riduttivo, rispetto ad una cosa complessa come capire un vino (cibo) e quello che c’è dietro.
Cinzia Tosini:
Roberto, eccerto! Intendevo il gusto del vino! 😉 Ti pare! Ho scritto: “il vino è soggettivo… è’ fondamentalmente una questione di gusto!” Per il resto non amo giudicare un vino, per lo meno da esperta… no no! Diciamo che lo studio… studio a modo mio.
Roberto Giuliani:
Cinzia il bello della vita è proprio questo no? fare le cose con passione e magari imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. il mio intervento era solo per fare un distinguo fra il piacere che può dare assaggiare un vino o un alimento, e la
valutazione che di questi darai, non necessariamente numerica, ma che comunque darai apprezzandoli o meno. Chi lo fa per mestiere deve fare qualcosa di diverso, o almeno dovrebbe, magari andando anche contro il suo gusto personale, e in questo forse sono ancora troppo pochi.
Cinzia Tosini:
Roberto, ora rispondi: Quanto la valutazione finale degli esperti incide sul mercato? Quanto i produttori amano la valutazione degli esperti? E per finire, quanto le valutazioni sono influenzate dalle “etichette”?
Cinzia Tosini Si si… E quindi, io se lo facessi per mestiere dovrei andare contro il mio gusto personale? Impossibile per me… Dico quello che penso, faccio quello che mi piace… insomma una vera peste! Pensa che al corso di assaggiatore, pensavo che mi bocciassero! 😉
Roberto Giuliani:
Se ne parla spesso. possiamo dire che quando c’è stato il boom del vino di qualità in Italia, e la guida del GR ha fatto da apripista per farlo conoscere, poco alla volta quella guida è diventata un riferimento per vendere meglio i vini. Certo ha anche condizionato il gusto (e qui torniamo al discorso di prima), ha condizionato le scelte di molti produttori che, per ottenere i sospirati 3 bicchieri, hanno fatto di tutto, assoldato winemaker (altro argomento trattato proprio qui) di grido per fare “il vino per la guida” ecc. ecc. Perché? Perché quando un Barolo vinceva i 3 bicchieri potevano raddoppiare il prezzo e lo vendevano lo stesso. Non a caso molte aziende hanno costruito cantine megagalattiche in quel periodo (anni 90 – inizio 2000). Oggi le cose sono molto cambiate, non basta più vincere premi per assicurarsi la vendita di un vino, anche perché di vino buono ce n’è tanto, forse anche troppo vista la crisi. Sulla “etichetta” direi che incide soprattutto se dietro c’è un nome importante, da sola non basta.
Roberto Giuliani:
Certo Cinzia ma questo proprio perché per te è solo un piacere. Nel momento in cui ti accorgi che in un vino c’è il trucco (e questo succede se hai sufficiente esperienza), non puoi passarci sopra, perché non è corretto, è sleale. Almeno così dovrebbe essere per chi, ripeto, lo fa professionalmente.
Cinzia Tosini:
Caro Roberto, certe realtà che ho scoperto non sono sempre belle! A volte tristi… solo marketing. E’ per questo che riesco a vivere il vino come lo intendo io nelle cantine di piccole e medie dimensioni
Cinzia Tosini:
Per quanto riguarda le guide, perdonami, ma sono troppo fredde. Ho bisogno di andare sul “campo” e capire la filosofia del produttore, della persona. E’ così che capisco meglio il suo vino! L’etichetta e il nome “importante” a me non basta…
Roberto Giuliani:
Perdonarti Cinzia? E io mica faccio parte di guide enologiche, chi mi legge da tempo sa che sono stato sempre molto critico verso le guide, come ho appena scritto, sono state utili finché “indicavano” le cantine, permettendo di conoscerle alla massa di gente che non può andare in giro ogni giorno, magari solo perché fa un lavoro che non glielo permette. La guida dovrebbe avere una funzione simile al dizionario, illustrarti quello che c’è a disposizione, in modo da permetterti di scegliere cosa comprare e da chi andare. Senza di queste molte aziende sarebbero rimaste sconosciute ai più, soprattutto quelle piccole. Oggi se molti bevono e parlano (e scrivono) di vino è proprio grazie al fatto che qualcuno ha presentato migliaia di cantine e decine di migliaia di vini, diffondendo la conoscenza. Purtroppo poi si sono montate la testa e hanno fatto dei grandi casini, dai quali ancora oggi è difficile uscire…
Cinzia Tosini:
Ne ho anch’io qualcuna in casa… Mi sembrava essenziale. Ma poi ho incominciato ad inserirci i vini che assaggiavo… La mia guida personale nella guida degli esperti. 😉 Son li in bella vista, rarissimamente le ho consultate, anche perché mica ci capivo un granché. Mi spiego; finché si tratta di capire l’origine del vitigno etc etc… tanto di cappello… per il resto sa di qua, sa di la… profuma di quello e di quell’altro… e chi lo dice? l’esperto? No no, lo devo dire io! Quindi, presto detto. Mi piacciono solo le guide che raccontano la storia del vitigno e della terra evocata. Storia storia storia… son fissata lo so, ma appena sento questa parola mi si alza “un’antenna radar”. Ah proposito di sapori e profumi, ogni volta che ci penso mi scappa una risata… Mi ricordo Lino, Lino Maga del Barbacarlo. Quando prendevamo in giro i sommelier (perdonatemi!!!), lui mi ha detto: “Cinzia, dicono che il vino sa di frutta, spezie, tabacco, terra dopo una pioggia estiva! Ma di uva!!! Dico io, non lo dice più nessuno???” :-))))
Roberto Giuliani:
Cinzia, Lino è un mito, ma su queste cose c’è una grande incomprensione. “sa d’uva” non significa nulla, soprattutto quando questa viene vinificata e magari messa in botte. se pensi che in un acino ci sono almeno 400 composti diversi, è normale che in un vino emergano profumi e sensazioni complesse, il bello è anche saperli “leggere”. La storia è una parte, come è una parte la lettura del vino, una completa l’altra, non sono d’accordo sulle posizioni assolute. Se non capivi quello che dicevano le guide dipendeva dal fatto che non avevi fatto corsi di degustazione, una cosa del tutto normale che tutti possono fare e serve, serve molto, così come serve andare per vigne e cantine e parlare con chi il vino lo fa. tutto serve…
Cinzia Tosini:
Bè i corsi li ho fatti, ma le guide continuano a piacermi pochino… Ho capito il tuo discorso, cacchiolina lo so, ma “sa d’uva, anche, ci sta bene qualche volta!” Non c’è una verità assoluta, c’è un mondo di vino da scoprire… degustando, chiacchierando, conoscendo e discutendo! Son d’accordo con te, “tutto serve”!!
Marco Bernava:
Mi reinserisco in ritardo in questa sensazionale dissertazione…mi fa piacere leggervi! sono MOLTO d’ accordo con le osservazioni di Roberto tra distinguere (con dovere professionale soprattutto) tra sensazione e oggettività in un vino. Questo esercizio DEVE essere fatto dai tecnici e dai consumatori esperti: ne va il risultato di un prodotto e la sua onestà: solo così si possono scoprire carte false a volte! Poi sono d’ accordo che nel consumare in modo non tecnico un vino si può fare un po’ come su facebook: il “mi piace” e “non mi piace” basato sulla sensazione può risultare sufficiente per gaudire del prodotto (cosa che DEVE altrettanto essere fatta…altrimenti muore il valore edonistico del vino di oggigiorno!
Marco Bernava:
Altra cosa importante è l’ argomento guide… Roberto ha perfettamente ragione: AVEVANO un valore in quanto indici consultabili dai consumatori, strumenti di comunicazione su come, dove trovare prodotti e produttori…strumento di conoscenza. Da quando sono passate ad essere un mero strumento di puntuazione e di critica…beh, la magia l’ hanno veramente rotta! Ed il mercato lo stanno falsando, lo stanno condizionando alle loro logiche economiche…peccato, peccato perché purtroppo non tutti sono in grado di prescindere da quei giudizi e da quei punti, perché non sanno discernere informazione da giudizio interessato… e allora la magia di comunicare il vino si rompe, non è più informazione e passione!
Marco Bernava:
E adesso vorrei intavolare io una questione che é stata solo sfiorata ma che ultimamente inizia a prendere piede come per me problema e lo diventerà sempre piú per il produttore e soprattutto per il consumatore: l’ etichetta e la sua normativa. Cosa ne dite dell’ obbligatorietà di determinate indicazioni? Serve appesantire e confondere il consumatore?
Cinzia Tosini:
Marco, devi essere più chiaro… sai bene quanto ci tengo, intendo chiaro anche per i non esperti, per il consumatore che comprerà la bottiglia di vino. Dunque, spiega le indicazioni obbligatorie sull’etichetta. Quali condividi e quali no. Tu sei un produttore ed un esperto… devi imparare a rivolgerti a noi consumatori (tutti gli esperti dovrebbero!!) grrrr 🙂
Roberto Giuliani:
Cinzia tu non sei un semplice “consumatore”, smettila di presentarti per quella che non sei, i consumatori non vanno in giro a fare interviste, a raccontare di questo o quel produttore, tu sei una professionista mascherata, ti sei fatta una cultura che i consumatori si sognano. Passando a quanto dice Marco, il problema è che il consumatore (termine molto vago e grossolano) va educato a capire che ciò che mangia e beve condiziona fortemente la sua salute, le sue energie, le sue capacità in generale. La maggior parte dei cibi oggi riportano un dettaglio di ciò che contengono, ma sempre in modo impreciso e vago, scrivere “aromi” o “aromi naturali” non fa capire nulla, così come scrivere nomi di additivi e numeri di coloranti. Figuriamoci mettere sull’etichetta di un vino “può contenere stabilizzante colloidale a base di gomma arabica, tannini enologici, enzima pectolitico granulare, scorze di lievito, bentonite, residui di trattamenti sistemici ecc. ecc. A chi giova? Chi è in grado di capirlo? Sicuramente ha più senso segnalare in etichetta la presenza di solfiti (sempre che la maggior parte dei comuni mortali sappia cosa sono), così come è utile indicare il metodo con cui si lavora (biologico, lotta integrata ecc.), andare troppo nel dettaglio non credo serva a molto, se non a darsi la zappa sui piedi, perché la maggior parte delle persone, quando vede una sfilza di prodotti utilizzati, indipendentemente dalla loro eventuale dannosità, tende a scartare l’alimento.
Tommaso Ponzanelli:
Domanda: se ho 1/2 ettari di vigneto e pratico la coltivazione biodinamica tra qualche decina di ettari di altri produttori che usano i sistemici magari con elicottero, il mio vino è biodinamico pur avendo la mia uva la certificazione?
Cinzia Tosini:
Roberto non mi sgridare :-), punto primo, io una consumatrice lo sono sul serio! Wikipedia definisce il consumatore l’utilizzatore di beni e servizi prodotti dall’economia. Quindi mio caro lo sei anche tu! 😉 Detto questo visto che il web permette di avere uno spazio proprio per fermare i propri racconti perché no! Io racconto la Terra, il mio, il tuo, insomma… il nostro pianeta! Ovviamente con i limiti (purtroppo) che ho nel muovermi… Non hai idea dei km che faccio, e faccio ammenda per questo, perché non sempre, per il tempo limitato ci si può muovere con i mezzi. Poi anche perché guidare è una mia passione, per le soste che faccio, per ciò che ho modo di vedere. Incrocio le dita, speriamo che arrivi presto una macchina ecologica. Ci sono già, ma sappiamo bene tutti com’è la storia! Che nervi! Questo però è un altro discorso… ed è meglio che mi fermo qua… Punto secondo, professionista io??? Magariiii!!! Professionista, è chi pratica il lavoro a cui l’attività si riferisce. Io per ora pratico la passione nel raccontare le storie delle persone, della terra, e dei suoi prodotti! Sono “l’anello” mancante (per dire né… una delle tante…) tra consumatori, produttori ed esperti. Le mie domande sono “le domande della gente”. Ecco cosa sono! Detto questo condivido che troppi nomi di sostanze sull’etichetta, di cui solo un chimico o quasi è in grado di capire, non servano che a creare confusione. Quindi insisto con i marchi di tutela, marchi che garantiscono il consumatore. Pochi, chiari e super controllati… a garanzia delle tipicità del nostro paese!
Cinzia Tosini:
Tommaso ti rispondo: NO!! No per me, ovvio! Uno dei problemi è la poca severità nei controlli alle aziende certificate!
Roberto Giuliani:
Cinzia eheheh ma neanche i complimenti ti si possono fare 😀 se uno non lo sapesse (e io lo so perché me lo hai ribadito più volte), da come scrivi e da cosa racconti sei molto professionale e capace. Aspirare ad esserlo anche come lavoro è un’altra storia, di questi tempi poi ci vorrebbe un vero colpo di fortuna o qualche conoscenza specifica. Quindi, per me, continui ad essere una professionista “mascherata” 😀
Cinzia Tosini:
Roberto… bè allora faccio l’inchino!! Complimento accettato e… bacione inviato!! 😉
Tommaso Ponzanelli:
…si parlava di guide, mi viene spontaneo chiedere: ma chi giudica i giudicanti? E sulle etichette perché non riproporre le deco (denominazioni comunali) e il prezzo sorgente?
Roberto Giuliani:
Tommaso Ponzanelli, è semplice, giudica chi compra, se rimane deluso boccia la guida, se rimane contento continua a comprarla. D’altronde chi giudica l’insegnante scolastico o il critico musicale?
Poi le denominazioni comunali, di veronelliana memoria, avrebbero senso se fossero state fatte le opportune ricerche territoriali per poterle definire, ma qui siamo all’acqua fresca, si sono allargati i terreni vitati in virtù di convenienze commerciali, fottendosene ampiamente del senso di una denominazione, delle sue caratteristiche e via discorrendo.
Tommaso Ponzanelli:
Roberto, sulle guide penso che sarebbe meglio che i consumatori non ne leggessero più. Forse torneremo al VINO ITALIANO. Sull’insegnante scolastico visto le condizioni della scuola italiana, servirebbe veramente qualcuno per stabilire chi ha i requisiti psicoprofessionali per andare ad insegnare. (ricordate la prof. di matematica di qualche tempo fa?)
Le “deco” erano un’idea di Gino. Purtroppo non ha fatto in tempo a riuscire a vederne l’attuazione. Concordo con te che il vigneto Italia è compromesso, si è quasi persa la tipicità (vitigni – sistemi di vinificazione – osmosi inversa ecc. ecc.). Per molti vini resta difficile riconoscere la provenienza toscana, sicilia, australia, california ecc. ecc. (winemaker?) girando a spacciare vino mi capita sempre più spesso, specialmente all’estero, di richieste di vino italiano vero, tipico, e allora cosa è il mercato? La funzione delle guide è esaurita? Io penso che la peculiarità del vigneto Italia è proprio nella micro differenziazione unica al mondo, ne avremo le capacità di saperla raccontare?
Cinzia Tosini:
Roberto, Tommaso, a proposito di guide Chiara Soldati alla mia domanda: “Chiara Soldati cugina del grande Mario Soldati. Chiara conoscerti è un po’ come conoscere lui. Mi regali un tuo ricordo di Mario…”, mi rispose: “Vignaioli si nasce, tecnicamente lo si diventa, ma l’anima più profonda della terra e del vino non la si può apprendere se non vivendo, da generazioni, il lento susseguirsi delle stagioni della vite e della vita in una simbiosi che si riscopre e si svela assaggiando i vini che nascono da questa danza che si ripete ogni anno uguale, ma sempre nuova. Molto è cambiato nel mondo “gaviese” da quando il cugino Mario Soldati nel 1977 veniva a visitare queste colline per scrivere il Suo libro ”Vino al Vino”: la maggior parte delle proprietà di allora sono cambiate di mano svariate volte, tante da far scordare origini ed identità. Antesignano delle odierne guide enologiche, Mario espresse allora un augurio ed un consiglio, visitando la nostra cantina ed assaggiando il nostro Gavi, che rileggo ancora oggi con molto affetto:
“ L’importante è il vino, e finora non se ne può dire che bene. Ma più importante è l’uomo, l’augurio è che l’intelligenza industriale sia così intelligente da non sopraffare mai il cuore artigianale”. Non so se è lo stesso motivo che mi attira così tanto ad ascoltare le storie di vita delle persone, ma credo che dalle nostre origini s’inneschi tutto…
Due chiacchiere con… Chiara Soldati
storiedipersone.wordpress.com
Roberto Giuliani
Soldati è vissuto in un’epoca ben diversa, oggi vivere il vino “in poesia” o “on the road” non può dare gli stessi risultati. Ai tempi di Soldati il vino lo facevano quasi esclusivamente contadini o comunque vignaioli da generazioni. Oggi i
l vino lo fanno (o meglio lo fanno fare) avvocati, farmacisti, notai, industriali, architetti ecc. ecc. Questo non vuol dire che non lo facciano bene, ma certamente il contesto è profondamente cambiato, e in qualche modo ha contribuito anche la figura del winemaker, hanno contribuito le guide con i loro ricchi premi e cotillon che hanno condizionato il modo di fare vino (fino a pochi anni fa venivano premiati quasi esclusivamente i vini iperconcentrati, opulenti, coloratissimi, e tutti cercavano di farli a prescindere dalle caratteristiche dei vitigni, dei terroir, usando tutte le tecniche di cantina possibili grazie a “winemaker” che avevano imparato la formula vincente…). Oggi il mondo del vino si sta solo parzialmente liberando di tutto questo, perché la crisi impone di fare di tutto di più per rimanere a galla. La poesia che ognuno di noi cerca non deve renderci ciechi e sordi.
Cinzia Tosini:
Roberto, ci sono molte persone come me che senza poesia non riescono a vivere, ma soprattutto non riescono a “vivere” il vino . Le grandi e le piccole realtà possono coesistere, devono. Sono due approcci differenti e necessari. Faccio spesso questo esempio: “E’ come per alcune persone che comprano la frutta al centro commerciale, io non riesco. Io devo andare nella piccola dimensione, dal fruttivendolo, devo avere quel rapporto umano che per me è necessario”. Detto questo con tutto il rispetto, come dico spesso c’è spazio per tutti quelli che lavorano bene…
Un saluto a tutti
sono un amico carissimo di Marco Bernava, nonché produttore e consulente a 360°.
Ho letto volentieri l’intervista e alcuni commenti ma, come potete immaginare, in modo sbrigativo perché in piena vendemmia.
Io centrerei la discussione sul concetto di terroir: tutte le figure che gravitano intorno al “mondo vino” sono interpreti, spesso semplicemente comparse, della natura. Chiaro è che ogni zona viticola ha le sue peculiarità che richiedono azioni e comportamenti diversi tanto in vigna quanto in cantina; oggi il terroir sta perdendo valore e significato perchè il gusto del vino lo detta il mercato che chiede prodotti standard e ripetibili negli anni. Giocoforza il “nome alla moda”, dietro cui il più delle volte stanno persone molto preparate e meticolose, garantisce il successo. Per questa ragione oggi il vino del contadino (inteso come vino personale e frutto reale della zona d’origine senza ritocchi per renderlo più serbevole) perde punti…credo e spero fortemente nella volontà e nella forza delle piccole realtà, in quelle persone che mirano a raccogliere un frutto maturo come piace a loro e che in cantina hanno la pazienza di aspettare che il vino si faccia da se, aspettando l’epoca giusta per svinare , travasare e infine imbottigliare il vino, anche s e a volte le loro scelte non sono quelle più adatte per tutti.
Chiaro che così è difficile sopravvivere e tirare avanti la carretta…
P.S.: conosco moltissimi contadini che così facendo producono ottimi vini semplicemente tenendo tutto pulito e in ordine (tutto=vigna+cantina)
Pierre Philippe, “il vino” per me è esattamente come lo hai descritto… grazie
Non posso perdere l’ occasione (anche se in ritardo per la vendemmia piú asciutta della mia carriera) di commentare l’ ultimo contributo di PIerre Philippe, grande come solo i passionali del settore possono essere! Un piacere leggerti amico mio!
Abbiamo condiviso per anni la dedizione ai “terroir” … abbaimo studiato cosa sono e come si formano … ne abbiamo studiati … e abbiamo avuto la sacrosanta libidine di scoprire l’ arte di chi del “terroir” ne fa un vino.
Il tuo discorso non fa’ una piega, ma mi permetto di focalizzare l’ attenzione su una parola che hai usato e che é la chiave dal mio punto di vista: “interpreti”.
Sí perché il segreto é quello di interpretare la vigna, il clima, le varietà, le tradizioni, l’ uva, il mosto, le “epoche giuste” per ogni passo come dici tu. Il frutto della interpretazione paziente, minuziosa, cosciente, porta al reale “grande vino”. Questo é il frutto dell’ interpretazione dell’ insieme di tutte le variabili che compongono il “terroir”, ogni sistema “vitivinicolo”… e il bello é che il fulcro di ció é l’ interprete… questa é la personalizzazione, l’ originalità del prodotto che é il valore piú alto che oggi giorno possa raggiungere un vino. Non la standardizzazione del mercato…no…quella é una delle innumerevoli variabili; ma l’ interprete sa’ gestire anche quella e non deve privare il mondo del gusto del SUO vino. Credo che in quest’ ottica alla lunga si tornerà a dare ragione a chi il vino lo vive e non solo lo commercializza!
D’ accordo con te amico Pierre Philippe: la semplicità della correttezza di ogni gesto nel gestire tutto (=vigna+cantina) fa la differenza vincente!